La catacomba di Santa Priscilla, una culla del culto mariano
Data: Martedi 1 Dicembre 2009, alle ore 13:11:33
Argomento: Storia


Un articolo di Suor Maria Francesca apparso su Radici cristiane n. 29 - Novembre 2007

La Via Salaria aveva due punti di partenza dalle vecchie mura di Roma, uno all’attuale Piazza Fiume e l’altro a Porta Pinciana. Due strade che confluivano nell’incontro col Tevere per poi snodarsi insieme lungo la Sabina, attraversando di seguito le regioni dell’Appennino centrale e andando finalmente a sboccare a Porto d’Ascoli, nelle Marche, da dove si portava nell’Urbe il sale, materia ben più preziosa allora che ai nostri giorni. Ed era proprio il sale che dava il nome alla celebre strada.

Le catacombe della via del sale

Meno noti e visitati dai turisti, ma forse non meno importanti dei cimiteri romani sotterranei (denominati usualmente catacombe) che si trovano sulla Via Appia, troviamo anche sull’estremo romano della Via Salaria una serie di cimiteri antichi, di cui il più famoso è quello di Priscilla.
Questa era una nobile cristiana, sicuramente appartenente alla famiglia degli Acili, secondo alcune epigrafi  trovate nel luogo, che ha messo la sua proprietà a disposizione per la sepoltura dei cristiani.
Al numero civico 430 della Via Salaria, quasi davanti ai cancelli di accesso a Villa Ada, troviamo anche l’ingresso alla catacomba di Priscilla, che si snoda sotto la Basilica di San Silvestro, dove questo pontefice romano è sepolto assieme ad altri Papi e Martiri.
È lui il Papa del tempo di Costantino che ha eretto, quando la situazione politica dell’Impero lo rese possibile, questo tempio all’esterno, sulla tomba dei martiri Felice e Filippo, anche per rendere il dovuto culto alle grandi figure che nel cimitero erano state tumulate, come il Papa Marcellino, il Papa Marcello, le martiri Pudenziana e Prassede e centinaia di altri ricordati nei documenti della Chiesa primitiva.

Tre tesori fragili ma preziosi

Tra i grandi tesori che il cimitero di Priscilla nasconde nelle sue venerande gallerie e stanze, alcuni in particolare sono molto cari alla memoria dei cristiani.  Infatti, lì si venerano le più antiche raffigurazioni esistenti della Madonna, le quali possono ritenersi databili una alla fine del secondo secolo o inizi del terzo, le altre due al terzo avanzato.
Naturalmente queste immagini, oltre che essere una preziosa testimonianza dell’antichità del culto alla Vergine Maria sin dagli albori della Chiesa, hanno un significato cristologico: quel Bambino in braccio a sua Madre, o nella scena dell’Annunciazione predetto dall’angelo, è il protagonista della storia, dal quale però non può essere disgiunta colei che l’ha generato.
Infatti da questo inseparabile legame col Figlio nasce nella Chiesa primitiva il culto, cioè il riconoscimento della grandezza della Vergine Maria e l’onore e l’amore a lei tributato. Tale culto, che nei secoli ha contemplato, approfondito e rappresentato le prerogative della Vergine, a lei concesse in funzione della sua maternità divina, non è certo, come alcuni credono, una elaborazione quasi mitologica della pietà del Medioevo ma un frutto dell’azione illuminativa dello Spirito Santo dall’inizio del Cristianesimo.

La Madonna col Profeta

Nel più antico dei due affreschi, dipinto sull’intonaco nella volta di una nicchia, trasformata in galleria per la presenza di una tomba venerata, la Vergine è seduta in cattedra, rivestita di stola dalle maniche corte e la “palla” che le copre il capo, reclinato in atteggiamento di tenerezza verso il Figlio che tiene in grembo.
Davanti a lei il profeta Balaam in piedi, vestito di pallio, tiene nella mano sinistra un rotolo, mentre con la destra addita una stella in alto, sulla testa della Madonna. La composizione s’ispira al passo biblico: «Oracolo di Balaam, figlio di Beor, oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante, oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell’Altissimo, di chi vede la visione dell’Onnipotente, e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi. Io lo vedo, ma non adesso, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Numeri 24, 15-17).
Come non provare una profonda emozione nell’incontrare queste testimonianze, leggermente sbiadite nelle immagini ma così vive nella loro essenzialità, del culto tributato dai primi cristiani alla Madre di Dio, la Theotokos, quale trono dell’Altissimo, di colui che è la Stella che darà luce a tutto il mondo?

L’Epifania

La seconda raffigurazione della Vergine la troviamo sull’arco centrale della cosiddetta “Cappella Greca”. Qui la Madonna, sempre assisa in cattedra, porge il Figlio all’adorazione dei Magi. Come si trova frequentemente nei cimiteri antichi, questa scena che sta a indicare una salvezza non riservata al solo popolo eletto ma estesa a tutti i popoli del mondo! Qui a Priscilla ce n’è un altro esempio in un frammento di sarcofago, posto sotto l’altare nella Basilica di S. Silvestro.

L’Annunciazione

Ancora una volta ritroviamo, in un cubicolo dell’arenario (forse anche qui la presenza di una tomba venerata?), dipinta sulla volta, la figura della Vergine nella scena dell’Annunciazione. È seduta su una cattedra, in atteggiamento maestosamente eretto, mentre l’angelo col braccio proteso verso di lei le comunica il disegno di Dio e ne riceve l’assenso.
È da questo momento che inizia l’opera della Redenzione, il Vangelo della salvezza che compie l’attesa messianica e sarà annunciato in tutto il mondo. E da allora Madre e Figlio sono strettamente legati all’umanità intera, Lei come l’eletta, la più santa tra le creature, Lui come Dio che assume l’umanità per divinizzarla!








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