I CONCILI DELLA CHIESA CATTOLICA


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Seconda Parte

Tridentino > Sessione XII - XVI

Sessioni XII-XVI (1551-1552)
CANONI SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELLA PENITENZA


1. Se qualcuno dirà che nella chiesa cattolica la penitenza non è un vero e proprio sacramento istituito dal signore nostro Gesù Cristo, per riconciliare i fedeli con Dio, ogni volta che cadono nei peccati dopo il battesimo, sia anatema.
2. Se qualcuno, confondendo i sacramenti, dirà che il sacramento della penitenza è lo stesso battesimo, quasi che questi due sacramenti non siano distinti e che perciò la penitenza non può essere chiamata la seconda tavola di salvezza, sia anatema.
3. Se qualcuno dirà che le parole del Salvatore: Ricevete lo Spirito santo: saranno rimessi i peccati di quelli, cui li rimetterete e ritenuti a quelli cui li riterrete (288) non devono intendersi del potere di rimettere e di ritenere i peccati nel sacramento della penitenza, come sempre, fin dall’inizio, ha interpretato la chiesa cattolica, e per contraddire l’istituzione di questo sacramento, ne falsa il significato come se si trattasse del potere di predicare il vangelo, sia anatema.
4. Se qualcuno negherà che per la remissione completa e perfetta dei peccati si richiedano, nel penitente, come materia del sacramento della penitenza, questi tre atti: la contrizione, la confessione e la soddisfazione, che sono le tre parti della penitenza o dirà che due sole sono le parti della penitenza, e cioè: i terrori indotti alla coscienza dalla conoscenza del peccato e la fede, concepita attraverso il vangelo o l’assoluzione, per cui ciascuno crede che gli sono rimessi i peccati per mezzo del Cristo, sia anatema.
5. Se qualcuno dirà che quella contrizione, che si ottiene con l’esame, il raccoglimento, e la detestazione dei peccati — per cui uno, ripensando alla propria vita nell’amarezza della sua anima (289), riflettendo alla gravità, alla moltitudine, alla bruttezza dei suoi peccati, alla perdita della beatitudine eterna e all’essere incorso nella eterna dannazione, col proposito di una vita migliore — non è un dolore vero ed utile, che non prepara alla grazia, ma che rende l’uomo ipocrita e ancor più peccatore e che, finalmente, essa è un dolore imposto, non libero e volontario, sia anatema.
6. Se qualcuno negherà che la confessione sacramentale sia stata istituita da Dio, o che sia necessaria per volere divino o dirà che il modo di confessarsi segretamente al solo sacerdote, come ha sempre usato ed usa la chiesa cattolica fin dall’inizio, è estraneo all’istituzione e al comando del Cristo ed invenzione umana, sia anatema.
7. Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza non è necessario per disposizione divina confessare tutti e singoli i peccati mortali, di cui si abbia la consapevolezza dopo debita e diligente riflessione, anche occulti, e commessi contro i due ultimi precetti del decalogo ed anche le circostanze che mutassero la specie del peccato; o dire che la confessione è utile soltanto ad istituire e consolare il penitente, e che un tempo fu osservata solo per imporre la penitenza canonica; o che quelli che si studiano di confessare tutti i peccati, non intendono lasciar nulla alla divina misericordia, perché lo perdoni; o, finalmente, che non è lecito confessare i peccati veniali, sia anatema.
8. Se qualcuno dirà che la confessione di tutti i peccati, come prescrive la chiesa cattolica, è impossibile, e che si tratta di una tradizione umana, che i buoni devono abolire, o che ad essa non sono tenuti, una volta all’anno, tutti e singoli i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, secondo la costituzione del grande concilio Lateranense (290) e che, perciò, bisogna persuadere i fedeli che non si confessino in tempo di quaresima, sia anatema.
9. Se qualcuno dirà che l’assoluzione sacramentale del sacerdote non è un atto giudiziario, ma un semplice ministero di pronunciare e di dichiarare che i peccati sono stati rimessi al penitente, purché solo creda di essere stato assolto, anche nel caso che il sacerdote non lo assolva seriamente, ma per ischerzo; o dirà che non si richiede la confessione del penitente, perché il sacerdote lo possa assolvere, sia anatema.
10. Se qualcuno dirà che i sacerdoti che sono in peccato mortale non hanno il potere di legare e di sciogliere, o che non i soli sacerdoti sono ministri dell’assoluzione, ma che a tutti i singoli i fedeli cristiani è stato detto: Qualsiasi cosa avrete legato sulla terra, sarà legata anche in cielo; e qualsiasi cosa avrete sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nel cielo (291) e: A quelli ai quali avrete rimesso i peccati, saranno perdonati, e a quelli, cui li avrete ritenuti, saranno ritenuti (292) e che in virtù di queste parole ciascuno possa perdonare peccati; e cioè: i peccati pubblici con la sola riprensione, se colui che viene ripreso accetterà di buon animo; i segreti, con una confessione spontanea, sia anatema.
11. Se qualcuno dirà che i vescovi non hanno il diritto di riservarsi dei casi, se non in ciò che riguarda la disciplina esterna e che, quindi, la riserva dei casi non impedisce che il sacerdote possa assolvere validamente dai casi riservati, sia anatema.
12. Se qualcuno dirà che tutta la pena viene sempre rimessa da Dio insieme alla colpa, e che l’unica soddisfazione dei penitenti è la fede, con cui apprendono che Cristo ha soddisfatto per essi, sia anatema.
13. Se qualcuno dirà che per quanto riguarda la pena temporale, non si soddisfa affatto, per i peccati, a Dio per mezzo dei meriti di Cristo con le penitenze da lui inflitte e pazientemente tollerate, o imposte dal sacerdote; e neppure con quelle che uno sceglie spontaneamente, come i digiuni, le preghiere, le elemosine, o anche altre opere di pietà; e che, perciò, la miglior penitenza è una vita nuova, sia anatema.
14. Se qualcuno dirà che le soddisfazioni, con cui i penitenti per mezzo di Gesù Cristo cercano di riparare i peccati non sono culto di Dio, ma tradizioni umane, che oscurano la dottrina della grazia e il vero culto di Dio e lo stesso beneficio della morte del Signore, sia anatema.
15. Se qualcuno dirà che le chiavi sono state date alla chiesa solo per sciogliere e non anche per legare e che, quindi, quando i sacerdoti impongono delle penitenze a quelli che si confessano, agiscono contro il fine delle chiavi e contro l’istituzione del Cristo e che è una finzione che, rimessa la pena eterna in virtù delle chiavi, rimanga ancora la pena temporale da scontare, sia anatema.


