Un articolo di Marcello Bordoni in Theotokos 2 (1994), n. 2, pp. 91-105
L'itinerario di fede di Maria manifesta una importanza sempre crescente per la promozione della fede dei cristiani, specie nel nostro tempo, dinanzi alle esigenze della nuova evangelizzazione. Maria di Nazaret, proclamata da Paolo VI come la stella dell'evangelizzazione1 perché "prima evangelizzata" e "prima evangelizzatrice", continua nella storia dell'umanità la sua missione, mostrando a tutti i cristiani, quali uditori della Parola (Gv 1,22), la via della peregrinazione nella fede, la regola del loro disporsi dinanzi all'annuncio del messaggio di salvezza di Cristo. In lei si realizzano, infatti, in modo singolare ed esemplare, le attitudini che definiscono l'esistenza credente secondo la spiritualità biblica. La sua singolarità di donna credente, per la quale è costituita madre nella fede, non la rinchiude però in uno splendido isolamento, ma la rende insieme sorella, che con amore si fa accanto ad ogni discepolo e lo accompagna con sollecitudine nel cammino della vita per educarlo all'accoglienza del vangelo.
Lo spunto provocatorio delle mie riflessioni, viene suggerito dal brano di Marco 3,21.31-35, nel quale l'evangelista, dopo avere iniziato a narrare la straordinaria dedizione di Gesù alla sua missione con le parole: "entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo" (v. 20) aggiunge: "allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «è fuori di sé»" (v. 21). Questa preoccupazione dei suoi parenti, viene nuovamente rilevata nei vv. 31-35 nei quali si narra: "Giunsero sua madre ed i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»". Il testo citato, come noto, è stato da alcuni definito anti-mariologico, nel senso che esso, nel mostrare la figura di Maria tra gli altri parenti di Gesù, sembrerebbe renderla partecipe della loro incomprensione della missione del Cristo. E, ad un primo approccio, il passo in questione, sembrerebbe giustificare questa posizione con quel suo linguaggio tipico che sembra opporre, nel racconto, da un lato, la madre, i fratelli e le sorelle di Gesù che "stanno fuori" (vv. 31.32) e dall'altro, gli uditori della sua parola "seduti attorno" (vv. 32.34-35). Ora, questa forma di linguaggio spaziale, in Marco, non sembra doversi ridurre solo ad una descrizione di lontananza logistica, come indicano i paralleli sinottici i quali dicono piuttosto che la madre ed i fratelli di Gesù non potevano avvicinarlo a motivo della folla (Lc 8,19) e stavano perciò "fuori in disparte" (Mt 12, 46). Il modo di narrare di Marco sembrerebbe accentuare, invece, un senso di estraneità o di vicinanza rispetto alla persona ed all'insegnamento di Gesù. Così, i suoi parenti, apparirebbero come 'lontani'. 'tagliati fuori', 'estranei', rispetto all'ascolto della sua parola. Insomma, questi parenti, che hanno con Gesù legami carnali, non sembrerebbero, come tali, in grado di divenire intimi di Gesù. Il loro "cercare Gesù" (v. 32) non esprime la 'ricerca della fede', quanto piuttosto una loro preoccupazione umana dinanzi al fatto che Gesù appariva loro tanto preso da entusiasmo-zelo (v. 2 1) da non avere alcuna premura per la sua vita2. Secondo questo ben noto tipo di esegesi del passo di Marco, verrebbe messo l'accento dunque sulla lontananza ed incomprensione del clan familiare dalla fede in Gesù, interpretandolo in consonanza con Gv 7.5, in cui si afferma che "neppure i suoi parenti credevano in lui"3. C'è, però, una migliore posizione esegetica, più umana, del passo in questione. In esso non si darebbe tanto rilievo alla incredulità dei parenti di Gesù, quanto alla loro preoccupazione, suscitata da un affetto per lui, che li portava ad accostarlo, forse per esortarlo ad una maggiore cautela. E Gesù non li rimprovera per questo ma prende solo occasione dal loro comportarsi, non suggerito da una posizione di fede, per indicare quale dovrebbe essere il vero atteggiamento verso di lui, rappresentato da coloro che lo stavano ascoltando. Il passo di Marco non vorrebbe tanto, allora, dare rilievo ad un giudizio negativo sui familiari di Gesù, classificati, semplicemente, dalla loro lontananza dalla fede. Nel primo modo di leggere il testo potrebbero nascere effettivamente delle difficoltà per quanto riguarda la posizione spirituale di Maria.
