A servizio dell'unità della fede
Data: Lunedi 14 Giugno 2010, alle ore 22:52:33
Argomento: Ecumenismo


Intervista di Vincenzo Vitale a Bernard Sesboüé su Madre di Dio, n. 3, 2008
 


 

Incontriamo il gesuita Bernard Sesboüé, teologo di prestigio ma anche protagonista di spicco del dialogo ecumenico attraverso il gruppo di Dombes. Frutto di questo lavoro è stato anche un importante documento dedicato alla figura della Vergine Maria.
Sono passati esattamente cento anni (nel 2008) da quando il sacerdote anglicano Paul Wattson, cofondatore della Society of Atonement (riconciliazione), propose per la prima volta un ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, celebrato – come ancora oggi – tra il 18 e il 25 gennaio del 1908. L’idea di ecumenismo in ambito cattolico era ancora di là da venire. Nel 1936 l’abbé Paul Couturier di Lione avviava un’iniziativa informale di dialogo ecumenico, il gruppo di Dombes, dando inizio anche alla Settimana di preghiera universale per l’unità dei cristiani.
È in questo quadro che si colloca questa intervista con il gesuita Bernard Sesboüé (classe 1929), teologo e docente di prestigio, ma anche protagonista e testimone di dialogo ecumenico, essendo membro del gruppo di Dombes dal 1967. L’ho incontrato a Roma lo scorso ottobre al Simposio mariologico internazionale. Tra una relazione e l’altra ho avuto modo di rivolgergli qualche domanda sull’ecumenismo mariano oggi.

C’è una questione mariana in campo ecumenico oggi?

«La questione mariana che si pone nel dialogo ecumenico parte dalle differenze dogmatiche tra la Chiesa cattolica da una parte e l’Ortodossia e le Chiese uscite dalla Riforma dall’altra. I due punti controversi con l’Oriente – i dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, definiti nel 1854 e nel 1950 – pongono il problema della definizione pontificia e dell’autorità del Papa e dell’infallibilità pontificia. Il dogma dell’Immacolata pone un’altra questione, perché è legato alla concezione occidentale del peccato originale, che ci viene da sant’Agostino, mentre l’Ortodossia si riferisce alla concezione più orientale di san Giovanni Crisostomo e altri che non impiegano la parola "peccato" né quella di "corruzione". «Ma bisogna vedere bene che gli ortodossi hanno mantenuto la realtà dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione ben prima degli occidentali! Essi hanno, in un’altra formulazione, l’equivalente dell’Immacolata Concezione: essi celebrano Maria come la "Tutta santa" (Panaghia), qualcosa che a loro è molto caro. Quanto all’Assunzione, anche qui sono gli orientali che hanno posto la questione per primi e che nelle cosiddette "omelie bizantine" del XVII-XVIII secolo (Bisanzio è Costantinopoli!) hanno sviluppato la prospettiva della dormizione di Maria e poi della sua Assunzione».

In Occidente, invece, quale difficoltà si poneva?

«Qui la "questione mariana" è ancora diversa: perché il problema posto dalle chiese della Riforma viene dal fatto che la Chiesa cattolica ha definito come dogmi di fede degli eventi spirituali che non sono attestati nella Scrittura. A loro appare impossibile passare dal silenzio totale della Scrittura a delle affermazioni dogmatiche così precise.
«Per un teologo come Karl Barth l’Immacolata Concezione e l’Assunzione fanno parte di una deriva "mariolatrica" dei cattolici (la latria è il culto dovuto solo a Dio): una sorta di divinizzazione della Vergine. Egli rimprovera: questa è la vera eresia comune. Di fronte alla proclamazione dei due dogmi, la reazione protestante spontanea è stata di dire: la Chiesa cattolica cade nell’eresia.
«È il motivo per cui è nato il gruppo di Dombes, formato nel 1937 dall’abbé Couturier, un prete di Lione, che ha voluto semplicemente permettere che dei protestanti e dei cattolici, preti e pastori, potessero incontrarsi per ascoltarsi e per comprendersi. Il suo grande principio era: per riconciliarsi bisogna amarsi e per amarsi bisogna conoscersi. Ha dunque organizzato questi incontri che hanno avuto luogo – e ancora hanno luogo – regolarmente e che hanno permesso di accostare diversi punti difficili nel campo dei sacramenti, dei ministeri, e persino di produrre un documento sulla Vergine Maria nel 1997: Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi. Il lavoro di Dombes è consistito nel fare riconoscere ai protestanti che non c’è contraddizione tra i due dogmi mariani e il Vangelo. Si tratta di un passo già considerevole, poiché dicevano che si trattava di eresie».