CANONI SUL SACRAMENTO DELL’ESTREMA UNZIONE


1. Se qualcuno dirà che l’estrema unzione non è un vero e proprio sacramento, istituito da nostro signore Gesù Cristo (293), e promulgato dal beato Giacomo apostolo (294), ma solo un rito tramandato dai padri o una invenzione umana, sia anatema.
2. Se qualcuno dirà che l’unzione sacra degli infermi non conferisce la grazia, non rimette i peccati e non solleva gli infermi, ma che ormai è in disuso, quasi che un tempo sia stata solo la grazia delle guarigioni, sia anatema.
3. Se qualcuno dirà che il rito e l’uso dell’estrema unzione, così come lo pratica la chiesa cattolica, è in contrasto con quanto afferma san Giacomo apostolo e che, quindi, deve essere cambiato e che può essere tranquillamente disprezzato dai cristiani, sia anatema.
4. Se qualcuno dirà che i presbiteri della chiesa, che il beato Giacomo apostolo esorta ad addurre presso l’infermo per ungerlo, non sono i sacerdoti consacrati dal vescovo, ma gli anziani di ogni comunità e che perciò ministro proprio dell’estrema unzione non è solo il sacerdote, sia anatema.

Decreto di riforma.

Proemio.


Poiché è ufficio proprio dei vescovi riprendere i difetti di tutti i sudditi (295), essi devono guardarsi soprattutto da questo: che, cioè, i chierici, specialmente quelli addetti alla cura delle anime, non commettano colpe e non conducano, con la loro connivenza, una vita disonesta.

Se, infatti, permettessero che essi abbiano dei costumi perversi e corrotti, come potrebbero poi riprendere i laici dei loro vizi (296), non essere da questi confutati con la semplice osservazione che permettono che i chierici siano peggiori di loro! E con quale coraggio i sacerdoti potrebbero riprendere i laici, quando questi potrebbero rispondere tacitamente che essi hanno commesso le stesse colpe che riprendono? (297).

Perciò i vescovi ammoniranno i loro chierici, di qualsiasi ordine siano, perché precedano il popolo loro affidato nel comportamento, nel modo di parlare, nella scienza, ricordandosi di quel detto: Siate santi, poiché io sono santo (298). E, conforme all’espressione dell’apostolo, a nessuno arrechino offesa, perché il loro ministero non venga disprezzato ed in tutto si mostrino servi di Dio (299), perché non si debba verificare, in essi, il detto del profeta: i sacerdoti di Dio contaminano le cose sante e disprezzano la legge (300).

E perché gli stessi vescovi possano, in ciò, agire più liberamente e non debbano essere impediti, con qualsiasi pretesto, lo stesso sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, sotto la presidenza dello stesso legato e nunzi della sede apostolica, ha creduto bene stabilire e fissare i seguenti canoni.

