Introduzione al Rosario
Data: Martedi 16 Novembre 2010, alle ore 8:56:23
Argomento: Preghiere


dal libro di Romano Guardini, Il Rosario della Madonna, Morcelliana, Brescia 1994, pp.51-56



La corona di cinque poste è ogni volta preceduta da un esordio in cui il fedele si prepara. Esso consta del Credo, del Padre Nostro e di tre Ave Maria, ognuna delle quali contiene una specie di mistero, e precisamente in forma di una preghiera per ottenere quelle forze fondamentali dell'esistenza cristiana che la Chiesa chiama virtù teologali. Paolo ne parla nella prima lettera ai Corinti dove egli le contrappone, come ciò che è propriamente importante, alle manifestazioni straordinarie dello Spirito Santo. «Ora rimangono queste tre cose, la fede, la speranza, la carità, ma la più grande di esse è la carità» (1 Cor 13, 13).
In esse si esplica la più grande forza allo spirito e del cuore umano, ma la loro più profonda radice è in Dio. Sono maniere in cui si esprime nell'uomo la «virtù» ossia la perfezione vivente di Dio: la sua santa veracità si fa fede, la sua volontà realizzante speranza; quanto alla carità, a cui Paolo dà la preminenza, essa è il modo con cui il cuore umano risponde a Colui «che ci ha amati per primo», (1 Gv 4, 19).

La prima virtù: «....che aumenti in noi la fede».

Quando Maria attraversò i monti andò da Elisabetta in cerca di una persona a cui poter parlare, questa, ripiena di Spirito Santo, ricevette la giovane cugina con parole di amore e di venerazione: «Te beata che hai creduto, perché si compiranno le cose dette a te dal Signore» (Lc 1, 45).
Il fatto unico avvenuto in Maria ci porta a credere che tutta la sua vita sia intessuta di miracoli e con ciò si distrugge il meglio della sua realtà. La parola di Elisabetta ci chiarisce questa realtà con l'elogio alla sua fede. Questa fu la sua grandezza: l'aver creduto e l'esser rimasta nella fede fino al termine della sua vita ... La fede è veramente una cosa straordinaria, quando si sa quello che sapeva Lei? Sì, certamente. Non è, infatti, senza intenzione che il Vangelo racconta come lo stesso Angelo che portò l'annunzio a Maria, andò anche da Zaccaria, il quale udì sì come quegli fosse il messo di Dio, pure non accolse il suo messaggio, così che l'angelo lo castigò «perché non aveva creduto alle sue parole (Lc 1, 20).
Maria ha creduto: si è inchinata dinanzi a Dio, Signore della creazione, sicura ch'Egli avrebbe mantenuto la sua parola, superando ogni possibilità della natura; ha percorso la via ignota per la quale Egli la chiamava. Questa via l'ha condotta sempre più attraverso il mistero; perciò essa ha potuto percorrerla solo con la fede. La frase del Vangelo: «ma essi non compresero ciò che aveva loro detto" (Lc 2, 50) vale per tutta la sua vita. Essa ha «compreso» soltanto nella pienezza della grazia della Pentecoste; prima dovette aver fiducia e obbedire. La fede è il fondamento della nostra esistenza cristiana; si desta dinanzi alla Rivelazione di Dio, deriva dalla stessa origine, poiché la stessa forza nella quale Dio si manifesta a noi ci rende anche capaci di ascoltare la sua parola e di restargli fedeli. Da questo incomincia la nuova vita; non dalla ragione e dalla forza dell'uomo, bensì dalla parola e dalla grazia di Dio. Non appena la fede vacilla, accade a noi ciò che accadde a Pietro sulle acque: affondiamo. Della fede abbiamo sempre, sempre più bisogno. Infatti quanto più si avanza nella vita, tanto più occorre la fede, perché sempre più ci rendiamo conto della umana limitatezza. Perciò chiediamo al Signore «che aumenti in noi la fede».

La seconda virtù: «... che fortifichi in noi la speranza».

