L'anno dei due Papi e Maria
Data: Venerdi 9 Agosto 2013, alle ore 17:27:11
Argomento: Chiesa


Lettera del Preside della Facoltà Teologica "Marianum" di Roma Salvatore Maria Perrella, in Marianum Notizie-News 1/2013, pp. 1-6.



Nella storia della Chiesa cattolica il 2013 sarà ricordato come l’anno dei due Papi: Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (2005-2013), Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco (2013-).
Alla stragrande maggioranza dei credenti è arrivata, inaspettata e inattesa, la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI da Vescovo di Roma; ministero iniziato il 19 aprile 2005 e che lo ha impegnato 7 anni, 10 mesi e 9 giorni, sino alle ore 20 del 28 febbraio 2013. Nell’Anno della Fede, durante il Concistoro pubblico di lunedì 11 febbraio 2013, memoria liturgica della Vergine di Lourdes, egli ha “passato la mano” chiedendo l’elezione di un Successore,1 avendo consapevolezza «di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli».2 In questo complesso frangente della vita della Chiesa e del mondo, Benedetto XVI, avendo «ripetutamente esaminato la propria coscienza dinanzi a Dio (conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata)», a causa dell’avanzare degli anni, «ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà» (bene conscius ponderis huius actus plena libertate), ha rinunciato al ministero petrino che lo ha visto successore del defunto beato Giovanni Paolo II (1978-2005).
Le dimissioni di un Papa, seppur rare – basti pensare che l’ultimo dimessosi fu Gregorio XII (1406-1415),3 che su richiesta del Concilio di Costanza (1415) col suo gesto portò alla soluzione del grande scisma d’Occidente4 (anche se molti, a questo proposito, ricordano più facilmente l’atto eclatante di Celestino V eletto e dimessosi nello stesso anno: 13 dicembre 1294)5 –, nei tempi moderni sono un fatto inusitato ma non peregrino, in quanto tale possibilità è contemplata dal diritto ecclesiastico.6 Le dimissioni del Vescovo di Roma, comunque, pur rimanendo un importante atto ecclesiale che non potrà non avere influssi per il futuro della Chiesa e dello stesso ministero petrino, rimangono un evento che porta in sé luce e oscurità che solo la fede nel disegno provvidente di Dio potrà illuminare. Dinanzi a tale atto di coraggio e di umiltà di Benedetto XVI, che declina il primato di Dio sull’io, e il verace e sconfinato amore per la Chiesa, non possiamo che dire grazie a questo colto e appassionato “semplice e umile operaio della vigna del Signore”, che in quasi otto anni di difficile ma fecondo pontificato ha saputo dire bene di Cristo e della sua santa Madre con grande sapienza teologica e pastorale.
Il commiato del Papa, della mariologia densa ma breve, si è concluso con un pensiero a Maria, così come lo aveva espresso sin dagli inizi del suo ministero.7 Infatti, mercoledì 20 aprile 2005 al termine dell’Eucaristia egli inviò alla Chiesa universale il suo primo Messaggio,8 dove, fra l’altro, rinnovando la sua fedeltà e la sua richiesta al Signore (Mane nobiscum Domine), affidava se stesso e il suo ministero alla Vergine: «Mane nobiscum, Domine! Resta con noi Signore! Quest’invocazione, che forma il tema dominante della Lettera apostolica di Giovanni Paolo II per l’Anno dell’Eucaristia, è la preghiera che sgorga spontanea dal mio cuore, mentre mi accingo ad iniziare il ministero a cui Cristo mi ha chiamato. Come Pietro, anch’io rinnovo a Lui la mia incondizionata promessa di fedeltà. Lui solo intendo servire dedicandomi totalmente al servizio della sua Chiesa. A sostegno di questa promessa invoco la materna intercessione di Maria Santissima, nelle cui mani pongo il presente e il futuro della mia persona e della Chiesa».9
Al termine del suo pontificato, ancora una volta, in un importante snodo della storia ecclesiale, Benedetto XVI nella Declaratio di rinuncia al pontificato con parole accorate ha affidato se stesso, la Chiesa e il nuovo Vescovo di Roma al supremo Pastore Gesù e alla materna cura della Santa Madre di Dio e della Chiesa: «Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio».10
