Dal libro di Stefano De Fiores, Maria nella teologia contemporanea,Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 1991, pp. 374-383.
A base della teologia della liberazione sta la presa di coscienza della situazione storica dell'America latina, quale «continente dominato e oppresso»2: stato di dipendenza interna ed esterna, di sfruttamento neo-colonialista, di sottosviluppo economico e culturale, di dualismo e disuguaglianza. Dal punto di vista sociologico questa situazione di ingiustizia è definita «violenza istituzionalizzata», che lede i diritti umani fondamentali; dal punto di vista teologico essa è qualificata «situazione di peccato», poiché «là dove si trovano ingiuste disuguaglianze sociali, politiche, economiche e culturali, c'è rifiuto del dono della pace del Signore; meglio, un rifiuto dello stesso Signore»3. Di fronte a questa situazione la Chiesa latino-americana ha compreso che non poteva restare in atteggiamento neutrale o di alleanza con il potere costituito: essa si è decisa per il duplice compito della denuncia profetica delle ingiustizie sociali e della solidarietà con i poveri e gli oppressi per promuovere dall'interno la loro liberazione integrale.
La teologia della liberazione sorge come verifica dell'impegno storico e politico e come critica della prassi ecclesiale alla luce della Parola di Dio: «Essa nasce in America latina all'interno delle comunità cristiane impegnate nel processo di liberazione, non per giustificare tale impegno ma come frutto di una fede vissuta e pensata di fronte agli interrogativi proposti dalla prassi di liberazione e per rendere più creatore e critico l'inserimento in essa»4. Questa teologia ricupera aspetti fondamentali del messaggio biblico per lungo tempo elusi e pensa di considerarlo non da una angolazione fra le tante possibili, bensì da quella veramente autentica per giungere a una genuina comprensione della rivelazione cristiana5: unità tra storia umana e storia della salvezza (e rifiuto del dualismo irriducibile temporale-eterno), carattere liberatore dell'opera di Cristo, componente politica del regno di Dio, incontro con Dio nella storia e negli uomini più poveri ed emarginati. Le categorie teologiche sono affiancate ad un atteggiamento vitale, globale e sintetico che abbraccia la totalità dell'esistenza: una spiritualità della liberazione6. Questa è imperniata su alcune intuizioni di base:
a. Innanzitutto la convinzione che la conversione a Dio passa attraverso la conversione al prossimo, all'uomo oppresso, alla classe sfruttata, al paese dominato. Biblicamente infatti, conoscere Dio è operare la giustizia (cfr. Ger 22, 13-16) e Cristo viene incontrato nel prossimo (cfr. Mt 25, 31-45): l'umanità è il tempio di Dio.
b. Questa conversione implica l'impegno realistico e concreto nel processo di liberazione dei poveri e degli sfruttati. Liberandoci dal peccato Gesù colpisce la radice stessa di un ordine ingiusto; il suo messaggio insiste sulla linea profetica, opposta a un culto formale senza contenuto umano; il vangelo dell'amore universale del Padre va contro ogni ingiustizia, privilegio, oppressione. Per i cristiani che si trovano coinvolti nell'attuale situazione di ingiustizia, la neutralità è impossibile: si afferma che la pretesa «dottrina interclassista è di fatto molto classista: riflette il punto di vista della classe dominante»7. L'impegno di liberazione diventa impegno politico e lotta di classe: ciò non significa odiare, ma accettare l'attuale situazione conflittuale e lottare in solidarietà con gli oppressi, perché oppressori e oppressi siano liberati dalla loro disumana situazione.
c. Una terza intuizione fondamentale è il valore da riconoscere alla povertà, che alla luce della Bibbia appare innanzitutto come uno stato scandaloso, che attenta alla dignità umana ed è contrario alla volontà di Dio. Questo male, che oggi ha acquistato enormi proporzioni, non è una fatalità, ma va denunciato e combattuto; anche la beatitudine della povertà (Lc 6,20) non intende sacralizzare la rassegnazione all'ingiustizia o rimandare all'aldilà, ma beatificare i poveri perché il Regno di Dio iniziato metterà fine alla povertà. Il cristiano comunque non deve limitarsi alla povertà spirituale, come disponibilità a Dio necessaria per la conversione, ma seguendo Cristo vede la povertà come impegno di solidarietà: diventare poveri per protestare contro la povertà e aiutare i poveri a prenderne coscienza e a liberarsi dalla situazione ingiusta.
d. Infine la spiritualità della liberazione si esprime nella gioia cristiana, che proviene dalle promesse escatologiche di Dio, dalla sua presenza accanto ai poveri nella prassi liberatrice e dalla celebrazione della Pasqua del Signore. La gioia non impedisce, ma esige uno sguardo lucido sulla situazione e un impegno per l'uomo che vive in un mondo di ingiustizia.