La seconda lettura, più umanitaria. se non pone problemi di sorta a proposito dei fratelli e delle sorelle di Gesù, lascia comunque aperto l'interrogativo sulla posizione di Maria: fino a che punto si può pensare che essa condividesse le stesse attitudini degli altri parenti'? (vv. 31.32) E' stata anche lei partecipe delle loro preoccupazioni così umane? Se si afferma che Marco descrive qui l'atteggiamento di una madre sollecita, essa pure, per le sorti del figlio, non vedrei come ciò possa considerarsi disdicevole nei confronti della sua fede: anzi, la considerazione del carattere anche profondamente umano dell'affetto materno di Maria non può che recare ammirazione: "non fa meraviglia che pure Maria, un giorno, quando già si studiava il modo di sopprimere Gesù in maniera violenta (Mc 3,6) accorresse quasi per suggerirgli di essere più cauto. Non dimentichiamo che si è agli inizi del ministero pubblico di Gesù. E' comprensibile. perciò che sulle prime, perfino sua madre potesse nutrire ansietà, ancora troppo umane, sulla missione ed opera del Figlio. Dobbiamo essere grati all'evangelista Marco per averci rivelato un tratto così delicato della fisionomia materna di Maria"4. E' valido questo apprezzamento dello scorcio lasciatoci da Marco sulla profondità delle dimensioni anche umane della maternità di Maria contro ogni lettura anti-mariologica del passo in questione5. Tuttavia, per una comprensione della fede di Maria di Nazareth in verità, non molto emergente nel vangelo di Marco6, si impone, conformemente al "principio di totalità"7, un contesto più ampio ed organico e l'esame dei dati provenienti dalla molteplice tradizione evangelica. Si devono avere presenti, infatti, non solo gli strati più arcaici (Marco), ma anche quelli di Luca e di Giovanni, nei quali Maria appare apertamente in attitudine singolare come credente nella Parola di Dio e nel suo stesso Figlio. Anzi, la sua fede, elogiata da Gesù, incarna l'esperienza prototipica della stessa fede cristiana. Sullo sfondo di tale lettura globale del significato e del "valore ecclesiale" della fede di Maria, non posso condividere certe posizioni, eccessivamente restrittive, come quelle che descrivono la condizione spirituale di Maria in pieno allineamento con l'incomprensione, ritenuta pressoché totale, dei parenti di Gesù, fondandosi sulla valutazione - cui si dà un valore normativo primordiale - della prima stratificazione della tradizione evangelica rappresentata dal testo di Marco. Qui, secondo alcuni, Maria verrebbe presentata come del tutto estranea alla iniziativa di Gesù, fino alla tragica conclusione del suo ministero terreno, mentre solo dopo pasqua si sarebbe associata alla crescente comunità cristiana (At 1,14)8. Da qui deriverebbe allora una immagine di Maria che non avrebbe alcuna funzione materna e prototipica nella fede cristiana: essa sarebbe solo una sorella che si muove in uno stato spirituale di profondo smarrimento ed incomprensione di ciò che le era capitato, non riconoscendo la vera identità del Figlio, e che sarebbe divenuta 'cristiana' solo dopo pasqua. L'approdo a queste posizioni viene giustificato, di fatto, attraverso l'utilizzazione di un criterio ermeneutico, dato troppo spesso come scontato, per il quale gli strati più arcaici della tradizione offrirebbero la maggiore verità storica dei fatti, la quale verrebbe, invece, come compromessa dagli sviluppi posteriori della fede ecclesiale interni allo stesso NT (Luca, Giovanni). Ora. se si deve anche accettare l'idea che Marco ci riferisca un dato reale della stessa storia di Gesù, il quale avrebbe iniziato il suo ministero pubblico senza l'aiuto e la simpatia della propria famiglia" questo dato non può essere né generalizzato indiscriminatamente nei confronti di tutti i parenti di Gesù, né radicalizzato. Sarebbe un errore ritenere che il vangelo di Marco sia più storico e gli altri più teologici. In realtà, bisogna avere presente anche il lavoro redazionale di Marco e la sua lettura teologica che possono dare ragione dell'accento da lui posto sul tema della incomprensione di Gesù che riguarda non solo i suoi parenti, ma anche i discepoli (Mc 4,10-13; 6,49-52; 7,18; 8,17-21; 9,32)10.
Prendendo lo spunto da questi problemi, vorrei proporre, allora, una breve riflessione teologica, avendo presente più il principio di totalità che il criterio del processo evolutivo degli evangeli. Quest'ultimo riguarda non tanto uno sviluppo nella coscienza spirituale di Maria di Nazaret, quanto quello di una sempre più profonda comprensione, da parte della comunità ecclesiale, del ruolo della sua fede e della sua relazione con il Figlio11. Partendo da questa visione è possibile ricapitolare in maniera più organica e teologica sia gli aspetti singolari-prototipici ed esemplari della fede di Maria. quale madre nell'ordine della fede, sia quelli di sviluppo e di crescita nella sua peregrinazione quale sorella che accompagna ogni discepolo ed ogni uomo nel suo cammino verso Cristo.