Qui si pone il problema dei criteri con cui si fa il discorso mariano nell’ecumenismo.

«È evidente – ed è quello che si è fatto per la Vergine Maria – che il criterio è da una parte la Scrittura, ma anche il Simbolo della fede (Credo), perché il Simbolo della fede è l’espressione sintetica, ma molto organica e strutturata, dell’essenziale della fede.

Ed è comune alle tre confessioni.

«Sì, perché il Simbolo della fede ha una espressione duplice in Occidente, il Simbolo degli apostoli e quello di Nicea-Costantinopoli, mentre gli orientali mantengono solo quest’ultimo. Ma fondamentalmente siamo d’accordo. Ora, questo Simbolo è trinitario: fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito; è cristologico, poiché tutto l’evento del Cristo (concezione verginale, vita, morte, risurrezione) è integrato nel secondo capitolo; confessa poi lo Spirito Santo e confessa la Chiesa nell’articolo sullo Spirito Santo».

Come vi ha aiutato nel lavoro il ricorso al Credo?

«Quello che abbiamo fatto nel gruppo di Dombes è stato di rileggere nel quadro di questo Simbolo la Scrittura e la testimonianza del Nuovo Testamento. Nel primo articolo, su Dio Padre e Creatore, Maria non è menzionata ma è compresa, poiché Maria è una creatura. Cosa estremamente importante, perché certe esagerazioni da parte cattolica potevano far pensare ai protestanti che mettiamo la Vergine Maria dalla parte di Dio, come se nell’iniziativa della salvezza ci fossero il Cristo e la Vergine Maria. Mentre dobbiamo tenere fermo che Maria non è divina, non è la quarta persona della Santa Trinità: Maria è una creatura che ha risposto all’iniziativa del Cristo e che non ha potuto cooperare alla salvezza se non nel senso della grazia e della santificazione ricevute, perché ella è stata appunto "piena di grazia"; perché l’iniziativa divina l’ha salvata, ella può partecipare a sua volta.
«Ma – direi – come noi tutti. Evidentemente la sua partecipazione è unica, perché è nell’ordine della storia della salvezza: Maria è colei che ha partorito Gesù. Ma dal punto di vista della struttura del rapporto di Dio verso di noi, lei è nella stessa nostra situazione: ella è eletta in Cristo come noi; come afferma la lettera agli Efesini (1,4ss.), ella è eletta prima della fondazione del mondo, è piena di grazia come siamo anche noi, direi, "previsti", preparati per essere pieni di grazia; ed ella risponde liberamente, come anche ciascuno di noi deve rispondere liberamente. Maria è figura della Chiesa nel senso che la Chiesa risponde nella fede all’iniziativa e al dono di Dio».

Abbiamo così situato Maria nel quadro globale della fede.

«Esattamente. Non bisogna mai isolare Maria: lei non è il centro della fede. E d’altra parte il suo Magnificat lo dice espressamente: Maria riconosce che Dio in lei ha fatto meraviglie. Ma Maria, che ha ricevuto questa grazia, la riflette come un raggio di luce nella gloria del Magnificat. Direi che Maria è uno specchio, non conserva niente per sé: quello che lei riceve, lo riflette verso Dio nell’azione di grazie: "Magnificat anima mea Dominum"».

