La dottrina mariana del Concilio Vaticano II
Data: Venerdi 26 Ottobre 2012, alle ore 17:33:03
Argomento: Magistero


Dal libro di Wolfgang Beinert, Parlare di Maria oggi?, Edizioni Paoline, Catania 1975, pp. 67-77.

La mariologia dell'ultima assemblea conciliare della Chiesa è sostanzialmente riassunta nell'ottavo capitolo della costituzione « Lumen Gentium » riguardante la Chiesa, promulgata il 21 novembre 1964. Prima di vedere questi testi dobbiamo fare alcune osservazioni sulla storia che li ha preceduti, storia indispensabile per poterli capire.

1. Genesi della dottrina del Concilio

Convocando il Concilio, Giovanni XXIII aveva pregato i vescovi e le facoltà cattoliche del mondo di indicare i temi che avrebbero dovuto venir trattati in quella assemblea ecclesiale. I voti espressi furono circa 2000 e 600 di essi, vale a dire circa il 30%, chiedevano che il concilio prendesse posizione nel campo della mariologia. Di questi 400 desideravano una definizione e 300 pensavano più precisamente a una definizione della mediazione. La commissione teologica, sulla base di queste proposte, elaborò uno schema conciliare apposito, che portava il titolo di « La beatissima Vergine Maria, Madre di Dio e Madre degli uomini ». Esso venne consegnato il 23 novembre 1962 ai membri del concilio, ma nonostante il desiderio espresso, non poté esser discusso durante quella prima sessione. Durante la seconda sessione, svoltasi l'anno successivo, sorse una violenta discussione. Un certo numero di vescovi chiedeva che lo schema venisse incorporato nella costituzione sulla Chiesa e che si rinunciasse di conseguenza a un documento mariano separato. Si trattava di stabilire se Maria fosse di più dalla parte del Signore e quindi in un certo senso al di fuori e al di sopra della Chiesa, oppure se fosse un membro di essa, benché un membro particolarmente insigne. Alla fine si votò sulla posizione da assegnare al documento: il 29 ottobre 1963, 1114 padri votarono a favore di un suo inserimento nella costituzione sulla Chiesa, 1074 votarono contro tale inserimento, 5 voti risultarono nulli. Questo risultato dimostra come la consistenza dello schieramento dei due gruppi conciliari, quella solita in altri casi, qui si fosse modificata. Qui per molti padri non si trattava più di essere conservatori o progressisti, bensì di schierarsi per quella parte costitutiva essenziale della pietà tradizionale, che era stata plasmata dall'idea del « numquam satis ». Dopo quella votazione venne nominata una commissione con l'incarico di stendere un nuovo testo mariologico. Durante il periodo di pausa tra una sessione e l'altra vennero preparate cinque successive redazioni del testo; le ultime due vennero consegnate ai padri nell'estate del 1964 unitamente al restante schema sulla Chiesa. Il nuovo titolo suonava cosí: « La Beata Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa ». Nel dibattito, che ebbe inizio il 16 settembre 1964, la questione di primo piano riguardava il conferimento o meno del titolo di Madre della Chiesa a Maria. Inoltre si manifestò una forte opposizione ad accogliere il nome di mediatrice nel testo conciliare. Alla fine ci si decise, per ambedue le questioni, a favore del testo così come esso era stato presentato, cioè a favore della Mediatrice e contro il titolo di Madre della Chiesa. In tal modo tutti i partiti potevano essere soddisfatti: infatti il testo sottolineava in misura sufficiente l'unica mediazione di Cristo, così come d'altra parte metteva in luce la preminenza della Madre di Dio sulla Chiesa e poneva così la base per il titolo di Madre. Grande fu perciò la meraviglia quando Paolo VI, nel discorso da lui pronunciato a conclusione del terzo periodo, riconobbe a Maria da parte sua il titolo di « Madre della Chiesa ». Si era forse posto dalla parte degli zelatori di Maria e contro la maggioranza del Concilio? Bisognava dunque dire che Maria era al di fuori della Chiesa? La presa di posizione papale rappresentava un colpo contro le aspirazioni ecumeniche? Una più attenta analisi del discorso mostra che questi timori non sono giustificati. Paolo VI si è preoccupato anzitutto di chiudere le ferite che il testo della costituzione, così sobrio e « minimalistico » per le idee di molti padri, aveva loro inferto. Egli intende attenersi al contenuto delle affermazioni conciliari e in effetti esse gli forniscono la base per la sua proclamazione.