Partendo da questa impostazione si ricorre alla Scrittura scoprendo aspetti inediti della figura di Maria. A giudizio di G. Gutierrez «il Magnificat potrebbe esprimere alla perfezione questa spiritualità della liberazione. Testo di azione di grazie per i doni del Signore, esprime umilmente la gioia di sapersi amati da lui (...). Ma, al tempo stesso, è uno dei testi di maggior contenuto liberatore e politico del Nuovo Testamento. Questa azione di grazie e questa gioia sono strettamente legate all'azione di Dio che libera gli oppressi e umilia i potenti... Il futuro della storia è nella linea del povero e dello sfruttato. La liberazione autentica sarà opera dello stesso oppresso, in lui il Signore salva la storia. La spiritualità della liberazione avrà come punto di partenza la spiritualità degli anawim»8.
A. Il canto rivoluzionario di Maria (A. Paoli, J. Moltmann)
Sulla stessa linea, Arturo Paoli, condividendo la sorte dei poveri nel continente latino-americano, confessa di aver «compreso un po' più il Magnificat». La situazione dell'America latina è definita da Paoli una «grande eresia», che consiste nella «divisione dei cristiani in oppressi ed oppressori, in quelli che detengono la ricchezza e il potere, e quelli che, invece di essere favoriti, sono schiacciati dal potere e dalla ricchezza degli altri»9. Tale situazione è complicata da un fronte di opposizione ad ogni cambiamento in nome della religione: «Si resta perplessi, pensando che la Chiesa dichiara che Maria è il suo modello, e che vuole riprodurla nella sua vita e nel suo stile. Quella Chiesa che si vede di più e che fa opinione, sta con i potenti, che Dio decide di abbattere, e con i superbi di cuore, che Dio decide di disperdere»10. Fortunatamente si notano dei germogli che fanno sperare l'entrata di tutta la Chiesa «nell'ottica di Maria»: «I poveri stanno scoprendo questa immagine di Maria che ci dà il Vangelo, colei che viene per mettere nella storia un fermento di liberazione che la smuove dalle fondamenta, e che imprime alla storia il ritmo del 'rovesciare i potenti e sollevare gli umili'»11. Il canto di Maria spinge la Chiesa ad uscire dalla sua neutralità e a partecipare con i poveri, vivendo la bontà universale dalla prospettiva degli oppressi: «I potenti che ruzzolano dal trono, nel canto di Maria, si rompono le costole, e nessuno li compiange (...). Si piange e si soffre in un appartamento di lusso, come in un tugurio, ma la causa dei due dolori sta, in gran parte, nell'appartamento di lusso (...). La Chiesa deve farsi a immagine di Maria, riscoprendo il canto di cui ha perduto gli accordi, al livello dei poveri e degli oppressi»12. A questa immagine biblica di Maria non può più corrispondere una devozione fatta di «galanterie»: nel nostro tempo il segno del devoto di Maria è quello «di avere il gusto dell'uomo, il suo senso dell'umanità, la speranza attiva nel cambiamento del mondo»l3. Questa speranza è rafforzata nell'annunzio chiaro della vittoria, ma anche dalla certezza dell'amore di Dio che muove la storia: «Il canto di Maria è il canto che scende fino in fondo all'essere amato e scelto da Dio e per questo vibra di una dolcezza, di un ottimismo, di una serenità che forse qualche volta abbiamo provato nei momenti della nostra gioventù»l4.
