Donna gloriosa che dischiude il cammino
Omelia di mons. Alberto Maria Careggio del 15 agosto 2006
DUOMO DI VENTIMIGLIA



Nel cuore dell’estate, quando il pensiero di molti è rivolto alla terra, per lo più alle vacanze, il credente è invitato a guardare al cielo. Non si tratta di contemplare la fatua scia delle perseidi, come nella notte di San Lorenzo, ma la luminosa e intramontabile luce di una creatura che la liturgia odierna celebra come « verso il regno dei cieli (cfr. Inno delle Lodi della Solennità).

Effettivamente, contemplando l’assunzione di Maria, il cristiano riscopre le ragioni della propria fede e la gioia del mistero che vive in Maria, «innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove – come si legge nella bolla di Pio XII – risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli» (Pio XII, Cost. Ap. Munificentissimus Deus). La solennità del 15 agosto è dunque, come scriveva Paolo VI, «la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla Chiesa e all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della speranza finale: ché tale piena glorificazione – continuava il Papa – è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli, avendo con loro “in comune il sangue e la carne” (Eb 2,14; cf. Gal 4,4)» (Paolo VI, Es. ap. Il culto mariano, n. 27).

In questo testo, ricco di profonda teologia, si afferma nell’Assunzione di Maria l’avversarsi di una “speranza finale”, ossia la glorificazione piena di tutti coloro che Cristo ha redento. Questo è il nostro destino! A raggiungerlo ci aiuta l’intercessione stessa di Maria. Difatti – leggiamo nella Lumen Gentium – «assunta in cielo, ella non ha deposto questa sua funzione di salvezza, ma continua a ottenerci i doni della salvezza eterna mediante la sua molteplice intercessione» (LG, n. 62). La mediazione di Maria continua, dunque, nella storia della Chiesa e del mondo con questo carattere di “intercessione”. Per tale ragione, «con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo, ancora pellegrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata» (ivi).

La contemplazione di questo mistero deve portarci a prendere coscienza sempre più viva della nostra esistenza in Cristo, nel cuore della stessa storia umana, attraversata da sciagure, da guerre, da odi, da assassini, da dissolutezze di ogni genere e da vere e proprie menzogne propagate come “progresso” per l’umanità: sono queste, ovviamente, le drammatiche conseguenze del peccato.
Il mistero di Maria assunta alimenta nei credenti non solo una particolare speranza, ma indica a tutti la meta finale da raggiungere, quella che i teologi chiamano escatologica e che la Sacra Scrittura presenta come il trionfo di “cieli nuovi e terra nuova” (cfr. Ap 21,1), quando Cristo sarà tutto in tutto (cfr. Col 3,11; Ef 1,20-23). Questo è il piano della salvezza che Gesù Cristo ci ha rivelato e realizzato attraverso la sua morte e risurrezione.

I miscredenti potranno considerare quanto abbiamo fin qui detto come ingenue idealità e considerare noi, i credenti, come dei sognatori, cultori di utopie e di ridicole astrattezze. Un fatto è, tuttavia, innegabile: la storia del mondo è stata irrevocabilmente segnata dall’evento cristiano, quello di Cristo, morto e ristorto. Il grande scrittore Papini oggi affermerebbe: «I pusilli che non voglion credere alla sua vita prima, alla sua vita seconda, alla sua vita eterna, recidono sé dalla vita vera; dalla vita ch’è adesione generosa, abbandono d’amore, speranza dell’invisibile, certezza delle cose non parventi. Sono i lamentevoli deceduti che paion vivi... quelli che trascinano il peso dei loro cadaveri ancora caldi e respiranti sulla terra... morti che respingono la vita...» (G. Papini, Storia di Cristo, Vallecchi Ed., Firenze 1956, pp. 603-604).
È innegabile che siano sempre più pressanti e diffuse le aspettative di un generale rinnovamento; a quale campo esse attengono, se non a quello della speranza? Gli spiragli o le fessure che si sono aperti sul mondo della politica, della giustizia, dell’economia, del costume e perfino dello sport ci fanno intravedere una realtà così corrotta e devastata da apparire davvero insanabile. Tuttavia, chi volesse tirarsi fuori da questa triste realtà e contribuire ad un suo effettivo risanamento dovrebbe agire nella consapevolezza che le aspettative di ripresa appartengono al mondo della concretezza e non dei sogni. Se, poi, per risalire la china, ci si dovesse mai abbandonare all’utopia, ben venga anche questa! Il fatto è che la nostra cultura è così povera di motivazioni ideali e di slanci spirituali che, da parte di chi la persegue, diventa difficile anche solo immaginare la ricostruzione di un nuovo tessuto sociale, economico e morale. Ma, una cultura che vuole volare in alto si deve necessariamente alimentare di principi e di nobili idealità.