1. DALLA FEDE DEI PADRI ALLA FEDE DEI TEMPI NUOVI
Non si può parlare della fede di Maria senza la prospettiva teologica dell'evento dell'annunciazione. Esso, che illumina tutta l'esistenza terrena di Maria, da Nazaret al Calvario. ci pone dinanzi ad una singolare ed unica esperienza della sua fede, come fede vissuta personalmente nel trapasso delle "economie". Essa sta come alla confluenza tra la più pura espressione dell'antica fede di Israele ed il nuovo statuto di fede che si definisce nel quadro dell'alleanza dei "nuovi tempi". Senza per nulla sminuire i molteplici schemi interpretativi. che vengono proposti esegeticamente per la comprensione del brano narrativo della annunciazione12, si può cogliere bene questo trapasso considerando il raffronto che il testo lucano sembra suggerire, tra i due fondamentali eventi di rivelazione e di fede: quello del Sinai e quello della annunciazione13. Nella alleanza del Sinai, infatti il "sì" di Israele alla Parola di Dio (Es 19,8a) sancisce le nozze mistiche con Lui. E' il "sì" della fede che il popolo ha sempre rinnovato nella sua storia. Di questa fede Maria di Nazaret è erede ed il vangelo di Luca sembra proprio richiamare questa fede al Dio dell'alleanza che a lei si rivela nel suo amore di predilezione, chiamandola a prendere parte al suo disegno di salvezza. Per questo "sì" di fede obbediente, Maria porta a compimento la fede dei Padri. Ma questo compimento determina già l'anticipazione del passaggio alla fedeltà dei "nuovi tempi" in forza della singolare irruzione, in lei, della stessa fedeltà d'amore di predilezione da parte di Dio (Lc 1,28: κεχαριτωμÝνη). L'iniziativa della χαρις divina, nella potenza dello Spirito, fa di lei la prima redenta tra le creature, in cui si opera la nuova creazione, l'avvento del cuore nuovo (Ez 36,26), aperto e fedele alla Parola di Dio. Il sì della fede si compie così in lei, con quella totale fedeltà che non è solo frutto dell'opera della creatura, ma è l'espressione di abbandono totale a Dio, reso possibile dalla grazia di elezione. Le profondità spirituali e fisiche dell'essere femminile di Maria sono pervase dalla nuova presenza di Dio in lei. Come afferma Giovanni Paolo II: "Nell'annunciazione... Maria si è abbandonata a Dio completamente...«prestando il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» (Dei Verbum, n. 5 ). Ha risposto con tutto il suo «io» umano e femminile (Redemptoris Mater, n. 13). Se pertanto il "sì" di Maria echeggia e riassume quello di Israele all'alleanza (Es 19,8: 24,3.7), esso però lo supera per la grandezza e novitài14 dell'amore di Dio che si va realizzando in lei in forza dell'incarnazione.
La lettura teologica dell'evento dell'annunciazione suggerita dalla redazione lucana, nella quale non si può non riconoscere l'influsso della fede ecclesiale, maturata alla luce della resurrezione e della pentecoste, non va, però, in nessun caso intesa come una inegesi rispetto alla realtà dei fatti. Essa costituisce invece la via per cogliere in profondità il reale significato del loro accadimento storico: quello del nuovo statuto della fede - nella nuova economia - suscitato dalla piena rivelazione della grazia, che costituisce l'aurora del giorno di salvezza. La fede di Maria, nella sua singolarità, quale si manifesta nell'annunciazione, non va però interpretata neppure come la sola manifestazione di una realtà puramente oggettiva dei fatti, avvenuta in lei, al di là di ogni forma di esperienza psicologica di ogni coscienza personale. E' nella sfera cosciente della sua vita spirituale, che Maria ha vissuto il trapasso dalla fede sancita nella alleanza antica alla fede che appartiene alla nuova relazione di alleanza, con quella Parola di Dio che fa ingresso nel suo cuore e nel suo grembo, saldandosi così intimamente con la sua anima credente e con la sua stessa carne, da costituirla propria Madre facendosi suo Figlio. Questa relazione di maternità spirituale e fisica nei confronti della Parola non poteva non comportare anche una misteriosa comunione vissuta, un'intuizione, un esperienza del mistero trascendente di quel Figlio che ella accoglieva in sé15. La fede di Maria non era fatta solo di attese rivolte al futuro, ma anche di certezze derivanti dal dono presente della grazia divina in lei. Nell'orizzonte interiore del suo spirito rischiarato dalla nuova esperienza della grazia, le ombre del futuro sperato, senza perdere l'essenziale oscurità della fede, andavano assumendo dei contorni precisi alla luce della Parola che si incarna e che realizza con la sua creatura una nuova forma di sponsalità. "Sembra che si possa dire questo: Maria ha dovuto avere fin dall'inizio una certa intuizione della divinità, intesa in senso stretto, di suo Figlio... Si può però concedere che l'intuizione di Maria doveva restare avvolta di oscurità"16. In realtà, un nuovo statuto di fede è legato ad una nuova esperienza di luce e di relazione con Dio: non si può parlare di fede di Maria. prescindendo da tale esperienza che la fonda e la qualifica come inizio, primizia, della stessa fede ecclesiale", anche se resta vero che questa esperienza di luce non abolisce l'oscurità sua propria: il transito nella "notte oscura". Agli inizi della Riforma anche Lutero esaltava questa esperienza di Maria ad opera dello Spirito, come esperienza esemplare della comunità di coloro che lo Spirito santifica sulla base della fede: "Per comprendere questo santo cantico (il Magnificat) bisogna notare che la Vergine Maria parla dopo aver fatto un'esperienza personale, per la quale lo Spirito Santo l'ha illuminata ed edotta. Poiché nessuno può comprendere né Dio né la sua Parola se non è stato rischiarato immediatamente dallo Spirito Santo. L'azione dello Spirito Santo bisogna sperimentarla, provarla, risentirla, ed è facendo queste esperienze che ci si pone alla scuola dello Spirito Santo..."17. Se dunque, fin dal momento della annunciazione "le è stato rivelato il Figlio, che solo il Padre conosce completamente come Colui che lo genera nell'eterno "oggi" (cf Sal 2,7), Maria la madre, è in contatto con la verità del suo Figlio solo nella fede e mediante la fede! E' dunque beata, perché «ha creduto», e crede ogni giorno tra tutte le prove e contrarietà..."18.
