Un articolo di Vincenzo Francia su Riparazione Mariana, n. 4 - 2011, pp.13-15.
L’immagine della Pietà manifesta con grande efficacia quella che è una convinzione profondamente radicata nel popolo cristiano e che il Concilio Vaticano II ha così sintetizzato: «La Beata Vergine camminò nella peregrinazione della fede e conservò fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata » (Lumen gentium, n. 58). Maria è contemplata nel mistero della Pasqua. Ogni cristiano partecipa all’evento pasquale; anzi, quanto più si addentra nella partecipazione, tanto più giunge alla condivisione e alla comunione con Gesù umiliato e glorificato. Chi più di Maria ha percorso questo cammino, questa «peregrinazione della fede», fino a giungere ad una totale adesione alla vicenda del Figlio di Dio? Chi più di lei può ripetere le parole dell’apostolo Paolo: «Per me vivere è Cristo» (Fil 1, 21)? Ebbene, come per Gesù, anche per Maria e per ciascuno di noi il «sì» offerto a Dio diventa completo nel momento della croce. Dio, infatti, conduce la nostra adesione di fede attraverso una «peregrinazione », un’esperienza di purificazione nell’amore, per farci pervenire al luogo del definitivo incontro con lui, cioè il Calvario. «Dove vado io, voi non potete venire» (Gv 8,21): al Calvario si potrà giungere solo accettando questo cammino. E solo sul Calvario la fede diventa autenticamente matura: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono» (Gv 8,28). La Pasqua, però, non è solo umiliazione, abbassamento, sofferenza e morte. Essa è anche apertura alla speranza e alla gioia della risurrezione e della vita nuova: «Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» (1Pt 4,13). Questi due aspetti, intrinsecamente connessi, caratterizzano tutta la vita di Maria. Due pagine del Vangelo secondo Luca sono illuminanti in questo senso: la prima è il Magnificat (Lc 1,46-55), che esprime la partecipazione di Maria alla gioia («tutte le generazioni mi chiameranno beata»); l’altra è la profezia di Simeone (Lc 2,34-35: «e anche a te una spada trafiggerà l’anima»), che sottolinea maggiormente una via di dolore che, iniziata con la persecuzione e la fuga in Egitto, troverà il suo vertice sul Golgota.
L’arte figurativa, come è noto, si è interessata con entusiasmo alla persona di Maria e alla missione affidatole da Dio nella storia della salvezza, e ha prodotto opere che, per numero e qualità, sono tra le più celebri del mondo. Anche il tema della partecipazione della Vergine alla croce del Figlio ha trovato risonanze di intensa bellezza e di straordinaria efficacia comunicativa. Se la presenza di Maria accanto a Gesù crocifisso viene documentata fin nei mosaici bizantini, è soprattutto dal Medio Evo che questo soggetto si presenta con un crescente impulso e una notevole ricchezza di sfumature. La stagione medievale, infatti, segna una svolta nella spiritualità dell’arte cristiana: soprattutto dopo l’anno Mille, cioè nel cosiddetto Basso Medio Evo, si assiste ad una progressiva «umanizzazione » della fede, nel senso di un recupero dei valori terreni, dei sentimenti umani, della dignità del mondo e dell’importanza di ogni creatura. Determinante, nella nascita e nello sviluppo di questa nuova sensibilità, oltre ad altre cause, fu il movimento francescano, al punto che il Poverello di Assisi è stato definito il «padre del Rinascimento». Con la predicazione francescana, la forza del pathos irrompe nella coscienza religiosa europea, viene ribadita nelle esperienze delle confraternite, risuona nei laudari, si impone a livello popolare nelle sacre rappresentazioni. In questo clima nascono autentici capolavori di letteratura religiosa, quali il «Cantico di frate sole» di San Francesco e le drammatiche poesie di Fra’ Iacopone da Todi. È proprio questo straordinario poeta che, nel «Pianto della Madonna», dà voce all’amore materno di Maria straziato per la passione del Figlio. Ancora all’ambito francescano, forse a Tommaso da Celano che fu il primo biografo di Francesco, risale un’altra celebre composizione mariana, lo «Stabat Mater», che descrive i sentimenti della Vergine presso la Croce e invita i credenti a condividerli con affetto. Qui, anzi, compare quella parola, «dolorosa» (Stabat Mater dolorosa), che, tradotta con «addolorata», darà origine ad un nuovo modello iconografico, quello appunto della Madonna Addolorata. Ai dolori di Maria si dedicano altari e si inizia a celebrare anche una particolare festa: la prima documentata è a Colonia nel 1423, mentre nel 1482 papa Sisto IV inserisce nel Messale Romano il titolo di «Nostra Signora della Pietà». Nel secolo successivo, poi, nella predicazione e nell’arte, apparirà il «Settenario»: tra i dolori della Vergine ne vengono considerati soprattutto sette, numero che nella tradizione biblica indica la pienezza. È evidente come, in un tale contesto culturale e spirituale, le immagini incentrate sul coinvolgimento di Maria nella croce di Cristo tendano a moltiplicarsi e differenziarsi sia nello stile che nei particolari. In poche parole, gli artisti, nel presentare questo singolare tema mariologico, si orientano verso i diversi aspetti di esso, al punto che è possibile determinare una sequenza con i seguenti momenti principali:
- Maria nella via crucis: l’incontro tra la Vergine e il Figlio carico della croce.
