La Madonna di Ognisanti di Giotto
Data: Lunedi 26 Maggio 2014, alle ore 15:57:39
Argomento: Arte


Un articolo di Natale Maffioli in Maria Ausiliatrice, settembre 2012, pp. 8-9.



Realizzata attorno al 1310, su richiesta della potente comunità degli Umiliati, fu posta sull’altare maggiore della chiesa fiorentina di Ognissanti. Oggi è conservata nella Galleria degli Uffizi.

 Secondo la versione più accreditata, Giotto, figlio di Bondone, era nato verso il 1267 a Vespignano, presso Vicchio nel Mugello. Il padre era un contadino e in un primo momento lo allogò come apprendista nell’Arte della lana a Firenze, permettendogli di frequentare la bottega di Cimabue. Poi, vista l’inclinazione del figlio, si risolse di mandarlo dal pittore senza altra occupazione. I suoi primi impegni sono tutti ipotetici: forse lavorò nella decorazione della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, affrescando alcuni episodi tratti dall’Antico Testamento. Nel frattempo, è quasi certo che abbia compiuto un viaggio a Roma, dove ampliò la sua cultura artistica avvicinando le opere dell’antichità classica, le pitture di Pietro Cavallini e le sculture di Arnolfo da Cambio. Ritornò, poi, ad Assisi, dove affrescò le storie di San Francesco, sempre nella Basilica Superiore. È, forse, di questo periodo il frammento in San Giovanni in Laterano, dove Giotto rappresentò Papa Bonifacio VIII che indice il primo giubileo della storia.

A servizio degli Scrovegni e di Roberto d’Angiò

Dal 1303 iniziò a lavorare agli affreschi della cappella degli Scrovegni, a Padova. Il committente era Enrico degli Scrovegni. Il ricco banchiere patavino aveva fatto costruire una cappella di famiglia sui resti dell’antica arena cittadina. Terminati i lavori, Giotto tornò a Roma per attendere ai cartoni del mosaico della Navicella in San Pietro. Lavorò, poi, a Firenze, in Santa Croce, alle cappelle Peruzzi e Bardi. Fu al servizio di Roberto D’Angiò a Napoli, ma non resta nulla che possa ragguagliarci sui progressi del maestro nell’arte sua, se non un segno evidente nella produzione dei pittori locali. Il 18 luglio 1334 pose le fondamenta del campanile della cattedrale fiorentina. Ma non giunse a vederne la conclusione; morì l’8 gennaio 1337 e fu sepolto con tutti gli onori in Santa Reparata, l’antica cattedrale di Firenze. La Maestà fu realizzata attorno al 1310 e posta sull’altare maggiore della chiesa fiorentina di Ognissanti. Committente era la potente comunità degli Umiliati, che si erano stabiliti in quella zona fuori dalle mura cittadine ed erano dediti, oltre che alla perfezione religiosa, alla lavorazione della lana e del vetro.

Una novità assoluta nella pittura dell’epoca

Nonostante la presenza di arcaismi, come il fondo oro e la proporzione gerarchizzata delle figure, la Maestà di Giotto è di una novità assoluta nell’ambito della pittura fiorentina del primo Trecento. In quest’opera, il pittore recupera la spazialità tridimensionale empirica propria degli antichi e supera la frontalità tipica delle icone bizantine. Le innovazioni interessano anche le figure di Maria e del piccolo Gesù, che hanno una solidità mai vista in opere precedenti. Anche il chiaroscuro dei panni è netto e teso a dare “verità alle vesti”. Maria è seduta su un trono cuspidato, di schietto gusto gotico con aperture a bifore trilobate, creato con una prospettiva che rimanda al seggio della Madonna di Santa Trinità di Cimabue, oppure al trono della “Giustizia” nella Cappella degli Scrovegni, affrescato dallo stesso Giotto; è decorato con marmi variegati e con ornamenti vicini alla produzione cosmatesca. Gli sguardi di tutti i personaggi che la affiancano, sono rivolti alla Vergine; gli angeli in primo piano recano doni: i primi due hanno vasi colmi di fiori (primi esempi, in ambito medioevale, di “natura morta”), metafore della purezza e della santità di Maria, i successivi una corona e un cofano, simboli della sua regalità. Interessanti sono i due personaggi che si intravvedono nelle due aperture ai fianchi del trono: creano una sorta di trittico, del quale occupano i due sportelli laterali. Differenziandosi dalle pitture più antiche, Giotto colloca le diverse figure di contorno spaziate, le une dietro le altre, non appiattite su un unico piano e, se pur ancora rigidamente simmetriche, tutte hanno una fisionomia ben definita. La tavola è conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze, dove è collocata vicina a due analoghe composizioni, una di Cimabue (la Madonna di Santa Trinità), l’altra di Duccio di Buoninsegna (Madonna Rucellai).







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