2. CAMMINO DI FEDE NELLA FATICA DEL CUORE
Se è vero che la fede di Maria, nella sua "singolarità", non è comprensibile se non alla luce di una nuova esperienza del Dio vicino, è pur vero che essa non perde, per questo, quel carattere di peregrinazione. quel suo dinamismo di crescita che implica l'oscurità propria della fede: "ciò che è domandato a Maria (nell'annunciazione) è un salto nell'impenetrabile: pura fede. Sotto la guida di Dio, ella deve rischiare la sua esistenza personale in un'avventura impossibile alle vedute umane... L'atteggiamento di fede richiesto a Maria... sta nel riconoscere che Dio agisce hic et nuc: obbedire alla chiamata di associarsi a questa azione, a seguire questo invito sprofondandosi nell'incognito. Ciò che è in causa - la redenzione - è infatti ancora da realizzare; credere è rendersi disponibile a questo avvenimento. Per Maria, ciò impegna il proprio destino di donna"19. Così fin dalla sua esperienza iniziale, lungi dall'aver raggiunto di colpo la sua perfezione finale, la fede di Maria "ha conosciuto una crescita anche e soprattutto nelle sue relazioni con il Figlio"20 avanzando con Lui che cresceva in età e grazia (Lc 2,40: cf 1,80). Questo aspetto peregrinante della fede di Maria - già annunciato da intuizioni come quella ora citata di R. Guardini - ha conosciuto un particolare sviluppo partendo dalla posizione conciliare della LG 58, secondo la quale ella "avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce...". Ciò ha trovato notevole risonanza nel magistero pontificio, specie nelle suggestive parole della Redemptoris Mater n. 17. ove Giovanni Paolo II rileva le difficoltà e oscurità della fede di Maria. "...a mano a mano che si chiariva ai suoi occhi e nel suo spirito la missione del Figlio, ella stessa come Madre si apriva sempre più a quella «novità» della maternità, che doveva costituire la sua «parte» accanto al Figlio... Maria madre diventava così, in un certo senso, la prima «discepola» di suo Figlio, la prima alla quale egli sembrava dire: «seguimi», ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (cf Gv 1,43)21. Ora, non è difficile pensare che questo avvenne, fin dall'inizio, attraverso ''una particolare fatica del cuore, unita ad una sorta di «notte della fede»..., quasi un «velo» attraverso il quale bisogna accostarsi all'Invisibile e vivere nell'intimità del mistero. E' infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell'intimità col mistero di suo Figlio, ed avanzava nel suo itinerario di fede, man mano che Gesù «cresceva in sapienza... e grazia davanti a Dio e agli uomini»" (Lc 2,52)22.