- Maria insieme con il discepolo Giovanni ai piedi della croce: è, come dicevamo, il modello più antico, dove Maria è simbolo della Chiesa orante che intercede per la salvezza del mondo; nel Medio Evo la scena incomincia ad arricchirsi di altri personaggi: soldati, donne, angeli.
- La deposizione di Gesù: il cadavere del Signore viene staccato dal patibolo.
- Il compianto su Cristo morto: Gesù è a terra, poggiato sul lenzuolo, mentre la Madre e gli astanti piangono su di lui.
- Maria in adorazione del crocifisso: è uno sviluppo rispetto al modello precedente.
- La Pietà: Maria accoglie tra le braccia o sul grembo Gesù distaccato dalla croce.
- L’«imago pietatis»: esposizione dal sarcofago del corpo di Cristo, retto da Maria e il discepolo o da angeli.
- Maria addolorata: la Vergine appare da sola, con le mani giunte e i segni della sofferenza sul volto. In quest’ultimo modello, come nell’evento del Natale, ella è presentata come colei che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (cf Lc 2,19), quel cuore trafitto dalla spada della profezia.
Indiscusso capolavoro di uno dei modelli iconografici finora descritti, la Pietà Vaticana fu scolpita nel marmo da Michelangelo Buonarroti, non ancora venticinquenne, dal 1498 al 1500. L’opera era destinata alla tomba del cardinale francese Jean de Bilhères, sepolto nella Basilica di San Pietro, e poggiava su un blocco di pietra nera. Il modello, all’epoca, non era ancora molto diffuso in Italia, benché alcune opere molto importanti avessero già fatto la loro comparsa: la Pietà di Cosmè Tura a Ferrara risale al 1460 e sembra essere la prima, mentre a Firenze il soggetto si andava diffondendo grazie ai Della Robbia, al Ghirlandaio e specialmente al Perugino. Soprattutto queste opere fiorentine erano state certamente viste e ammirate dal giovane artista toscano, che aveva trascorso molti anni nella città medicea prima di giungere a Roma. Anche a Bologna, nella chiesa di San Domenico, esiste una Pietà di origine nordica, e in quella chiesa Michelangelo aveva lavorato nel 1495. Michelangelo, dunque, propone uno schema di base che stava diventando tradizionale; nello stesso momento, lo arricchisce con alcune grandi novità. Anzitutto, allo sguardo dello spettatore appare un’assoluta e levigata lucentezza, che, soprattutto in riferimento all’originale collocazione del gruppo scultoreo sul blocco scuro, annunzia la vittoria della luce pasquale sul buio della morte e il trionfo della grazia sulle oscure forze del peccato. Poi si nota uno straordinario addolcimento delle forme, con l’assenza di asprezze e spigolosità. L’opera si evidenzia come un capolavoro di equilibrio non solo tra la direttrice verticale e quella orizzontale, ma anche tra la semplicità dell’espressione e la ricchezza dei particolari, tra il classicismo monumentale e il sentimento poetico, tra l’impianto statico e la tensione dinamica. Maria è una donna giovanissima, colta nella sua realtà eterna, in una bellezza assoluta e senza tempo. Sul suo volto serio e dolce non appare alcuna ruga né lacrima, come pure il corpo di Gesù non presenta i segni della terribile sofferenza subita ma solo un lieve accenno alle piaghe. Tutto il dramma è interiore e, se qualcosa di emotivo trapela all’esterno, esso si manifesta nelle tormentate pieghe della veste di Maria. Vista di fronte, la Vergine è pensosa, assorta nella contemplazione di un disegno; di profilo, invece, sembra quasi una bambina posta di fronte ad una responsabilità che la supera infinitamente. Seduta su una roccia, ella accoglie con estrema delicatezza il cadavere del Figlio. È il primo dono che Dio fa all’umanità nuova: egli dona se stesso in Cristo, in una condizione di totale debolezza. Maria, mentre accoglie sul grembo il «Frutto del suo grembo», a sua volta lo offre: a Dio Padre in atto di adorazione, alla terra per la sepoltura e a noi tutti come invito alla conversione. Il petto di Maria è attraversato diagonalmente da una fascia. È il riferimento alle mamme dell’epoca, che, soprattutto in Toscana, usavano un simile accorgimento per sorreggere il peso del bambino. Nel nostro contesto la fascia ci rimanda al mistero della maternità della Vergine e al «peso» di quel Figlio che neanche gli angeli riescono a reggere. In quella striscia compare la firma dell’autore: «Michael Angelus Bonarotus Florentinus faciebat». È l’unica opera firmata dal grande maestro: egli ha voluto consegnare se stesso, e noi con lui, al cuore purissimo di Maria, affinché ella ci sostenga e ci accompagni nel cammino verso la risurrezione. Nella Pietà Vaticana il vero protagonista non è tanto la tragedia del dolore, come invece tanti secoli dopo farà il regista Mel Gibson nel suo film La Passione di Cristo, ma è l’amorosa accettazione della volontà di Dio Padre, che nel suo misterioso disegno di salvezza ha voluto che il Figlio toccasse il baratro dell’annientamento. Il gesto di Maria è quello dell’affidamento del Figlio e di se stessa a Dio. Il suo esempio ci sia di incoraggiamento per rinnovare con perseveranza il nostro «sì» nel momento in cui incontreremo la nostra croce.