2. Le affermazioni del Concilio

La struttura della costituzione « Lumen Gentium » va dal generale al particolare. Dopo aver contemplato il mistero della Chiesa (cap. 1), passa a considerare il popolo di Dio visto nel suo complesso (cap. 2). Col cap. 3 comincia a parlare dei singoli membri della Chiesa: della gerarchia (cap. 3), dei laici (cap. 4) e dei religiosi (cap. 6), precisando anzitutto che la vocazione di questi ultimi alla santità va collocata entro il quadro della vocazione universale della Chiesa alla santità (cap. 5 ). Il cap. 7 indirizza di nuovo lo sguardo del lettore su tutta la Chiesa, sul suo carattere escatologico e sulla sua unione con la Chiesa celeste. Il cap. 8, mariologico, è nello stesso tempo epilogo e riassunto di tutta la costituzione. La prospettiva escatologica del capitolo precedente viene personalizzata e Maria viene presentata come « sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua figura ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità » (LG 53). In lei possiamo vedere che cosa sia la Chiesa e come un membro di questa deve vivere e agire. Il capitolo è diviso in cinque paragrafi. Dopo un'introduzione, che espone in maniera programmatica i rapporti intercorrenti tra Maria e la Chiesa (n. 52-54), viene illustrato il compito di Maria nell'economia della salvezza (n. 55-59). Tema del terzo paragrafo è il suo influsso effettivo ed esemplare sulla Chiesa (n. 60-65). Poi i padri del Concilio passano a considerare questioni più pratiche come l'essenza, il fondamento e lo spirito della pietà mariana (n. 66-67). Infine, in corrispondenza alla struttura generale del documento, anche l'ultimo capitolo si chiude in una prospettiva escatologica: « Maria, segno di certa speranza e di consolazione per il pellegrinante popolo di Dio », come viene intitolato l'ultimo breve paragrafo (n. 68-69).
Nell'introduzione i vescovi partono dalla proposizione del simbolo della fede, che parla di Maria: Gesù Cristo, che è venuto per salvarci, ha preso carne dalla Vergine Maria. Qui il Credo è come un commento all'espressione della lettera ai Galati (4, 4), anch'essa citata. In tal modo i padri conciliari pongono in partenza la giusta prospettiva, in cui va visto tutto quel che segue: la Chiesa e Maria, e di conseguenza anche l'ecclesiologia e la mariologia quali riflessioni su tali realtà, sono centrate su Cristo. Parlare di Maria significa tender testimonianza alla vera umanità del Signore. La sua posizione particolare nei confronti di lui condiziona la sua posizione nella Chiesa. Se la sua maternità la pone in un rapporto singolare verso Cristo, di conseguenza ella occupa anche una posizione singolare nella Chiesa. Ciò naturalmente non potrà mai separarla da questa: anche Maria è redenta come tutti noi e appunto per questo radicata nella comunità dei credenti e degli eletti. Di qui deriva il compito del Concilio, che viene precisato brevemente ancora una volta. Signifiativa è la dichiarazione ch'esso non intende né « proporre una dottrina esauriente su Maria » né « dirimere questioni dai teologi non ancora pienamente illustrate » (LG 54).
Il paragrafo riguardante la funzione della Beata Vergine nell'economia della salvezza è orientato in maniera prevalentemente biblica. Fatte due eccezioni, qui ricorrono tutte le citazioni bibliche contenute nel capitolo. I padri conciliari alludono con grande prudenza e riserbo ai testi dell'Antico Testamento, che possono essere riferiti alla Madre del Messia, stando a come essi « sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione » (LG 55). Il Nuovo Testamento ci presenta Maria come la figlia di Sion dell'Antico Testamento e come l'incarnazione di quei poveri di Israele, che sono in attesa della ventura salvezza da Jahvè. In particolare, gli scritti della nuova alleanza ci parlano della santità di Maria e il Concilio documenta questa affermazione con numerose citazioni patristiche. In maniera particolarissima però, utilizzando il parallelismo Eva/ Maria, esso intende sottolineare il ruolo attivo e storico salvifico della Madre di Cristo nell'evento della salvezza. Ella « cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza » (LG 56 ). Il linguaggio tipologico induce a pensare che qui non si tratti solo di un'affermazione personale di carattere storico, bensì anche di una presa di posizione di fronte al problema della donna in genere. Questo testo afferma la piena validità e l'attività della donna, piena validità e attività che sono