La devozione personale dei Pontefici alla Madre del Signore è una lunga e costante consuetudine. A tal riguardo, Cettina Militello, commentando la tradizionale statio del Vescovo di Roma a Santa Maria Maggiore, dove compie il gesto di venerazione all’icona della Salus Popoli Romani, nel contesto della solenne presa di possesso della cattedrale di Roma in San Giovanni Laterano, ha asserito giustamente, riferendosi a Maria: «Il popolo cristiano sin dai tempi più antichi ne ha invocato l’aiuto e ne ha venerato l’immagine. Ecclesialmente parlando in Lei ha colto la figura perfetta della Chiesa. Chiesa nascente, Chiesa compiuta, nel suo mistero di grazia e di gloria, Maria è apparsa, come insegna il Vaticano II, “tipo”, “modello” e “membro” sovreminente della comunità salvata (cf. LG 53), perciò segno di speranza e di sicura consolazione per il peregrinante popolo cristiano (cf. LG 69)».11
In realtà, negli anni del suo pontificato, interpretando più volte i sentimenti del popolo cristiano e di se stesso, con incisività e discrezione, Benedetto XVI ha richiamato l’importanza e l’efficacia dell’invocazione e della protezione della Madre del Signore, in quanto riconosciuta vera e affidabile mater viventium (cf. Gn 3,20). Il mandato ultimo di Benedetto XVI alla Chiesa che ha amato ed ama sino a lasciare il “soglio di Pietro” (rinuncia che non è stata una fuga dalla tempesta, ma un abbandonarsi a una “chiamata oltre” per essa), è l’invito accorato alla preghiera silenziosa ed operosa per la Chiesa e il mondo, affinché entrambi ricuperino e/o rafforzino, il primato dell’ascolto della Parola e del silenzio interiore sulla geenna dei rumori del nostro tempo. Infatti, nell’ultimo Angelus del suo pontificato pronunciato dalla finestra dello studio privato in Piazza San Pietro davanti a una folla sterminata di fedeli venuti ad ascoltarlo, ad ossequiarlo e a ringraziarlo per il suo servizio pontificale, Papa Ratzinger, commentando il brano evangelico della Trasfigurazione (cf. Lc 9,28-36 e par.), ha consegnato alla Chiesa una sorta di testamento spirituale:
«Meditando questo brano del Vangelo, possiamo trarne un insegnamento importante. Innanzitutto il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce all’attivismo […]. Cari fratelli e sorelle questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa».12
È in un habitat orante pro multis che Benedetto XVI si è ora raccolto per indicare alla Chiesa e a tutti noi come in tale spazio essenziale di ascolto maturano le buone intenzioni e si elaborano le sane strategie di risanamento e rinnovamento capaci di dare senso affidabile e duraturo alla nostra stanca speranza, facendo sgorgare, dal deserto incombente, parole e gesti sapienti che sapranno, con l’aiuto di Colui che tutto può, trasformare in giardino la realtà ferita, umana ed ecclesiale, dei nostri giorni. La preghiera assidua per il mondo, l’umanità e la Chiesa è la rugiada che irrorerà la terra arida e bisognosa di linfa e di nutrimento. A conclusione del suo pontificato Benedetto XVI a Castel Gandolfo ha così parlato per l’ultima volta come Vescovo di Roma: «Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità».13
Benedetto XVI con il suo esempio, con gesti e parole ha mostrato la verità di quanto già osservato dal teologo e vescovo partenopeo Bruno Forte: «Veramente allora obbedisce alla Parola, chi “tradisce” la Parola, chi non si ferma alla lettera, ma ruminandola, scava in essa per accedere ai sentieri del Silenzio […]. Credere nella Parola dell’avvento sarà allora lasciare che la Parola, schiudendo i sentieri del Silenzio, contagi al cuore umano la forza pervasiva di questo Silenzio fecondo, accogliente».14
Papa Ratzinger, è stato un vero e convincente maestro di vita interiore, per cui non ci resta che tesaurizzare il suo insegnamento unitamente a quello del suo successore, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires (Argentina), Jorge Mario Bergoglio eletto la sera del 19 marzo 2013, che ha assunto il nome di Papa Francesco, primo Vescovo di Roma veniente dall’America Latina, a cui lo stesso Benedetto XVI ha promesso “reverenza e obbedienza”. Nuovo Vescovo di Roma, quindi Episcopus episcoporum, che i padri cardinali hanno eletto perché continui a guidare la “barca di Pietro” in acque meno tempestose avendo la certezza che Cristo è l’invisibile ma esperto ed efficace nocchiero. Il novello Papa, preso dai padri Cardinali in Conclave «quasi alla fine del mondo», amato subito dal popolo cristiano per la sua semplicità e immediatezza, ha scelto un nome mai visto prima nella nomenclatura pontificia, volendo porre e impostare il suo ministero universale alla luce del Poverello d’Assisi, icona vivente del Cristo povero, umile e crocifisso. È così iniziato il 266° pontificato della storia della Chiesa, inaspettato e sorprendente, a partire dal nome che il nuovo pontefice si è scelto: Francesco.
