Caterina Labouré: una vita all'ombra di Maria
Data: Giovedi 6 Giugno 2013, alle ore 12:40:18
Argomento: Santi


Articolo di SZ su Myriam, Anno LIX (2009), n. 1, pp. 5-11.



 

Caterina Labouré nacque il 2 maggio 1806 a Fain les Moutiers, paese della Borgogna (Francia) di duecento abitanti, da Pietro e Maddalena Gontard, modesti proprietari terrieri. La famiglia, che viveva in una grande fattoria, fu arricchita dalla nascita di ben 17 figli, di cui solo dieci sopravvissero. Caterina, chiamata da tutti Zoé, era l’ottava di sette maschi e tre femmine. Il 9 ottobre del 1815, quando Caterina aveva nove anni, un fulmine caduto improvvisamente sulla casa della famiglia Labouré, uccise mamma Maddalena, lasciando papà Pierre solo con gli otto figli rimasti in famiglia. Questi, potendo contare sulla solidarietà dei parenti, mandò le figlie più piccole, Tonina e Caterina, ad abitare presso la casa della cognata, mentre la figlia più grande, Maria Luisa, che nel frattempo era entrata nel postulandato delle Figlie della Carità, fece ritorno in famiglia per badare agli altri fratelli, fra i quali c’era il piccolo Augusto, rimasto invalido a seguito di un incidente. Questa situazione durò appena due anni, quando il padre acconsentì che la figlia maggiore rientrasse in convento, richiamando così in famiglia le due figlie lontane. La vita di Caterina trascorreva immersa negli impegni quotidiani della vita domestica e dei lavori richiesti per la conduzione della fattoria. Ben presto, nonostante la giovane età, la sua presenza si dimostrò preziosa e indispensabile. I ritagli di tempo libero furono dedicati alla preghiera, inginocchiata sulla pietra dura del pavimento della chiesa del paese, poco distante dalla sua casa. Erano momenti importanti, intensi, di una grande ricchezza spirituale. Purtroppo, per la carenza di sacerdoti sopraggiunta a seguito delle persecuzioni della Rivoluzione francese, la messa veniva celebrata raramente. Ma quando veniva celebrata, tutto il villaggio era presente. La famiglia Labouré aveva il suo posto fisso, proprio vicino alla cappella della Madonna, che aveva fatto restaurare a proprie spese. È proprio in questa cappella, detta “dei Labouré” che Caterina, nei suoi colloqui quotidiani, incontrava Maria Santissima, a cui aveva chiesto, abbracciandone la statua, di diventare la propria mamma. Questi incontri si fecero più intensi dopo il 25 gennaio del 1818, giorno della sua prima comunione.