Canone I


Essendo cosa più onorifica e più sicura, per chi è soggetto servire in una mansione più modesta, prestando la dovuta obbedienza ai propri superiori, che tendere, con scandalo dei superiori alla dignità dei gradi superiori, a colui, cui per qualunque motivo, - anche per un delitto occulto -, in qualsiasi modo, anche senza una sentenza giudiziaria, dal proprio ordinario fosse stato proibito di salire ai sacri ordini, o che fosse stato sospeso dagli ordini o gradi o dalle dignità ecclesiastiche, a nulla gioverà la licenza di farsi ordinare, concessa contro la volontà dell’ordinario, o la restituzione ai primitivi ordini, gradi, dignità, onori.

Canone II


Alcuni vescovi di chiese che si trovano tra gli infedeli, mancando di clero e di popolo cristiano, essendo quasi randagi, non avendo una sede fissa e cercando non gli interessi di Gesù Cristo, ma le pecore degli altri, senza che il pastore lo sappia, si vedono proibito da questo santo sinodo di esercitare i loro poteri di vescovi in diocesi non loro, se non con espressa licenza dell’ordinario, e solo su persone soggette allo stesso ordinario. Costoro, beffandosi della legge e disprezzandola erigono una specie di cattedra episcopale in luogo di diocesi e credono di poter insignire del carattere clericale e perfino di promuovere agli ordini sacri del presbiterato, tutti quelli che vanno ad essi, anche se non hanno le lettere dimissoriali dei loro vescovi o dei loro superiori.

Ne viene di conseguenza che sono ordinati proprio i meno adatti, i rozzi, gli ignoranti e quelli che dal proprio vescovo sono stati rifiutati come inadatti e indegni, quelli cioè che non sanno compiere i sacri ministeri, né amministrare nel modo dovuto i sacramenti della chiesa.

Nessuno dei vescovi, che si dicono titolari, - anche se risiedono o si trovano ad essere in luoghi non soggetti ad alcuna diocesi, anche esenti o in qualche monastero di qualsiasi ordine -, senza il consenso espresso dell’ordinario o le lettere dimissorie, possa promuovere ad alcun ordine minore, alla prima tonsura il suddito di un altro, in forza di qualsiasi privilegio provvisoriamente concessogli di poter promuovere chiunque venisse a lui, neppure col pretesto che è suo familiare e commensale ordinario.

Chi facesse il contrario, sia sospeso per disposizione stessa del diritto, dall’esercizio delle sue funzioni pontificali per un anno, chi poi fosse stato in tal modo promosso, sia sospeso dall’esercizio degli ordini così ricevuti fino che sembrerà al proprio ordinario.

Canone III


Il vescovo può sospendere dall’esercizio degli ordini ricevuti per tutto il tempo che crederà e impedire che servano all’altare o in qualcuno dei loro ordini, quei suoi chierici, specialmente se costituiti negli ordini sacri, che fossero stati promossi senza suo precedente esame e senza sue lettere dimissorie da qualsiasi autorità, anche se fossero stati giudicati adatti da colui dal quale sono stati ordinati, ma che egli trovasse inadatti e incapaci a celebrare i divini uffici o ad amministrare i sacramenti della chiesa.

Canone IV


Tutti gli ordinari locali - che devono attendere con ogni diligenza a correggere le colpe dei loro sudditi, e da cui nessun chierico in forza delle disposizioni di questo santo sinodo deve credersi tanto al sicuro, sotto pretesto di qualsiasi privilegio, da non poter esser visitato, punito e corretto secondo le sanzioni canoniche - se risiedono nelle proprie chiese, hanno la facoltà di correggere e castigare, - anche fuori della visita -, qualsiasi chierico secolare, in qualsiasi modo esente, che altrimenti sarebbe soggetto alla loro giurisdizione, per le sue colpe, per i suoi crimini e delitti, ogni volta o quando lo crederanno necessario, come delegati, in ciò, della sede apostolica. Sotto questo rispetto, a nulla gioveranno agli stessi chierici e ai loro consanguinei, cappellani, familiari, procuratori e a chiunque altro, in vista e per riguardo agli stessi esenti, le esenzioni, le dichiarazioni, le consuetudini, le sentenze, i giuramenti, gli accordi, che obbligano soltanto quelli che li hanno stipulati.

Canone V


Inoltre, vi è chi sotto pretesto di ricevere ingiurie e molestie varie nei propri beni, cose, diritti, ottiene che gli venga assegnato con lettere conservatorie un giudice particolare che lo difenda e protegga da queste molestie ed ingiurie, lo mantenga e lasci nel possesso o quasi possesso dei suoi beni, cose, diritti, e non permetta che abbia noie, e trae quasi sempre tali lettere, contro l’intenzione di chi le ha concesse, ad un significato perverso.