Sin dal primo momento della sua elezione Papa Bergoglio, ha promesso e si è impegnato a intraprendere con i credenti un «cammino di fratellanza, di amore, di fiducia»! E nella lettera pastorale del 2012 in qualità di pastore della Chiesa locale di Buenos Aires, prendendo spunto dal motu proprio Porta fidei del suo Predecessore, invitava i fedeli a «varcare la soglia, fare un passo che è il segno di una decisione intima e libera  per convincerci a entrare in una vita nuova». E «si attraversa la porta della fede, si varca la soglia quando il Verbo di Dio è annunciato e il cuore si lascia plasmare dalla Grazia che lo trasforma. Una grazia che porta un nome concreto: Gesù».15
La forte caratura cristologico-francescana di questo primo Papa gesuita della storia, possiede anche una grande caratura mariana: Papa Francesco è innamorato della Madre di Cristo, la venera con tenero amore filiale, con gesti semplici e cordiali in sintonia con la genuina pietà del popolo cristiano. Ma la semplicità ed immediatezza dei gesti di Papa Bergoglio non sono affatto privi di sodi contenuti teologici; egli sa bene chi è la “Madonna”, come sa anche bene che la vera devozione a lei «non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una vana credulità, ma bensì procede dalla vera fede, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù» (Lumen gentium n. 67). A Papa Francesco non sfugge l’importanza dell’imitazione delle virtù evangeliche della Serva del Signore, a cui sempre fa riferimento nei suoi interventi (Omelie, Angelus, Discorsi). Nella solenne conclusione del mese mariano, il 31 maggio scorso, al termine del santo Rosario recitato con migliaia e migliaia di pellegrini, Papa Francesco, riflettendo sul testo lucano della Visitazione di Maria ad Elisabetta (cf. Lc 2,39-56), ha detto: «Tre parole sintetizzano l’atteggiamento di Maria: ascolto, decisione, azione; ascolto, decisione, azione. Parole che indicano una strada anche per noi di fronte a ciò che ci chiede il Signore nella vita. Ascolto, decisione, azione […]. A volte noi ci fermiamo all’ascolto, alla riflessione su ciò che dovremmo fare, forse abbiamo anche chiara la decisione che dobbiamo prendere, ma non facciamo il passaggio all’azione. E soprattutto non mettiamo in gioco noi stessi muovendoci “in fretta” verso gli altri per portare loro il nostro aiuto, la nostra comprensione, la nostra carità; per portare anche noi, come Maria, ciò che abbiamo di più prezioso e che abbiamo ricevuto, Gesù e il suo Vangelo, con la parola e soprattutto con la testimonianza concreta del nostro agire».16
Siamo agli inizi di un pontificato che certamente, con l’aiuto di Dio, porterà grandi benefici alla Chiesa in cerca di serenità e di un cammino più spedito e fiducioso nella nostra storia, seguendo con perseveranza ed umiltà le orme del Pastore delle nostre anime, Gesù Cristo, figlio di Dio e della Vergine.

NOTE
1 BENEDETTO XVI, «Declaratio», dell’11 febbraio 2013, in L’Osservatore Romano, lunedì-martedì 11-12 febbraio 2013, p. 1.
2 BENEDETTO XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, LEV, Città del Vaticano 2010, p. 53.
3 Cf. CH. CORALLI, «Gregorio XII», in AA. VV., Enciclopedia dei Papi, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2000, vol. 2, 584-593.
4 Sull’assemblea più grande e partecipata di tutto il tardo medioevo, cf. J. WOHLUTH, «Il Concilio di Costanza (1414-1418)», in G. ALBERIGO (ED), Storia dei Concili Ecumenici, Queriniana, Brescia 1990, 222-239. Lo studioso annota: «Le trattative con Gregorio sulle sue dimissioni non si delineavano difficili, perché egli stesso era pronto ad una ritirata dignitosa, anche se la sua obbedienza si estendeva ben al di là dell’Italia […]. Per venire incontro a chi era disposto a dimettersi, il concilio accettò di essere convocato ancora una volta da un cardinale di Gregorio XII (Giovanni Dominici). Ciò avvenne il 4 luglio nella sessione XV, in cui vennero proclamate le dimissioni di Gregorio» (ibidem, 227-228).
5 Cf. P. HERDER, «Celestino V, santo», in AA. VV., Enciclopedia dei Papi, vol. 2, 460-469.
6 La decisione del Papa è stata presa in conformità del canone 332 paragrafo 2 del CJC promulgato nel 1983 da Giovanni Paolo II: in esso si afferma: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti».
7 Cf. S. M. PERRELLA, Maria madre di Gesù Cristo “Porta della fede” nella crisi della contemporaneità. Alcuni pensieri teologici a seguito del pontificato di Benedetto XVI (2005-2013), in Theotokos 21 (2013), pp. 169-219.
8 Cf. BENEDETTO XVI, Gratia copiosa, messaggio alla Chiesa universale, del 25 aprile 2005, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. 1, pp. 1-7.
9 Ibidem, 12-13.
10 IDEM, «Declaratio», dell’11 febbraio 2013, in L’Osservatore Romano, lunedì-martedì 11-12 febbraio 2013, 1.
11 C. MILITELLO, «Ecclesiologia dell’Ordo», in UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE, Inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma Benedetto XVI, LEV, Città del Vaticano 2006, 319.
12 BENEDETTO XVI, Angelus, di domenica 24 febbraio 2013, in L’Osservatore Romano, lunedì - martedì 25-26 febbraio 2013, 8.
13 IDEM, «Saluto/Commiato», in L’Osservatore Romano, sabato 2 marzo 2013, 1.
14 B. FORTE, La parola della fede. Introduzione alla Simbolica ecclesiale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 25.
15 Cf. S. GAETA, Papa Francesco. La vita e le sfide, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.
16 PAPA FRANCESCO, Meditazione a termine del Rosario, del 31 maggio 2013, in L’Osservatore Romano, domenica 2 giugno 2013, p. 8.







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