I1 Magnificat ha interessato il protestante Jurgen Moltmann, il teologo della speranza, che intitola una predica sul canto di Maria «Gioia della rivoluzione di Dio»15. Egli sottolinea innanzitutto la gioia di Maria, proveniente dal fatto che «la presenza di Dio e la visione del suo regno sono divenute più importanti dei propri interessi (...). Gode che egli sia ora presente, che egli venga e colmi le speranze degli uomini abbandonati»16. Proprio per questo carattere liberatore, il cantico di Maria «è sovversivo. È l'inno di una grande rivoluzione della speranza, poiché questo Dio nel quale Maria esulta così filialmente, rende supremo ciò che è infimo (...). Questo inno risuona come la marsigliese del fronte cristiano di liberazione nelle lotte tra le potenze e gli oppressi di questo mondo»17. Dopo aver ricordato che nella Bibbia sono sempre delle donne a cantare inni sovversivi, Moltmann affronta il problema dell'amore universale del Dio rivoluzionario presentato dal cantico di Maria. I1 teologo risponde che indubbiamente la salvezza è per tutti, ma in modo diverso: «Egli (Dio) esalta nella sua grazia gli umiliati e gli offesi, gli oppressi e gli schiacciati, i disumanizzati (...) d'altra parte egli protesta contro i non-uomini, che distruggono la vita degli altri con la violenza, la ricchezza, l'egoismo. Egli disperse i boriosi, affinché da non-uomini diventino uomini. Egli rovescia dal trono i potenti affinché riscoprano la loro umanità. Rimanda a mani vuote i ricchi affinché imparino a guadagnare per sé e per il loro prossimo»18. L'obiettivo di Dio è lo stesso: il superamento di un mondo inumano, perché nasca «l'uomo nuovo, che non è né oppressore né oppresso ma pienamente libero nell'unica sovranità di Dio... Dio è divenuto uomo nel figlio di Maria per renderci da dèi infelici uomini veri»19. Anche noi - conclude Moltmann - possiamo possedere la gioia di Maria solo se solidarizziamo con i sofferenti, se «partecipiamo alla storia liberatrice di Dio che disperde e raccoglie, giudica e libera, svuota e sazia»20.
B. Maria donna profetica e liberatrice (L. Boff)
Anche L. Boff ricupera la figura di Maria come «profetessa, donna coraggiosa e forte, coinvolta nella liberazione messianica dalle ingiustizie storico-sociali dei poveri»2l. Tale ricupero avviene adottando il circolo ermeneutico, che legge la Bibbia «nello sfondo della nostra situazione di cattività e di oppressione»: «Leggiamo con gli occhi di oggi le Scritture cristiane scritte ieri (da circa duemila anni e più). I nostri occhi sono carichi di interrogativi, aspettative ed interessi che balzano dalla nostra realtà. Con essi ci avviciniamo ai testi mariani che ci parlano di Maria. I testi sacri, a loro volta, ci lanciano il loro messaggio che si svincola dalla lettera. Ma i nostri occhi interessati staccano, dalla totalità dei testi scritturistici, quelli che maggiormente si configurano come rivelazione della nostra situazione»22. Poiché include «lo sforzo di captare la totalità del messaggio», il circolo ermeneutico non è vizioso; «è invece virtuoso, rivelando la ricchezza dei significati virtuali presenti nei testi, ma riscattati tramite gli interrogativi che irrompono dalle situazioni socio-storiche»: «Così la nostra situazione attuale diagnosticata come prigione ed oppressione sociale e politica si presenta come un luogo ermeneutico privilegiato per leggere il Magnificat di Maria e farci ascoltatori del suo messaggio. L'inno della Vergine è sorto in un quadro di rapporti corrispondente ai nostri. Per questo esso ci suona così vicino ed attuale. È evidente che i termini della situazione erano differenti, ma il tipo di relazioni tra i termini, lo spirito con cui la Vergine ha agito ed ha reagito di fronte ad essi, ci sembrano omologhi. Maria come per incanto, diventa una nostra contemporanea»23. Letto nel suo contesto storico-spirituale, il Magnificat (forse un inno giudeo-cristiano applicato a Maria come rappresentante dei poveri) disvela il suo «contenuto liberatore». Lo mostra il parallelismo con il cantico di Anna (1 Sam 2, 1-10): in ambedue si parte dalla «situazione oppressa» e si giunge al volto di Dio, che interviene rivoluzionando i rapporti iniqui ed elevando gli umili. Così è interpretata l'umiltà (tapéinosis) biblica24. I1 Dio di Maria, come già dell'antico popolo, è santo (tremendum) e misericordioso (fascinosum), nel senso che entra nel conflitto umano a favore degli emarginati e contro i potenti: «La misericordia di Dio non attende soltanto fino alla fine dei tempi. Non tollera che la piaga rimanga aperta ed a sanguinare indefinitamente. Essa assume forme storiche e si concretizza in gesti trasformatori del gioco delle forze. Gli orgogliosi, i detentori del potere ed i ricchi non posseggono l'ultima parola come sempre pretendono. Su di essi già si