la base di ogni emancipazione. C'è solo da sperare che nella vita della Chiesa si prenda sempre più coscienza delle conseguenze che di qui ne derivano. I due numeri seguenti (57-58) ricordano i singoli episodi in cui, stando alla testimonianza della Bibbia, la vita della Madre e quella del Figlio si sono intrecciate. Essi parlano della loro unione nell'opera della redenzione, e qui la parte svolta da Maria viene definita come partecipazione e associazione in forza della fede, il che a sua volta ha importanza anche per la Chiesa universale, che può vedervi il proprio modello, poiché anch'essa prende parte all'evento della redenzione nel medesimo modo. Maria è integrata nella comunità dei santi. Degno di nota è il fatto che il Concilio prende atto anche dei passi scritturistici più spinosi, che sembrano mettere Maria in secondo piano, cosa che non si è verificata molto spesso nelle dichiarazioni ufficiali della Chiesa. Infine il nostro paragrafo introduce a quello seguente, in quanto afferma e indica come Maria sia associata alla manifestazione del « mistero della salvezza umana » (LG 59), vale a dire alla Chiesa.
La Beata Vergine e la Chiesa è logicamente il tema del terzo paragrafo. Esso illustra il duplice ruolo di Maria, che in qualità di Madre di Cristo si trova in certo modo posta di fronte alla Chiesa, mentre in quanto tipo di questa è completamente inserita in essa. Anzitutto il testo afferma che ella è per noi « madre nell'ordine della grazia » (LG 61). Nel dibattito che precedette la votazione si discusse accanitamente la questione della mediazione. Il testo finale tiene una linea di mezzo: sottolinea chiaramente l'unicità e la natura particolarissima della mediazione di Cristo, ma nello stesso tempo ricorda anche che la grazia ricevuta può diventare a sua volta fonte di salvezza per gli altri. L'azione mediatrice di Maria viene caratterizzata sotto un duplice punto di vista: ella è stata anzitutto compagna di Cristo, cosa che le fu possibile in base al suo legame obiettivo ed esistenziale con il Figlio; inoltre è sollecita nell'intercedere per tutti coloro che vengono raggiunti dall'azione di Cristo. La seconda serie di concetti del paragrafo comincia con il n. 63. Richiamandosi alla teologia dei Padri, il testo dichiara che Maria è l'immagine originaria della Chiesa. La base di questo fatto è costituita dal duplice mistero della sua verginità e della sua maternità. In questo ella precede la Chiesa. Anche la Chiesa è una madre dispensatrice di vita, quando con la predicazione della parola di Dio e il battesimo genera « a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio (LG 64). Ma tale maternità è possibile solo quando la Chiesa è unita a Cristo nella fede, nella speranza e nella carità ed è così completamente libera per Dio. Una tale concezione ha naturalmente delle conseguenze per la Chiesa nel suo complesso così come per i singoli suoi membri. Nella misura in cui essa realizza in se stessa l'atteggiamento mariano, realizza anche la propria unione con Cristo e risponde alla propria finalità, che è quella di configurarsi sempre più a lui e adempiere precisamente così il proprio compito materno nel mondo.
A questa considerazione segue per logica intrinseca il paragrafo che parla del culto della Beata Vergine nella Chiesa. Qui il Concilio parla in maniera molto chiara e sobria. La posizione della Madre di Dio nel piano salvifico esige ch'ella venga onorata e venerata. Però, siccome Maria deve tutto quel che è a Dio in Cristo per opera dello Spirito Santo, ogni culto mariano è relativo e, andando oltre se stesso, rimanda immediatamente al Figlio e al Padre. Le norme pastorali mettono in guardia di fronte all'estremismo del rifiuto di ogni culto mariano, che porta alla « grettezza di spirito », così come mettono in guardia di fronte all'estremismo opposto di una « falsa esagerazione » (LG 67). Soprattutto mettono in rilievo lo spirito e l'atteggiamento ecumenico che bisogna coltivare su questo spinoso terreno ed esortano i teologi e i predicatori a evitare « sia nelle parole che nei fatti... ogni cosa che possa indurre in errore i fratelli separati o qualunque altra persona circa la vera dottrina della Chiesa » (ivi).
La costituzione chiude l'ottavo capitolo gettando uno sguardo a Maria, segno di certa speranza e di consolazione per il pellegrinante popolo di Dio e fa risuonare ancora una volta la aspirazione della Chiesa alla pace e all'unità in campo ecumenico e nella politica mondiale.