La vocazione

Due anni dopo, quando aveva 14 anni, espresse per la prima volta, parlandone alla sorella Tonina, il desiderio di abbracciare la vita religiosa. Tra il tempo dedicato al lavoro, le cure della famiglia e la preghiera quotidiana nella chiesetta di campagna, Caterina aspettava di conoscere dal Signore cosa avrebbe voluto che facesse. Fu all’età di 18 anni che la volontà di Dio, letta attraverso il ricordo di un sogno notturno, apparve chiara. Sognò di trovarsi nella “sua” chiesetta, mentre un prete anziano si apprestava a celebrarvi la S. Messa. Caterina, che partecipava alla celebrazione, si sentì presa da un sentimento misto di attrazione e paura. Continuando nel sogno, uscì dalla chiesa per andare a trovare un’ammalata, dove però incontro lo stesso vecchio prete, che le disse: «figlia mia, è una cosa buona curare gli ammalati. Voi ora fuggite, ma un giorno sarete contenta di venire a me. Dio ha dei disegni su di voi. Non dimenticatelo!». Ancora impaurita, uscì dalla casa con un grande calore nel cuore e, arrivata sotto il portico della casa paterna, si svegliò. Il progetto di Dio sembrava chiaro. Ma le difficoltà non mancavano: l’autorizzazione del padre e, soprattutto, il fatto che ancora non sapesse né leggere, né scrivere. La prima fu superata frequentando per qualche mese lo studentato che una sua cugina dirigeva a Chatillon, dove ebbe l’occasione di apprendere a leggere e a scrivere ma soprattutto, con l’aiuto di un buon sacerdote, farsi accompagnare nel suo cammino vocazionale. Assime a sua cugina, Caterina andò a visitare il convento delle Figlie della Carità. Entrando nel parlatorio delle suore il suo sguardo fu attratto da un quadro di San Vincenzo de’ Paoli. Rimanendo immobile di fronte a quel volto riconobbe immediatamente il vecchio prete del sogno, il Fondatore dell’Ordine delle Suore della Carità! Per Caterina fu un ulteriore segno della volontà di Dio! Ritornata in famiglia, attese il compimento dei suoi 21 anni e, il 2 maggio del 1827, rivelò la sua decisione ai familiari. Ma l’ostacolo maggiore, come ebbe modo di intuire, fu superare le resistenze del padre che, avendo già una figlia suora, non se la sentiva di dare il suo consenso anche per un’altra. Furono mesi di sofferenza, durante i quali Caterina soggiornò nella casa del fratello a Parigi e poi, ancora una volta, nel pensionato di Chatillon, dove approfittò per perfezionare la sua istruzione. In quella cittadina, con l’aiuto dei parenti, finalmente poté entrare nel postulandato delle Suore della Carità, dove rafforzò la sua vocazione e fece l’esperienza del servizio ai poveri. Passati i mesi canonici della prova, approvato il suo ingresso definitivo nell’Ordine, fu inviata a Parigi per il noviziato, nella Casa Madre, al 132 della Rue du Bac. Era il 21 aprile del 1830.

Il noviziato, le prime apparizioni

Qualche giorno dopo il suo ingresso nella casa Madre partecipò alle celebrazioni della traslazione delle reliquie di San Vincenzo nella cappella di Rue de Sèvre, la Curia generale della Congregazione maschile da lui fondata. Le reliquie rimasero esposte per parecchi giorni, durante i quali Caterina ebbe modo di soffermarvisi in preghiera e raccoglimento. Quel contatto prolungato con i resti mortali del Santo Fondatore condusse la giovane novizia all’esperienza unica di vedere il cuore di San Vincenzo. «Esso mi apparve tre giorni di seguito in modo differente: bianco, color carne, e cio’ annunciava la pace, la calma, l’innocenza e l’unione. Poi l’ho visto color fuoco, che era il simbolo della carità che si infiammerà nei cuori. Mi sembrava che la carità dovesse rinnovarsi ed espandersi fino agli estremi del mondo. Infine mi apparve rosso scuro, e ciò mi mise tristezza nel cuore. Avevo delle pene che non riuscivo a superare. Non sapevo perché né come queste tristezze riguardavano il cambiamento di governo». Parlandone con il suo confessore, padre Aladel, fu invitata alla calma con queste parole: «non ascoltate queste tentazioni. Una Figlia della Carità è fatta per servire i poveri e non per sognare». Tentò di obbedire al suo confessore, ma il Signore continuò a mandarle altri segni. Nel mese di maggio, durante la messa, vide il volto di Gesù impresso nell’Ostia. Nonostante fosse grande il desiderio di obbedire ai consigli del confessore, la visione si ripetè più volte e in varie occasioni. «Ho visto nostro Signore nel SS. Sacramento (…) tutto il tempo del mio seminario, eccettuate tutte le volte che ho dubitato (cioè resistito); allora, la volta successiva non vedevo niente, perché volevo approfondire (…) dubitavo di questo mistero, credevo di sbagliarmi». Furono esperienze che andavano oltre la sua volontà, inspiegabili per una novizia, chiamata continuamente a confrontarsi con le resistenze del suo confessore, che non voleva saperne. Ma il Signore, che tramite Caterina aveva aperto una finestrella di dialogo col mondo, aveva qualche cosa da trasmettere anche al suo confessore, p. Aladel.

