Gli Apocrifi: uno sguardo sintetico
Data: Lunedi 14 Settembre 2009, alle ore 0:15:31
Argomento: Apocrifi


di Francesca Paola Massara Docente di Archeologia Cristiana ed Arte ed Iconografia Cristiana presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista” di Palermo



Apocrifi

Caveat omnia apocrypha!”, tuona san Gerolamo, nell’Epistola 107, dando voce, con i toni veementi che gli sono propri, a quella corrente del pensiero patristico particolarmente severa nei confronti di tutto ciò che potrebbe costituire una minaccia per la limpidezza della fede, trascinando verso l’errore dottrinale o, peggio ancora, verso l’eresia dichiarata. Guardarsi da tutti gli Apocrifi è dunque una raccomandazione che accomuna sotto l’ombra del dubbio tutta un’ampia categoria di testi dalle caratteristiche più disparate, e che in realtà avrebbe diritto a una lettura più analitica, valutando attentamente le peculiarità di ogni singolo scritto.

Oggi, quando sembra di assistere a una rivalutazione dei testi apocrifi, spesso generica e non sempre assistita dal necessario vaglio critico (quando non sostenuta da atteggiamenti pregiudiziali), si ha quasi l’impressione, paradossalmente, che si riproponga il contesto letterario dei primi secoli del cristianesimo, quando i pensatori cristiani e Padri della Chiesa erano spesso costretti a intervenire su questioni di grande importanza dove rischiava di regnare una grande confusione o un più subdolo equivoco. Le fonti apocrife sono, infatti, estremamente diversificate tra loro, per cronologia, genere letterario, contenuti dottrinali, orientamenti teologici, scopi e obiettivi dei redattori. Ma se è vero che alcuni testi, come quelli gnostici, sono apertamente in conflitto con la teologia e il messaggio della Sacra Scrittura, è altrettanto vero che una parte di queste fonti antiche risulta estremamente rispettosa dei Libri canonici e si pone nei loro confronti in un rapporto di continuità e congruenza. A queste ultime produzioni letterarie, simili più a pie leggende che a testi filosofico-religiosi, fa riferimento la produzione artistica fin dai primi secoli del cristianesimo, attingendo a un patrimonio assai vasto e affascinante e creando una tradizione iconografica altrettanto poliedrica e, talvolta, anche enigmatica.

Molti episodi raffigurati nelle pitture delle catacombe, sui rilievi dei sarcofagi, nei grandi cicli musivi degli edifici di culto, nei piccoli capolavori di arte suntuaria, oggi sono leggibili per noi solo interpretandoli alla luce delle fonti apocrife; se queste, per avventura, fossero andate disperse, noi ci troveremmo di fronte a un testo incomprensibile, soprattutto in alcuni casi che riguardano vicende poco note e personaggi del tutto favolosi. L’arte paleocristiana trae ampia ispirazione dalla letteratura apocrifa, dimostrando inoltre, in tal modo, che episodi e personaggi ivi narrati non solo sono ben noti ai fedeli, destinatari di quelle immagini, ma che gli stessi committenti e la stessa gerarchia, almeno inizialmente, attribuisce a questi racconti un certo valore e una sua legittimità.

“Canonico” e “apocrifo” tra esegesi e arte

Chiedersi se “canonico” e “apocrifo” siano davvero due termini contrapposti non è fuor di luogo: una lunga storia filologica li rende semanticamente ricchi di implicazioni e li modifica nel tempo. I termini greci κανων (canòn) e κανονικος (canonicòs) derivano da un’unica radice con il senso primo di “canna”, “asta diritta”; da qui si passa poi al significato di “regolo” o “squadra”. In seguito il senso tecnico-filologico cede il posto a quello allegorico: κανων diventa “norma”, “forma perfetta” (il “canone di Policleto”) e poi “criterio di giudizio”.