Ora queste lettere conservatorie, qualsiasi clausola o decisione esse contengano, qualsiasi assegnazione di giudici esse abbiano, con qualsiasi altro pretesto o colore esse siano state concesse, non daranno diritto assolutamente a nessuno, di qualsiasi dignità e condizione egli sia, neppure se fosse un capitolo, di non poter essere accusato e condotto dinanzi al proprio vescovo o ad altro superiore ordinario nelle cause criminali e miste, o che non possa disporsi una inchiesta nei loro riguardi, e non si possa procedere (contro di loro), o, anche se pure dalla concessione gli competono dei diritti, non possa esser citato liberamente dinanzi al giudice ordinario proprio per questi diritti.

Anche nelle cause civili, se egli fosse l’attore, non gli sia permesso in nessun modo condurre qualcuno in giudizio, dinanzi ai suoi giudici conservatori.

Se poi avvenisse che nelle cause, in cui egli figura come reo, quegli che da lui è stato scelto come conservatore venisse giudicato sospetto dall’attore; o anche se fra gli stessi giudici, conservatore e ordinario, sorgesse qualche controversia sulla competenza della giurisdizione, non si proceda assolutamente nella trattazione della causa finché non si sia deciso sul sospetto o sulla competenza di giurisdizione con arbitri, eletti a norma di legge.

Ai familiari di colui che è solito difendersi con queste lettere conservatorie, inoltre, esse non diano alcun diritto; lo daranno a due soltanto, e solo nel caso che essi vivano a suo carico. Nessuno, inoltre, potrà godere del favore di simili lettere per oltre un quinquennio. Non sarà neppure lecito ai giudici conservatori erigere un proprio tribunale.

Nelle cause che riguardano i salari o persone poverissime rimanga in vigore il decreto di questo santo sinodo, emanato sull’argomento (301).

Le università generali, i collegi di dotti o di scolari, i luoghi regolari, gli ospedali che sono attualmente in esercizio; le persone di queste università e collegi, luoghi ed ospedali, non devono assolutamente essere comprese in questo canone, ma devono ritenersi ed essere realmente esenti.

Canone VI


Anche se l’abito non fa il monaco, è necessario tuttavia che i chierici portino sempre l’abito conforme al proprio stato, così che le vesti esteriori mostrino l’interiore onestà dei costumi. D’altra parte oggi la temerità e il disprezzo della religione di alcuni è andata tanto oltre che, senza alcuna stima per il proprio onore e la propria dignità clericale, essi portano vesti da laici, anche pubblicamente, tenendo il piede in due staffe: sulle cose divine e sulle umane; perciò tutte le persone ecclesiastiche, per quanto esenti , che siano costituite negli ordini sacri o abbiano avuto dignità, personati, uffici o benefici ecclesiastici di qualsiasi natura, se, dopo essere stati ammoniti - anche con un semplice editto pubblico - dal loro vescovo, non porteranno un decente abito clericale, conforme alle esigenze del loro stato e della loro dignità e a quanto il vescovo ha ordinato e comandato, potranno e dovranno esser costretti a ciò con la sospensione dagli ordini, dall’ufficio e dal beneficio, da frutti, dai redditi e dai proventi degli stessi benefici. Se poi, corretti una volta, mancassero in ciò di nuovo, siano puniti anche con la privazione stessa di questi uffici e benefici. Il concilio inoltre rinnova ed amplia la costituzione di Clemente V, emanata nel concilio di Vienne, che comincia con la parola: Poiché... (302).


Canone VII


Chi ad arte e con insidie uccide il suo prossimo dev’essere allontanato dall’altare (303), chi volontariamente ha commesso un omicidio, anche se questo delitto non è stato provato attraverso un processo giudiziario e non è divenuto in nessun modo di pubblica ragione, ma è rimasto occulto, non potrà mai esser promosso ai sacri ordini e non potrà mai essergli assegnato alcun beneficio ecclesiastico, anche privo di cura d’anime. Sia escluso per sempre da qualsiasi ordine, beneficio, ufficio ecclesiastico.

Ma se si dovesse riconoscere che l’omicidio è stato commesso non di proposito, ma per caso, o nel respingere la forza con la forza per difendersi dalla morte, per cui secondo il diritto si dovrebbe in qualche modo dispensare e ammettere anche al ministero dei sacri ordini e dell’altare e a qualsiasi beneficio e dignità, la causa è rimessa all’ordinario del luogo, o, se vi è un giusto motivo, al metropolita o al vescovo più vicino. Questi non potrà dispensare se non dopo aver preso cognizione della causa e dopo che siano state trovate vere le istanze e le testimonianze, e non altrimenti.