3. Importanza e significato per la mariologia

Lo studio delle affermazioni bibliche riguardanti la Madre di Dio ci ha portati a domandarci fino a che punto lo sviluppo teologico della mariologia è rimasto fedele alla sua base. Il nostro giro d'orizzonte ci ha indicato la presenza di un duplice corso nella storia. Da un lato abbiamo potuto constatare che proprio le tappe decisive della riflessione mariologica si sono verificate sul terreno e sul piano del Nuovo Testamento. Dall'altro abbiamo toccato con mano che questo sviluppo è stato minacciato in tutti i tempi da escrescenze, da esagerazioni e da sentimentalismi. La storia del dogma mariano è tutt'altro che aproblematica. Ancor più che in altri settori e in altri campi, vediamo come qui sia vero quanto va ammesso nei confronti di tutta la Chiesa, e cioè che ha continuamente bisogno di essere riformata. Si può coltivare e fare mariologia solo in maniera critica di fronte ai dati di fatto esistenti. Come già in altri campi, ma forse con maggiore evidenza, qui vediamo come una teologia realmente critica sia anche quella più ecclesiale e più cristiana. Infatti essa, dove e fintanto si concepisce realmente come teologia, persegue un solo scopo, che è quello di predicare in maniera più chiara, di proporre in maniera più efficace e di illustrare con maggiore evidenza il messaggio evangelico dell'opera salvifica di Dio in Cristo.
Quando si guarda sotto questo aspetto il lavoro del Concilio Vaticano II, non si può fare a meno di riconoscere che nel settore specifico della teologia mariana esso ha rappresentato una svolta salutare. Il Concilio si distanzia decisamente dalle febbrili esagerazioni dell'epoca precedente ritorna a una trattazione più biblica e più patristica del tema e si rifà di nuovo alle fonti della fede. Non prende in considerazione le glorie di Maria in se stesse, ma studia la sua funzione storico-salvifica - e vanto e onore di Maria è, naturalmente, il fatto che ella l'abbia adempiuta. Allora non è più necessario dilungarsi in canti di lode, allora non c'è più bisogno di ricercare continuamente e spasmodicamente nuovi titoli e rompersi il capo per scovare sempre nuovi privilegi, allora diventa cosa superflua cercare di ritoccare continuamente la immagine di Maria per avvicinarla a quella di Cristo. La benevolenza di Dio si manifesta in maniera sovrabbondante in ciò che egli ha fatto: basta approfondirlo e cercare di vedere con la maggior oggettività possibile le gesta divine, così come Maria stessa ha fatto nel « Magnificat ».
In tal modo la mariologia diventa veramente feconda per tutta la Chiesa. Maria risulta inserita, come la Chiesa, nelle grandi gesta salvifiche di Dio che professiamo nel simbolo della fede: « per noi uomini e per la nostra salvezza ». In lei sono rappresentati tutti i cristiani, tanto che il Concilio ha potuto dire: « La Vergine nella sua vita fu modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini » (LG 65). Maria e la comunità dei santi - intesa in senso biblico come la comunità di coloro che sono stati santificati in Cristo - non possono essere disgiunte. Il destino di Maria non è in fondo diverso da quello della comunità: quel che Dio ha compiuto in lei lo compirà anche in tutti noi. Con queste affermazioni fondamentali aderenti alla realtà e biblicamente documentabili la costituzione sulla Chiesa, guardando le cose in prospettiva, ha certamente reso anche un buon servizio ecumenico.
Il documento stesso sottolinea ch'esso non intende essere una conclusione. La sua genesi spiega l'una o l'altra formula di compromesso, l'una o l'altra ad affermazione oscura. Esse costituiscono nello stesso tempo un'apertura per un'ulteriore dottrina sulla Madre del Signore derivante dalla cristologia e dall'ecclesiologia.







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