Le apparizioni della Madonna

Il fatto centrale di tutta la vita di S. Caterina, però, fu e rimane sempre quello delle apparizioni della Madonna, che le affidò la "Medaglia miracolosa" da diffondere nel mondo intero. Ma non le racconteremo adesso, perché seguiremo gli eventi della sua esistenza così come sono stati visti all’esterno. Nessuno, finché fu in vita, venne a sapere del privilegio di aver visto la SS. Vergine. Tranne il suo confessore, p. Aladel e, pochi mesi prima della morte, la superiora, a cui consegnò una lettera. Fu il p. Aladel a pubblicare un opuscolo con il contenuto delle apparizioni e a propagare la devozione alla Medaglia Miracolosa. Caterina rimase sempre in convento, tra le pentole, il bucato, le galline e i suoi poveri anziani. Pochi istanti dopo aver lasciato questa terra, la superiora della comunità disse ad alta voce: «Poiché suor Caterina è morta, non vi è più nulla da nascondere. Leggerò quanto ella ha scritto». Prese il foglio e iniziò a leggere:«Un giorno (…) in un profondo silenzio, tutto a un tratto (…) ho visto la santa Vergine vicino al tabernacolo…». Erano passati 46 anni dalla notte di quel 18 luglio del 1830. Suor Caterina li trascorse all’ombra di questo grande segreto, mentre la luce della Medaglia Miracolosa illuminava i cuori di milioni di fedeli, infondendo i suoi raggi di grazia nel mondo intero.

Col segreto nel cuore

Quegli anni suor Caterina li trascorse all’ombra di questo grande segreto. Dopo aver emesso la professione religiosa, nel gennaio del 1831, fu trasferita nel convento di Enghien, un sobborgo della periferia di Parigi, dove le suore avevano un ospizio per poveri anziani. Vi soggiornò per il resto dei suoi anni, sino alla morte. I suoi uffici furono la cucina, il servizio degli anziani e dei poveri e, quando ormai le forze vennero meno, la portineria. Una suora fra le tante, dedita al servizio della Carità, come le voleva S. Vincenzo. Quegli anni non furono facili. La videro presente con la sua indole contadina, da donna forte e pratica. Nel 1832 si scatenò una vasta epidemia di colera e tutte le suore, Caterina con loro, si prodigarono nella cura degli ammalati, assistendoli giorno e notte. Fu allora che la Madonna, tra il dolore e le sofferenze della gente, attraverso la devozione alla Medaglia Miracolosa aprì il suo manto di grazie a protezione di quanti ricorsero a Lei. Più tardi, con la sconfitta della Francia da parte della Prussia, nel gennaio del 1871 Parigi fu presa d’assedio da una moltitudine inferocita che gridava «alla Repubblica». Si mise in moto un grande movimento di odio, ostile alla religione e al clero. Varie chiese furono incendiate, si requisirono conventi e, quel che è peggio, moltissimi religiosi e laici, furono perseguitati e uccisi. Tra questi, lo stesso arcivescovo di Parigi, con alcuni preti e gli stessi gendarmi che lo difendevano. Suor Caterina, mentre infondeva coraggio alle suore della sua comunità, assicurando la protezione della Vergine Maria, si prodigò per la continuazione del loro ministero di carità a favore dei sofferenti, affrontando a viso aperto le autorità che pretendevano la requisizione del loro convento. Non trascurò neppure la sua numerosa famiglia, interessandosi alle sorti di tutti, dando consigli, raccomandando e pregando per loro. In particolare, fu vicina alle vicissitudini della sorella maggiore M. Louise che, suora delle Figlie della Carità, per delle incomprensioni aveva lasciato l’Istituto. Continuando a starle vicino con la preghiera e mantenendo rapporti epistolari costanti, senza nessuna forzatura, la vide rientrare in comunità, nella stessa Casa Madre dove lei, Caterina, aveva frequentato il noviziato, a pochi chilometri dal suo convento di Enghien.Fu qui che, la sera del 31 dicembre del 1876 Suor Caterina Labouré morì. I suoi funerali, celebrati nella cappella dell’ospizio, riempita all’inverosimile da una folla che ormai sapeva di aver vissuto vicino “alla suora che aveva visto la SS. Vergine”.

 







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