La cultura greca ricerca la perfezione come armonia, come misura, come “corrispondenza al canone”. Nella storia della Chiesa il termine “canonico” passa a designare l’insieme degli scritti ispirati, depositari delle verità di fede fondamentali su cui si basa il credo cristiano. Anche “αποκρυφος” (apòcrifos) ha una lunga storia, che non comincia con il cristianesimo: indica inizialmente quella parte delle dottrine filosofico-iniziatiche delle religioni pagane destinata a rimanere segreta, a non essere divulgata presso i profani per il suo carattere di conoscenza preziosa e riservata solo a chi può comprenderla pienamente. Così il termine “apocrifo” diventa “termine tecnico” per scritti e insegnamenti a carattere esoterico (nell’originario senso di “segreto, riservato ai soli iniziati”). Poiché questa terminologia è usata anche dai gruppi gnostici-eretici, ben presto assume una connotazione sempre più negativa e “sospetta”. Così, sotto tale denominazione la tradizione della Chiesa antica e la letteratura patristica finiscono per raccogliere un vasto gruppo di testi che, per le loro caratteristiche, non possono essere inseriti nel Canone ufficiale dei libri ispirati, pur se ambiscono a tale dignità, facendo talvolta riferimento ad autori accreditati e proponendosi come autografi di autorevole mano.

L’atteggiamento dei Padri della Chiesa è ambivalente (“apocrypha […] quia in dubium veniunt ”): l’origine dubbia, incerta, e l’uso da parte di alcune sette rendono certi testi sconsigliati e sconsigliabili, in odore di eterodossia; tuttavia, in alcuni casi, i Padri accolgono l’uso, limitato alla meditazione personale, di alcune opere prive di aspirazioni dottrinali e ricche di elementi leggendari, contenenti tradizioni antiche e utili a integrare i racconti neotestamentari. Si tratta di testi da riservare alla devozione privata, non ammessi alla lettura pubblica nelle chiese; tuttavia, nonostante l’esclusione dalle Sacre Scritture, ad alcuni di essi vengono attribuite importanza e diffusione tale da costituire l’origine di tradizioni iconografiche antiche e longeve sia in Oriente sia in Occidente.

Ai fini dello studio della storia dell’arte rivestono interesse solo quegli Apocrifi neotestamentari, già inclusi nel Decretum Gelasianum di VI secolo, che nelle forme e nel genere letterario richiamano o rivendicano un’origine apostolica ma che, in realtà, è possibile catalogare come espressioni di una religiosità popolare che privilegia l’elemento devozionale, moralistico, aneddotico e dove prevale lo scopo di completare la laconicità dei racconti canonici senza intenzioni eretiche o alterazioni dottrinali; talvolta interesse pietistico e fantasia concorrono nell’evolvere poche notizie facenti capo a una tradizione sicura. Questi scritti si caratterizzano per l’antichità talvolta pari ai canonici, e per l’influsso determinante che alcuni di essi ebbero sulla cultura e sull’immaginario cristiano (per esempio, i Vangeli dell’Infanzia di Cristo e della Vergine). La tradizione extracanonica tende, infatti, a colmare vaste lacune riguardanti l’infanzia della Vergine, quella del Salvatore, la Passione del Cristo, i tre giorni di Gesù nel sepolcro (Descensus ad inferos), il transito della Madre di Dio (Dormitio Virginis o Transitus Mariae). I primi due temi, ignorati dai canonici, ad eccezione di Matteo e Luca (che inseriscono episodi della Promessa, Natività e Infanzia di Gesù: Mt 1-2; Lc 1-2) sono svolti dai cosiddetti Vangeli dell’Infanzia.

Il Protovangelo di Giacomo si fregia dell’autografia di Giacomo il Minore, “fratello del Signore”, figlio di prime nozze di Giuseppe, secondo l’Apocrifo, e dunque testimone diretto degli eventi; si tratta di un testo greco del 200 circa, nato probabilmente in ambiente copto ma di cui conosciamo traduzioni già in antico nelle lingue orientali e paleoslave; di età poco successiva il Vangelo dello Pseudo-Matteo (o “Libro sulla nascita della Beata Maria e sull’Infanzia del Salvatore”), compilazione latina che rielabora e amplia il Protovangelo e che può considerarsi quasi il suo corrispettivo occidentale, anche se più tardo (VIVII secolo per il Bonaccorsi; VII-VIII secolo per Erbetta). Il Vangelo dell’Infanzia armeno, il cui nucleo principale risale al 590 circa, e il Liber de Infantia Salvatoris (Ms. Arundel 404 - Hereford 0.3.9.), la cui fonte primaria è forse anteriore al VI secolo, attingono largamente ai primi due testi integrandoli con ulteriori elementi, talvolta attinti alle tradizioni orientali.

Le fonti citate hanno in comune l’essere incentrate soprattutto su Maria: i nomi dei genitori, le circostanze eccezionali del suo concepimento, gli episodi della fanciullezza, fino al matrimonio con Giuseppe, le Annunciazioni (ben tre), e gli eventi che ruotano intorno alla Natività.


 







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