manifesta, storicamente, la giustizia divina. Saranno espropriati del potere; saranno smascherati nel loro orgoglio e rimarranno con un pugno di mosche (vv. 51-53). Il Regno di Dio non opera la consacrazione dell'ordine di questo mondo dove gli arrivisti decidono tutto»25. Come ha fatto Moltmann, pure Boff si chiede: Come si concilia questo Dio che si schiera dalla parte dei poveri con il «Dio senza discriminazioni» proclamato da Gesù Cristo? Il teologo brasiliano risponde così: «Sì, Dio ama tutti e li avvolge con il suo gesto misericordioso, perché sono tutti suoi figli. Tuttavia vi sono figli che sono docili o ribelli, buoni o cattivi. In un mondo così contraddittorio e disumanizzato, dove vi sono innegabilmente oppressi ed oppressori, la forma dell'amore di Dio è differente. Gesù non tratta alla stessa maniera i poveri, gli ammalati, i farisei, i pubblicani, ed Erode. I poveri li chiama beati, i farisei sepolcri imbiancati, Erode lo chiama volpe, ai pubblicani fa vedere, come a Zaccheo, l'iniquità della loro ricchezza, accumulata con la frode. Dunque, la liberazione che vuole per tutti incontra strade differenti a causa delle diverse forme di oppressione. Così Dio esalta gli umili e fa giustizia ai poveri perché insorge contro gli oppressori che per le loro operazioni avide e egoistiche provocano impoverimento ed umiliazione. Disperde i superbi di cuore perché, convertiti e liberi dalla loro ridicola autoaffermazione, possano essere figli liberi ed obbedienti a Dio e fratelli degli altri uomini»26. Nella logica del Magnificat questi interventi forti di Dio nella storia, si esauriscono quando la conversione abolirà i ricchi e i poveri come «classi antagoniste» e tutti vivranno come fratelli nella casa del Padre: «Maria, dunque, accetta come inevitabile il conflitto storico. La riconciliazione per essere vera ha bisogno di passare attraverso il processo di conversione che genera conflitti. Ma la conflittualità storica non appanna gli orizzonti della speranza né oscura la presenza della gioia. Non cessa di essere istruttivo il fatto che Maria canti ed esulti gioiosamente nonostante le contraddizioni sociali manifestate nel suo inno. Il conflitto non è fatto ipostasi o ontologizzato; è preso nella sua espressione storica come concretizzazione dei divergenti interessi umani, alcuni che contraddicono il progetto di Dio sul mondo, altri che si mettono al suo servizio, alcuni che realizzano il peccato, altri la grazia»27.
C. Rilievi critici
La «Istruzione della congregazione per la dottrina della fede sulla teologia della liberazione» (6 agosto 1984) a firma del card. Ratzinger, lancia un serio monito a non deviare dalla linea del vangelo a «certe forme della teologia della liberazione, che ricorrono in maniera non sufficientemente critica a concetti mutuati da diverse correnti del pensiero marxista». Il documento ammette la validità di una teologia della liberazione fondata sulla Parola di Dio e contrassegnata dalla «opzione preferenziale per i poveri», ma contesta le sue forme ispirate al sistema di Marx in cui sono centrali l'ateismo, il materialismo e la negazione della persona umana. In pratica vanno rigettati nella teologia della liberazione tanti metodi o strategie: in primo luogo la convinzione che la «lotta di classe» costituisca il motore della storia, escludendo l'amore universale e la collaborazione. Poi la lettura «essenzialmente politica della Scrittura» giungendo a vedere il regno di Dio come un messianismo temporale (da cui, come è noto, Gesù ha sempre preso le distanze). Infine e soprattutto «deve essere condannato il ricorso sistematico e deliberato alla violenza cieca», poiché «affidarsi ai mezzi violenti nella speranza di instaurare una maggiore giustizia significa essere vittime di una illusione mortale». Il documento mette anche in guardia da «una lettura politica del Magnificat», tale da ridurre il significato profondo del canto di Maria: «Si propone inoltre una lettura politica del Magnificat. Lo sbaglio non sta nel prestare attenzione ad una dimensione politica dei racconti biblici (specie dell'Esopo); ma nel fare di questa dimensione la dimensione principale ed esclusiva, che conduce ad una lettura riduttiva della Scrittura»28. In realtà l'esegesi del Magnificat, pur ammettendo la dimensione socio-politica dell'intervento di Dio nella storia, scopre il fondamentale carattere religioso ed escatologico della salvezza29. Il Magnificat è un canto di ringraziamento e un inno di lode (genere letterario misto) a Dio Salvatore, che con le grandi cose operate in Maria «capovolge definitivamente i rapporti di grandezza e di forza imperanti nel mondo»: l'esperienza dell'Esopo (liberazione sociopolitica in vista del culto al Dio vivo) rivive in ogni generazione e «nell'evento Cristo attinge la sua pienezza e il senso definitivo»30.