Maria è un tassello "necessario" della nostra fede?

«È un "tassello" necessario perché Dio l’ha voluta necessaria. Bisogna vedere bene il senso della parola "necessario". Non c’era una necessità a priori che si imponesse a Dio per prevedere il ruolo di Maria. È all’interno del disegno dell’incarnazione che Maria trova il suo posto necessario. Sì: perché il Verbo divenisse carne, è stato necessario che una donna lo portasse e lo mettesse al mondo. In questo senso c’è necessità. Ma è una necessità a posteriori, conseguenza della decisione del disegno di Dio sull’umanità, di farlo passare per la venuta del Cristo nell’umanità».

Si può pensare all’alleanza, al fatto che Dio sceglie dei partner umani che rispondono alla sua iniziativa?

«Sì, assolutamente. C’è un punto che per i protestanti è molto suscettibile: essi non amano che i cattolici sembrino dire che tutta la salvezza dell’umanità dipenda dal "sì" di Maria. Se avesse detto di no, che cosa sarebbe successo? A loro sembra che i cattolici mettano Dio in situazione di dipendenza davanti al "sì" di Maria.
«Hanno ragione quando dicono questo, perché significa che abbiamo spiegato male il significato del "sì" di Maria, che è interamente frutto della grazia e interamente frutto della sua libertà. Non sono due cose [grazia e libertà, ndr] che si coniugano dall’esterno: è perché Maria è stata prevenuta totalmente dalla grazia che non poteva dire di no. Facciamo fatica a pensare che un atto, che non poteva essere altro da quello che è stato, era allo stesso tempo un atto libero. Perché noi pensiamo sempre che grazia e libertà sono sullo stesso piano: allora ciò che si dà alla libertà lo si toglie alla grazia, ciò che si dà alla grazia lo si toglie alla libertà… No! Dio non è dipeso da Maria, benché si possa dire in tutta verità che Maria è stata in una santità totale che non poteva che rispondere di "sì".
«Prendiamo un altro esempio, san Francesco d’Assisi: egli ha vissuto tutta la sua vita nell’amore alla povertà. Più amava la libertà, più era libero; e meno era pensabile che cadesse nell’amore per le ricchezze. Alla fine della sua vita, il grande innamorato della povertà non poteva più dire di no alla povertà e ciò non significa che non fosse libero! Allora, in san Francesco d’Assisi c’è una santità che ha progredito per tutta la sua vita, così nella Vergine Maria abbiamo una santità che è portata da una grazia iniziale. È questo che fa la differenza».

Abbiamo evocato le difficoltà che i protestanti hanno con un certo approccio cattolico a Maria. Da che cosa dipendono?

«Le reticenze vengono dal fatto che la polemica tra protestanti e cattolici ha messo innanzi un certo numero di punti della fede cattolica, in particolare i cosiddetti tre "biancori", un tema apologetico della fine del XIX secolo che sottolineava la differenza tra cattolici e protestanti: il Papa, Maria, l’eucaristia. Questa è un’apologetica estremamente maldestra. In un’opera come l’Enciclopedia del protestantesimo, c’è ancora oggi un teologo protestante che può dire: «Ecco la peculiarità del cattolicesimo».
Ora, questo è completamente falso: il cattolico infatti ha lo stesso Credo del protestante, crede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; e quanto ai tre "biancori", non si può dire che i protestanti rifiutino la Vergine Maria totalmente. Hanno delle difficoltà su certi dogmi, sulla cooperazione di Maria, ma essi accettano di riconoscere Maria come la prima di tutti i santi, e come colei che ha giocato un ruolo unico nella storia della salvezza. Bisogna evitare questo schema apologetico che taglia con l’accetta. Questa polemica c’era già nel XVII secolo.
«Ma proprio un famoso pastore protestante del XVII secolo scrisse un libro: De l’honneur qu’on doit rendre à la Vierge Marie (L’onore dovuto alla Vergine Maria). Egli reagiva alla critica cattolica che i protestanti rifiutano Maria; e il libro è molto bello. All’epoca i due dogmi dell’Immacolata e dell’Assunzione non erano definiti. Questo pastore protestante presentava all’incirca, a proposito della Vergine Maria, la fede dei cattolici. Dunque bisogna evitare questo genere di apologetica e di difesa e, piuttosto, mostrare con il rigore delle nostre parole che rispettiamo lo statuto di creatura della Vergine Maria; e che situiamo nel quadro del Vangelo l’Immacolata Concezione e l’Assunzione. Abbiamo potuto far riconoscere ai protestanti che in questi due dogmi non c’è nulla di contrario al Vangelo solo dopo un lungo dibattito. Occorre situare i due dogmi nella storia della salvezza e nella vocazione della Chiesa, poiché è tutta la Chiesa che è invitata a diventare immacolata nel suo stesso essere ed è tutta la Chiesa invitata all’Assunzione, cioè alla risurrezione generale».