Nonostante. dunque, quella permanente qualità della adesione di fede che è la sua certezza, la fede di Maria seguiva la legge del progresso e della oscurità, propria della fede, avanzando nella conoscenza sempre più perfetta del disegno di Dio23. L'incrollabilità della fede di Maria non è connessa infatti ad una sicurezza derivante da formule precostituite, ma è aperta al rischio del possibile; è il coraggio di accettare tutte le potenzialità dell'oggi proiettato nel futuro, le situazioni impreviste di cui non si coglie la ragionevolezza: è la convinzione profonda che in esse Dio porta avanti, attraverso degli impervi itinerari, il suo disegno di salvezza24. Certo che questo progredire della fede di Maria. come sopra dicevo. esprime anzitutto la legge del progresso umano: "nello spirito di Maria, come in ogni spirito, Dio rispettava questa legge di progresso che è propria delle creature temporali, questo libero passaggio dalla coscienza oscura alla coscienza distinta, che forma la nostra dignità... l'episodio di Gesù ritrovato nel tempio ci dice abbastanza chiaramente come il pensiero della Vergine abbia conosciuto delle ombre oppure uno sviluppo. Alcuni autori pensano ad una prova mistica, a una specie di notte oscura. Per conto mio, sono portato a pensare che, se c'è stata un'ombra, fonte di dolore, è stata quella che la crescita della verità ci impone, allorché siamo chiamati a crescere con essa"25. Un primo aspetto del significato della crescita fa parte dunque della nostra realtà umana terrestre, nella sua apertura alla Verità, che nell'ambito della fede si esprime nella ricerca e nella tensione verso di essa. Ma la peregrinazione della fede, nel suo passaggio attraverso l'oscurità, esprime ancor più la tensione verso il mistero ineffabile di Dio che si offre, nella sua rivelazione. Questa tensione determina quasi un affanno, nel cammino, o come dice Giovanni Paolo II, una fatica del cuore, che deve aprirsi il varco nelle resistenze della condizione umana passando attraverso continue messe in discussione delle proprie aspettative, per divenire sempre più conforme ai piani di Dio. Maria non ha vissuto la crescita della fede come "conversione dal peccato alla grazia", però ha conosciuto le difficoltà di una fede come adesione sponsale, che comporta il continuo adattamento alle forme concrete in cui il disegno di Dio si andava attuando nella crescita umana del Figlio: "Insomma: non è irriverente supporre che a volte persino Maria - come Giovanni Battista e gli apostoli - abbiano dovuto rivedere le proprie attese ed i propri schemi sul Messia. Motivo non ultimo della sua beatitudine è il fatto che lei non si è scandalizzata del Figlio (cf Lc 7,23; Mt 11 6)"26. Affidandosi ogni giorno alla sequela del Figlio, Maria, da madre secondo la carne, si converte in discepola (Lc 8,19-21; 11,27-28) e vive ogni giorno questo suo difficoltoso e laborioso adattamento, nella fatica del cuore.
Questa oscurità della fede in cui si riflette la permanente distanza della creatura dal suo Creatore, nel dinamismo del cammino che conduce ad un sempre più profondo incontro con Lui "doveva sussistere, nelle sue relazioni col Figlio, perfino nella familiarità più intima", in quella non-comprensione che risulta d'altronde dai racconti evangelici: "costantemente le parole, le azioni, gli atteggiamenti di Gesù, tutto ciò che specificava la sua vita e la sua esistenza, sorpassavano l'intelletto di Maria"27. Di qui la fatica del cuore nell'adattamento, che viene testimoniato negli accenni circa l'infanzia di Gesù, i quali mostrano come Maria e Giuseppe si trovassero dinanzi ad un enigma permanente, a qualcosa che andava oltre le loro capacità di comprensione, per cui si "meravigliavano" delle parole profetiche di Simeone (Lc 2,33), ed in preda all'angoscia non comprendevano lo smarrimento del bambino (Lc 2,48) e la sua risposta alla domanda della madre (v. 50). Questa distanza emerge anche nel racconto di Cana di Galilea in cui la parola di Gesù, rivolta alla Madre, chiamata donna è preceduta dall'espressione "che vi è tra me e te?"28. Questa espressione sembra indicare una certa disparità di vedute tra Lei, maternamente attenta alla necessità del vino materiale che manca, e Gesù. che le chiede di elevare il pensiero al desiderio del vino messianico del suo Vangelo, vino che sarà copiosamente donato nell'ora pasquale. Questo sforzo di continuo adeguamento ed elevamento della fede ai tempi di Dio che si venivano adempiendo nel ministero di Gesù, nel suo orientamento verso la sua ora, trova, però, pur nella fatica del cuore, il suo pieno coronamento nella obbedienza di fede di Maria, la quale "opera una specie di conversione. Lascia l'antico livello delle sue relazioni con il Figlio per stabilirsi in un livello diverso, estremamente positivo. Il suo influsso non si esercita più su Gesù, ma a servizio di Gesù. La domanda di Gesù: «quale relazione esiste tra me e te?» ottiene dunque una doppia risposta: la relazione antica è abolita, una nuova relazione è stabilita"29. Questi brevi richiami evangelici ci aprono l'orizzonte alla comprensione della legge che regola il continuo trapasso della fede di Maria: se tutta la vita di Gesù è circondata dalla vicinanza della Madre... ciò nonostante, si direbbe che tra la madre ed il figlio si scavi ogni volta un abisso... e noi sentiamo il tragico di quella contro-risposta in cui si palesa l'infinita distanza nella quale egli vive30. Così Maria viene continuamente elevata, nella sua crescita, dall'azione di Gesù, dalle sue parole, dai comportamenti di vita e nella sua volontà di sequela diviene sempre più esemplare nei confronti della fede dei discepoli (Gv 2,11): "qualunque cosa vi dica, fatela" (Gv 2,5). Maria è in prima fila nel seguire Gesù in questo cammino di fede consistente nel continuo passare "nella notte" in cui il credente eleva il proprio sguardo alle altezze superiori dei piani di Dio: "la notte... è disponibilità per l'incontro con l'Altro e con gli altri. E' il costante adattamento dell'uomo con Dio. Non è un breve periodo di crisi, un intermezzo, ma una situazione permanente perché non finiamo mai di adattarci alla logica divina, all'amore di Dio. Atteggiamento critico con se stesso e davanti alla realtà; discernimento di fronte alla storia e nella storia; un relativizzare le mete conseguite facendo spazio alla novità dello Spirito. La notte è conseguenza dell'amore, scuola dell'amore. E' il mezzo con il quale si raggiunge una nuova coscienza: diventiamo più liberi per salire la montagna senza che nulla si interponga"31.