NOTE
2 Cfr G. GUTIERREZ, Teologia della liberazione. Prospettive, Brescia, Queriniana, 1972, p. 93.
3 Documento di Medellin, Bogotá 1968, «Paz», 71.
4 G. GUTIERREZ-MERINO, Movimenti di liberazione e teologia, in Concilium 10 (1974) 6, p. 169.
5 J. L. SEGUNDO, Capitalismo-Socialisrno, crux teleologica, in Concilium 10 (1974) 6. p. 129.
6 Cfr. S. GALILEA, Spiritualità della liberazione, O C., pp. 202-207 e passim.
7 G. GIRARDI, Cristianismo, pastoral y lucha de clases, in La vertiente politica de la pastoral, Quito, 1970, P. 94.
8 G GUTIERREZ, Teologia della liberazione, o.c., p. 207.
9 A. PAOLI, La radice dell'uomo. Meditazioni sul Vangelo di Luca, Brescia, Morcelliana, 1972, p. 202.
10 Ivi, p. 196.
11 Ivi, p. 207.
12 Ivi, pp. 199 e 201.
13 Ivi, p. 202.
14 Ivi, p. 209.
15 J. MOLTMANN, Il linguaggio della liberazione. Prediche e meditazioni, Brescia, Queriniana, 1973, pp. 122-131.
16 Ivi, pp. 124-125.
17 Ivi, pp. 126-127.
18 Ivi, p 128.
19 Ivi, p. 129.
20 Ivi, p. 130.
21 L. BOFF, Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul femminile e le sue forme religiose, Brescia, Queriniana, 1981, p. 177.
22 Ivi.
23 Ivi, p. 178.
24 «Il versetto 48 ('Egli ha guardato all'umiltà della sua serva') dev'essere correttamente interpretato, riservandogli il significato liberatore e sociale che possiede, contro un interpretazione meramente spirituale e moralizzante datagli comunemente. Cf. per questo E. A. RYAN, Histoncal Notes on Luke 1,48, in MS 3 (1952) 228-235. Il verbo 'guardare' di Dio significa per l'Antico Testamento la commiserazione divina di fronte alle tribolazioni umane, sia individuali (Sal 12,4; 24,16; 68,17-18; 118,132), sia nazionali (Es 14,24; Gdc 6,14; LÌ 26,9; 1 Re 9,16). L'espressione 'umiltà' (in greco tapéinosis), nel linguaggio dell'Antico Testamento vuole esprimere, prima di tutto, la situazione di oppressione del povero, lo stato di disgrazia, afflizione ed umiliazione personale (Agar: Gn 16,11; Lia: Gn 29,32; Giacobbe: Gn 31,42; Giuseppe: Gn 41,52; Anna: 1 Re 1,11; Davide: 2 Re 16,12; Ester: Est 4,8) o nazionale (afflizione nazionale nell'Egitto Dt 26,7; al tempo di Saul I Re 9,16; nella successione di Geroboamo II in Israele 2 Re 14,26; Ne 9,9; Gdt 6,19; 16,13). L'espressione è frequente nei salmi, esattamente in forma di lamentazioni o orazioni dei poveri ed oppressi (Sal 9,14; 21,22-27; 24,18; 30,6-8; 118,50. 92.153; 135,23). Questa situazione deprimente articola la speranza della liberazione, sperata dal Messia venturo» (Ivi, p. 184, nota 6).
25 Ivi, p. 185.
26 Ivi, p. 186.
27 Ivi, D. ^189.
28 Istruzione della congregazione per la dottrina della fede sulla teologia della liberazione, in L'osservatore romano, Tabloid, 3-4. 9. 1984.
29 L'aspetto socio-politico è ammesso, per esempio, da P. LAGRANGE, L'évangile selon Saint Luc, Paris, 1927, p. 49 e da H. SCHURMANN, Das Lukasevangelium, t.I, Friburgo, Herder, 1969, p. 76. Nell'azione paradossale di Dio si manifesta però la fede religiosa di Maria di fronte alla grandezza di lui - sottolinea R. SCHNACKENBURG, Il Magnificat, la sua spiritualità e la sua teologia, in La vita cristiana. Esegesi in progresso e in mutamento, Milano, Jaca Book, 1972, p. 223. Con più larga visione, J. DUPONT distingue nel Magnificat 3 campi semantici: religioso, socio-politico, etnico (Le Magnificat comme discours sor Dieu, in Nouvelle rerevue théologique 112 (1980) pp. 336
30 A VALENTINI, Il Magnificat. Ricerche contemporanee-strutture-esegesi, Roma Pontificio istituto biblico, 1982, vol. 1, pp. 313-314 (tesi fotocopiata).