Elisabetta chiama beata la Vergine perché ha creduto, in quanto si sarebbero compiute le cose a lei dette dal Signore. Sarebbe diventata Madre del Salvatore per forza dello Spirito Santo e in ciò avrebbe trovato il compimento della sua salvezza. Non le fu sempre facile sentirsene sicura: quando la Scrittura parla di Maria e di suo Figlio si sente sempre un grande amore, ma anche una certa distanza. La risposta del fanciullo dodicenne nel tempio (Lc 2, 49), le parole rivolte da Gesù alla Madre alle nozze di Cana (Gv 2, 4) e quelle con le quali risponde a coloro che gli riferiscono che la Madre è alla porta a cercare di Lui (Mc 3, 33), quello che dice alla donna che proclama beata sua Madre (Lc 2, 28) e la sua ultima volontà con la quale la affida al discepolo (Gv 19, 26), tutto questo lascia intendere qualche cosa che Lo allontana da Lei, e ogni volta si intravede la possibilità ch'Ella si senta disorientata dalla condotta di Dio. Invece la sua fiducia cresce sempre più, Ella si lascia guidare dal Signore; Maria ha vissuto fidando interamente nella potenza di Dio, che è capace di portar tutto a buon fine attraverso ogni oscurità e contraddizione.
La speranza è fiducia nella potenza di Dio: Egli ci ha promesso che diventeremo uomini nuovi e che la creazione diverrà «un nuovo cielo ed una nuova terra» (Ap 21, 1). A ciò sembrano contraddire l'apparenza delle cose di questo mondo, le circostanze della vita, le opinioni della gente che ci sta intorno, le quotidiane esperienze della nostra limitatezza e del nostro peccato, tutto. La speranza è il perseverare della fede contro l'evidenza; nonostante tutte le contraddizioni la nuova vita è in noi e Dio la porterà a compimento per quante difficoltà le si oppongono, purché noi confidiamo in Lui. Questo però è difficile, talvolta quasi impossibile. E perciò dobbiamo continuare a pregare che Dio «fortifichi in noi la speranza».

La terza virtù: «che accenda in noi la carità».

Quando la Sacra Scrittura parla della carità, non dobbiamo mai dimenticare che le sue parole sono la Rivelazione. Non solamente essa ci ammaestra su ciò che è già familiare alla nostra natura, ma ci dà notizia di quanto non potremmo sapere da noi: la carità di cui parla ha origine in Dio. L'apostolo lo dice chiaramente: «in ciò sta la carità: non nel nostro amore per Dio, ma nell'amore che Egli ha avuto per noi, fino a mandarci il suo Figliuolo come vittima di espiazione per i nostri peccati» (Gv 4, 10).
Queste parole ci sono così familiari, che non ci rendiamo più conto della loro grandezza. È facile capire che Dio desideri il nostro bene, ma che ci ami fino a darci suo Figlio, dunque se stesso, questo è pura Rivelazione. L'amore di Dio lo porta a sacrificarsi; e non per una oscura necessità, ma nell'assoluta libertà della sua eterna sovranità: «Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16).
Il messaggio dell'Angelo a Maria era l'ordine di accogliere questo amore nel suo cuore e vivere di esso. In quell'ora è incominciato sulla terra l'amore cristiano. La risposta ch'Ella diede al messaggio fu un trascendimento di se stessa, fu disposizione all'obbedienza; di qui è sorta la sua felicità - vedi il gaudioso canto di lode che le sale alle labbra al saluto di Elisabetta (Lc 1, 4~55) - ma di qui è sorto anche il suo sacrificio permanente. Sempre di nuovo Ella doveva dar compimento, in Colui che per Lei era l'uno e il tutto, della dedizione spontanea di Dio. Il Figlio le fu di continuo, secondo la volontà del Padre, strappato in quella lontananza di cui abbiamo parlato, fino all'ultima ora in cui non le fu più concesso nemmeno d'essere sua madre, allorché Egli le disse: «Ecco tuo figlio» (Gv 19, 26-27).
Il senso della sua vita fu in questa accettazione, nel continuo persistere, nel crescere sempre più nell'amore. Quando ci si parla dell'amore per Dio, noi tendiamo inconsciamente a comprenderlo a modo nostro, come compimento e santificazione del nostro amore; in realtà è «il compimento dell'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti» (1 Gv 5, 3).
L'amore rimane poi sempre obbedienza, che da principio era penosa, si fa sempre più libera e lieta. Di qui sorge il vero significato della nostra esistenza: che in essa la volontà di Dio conti più della nostra propria. Queste parole della Lettera ai Romani ci fanno intravedere come ciò sia da intendere: «Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né virtù, né cose attuali né future, né potestà, né altezza né profondità, né alcuna altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù Signor Nostro» (8, 38-39).

 







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