3. FEDE PEREGRINANTE IN ASCOLTO ED ANAMNESI
Per due volte nel vangelo di Luca torna il riferimento alla madre di Gesù, indicata, almeno indirettamente, come discepola perfetta nell'ascolto (Lc 8.19-21; 11,27-28). Se è vero che nella Scrittura la fede si definisce anzitutto come "ascolto" di un Dio che si rivela essenzialmente nella Parola (Es 19,5-6; Dt 6,4: Lc 5, 1-2) e come adempimento, messa in pratica, della parola ascoltata (Dt 5,1: 6,3; 30,12), per cui l'ascoltatore che la vive diviene figlio (Eccl 4,11; 15,2a), fratello (Pr 7,4-5), sposo (Sap 8,2b.9), amico (Sap 8,17.18) della Sapienza32, allora il richiamo a Maria come colei che è beata perché discepola perfetta che ascolta e vive la Parola-Sapienza (cf Lc 8,21; 11,28), acquista un significato profondo. Lei, già consanguinea con il Figlio, nell'accoglienza fruttuosa della sua parola, acquista una parentela più alta con lui, quella sul piano del nuovo statuto di fede che l'unisce alla divina Sapienza incarnata. E perciò diviene con lui sorella, sposa, amica. Alle parole di elogio e di beatitudine rivolte apertamente dall'umile donna di Israele alla madre di Gesù (Lc 11,27-28) per averlo portato in grembo ed allattato, corrispondono le parole di Gesù che beatificano, almeno implicitamente, la madre, per essersi fatta discepola e figlia della Sapienza, nutrendosi del mistico latte della Parola: "(Maria) se fu beata per aver concepito il corpo di Cristo, lo fu maggiormente per avere accettato la fede nel Cristo... di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l'avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne"33.
La considerazione della fede peregrinante di Maria, come cammino che comporta la costante attitudine di ascolto e di sequela, consente di cogliere ancora il prezioso richiamo lucano alla memoria (Lc 2,19.51b). Anche l'importanza dell'anamnesi è molto rilevata dalla tradizione biblica (Dt 4,9.23). Nella sua memoria si può dire che Maria di Nazaret ripercorreva l'itinerario sapienziale che già aveva caratterizzato la fisionomia spirituale di Israele34. Questo itinerario non è costituito tanto da un semplice ricordare il passato nella sua fattispecie storica, quanto da quella anamnesi che si compendia in un fondamentale atto ermeneutico, il quale riattualizza il passato a partire dal presente, nella prospettiva del futuro, rendendone, così, vivo il mistero. In questa luce, si può dire che il ricordare di Maria esprime quel suo avanzamento nella fede per cui ella, non solo conservava nel suo cuore i ricordi degli eventi. ma li "poneva a confronto". li simbolizzava35, per cui essi si lasciavano penetrare nella loro enigmaticità. Ella fu. nella fede, la prima esegeta di Cristo. La memorizzazione esprime sotto questo aspetto il cammino attivo ed inventivo della sua fede: "la fede di Maria non si esaurisce in una arrendevolezza passiva alla Provvidenza ed alle rivelazioni di Dio. Come informa il testo, ella vi meditava sopra. Ella diviene così il modello della nostra fede, sia nell'accettazione che nello studio delle verità divine...: non basta acconsentire. Marie approfondisce... Ella simboleggia non solo la fede degli illetterati, ma pure quella dei Dottori della Chiesa, i quali devono investigate, soppesare e definire, oltre che professare il Vangelo e tracciare i confini tra verità ed eresia36. Maria che partecipava all'accadere dei fatti come testimone immediato e privilegiato, non si contentava quindi solo dello loro prima intelligenza, ma, attraverso la meditazione aumentava l'intelligenza del mistero protendendosi verso la comprensione sempre più piena della verità. La memoria, nel suo rendere presente e vivo il passato, alimentava insieme lo slancio verso il futuro di una fede fatta di abbandono e conformità sempre più perfetta. In questo modo si può dire che Maria nel suo attivo meditare sugli eventi-parola della vita di Cristo, impersonava ed apriva il cammino di fede della stessa coscienza ecclesiale, protesa verso la conoscenza sempre più profonda dei divini misteri37. Nel suo "ricordare", qualità distintiva della sua fede, si può affermare - con Giovanni Paolo II - che Maria impersona la stessa "memoria della Chiesa", che deve da Lei imparare che il suo essere madre vuoi dire essere viva memoria, serbando e meditando nel cuore le vicende gioiose e dolorose dei popoli38. Per questa memoria, "come Gesù è Parola uscita direttamente dal silenzio creatore del Padre, Parola che contiene ogni significato ed ogni potere, così Maria è parola mormorata, come un'eco di questo logos supremo: parola che ha la sua origine nella Parola"39. Lettrice attenta del "Libro di Dio che è la storia del Cristo", per la sua fede meditativa, diviene ella stessa un libro aperto per la lettura del genere umano, il cui autore è il Verbo, divenuto carne in lei. Così, "come il Figlio è il libro del Padre, Maria è il libro del Figlio"40. Però, questa sua qualità di "libro aperto" deriva dal fatto che "ella fu lettura prima di essere libro". La sua capacità riflessiva si esercitava confrontando nel suo cuore ciò che ella aveva letto nella Scrittura con ciò che aveva veduto con i suoi occhi: "quem legerat in Isaia videbat in praesepio, comparabat ergo verba prophetarum factis"41.