Canone VIII


Alcuni - e tra questi anche dei veri pastori che hanno proprie pecore - cercano di comandare anche al gregge degli altri e qualche volta si prendono cura talmente dei sudditi altrui, da trascurare i propri. Pertanto chiunque, anche se rivestito della dignità vescovile, abbia il privilegio di punire i chierici degli altri, per quanto possano essere rei dei delitti più gravi, non dovrà in nessun modo procedere contro chierici a lui non soggetti, specie se costituiti in sacris, se non con l’intervento del vescovo degli stessi chierici, se risiede nella sua chiesa, o di persona da designarsi dallo stesso vescovo. In caso diverso, il processo e quanto possa seguire saranno nulli.

Canone IX


Molto saggiamente sono state distinte diocesi e parrocchie, e a ciascun gregge sono stati assegnati propri pastori e propri rettori delle chiese inferiori, i quali abbiano cura ciascuno delle proprie pecore. Perché l’ordine ecclesiastico non sia turbato e una stessa chiesa non appartenga, in qualche modo, a due diocesi, non senza grave incomodo dei suoi sudditi, i benefici di una diocesi, anche se si trattasse di chiese parrocchiali, vicarie perpetue, o semplici benefici, o prestimoni, o porzioni prestimoniali, non vengano uniti per sempre ad un beneficio, o ad un monastero, o collegio, o anche ad un luogo pio di altra diocesi, neppure allo scopo di accrescere il culto divino, o il numero dei beneficiati, o per qualsiasi altro motivo. Con ciò questo santo sinodo interpreta il proprio decreto su queste unioni (304).

Canone X


I benefici abitualmente assegnati in titolo ai religiosi professi, quando, per la morte, per la rinunzia o per altro motivo di chi li ha in titolo, si rendessero vacanti, siano conferiti solo a religiosi di quell’ordine o a chi sarà assolutamente tenuto a prendere l’abito ed emettere la professione religiosa e non ad altri (perché non indossino un abito intessuto insieme di lino e di lana (305)).


Canone XI


I religiosi che passano da un ordine ad un altro ottengono facilmente dal loro superiore il permesso di vivere fuori del monastero. Con ciò si dà occasione di vagare qua e là e di venir meno alla professione religiosa.

Nessun prelato, quindi, o superiore di ordine religioso qualsiasi facoltà egli abbia, può ammettere qualcuno all’abito e alla professione, se non a condizione che rimanga per sempre in convento, nello stesso ordine, al quale viene trasferito, nell’obbedienza al suo superiore. Chi è stato così trasferito sia del tutto incapace di benefici secolari, anche con cura d’anime, anche se fosse stato dei canonici regolari.

Canone XII


Nessuno, di qualsiasi dignità ecclesiastica o secolare possa essere, fuori del caso di chi avesse fondato e costruito ex novo una chiesa, un beneficio o una cappella, o di chi avesse dotato competentemente coi propri beni patrimoniali una chiesa (cappella ecc.) già eretta, ma priva della dote sufficiente, può o deve chiedere ed ottenere in nessuna maniera il diritto di patronato.

Nel caso di fondazione o di dotazione, l’istituzione sia riservata al vescovo e non ad altri a lui inferiore.

Canone XIII


Inoltre non sia lecito al patrono, col pretesto di qualsiasi privilegio, presentare, in nessun modo, qualcuno per i benefici del suo diritto di patronato, se non al vescovo ordinario del luogo, a cui spetterebbe la provvista e l’istituzione dello stesso beneficio, se non vi fosse il privilegio.

Diversamente, la presentazione e l’investitura che ne fosse seguita, siano e vengano considerate nulle.

Il santo sinodo dichiara, inoltre, che nella futura sessione, già fissata per il 25 gennaio del prossimo anno 1552, col sacrificio della messa si debba trattare e discutere del sacramento dell’ordine e proseguire la materia della riforma.


SESSIONE XV (25 gennaio 1552)
Decreto di proroga della pubblicazione dei canoni.


Secondo quanto fu stabilito nelle sessioni passate, questo santo concilio universale in questi giorni ha trattato con somma cura e diligenza ciò che riguarda il santissimo sacrificio della messa e il sacramento dell’ordine. Ciò perché nella sessione di oggi, secondo il suggerimento dello Spirito santo, si pubblicasse quanto era stato concluso su questi argomenti, assieme ai quattro articoli sul sacramento dell’eucarestia, rimandati a questa sessione. Si pensava che frattanto sarebbero giunti a questo sacrosanto concilio coloro che si dicono protestanti, per riguardo ai quali era stata rimandata la pubblicazione di questi articoli e ai quali era stato concesso il salvacondotto perché potessero venire qui liberamente e senza alcun ritardo.