Quando parliamo di cultura non vogliamo, ovviamente, pensare a quella dell’uomo comune, ben più di ricco di valori e di buon senso. Pensiamo invece, a quella intoccabile e corporativa, che proviene dalla corrente del pensiero laicista e si raccoglie all’ombra del potere, quando addirittura non è essa stessa il potere. Questa cultura ben organizzata, si è rafforzata dal dopoguerra in poi e, con effetti rovinosi, si è inserita dappertutto, anche negli ambiti più delicati della vita come quelli dell’etica e della vita religiosa. Occorre, pertanto, dire che i problemi della società attuale non si risolveranno certamente legittimando interessi materiali e atteggiamenti libertini, appiattendo i valori etici, misconoscendo l’anelito insopprimibile della creatura umana verso Dio, verso il trascendente, abbassando quindi sempre più l’orizzonte umano, fino a permettere nei laboratori la morte bianca per assicurare, con machiavellica ipocrisia, più salute e benessere agli scampati. Altrettanto va detto per molti altri interventi, non escluso il permesso di più consumo di veleno ai giovani per assicurare loro maggiore libertà.
Queste considerazioni di carattere generale, mi sembrano assolutamente necessarie, perché sono contro al progetto che Dio ha per l’uomo. Pertanto, se un appello occorre fare, questo lo rivolgo a tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche, a partire genitori – la prima società naturale – per arrivare, comunque, subito dopo, ai governanti, agli  amministratori pubblichi, agli insegnanti, ai miei stessi sacerdoti: lavorate intensamente sul recupero di tutti quei valori culturali, di pensiero e di azione che, in caso contrario, lentamente, ma inesorabilmente, potremo forse ricordare, a mala pena, in un futuro e, Dio non voglia, rivivere solo come un folclore popolare. Utopia o no, il recupero di una dirittura morale e civile, l’additare ai giovani prospettive diverse da quelle che non siano soltanto i piaceri consolidati (ahimé) della droga e del sesso, del divertimento e della vita facile, senza impegno e sacrificio, non può più essere procrastinata, se non vogliamo da un lato  cantare anche noi con Giuseppe Verdi: «O mia Patria, sì bella e perduta!» e, dall’altro, fare l’elogio, semmai su A Gardiöra du Matüssian¸ del tempo che fu e di una Sanremo che non c’è più....

Tenendo pur presente che un’antropologia senza Dio porta la morte dell’uomo, che una cultura corrotta non potrà mai migliorare i destini dell’umanità, noi diciamo che è un dovere di tutti rispondere alle attese della parte più sana della nostra società. Come? Sostenendo quella cultura veramente rispettosa dell’uomo, della morale cristiana e dei valori spirituali del Vangelo e insegnati dalla Chiesa. In questo noi speriamo, facendo affidamento – come ripeto – sulla parte migliore della nostra società. Ovviamente, quando noi parliamo di speranza parliamo solo e sempre di quella che – come scrive Benedetto XVI nella sua enciclica Deus Caritas est – «si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all’apparente insuccesso, ed in quella dell’umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell’oscurità» (n. 39)

O Maria, assunta in cielo, accompagna con materno amore questa nostra Diocesi, particolarmente gli abitanti di questa città. Proteggi sempre tutti i tuoi figli devoti che in questo santuario t’invocano quale Madre e Regina e in te sperano e confidano.




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