NOTE
1 PAOLO VI, Evangelii Nuntiandi, AAS 68 (1976) 5-96, qui n. 82.
2 Vedi il verbo usato da Marco ÝξÝστη che significa "essere fuori", ricorrente nel NT e che in certi usi (cf 2Cor 5,13) suggerisce l'idea di chi preso da tanto zelo, sembra quasi fuori di senno. Il che nel passo in questione porta a pensare che i parenti di Gesù erano preoccupati ritenendo che egli stesse esagerando nel modo di esercitare il suo ministero pubblico (vedi i precedenti narrativi v. 20), soprattutto apparendo un profeta troppo scomodo (vedi inizio del capitolo vv. 1-6), esponendosi ai pericoli (ivi 22-30). Qui, "l'andare a prenderlo" (3, 21) che per se è un cercarlo (v. 32), vorrebbe indicare il metterlo sull'avviso. Cf A. SERRA. in S. DE FIORES - S. MEO (a cura), Nuovo Dizionario di Mariologia, Cinisello Balsamo 1985, 235-236. Contro questa esegesi più umanitaria si pone quella più radicale, che vede un'opposizione irriducibile tra Gesù e la sua famiglia che credendolo fuori di sé, pensava di ricondurlo alla ragione. Si delineerebbe così il tentativo. da parte del clan, di riappropriarsi di questo suo membro anche con la forza. (Cf G. BARBAGLIO, Maria nel Nuovo Testamento, in Maria nostra sorella, a cura della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. Roma 1988, 37-38).
3 Si deve notare però che il contesto di Gv 7,1-10 è abbastanza diverso da quello di Marco 3,20-21.31-35: e che inoltre in Gv Maria non appare implicata affatto nella situazione di incredulità propria dei fratelli.
4 A. SERRA. Maria di Nazater. Una fede in cammino, Cinisello Balsamo 1993, 67. Buon lavoro riassuntivo delle molteplici ricerche esegetiche dell'A.
5 GIOVANI PAOLO II nella Redemptoris Mater n. 17. richiama proprio il passo di Marco a conferma del progresso della fede di Maria (cf anche LG 58).
6 Certo che per quanto riguarda la fede di Maria, Marco non sembra andare oltre il silenzio. "Il silenzio e la presentazione di Maria nell'ambito del clan familiare che non comprende Gesù sono gli scarni dati offerti da Marco. Il processo di approfondimento della figura di Maria continuerà negli altri evangelisti": S. DE FIORES, Maria Madre di Gesù. Sintesi storico salvifica, Bologna 1992, 66.
7 Il così detto "principio di totalità'', che regge l'interpretazione della cristologia del NT (vedi l'indicazione della PCB, Bibbia e Cristologia 1.3.2: EV. IX, 1288) e che impone 1'esigenza di cogliere insieme tutti i testi" della tradizione neotestamentaria appartenenti ai diversi gradi di sviluppo, non per contrapporli, ma per raggiungere una più completa comprensione del mistero, penso che debba essere applicato anche in mariologia. Tale principio riflette quello canonico dell'unità dell'Evangelo.
8 Alcuni esempi di questa posizione: P. RICCA, Maria, madre di Gesù, nel pensiero teologico delle Chiese protestanti, in Servitium 21 (1987) 63.65. ID., Le chiese evangeliche e Maria, in Gli evangelici e Maria, Torino 1987, 8. Cf anche in tal senso G. BARBAGLIO, Maria nel Nuovo Testamento, o.c.. 37-40.50.
9 V. TEYLOR, Marco. Commento al vangelo messianico, Assisi 1977, II, 49.
10 Per una documentazione: DE FIORES. o. c., 65. n. 85.
11 H. FREHEN, De cultus mariani fundamentiis apud hagiographos Novi Testamenti synopticos, in De primordiis cultus mariani, Lisbona-Fatima 1967, II, 45.
