Un articolo di Natale Maffioli su Maria Ausiliatrice, 32 (2001) n. 1, pp. 42-43.
Gli estremi della vita di Andrea Mantegna sono affidati ad alcuni registri parrocchiali: nacque a Isola di Cartura (Padova) nel 1431 e morì a Mantova nel 1506. Fu subito pittore. Giovanissimo era già a bottega dallo Squarcione, il “talent scout” padovano che raccolse nella sua variopinta officina un gruppo di giovani promesse che, visti i risultati, furono definiti “desperados”. Mantegna, Tura, Crivelli, Schiavone, Marco Zoppo portarono nella pittura del Nord Italia un vento che squassò la tenera sensibilità tardo gotica. E di questa pittura, Andrea fu il monarca assoluto. Uno sguardo all’autoritratto che presidia la sua tomba nella basilica di Sant’Andrea a Mantova dice tutto: i capelli a boccoli, numerati ad uno ad uno come nella statuaria classica, incorniciano il viso di un uomo straordinariamente consapevole della caducità del tutto. Non amarezza, ma consapevolezza: ecco la pittura del Mantegna!
Figure vibranti e vive
Andrea dipinse la grandiosa pala (si tratta di un trittico) per la basilica veronese di San Zeno, tra il 1456 e il 1460 (per inciso, la chiesa è uno dei capolavori del romanico in Italia e il San Zeno, ottavo Vescovo di Verona, è morto nel 380). Mantegna diede seguito alla commissione stando a Padova. In questa città aveva al suo attivo gli affreschi della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani e il polittico di San Luca per la chiesa di Santa Giustina. La parte centrale del dipinto a San Zeno è occupata da una tenerissima Madonna con Bambino, circondata da angeli, mentre le fanno da sfondo elementi architettonici di classica bellezza. Sovrasta la figura una ghirlanda di frutti (sembra quasi il biglietto da visita degli squarcioneschi), simbolo della fecondità di Maria e della Chiesa. I due scomparti laterali sono affollati da Santi: a sinistra, Zeno, Giovanni, Paolo e Pietro; a destra, Benedetto, Lorenzo, Ambrogio e Giovanni Battista. I tre scomparti sono unificati dall’architettura, interrotta, quasi accidentalmente, dalle colonne che dividono la tavola. Le figure, vibranti e vive, sanno di statuaria antica.
I richiami all’antichità
Il Mantegna aveva sotto mano i migliori modelli allora sul mercato: Giotto agli Scrovegni e, soprattutto, Donatello nella basilica del Santo. Ma all’ottimismo fiorentino Mantegna oppone una consapevolezza (poi chiamata tristezza, durezza) tutta sua, quella stessa che lo mette in linea con Piero della Francesca e, dopo, con Lorenzo Lotto e altri. Mantegna ama la pietra: la pietra grezza, dura e tagliente, che fa da sfondo a tanti suoi dipinti, ma anche quella lavorata delle lapidi e dei frammenti classici. La sua passione per l’antichità classica si può far risalire agli anni dell’apprendistato padovano: questo amore per le “anticaglie” lo condusse sul lago di Garda, nel 1464, con alcuni amici umanisti alla ricerca di antichità. La pala è tuttora conservata nella chiesa di San Zeno a Verona. La cornice del trittico è quella originale, architettata, con probabilità, dallo stesso Mantegna influenzato dalla cornice marmorea che raccoglieva le sculture di Donatello sull’altare della basilica del Santo. Le tre tavolette della predella sono copie. Gli originali furono portati in Francia al tempo dell’occupazione napoleonica e non tornarono più.
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