Ma poiché essi non sono ancora venuti e da parte loro sono state rivolte preghiere a questo santo sinodo, perché la pubblicazione, che avrebbe dovuto farsi in questo giorno, sia rimandata alla prossima sessione, lo stesso santo sinodo, riunito legittimamente nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi, nella certa speranza che essi possano esser qui senz’altro molto prima di quella sessione, avendo frattanto essi ricevuto un salvacondotto in forma più ampia, nulla desiderando maggiormente che far scomparire dalla illustrissima nazione germanica ogni dissenso e scisma religioso, provvedere alla sua quiete, pace e tranquillità, pronto, se essi verranno, ad accoglierli con generosità e ad ascoltarli benignamente; nella fiducia che essi vorranno venire non per oppugnare ostinatamente la fede cattolica, ma con desiderio di conoscere la verità e (com’è degno di chi ama la verità del vangelo) adattarsi, alla fine, ai decreti e alla disciplina della santa madre chiesa; perché essi abbiano tempo non solo di venire, ma di proporre ciò che vogliono prima che giunga il giorno per pubblicare e rendere di pubblica ragione quei punti che sono stati sopra toccati, ha rimandato la seguente sessione al giorno di san Giuseppe, che sarà il 19 marzo.

E per togliere ad essi qualsiasi motivo di ulteriore ritardo, dà e concede loro volentieri un salvacondotto, che sarà, nella sua sostanza e nel suo contenuto, quale verrà letto.

Intanto, stabilisce e ordina che si debba trattare, nella stessa sessione, del sacramento del matrimonio, e oltre alla pubblicazione dei decreti accennati, definire questa materia; e che si debba proseguire la materia della riforma.

Salvacondotto concesso ai protestanti tedeschi.


Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della sede apostolica, conforme al salvacondotto concesso nella penultima sessione, ed ampliandolo secondo quanto sarà detto, dà solenne assicurazione di dare ed elargire assolutamente a tutti e singoli i sacerdoti, gli elettori, i principi, i duchi, marchesi, i conti, i baroni, i nobili, i militari, i cittadini semplici e a qualsiasi altra persona, di qualsiasi stato e condizione, o qualità, della provincia e della nazione germanica; alle città e ad altri luoghi di essa; e a tutti quegli altri ecclesiastici e secolari, specie agli appartenenti alla confessione di Augusta, che insieme ad essi verranno, o saranno mandati, o partiranno, o sono già venuti, comunque essi si chiamino o possano esser chiamati; di concedere, dunque in forza delle presenti pubblica fede e pienissima e verissima sicurezza, o salvacondotto, come lo chiamano, di venire liberamente in questa città di Trento, di rimanere, stare, dimorare in essa, di far proposte, di parlare, di trattare, esaminare, discutere con lo stesso sinodo qualsiasi argomento, di presentare liberamente, di diffondere, sia a parole che per iscritto, tutto ciò che ad essi piacerà, e qualsiasi articolo; di spiegarli, presentarli e cercare di persuaderne gli altri con le sacre scritture, con espressioni, sentenze, argomentazioni dei santi padri, e, se necessario, di rispondere anche alle obbiezioni del concilio generale, e di disputare cristianamente o di conferire caritatevolmente e senza alcun impedimento con quelli che fossero stati scelti dal concilio, senza usare in nessuna maniera schiamazzi, modi offensivi ed ingiuriosi. Ed in modo particolare, che i problemi controversi siano trattati, in questo concilio Tridentino, secondo la sacra scrittura, le tradizioni apostoliche, i legittimi concili, il consenso della chiesa cattolica e le affermazioni dei santi padri. Aggiungiamo anche che non saranno puniti per motivi religiosi o per delitti commessi o che verranno commessi contro la religione. Così che per la loro presenza non si cessi dalla celebrazione degli uffici divini, sia durante il loro viaggio, o nel venire, nel rimanere, nel ritornare in qualsiasi luogo, neppure nella stessa città di Trento; e che, concluse o non concluse queste cose, in qualsiasi momento ad essi piaccia, per volere o con l’approvazione dei loro superiori desidereranno tornare alle proprie terre, o lo desiderasse qualcuno di essi, senza alcuna opposizione, scusa, ritardo, possano subito andarsene come essi vogliono, liberamente e tranquillamente, con le loro cose, il loro onore, le loro persone sane e salve, dopo aver avvertito, naturalmente, quelli che saranno incaricati dallo stesso concilio, perché si possa opportunamente provvedere alla loro sicurezza senza inganno e senza frode.

