Un articolo di Alberto Rum su Madre di Dio, n. 6 - giugno 2008.
Pochi sanno della conversione alla fede cristiana dello scrittore Émile Zola. Già alcuni suoi romanzi, scritti quando ancora irrideva la fede, rivelano una nascosta nostalgia di una fede perduta. E non mancano alcuni tratti mariani che fanno pensare.
«Diffida della tua devozione alla Vergine». Dice così, con voce misteriosamente ammonitrice, frère Archangias a Serge Mouret nel romanzo La faute de l’abbé Mouret, scritto da Émile Zola nel 1875. Di questo scrittore francese (1840-1902) tutti sanno quanto sia stato lontano dalla fede e dalla vita cristiana. Pochi, però, sanno del suo ritorno a Dio e alla Chiesa cattolica, nel 1896. Già avanti negli anni, lo scrittore si era fratturato un piede. La ferita continuava ad aggravarsi, si pensava già all’amputazione dell’arto. Ma ecco che, la vigilia del Natale 1896, egli si vede in sogno entrare in una chiesa. Sul muro, una Signora regge in braccio un Bambino. Nel sogno intona un canto di chiesa. L’indomani, quando la moglie gli richiama il canto, egli le chiede di andare in chiesa ad accendere una candela innanzi all’altare della Madre di Dio. La signora Zola va, ed egli subito avverte insoliti stiramenti al piede malato. Tenta di alzarsi: con grande meraviglia non sente più dolore al piede. Era guarito.
La conversione del romanziere
Émile Zola non solo mise per iscritto l’avvenuta guarigione, ma insieme si convertì a quella fede che aveva tanto denigrata. Il 18 aprile 1898 pubblicò un documento, una sorta di confessione pubblica, in cui fra l’altro scrive: «Oggi, io sono pienamente convinto di essere stato per trent’anni nell’errore. Conosco bene su quale base poggia tutto il sistema della frammassoneria, di cui ho diffuso la dottrina, inducendo anche altri a diffonderla [...]. Di tutto mi pento con sincerità. Illuminato da Dio, mi rendo conto di tutto il male che ho così commesso. Pertanto, io respingo la frammassoneria e me ne dissocio, confessando i miei errori dinanzi alla Chiesa. Chiedo perdono a Dio di tutto il male che ho fatto con il mio esempio [...] e invoco il perdono dal nostro Sommo Pastore, Sua Santità il Papa Leone XIII». Quasi a commento di questi fatti, ritorniamo alla misteriosa parola di frère Archangias all’abbé Mouret: «Diffida della tua devozione alla Vergine». Il primo libro del suddetto romanzo è tutto incentrato sulla devozione del Mouret alla Vergine. Se è vero che nella «grande lotta della natura e della religione», intrapresa da Émile Zola, tale devozione è ricondotta a un’alienazione sociale, è anche vero, ci sembra, che l’autore del romanzo nasconde nell’animo un segreto rimpianto della fede perduta e un sopito affetto di pietà filiale verso la Madre del Signore. Il capitolo XVII del romanzo si chiude con una lunga e accesa preghiera dell’abbé Mouret all’Immacolata Concezione: una preghiera che andrebbe sicuramente purificata da talune crude espressioni e pronunciata con fede umile e sincera, ma che tradisce comunque un animo naturaliter cristiano e mariano e, nel suo compositore, la nascosta nostalgia di una fede perduta.
La devozione del Mouret alla Vergine
Nell’ultima parola dettagli da frère Archangias, il Mouret ravvisa addirittura «una specie di bestemmia», nonché un cocente rimprovero, come se la sua devozione alla Vergine fosse un furto a Dio e una mollezza d’animo indegna dei forti. Peccato che Zola abbia tracciato queste pagine soltanto come romanziere naturalista. Esse, comunque, nascondono quella segreta inquietudine che traspare anche nel romanzo Lourdes (1894). Le masse dei fedeli a Lourdes danno luogo a quadri memorabili, tipicamente zoliani. Anche notevole, perché meno frequente nello scrittore, la sicurezza psicologica nel tratteggiare la crisi del protagonista. Il quale, se non trova a Lourdes la fede perduta, non riesce però a vincere il dubbio tormentante: se si abbia il diritto di togliere all’umanità affaticata la sola illusione, la speranza da cui può vivere. Malgrado le ripetute affermazioni di fede razionalista, par di cogliere qui un’incertezza, un’inquietudine rivelanti una più austera pensosità nello scrittore avviato al tramonto. Ci sembra che la misteriosa parola di frère Archangias all’abbé Mouret, richiami l’attenzione alla frase del Vaticano II: «La vera devozione procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù» (Lumen gentium 67). Semmai, la colpa dell’abbé Mouret (e nostra) sarà quella di ridurre la devozione a Maria a uno sterile e passeggero sentimentalismo. Sì, perché l’esser veri devoti di Maria è impegno a essere veri discepoli di Cristo.