12 Vedi per una rassegna DE FIORES, o.c., 74-77.
13 In modo particolare ed efficace viene proposto questo parallelo da A. SERRA,Maria, o. c., 9-17.
14 La madre di quel Figlio, dunque, memore di quanto le è stato detto nell'annunciazione e negli avvenimenti successivi porta in sé la radicale novità della fede: l'inizio della nuova alleanza" (Redemptoris Mater, n. 17).
15 «Sin dal momento della annunciazione la mente della Vergine Madre è stata introdotta nella radicale novità dell'autorivelazione di Dio e resa consapevole del mistero. Ella è la prima di quei piccoli, dei quali Gesù dirà un giorno: Padre.... hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25) (Redemptoris Mater, n. 17).
16 A FEULLET, Jésus et sa Mèere d'après le récits lucaniens de l'enfance et d'après saint Juan, Paris 1974, 121.
17 M LUTERO, dal Commento al Magnificat, testo originale in WA 7, 538. Il corsivo è mio.
18 Redemptoris Mater, n. 17.
19 R GUARDINI, La Mèere du Seigneur, Paris 1961, 15. Il corsivo è mio.
20 Ivi, 51.
21 Redemptoris Mater, n. 20.
22 Ivi, n. 17.
23 Maria "non ha progredito dal punto di vista della certezza. qualità dell'adesione, e in questo la fede di Maria si distingue dalla nostra: la sua fede è perfetta fin dall'inizio. Ma ella ha progredito dal punto di vista della conoscenza sempre più perfetta del disegno di Dio. In questo ella è l immagine della Chiesa. che non cessa di progredire nella fede fino alla visione perfetta della parusia, quando Dio sarà tutto in tutti", C. GEFFRÉ, Marie mèere des croyants, in Cahiers marials, 12 (1968) 62, 96.
24 cf S. CIPRIANI, Credente, NDM, 423; cf M. T. BELLENZER, Donna, ivi, 510.
25 J. GUITTON, La Vergine Maria, Torino 1964, 82 (il corsivo è mio).
26 A SERRA, Sapiente, NDM, 1281.
27 GUARDINI, o. c., 50-51.
28 L'espressione ricorre molte volte nell'AT (circa quindici volte) e in alcuni casi nel NT (cinque volte: Mc 1,24: 5,7; Mt 8,29: Lc 4,34; 8,28). SERRA, Maria di Nazaret, 76.
29 A. VANHOYE, Interrogation johannique et exégèse de Cana (Jn 2,4) in Biblica 55 (1974), 165.
30 GUARDINI, Il Signore, Milano 1964, 26-28.
31 J MALLEY, Caminando en compañia de toto hombre y mujer, Roma 1991, 74.
32 E' un tema che ritorna nella tradizione ebraica post-esilica in cui Parola di Dio e Sapienza tendono ad identificarsi e la Torah è rappresentata come madre che allatta i suoi piccoli (Ct 8,1). Cf lo spunto di Paolo in 1Cor 3, 1-2 e di Pietro in 1Pt 1, 25-2,2.
33 AGOSTINO, Matrimonio e verginità, Roma 1978, 77.
34 Era nota distintiva d Israele custodire nel cuore le grandi gesta compiute dal Signore nel passato. e ritornarvi sopra sotto lo stimolo dei presente per ricavare luci sempre nuove da quei giorni lontani... Fissando bene nel cuore tutte queste cose, uno diventa "sapiente'' (cf Eccli 50,28; Sl 107,43): A. SERRA, Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2,19.51b, Roma 1982, 249; 178-195.
35 Il verbo usato in Lc 2,19 è σνμβÜλλουσα che esprime appunto il confrontare, l'interpretare fatti e parole enigmatiche.
36 J. H. NEWMAN, University Sermons, London 1892 (new edition), 312-313.
37 L. ALONSO SCHÖKEL, Il dinamismo della Tradizione, Brescia 1970, 216.
38 GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti t. X/1 (gennaio-aprile 1987), Ed. Vaticana 1988, 7. L'insegnamento di Giovanni Paolo II si esprime qui in forma di preghiera: "Tu sei memoria della Chiesa...".
39 J. MAIN, The Other Centeredness of Marv, in A. de VOGÜE, De Jean Cassien à John Main, in Collectanea Cisterciensia 47 (1985) 179-182. Il corsivo è mio.
40 J. LECLERCQ, Marie, livre ouvert, in ID., Regards nronastiques sur le Christ au moyen age, Tournai-Paris 1993, 45. Cf J.J. BOURASSÉ, Summa Aurea de Beata Maria Virgine, VI, col. 201-202: "Santa Maria, libro sacro dei divini precetti, nel quale ci è comunicato ciò che è gradito a Dio".
41 WERNER (1116), In Nativitate Domini secundum Lucam, PL 157, 778-779.