Paradossalmente si direbbe che Maria, luogo di dissidio per i cristiani, potrebbe diventare invece il trait d’union? Non è questo un esempio concreto di ecumenismo possibile?

«Me lo auguro. Il documento di Dombes sulla Vergine Maria vuole andare proprio in questa direzione, fare di Maria colei che unisce, ma riconoscendo che c’è ancora molto lavoro da fare per la conversione delle mentalità e perché tali mentalità diventino solidali. È nella misura in cui c’è una conversione cattolica che la conversione protestante diventa possibile. È questo l’insegnamento che ci è venuto dal gruppo di Dombes. È nella misura in cui ciascuno cerca di affidarsi a una verifica evangelica delle sue affermazioni che egli può far capire la verità all’altro».

Come situare correttamente in questo quadro la devozione mariana?

«Credo che Paolo VI, con la Marialis cultus, abbia detto tutto quello che era necessario: la devozione mariana dev’essere biblica. Il principio della devozione mariana è la "formula" del Magnificat: «tutte le generazioni mi diranno beata». Dunque la devozione mariana è l’azione di grazie verso Dio, è la lode per ciò che ha fatto nella Vergine Maria».

Dunque è una devozione anzitutto teologale?

«Sì, senz’altro. Paolo VI stesso dice che la devozione mariana dev’essere conforme alla tradizione della Chiesa e qui abbiamo molti esempi, soprattutto in Oriente, di una devozione che situa sempre bene Maria nella storia della salvezza e nella Chiesa. Dev’essere una devozione anche liturgica. Allora il papa Paolo VI – sempre in Marialis cultus – insisteva molto su una devozione liturgica: perché la liturgia (lex orandi, lex credendi) è sempre stata abbastanza sobria ed equilibrata, mentre le devozioni private possono generare disordine ed eccessi. È la liturgia, direi, che dà le forme di una devozione mariana autentica».

Quali attenzioni avere per una buona catechesi mariana?

«Desidererei molto che quanto è già stato detto a livello ecumenico sulla Vergine Maria sia integrato nella catechesi mariana! Il dialogo ecumenico rimane purtroppo un po’ esoterico: non si diffonde nella coscienza cristiana comune. Allora, più si avrà una catechesi che accetta di ispirarsi ai tre grandi documenti ecumenici [L’unico Mediatore, i santi e Maria, 1990; Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, 1997; Maria, grazia e speranza in Cristo, 2004, ndr], che accetta di iscriversi in un’andatura ecumenica, più avremo allora degli spazi per partecipare alla conversione di mentalità dei cattolici, e posso dire che questa è solidale con la conversione dei protestanti. E risponderei la stessa cosa a un protestante: "Servitevi dei documenti ecumenici per situare Maria al suo vero posto". È quello che dice poi il Concilio alla fine di Lumen gentium, al n. 67: esso chiede ai teologi, ai catechisti, ai pastori di situare Maria al suo vero posto, senza timidezze e senza esagerazioni».

 







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