Il santo sinodo vuole anche che in questa pubblica dichiarazione di fede, o salvacondotto, vengano incluse - e si abbiano realmente per incluse - e siano contenute tutte quelle clausole che saranno necessarie ed opportune per la piena, efficace e sufficiente sicurezza nel viaggio, nella permanenza, nel ritorno.

Per maggior sicurezza e per facilitare il bene della pace e della riconciliazione dichiara anche che se uno di loro (o anche più) sia nel viaggio, venendo a Trento, sia mentre dimorano lì o mentre tornano, facesse o commettesse qualche cosa di grave (che Dio non voglia!), per cui il privilegio della pubblica fede e della sicurezza, loro concesso, possa essere annullato o cancellato, il sinodo vuole e concede che quelli che fossero stati trovati colpevoli di questo delitto siano subito puniti da essi soltanto, e non da altri, con una punizione giusta, e con ammenda sufficiente, da potersi approvare e lodare da parte di questo sinodo, rimanendo intatti la forma, le condizioni, e i modi della sicurezza.

Vuole ugualmente che se qualcuno, - uno o più che siano -, da parte del sinodo sia durante il viaggio, che durante la permanenza, o il ritorno, facesse o commettesse (che Dio non voglia!) qualche cosa di grave, per cui potesse considerarsi violato o in qualsiasi modo esser tolto il privilegio della pubblica fede e sicurezza, quelli che fossero trovati colpevoli di un simile delitto, solo dal sinodo, e non da altri, vengano subito puniti con un degno castigo e con una ammenda tale, che possa esser lodata e approvata giustamente da parte dei signori della confessione di Augusta, allora qui presenti, rimanendo intatti la forma, le condizioni, i modi del salvacondotto.

Vuole, inoltre, il medesimo sinodo, che tutte le volte che sarà opportuno e necessario sia permesso a tutti e singoli gli ambasciatori di uscire dalla città di Trento per prendere un po’ d’aria e tornare in essa; mandare o destinare il loro o i loro incaricati in qualsiasi posto per curare i loro affari più urgenti; e ricevere gli stessi incaricati o inviati o l’incaricato e inviato, quando ad essi sembrerà opportuno, in modo tale, però, che alcuni, o qualcuno, siano loro associati dagli incaricati del concilio, perché provvedano o provveda alla loro sicurezza.

Questo salvacondotto e queste garanzie di sicurezza dovranno valere e durare dal tempo e per il tempo in cui essi saranno presi sotto cura e difesa dello stesso sinodo e dei suoi rappresentanti e condotti fino a Trento; e per tutto il tempo della loro permanenza in questo luogo; e poi, di nuovo, - dopo che avranno avuto la debita udienza ed uno spazio di altri venti giorni, quando essi lo chiederanno, o, concessa ad essi l’udienza, il concilio comandasse loro di andarsene - con l’aiuto di Dio li riporterà da Trento fino al luogo che ciascuno riterrà come sicuro per sé, senza alcun inganno o frode.

Esso promette e garantisce in buona fede che tutte queste disposizioni saranno inviolabilmente osservate da tutti e singoli i cristiani, da tutti i principi, sia ecclesiastici che secolari, di qualsiasi stato o condizione essi siano o con qualsiasi nome siano indicati.

Esclusa, inoltre, qualsiasi frode ed inganno, con la più sincera buona fede promette che il sinodo non cercherà alcuna occasione, palesemente o di nascosto, e non farà uso, in nessun modo, della sua autorità, del suo potere, di qualche suo diritto o statuto o privilegio di leggi e canoni o di qualsiasi concilio, specie quelli di Costanza e di Siena, che possa riuscire di qualche pregiudizio a questa fede pubblica, a questa solenne assicurazione e alla pubblica e libera udienza; e non permetterà che alcuno se ne serva, derogando per questa volta a tutte quelle disposizioni.

Che se il santo sinodo o qualche suo membro, o qualcuno della sua parte, di qualunque condizione, stato, preminenza, violerà (che Dio, però, voglia degnarsi di tener lontano questa eventualità) in qualsiasi punto e clausola la forma e il modo della assicurazione del salvacondotto ora recitato senza che ne sia seguita immediatamente la dovuta ammenda, da approvarsi e da lodarsi giustamente secondo il loro giudizio, ritengano pure - e potranno ritenere davvero - che il sinodo è incorso in tutte quelle pene, nelle quali secondo il diritto divino e umano o la consuetudine, possono incorrere i violatori di questi salvacondotti, senza scuse e senza che, in ciò, si possa opporre alcunché.


SESSIONE XVI (21 aprile 1552)
Decreto di sospensione del concilio.


Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Sebastiano, arcivescovo di Siponto, e Luigi, vescovo di Verona, nunzi apostolici, a nome sia loro proprio che del reverendissimo ed illustrissimo signore Marcello Crescenzi, cardinale legato della santa chiesa romana, assente per lo stato assai cagionevole della sua salute, non dubita esser palese a tutti i cristiani come questo concilio ecumenico prima sia stato convocato e riunito a Trento da Paolo III, di felice memoria; e poi ripreso dal santissimo signore nostro Giulio III, dietro preghiera di Carlo V, augustissimo imperatore, specialmente per questo motivo: perché potesse ricondurre alla condizione originaria la religione, in più parti del mondo, e particolarmente in Germania, divisa penosamente tra tante opinioni, e correggere gli abusi e i costumi corrottissimi dei cristiani.

A questo scopo, moltissimi padri, senza alcun riguardo alle fatiche e ai pericoli, confluirono prontamente dalle diverse regioni e già le cose procedevano speditamente e felicemente per il grande concorso dei fedeli; vi era una ben fondata speranza che quella parte di Tedeschi che aveva suscitato quelle novità sarebbe venuta al concilio e sarebbe stata così ben disposta da cedere unanimamente alle vere argomentazioni della chiesa; che, finalmente, sarebbe spuntata una certa luce sulle cose e che la cristianità, prima sconfitta e travagliata, avrebbe cominciato ad alzare il capo; quand’ecco improvvisamente sorgere tali tumulti e scoppiare tali guerre, per la scaltrezza del nemico del genere umano, che il concilio ha dovuto quasi arenarsi ed interrompere, con suo grave disappunto, il suo corso; ed ogni speranza di qualsiasi ulteriore progresso è venuta meno. E il santo sinodo era tanto lontano dal portare rimedio ai mali dei cristiani e alle loro difficoltà, che sembrava piuttosto proprio contro quanto desiderava - irritare molti, piuttosto che placarli.

Perciò lo stesso santo sinodo, vedendo dappertutto, specie in Germania, ardere la guerra e le discordie; visto che quasi tutti i vescovi della Germania (e particolarmente i principi elettori) avevano lasciato il concilio per provvedere alle loro chiese, ha creduto bene doversi adattare a tanta necessità e tacere fino a tempi migliori, perché i padri possano tornare alle loro chiese e poterne avere cura - cosa loro impossibile ora - e non debbano consumarsi nell’ozio. Così, poiché la condizione dei tempi lo richiede, esso decide di sospendere la prosecuzione di questo concilio ecumenico Tridentino, per lo spazio di due anni (e di fatto lo sospende col presente decreto), con la clausola, però, che se le cose dovessero placarsi più presto e dovesse tornare l’antica pace (e spera proprio che, con l’aiuto di Dio ottimo massimo, ciò debba verificarsi entro uno spazio di tempo non troppo lungo), la ripresa del concilio abbia immediatamente forza, stabilità, vigore. Se poi (che Dio non voglia!) dopo questo biennio, i legittimi impedimenti, di cui abbiamo parlato, non saranno stati rimossi, la sospensione si intenda annullata non appena essi cesseranno e senza bisogno di nessuna altra convocazione, si ritenga restituito al concilio il suo antico vigore e la sua forza, tanto più che a questo decreto si aggiunge il consenso e l’autorità di sua santità e della sede apostolica.

Nel frattempo, tuttavia, il santo sinodo esorta tutti i prìncipi cristiani e tutti i prelati, perché osservino e facciano rispettivamente osservare nei loro regni e nei loro domini e chiese, per quanto spetta loro, tutte e singole le prescrizioni che finora sono state stabilite e disposte da questo concilio ecumenico.


Note
288. Gv 20, 22-23.
289. Cfr. Is 38, 15.
290. Concilio Lateranense IV, c. 21 (v. sopra).
291. Mt 18, 18.
292. Gv 20, 23.
293. Cfr. Mc 6, 13.
294. Cfr. Gc 5, 14-15.
295. Cfr. Concilio Lateranense IV, c. 7 (v. sopra).
296. Cfr. I Cor 9, 27.
297. Cfr. GEROLAMO, Comm. in ep. ad Titum, 1, 6 (Pl 26, 598).
298. Lv 11, 44; 19, 2.
299. II Cor 6, 3-4.
300. Cfr. Ez 22, 26; Sof 3, 4.
301. Cfr. Sessione VII, c. 14 de ref. (v. sopra).
302. Concilio di Vienne, c. 9 (COD, 365).
303. Cfr. Es 21, 14.
304. Sessione VII, c. 6 de ref. (v. sopra).
305. Cfr. Dt 22, 11.

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