Maria in Jacopone da Todi e in Giovanni Boccaccio
Data: Giovedi 8 Novembre 2012, alle ore 11:40:17
Argomento: Cultura


Dal libro di Vincenzo Arnone, Bibbia e Letteratura, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta - Roma 2010, pp. 214-215 e 223-224.



JACOPONE DA TODI

Di Jacopo de' Benedetti, detto Jacopone (1230- 130^(~) sappiamo poco, ma tanto quanto ci basta per capire che ebbe una vita travagliata e sofferta, prima e dopo la sua conversione religiosa. Perseguitato, processato, incarcerato e scomunicato, come frate dell'Ordine dei Frati Minori simpatizzante dei francescani spirituali, pensava forse di avere concluso la sua vita in maniera malinconica e triste, allorquando il successore di Bonifacio VIII, Benedetto XI, lo riabilitò, lo liberò ed egli poté vivere ancora gli ultimi tre anni della vita serenamente nei pressi di Todi, dove morí. Agli occhi del lettore superficiale Jacopone potrebbe apparire il frate ingenuo e quasi ignorante che ebbe a scrivere solo la celebre Stabat Mater, in un momento di fervore mistico e di com-passione cristiana. Invece non è cosi. Esercitava intanto l'arte di procuratore legale nella sua città e alla morte della moglie ebbe una crisi spirituale talmente forte che dedicò la sua rimanente vita a Dio e alla preghiera. A quel momento, narra il suo biografo "fu sì percosso nella mente e compunto nel core e affienato de tutti li sentimenti che mai più... parve veramente omo razionale, ma como insensato e attonito andava fra la gente". E mantenne la sua passione poetica a tal punto che scrisse 93 Laude si da essere considerato il poeta più rappresentativo prima di Dante. E rivolto alla Madonna, non scrisse solo Il celebre Pianto della Madonna bensì altre laude, tra cui lo Stabat Mater, e un'altra speculare ad essa, di preghiera e di contemplazione sulla nascita di Gesù: Stabat Mater speciosa. Il Pianto della Madonna è considerato la più antica rappresentazione sacra, nella sua forma dialogata, appassionata e di forte emozione. Quel che in vita era accaduto al poeta, nella sua grande crisi spirituale e nella conseguente conversione, viene a ad avvolgere e trascinare i versi delle laude in uno slancio mistico fuso con la piena partecipazione al dolore di Maria. La ripetitività di versi o di termini accentuano ancora di più lo spasimo del cuore e la preghiera dell'anima.

Figlio bianco e vermiglio,
Figlio senza somiglio,
Figlio, e a cui m'apiglio?
Figlio, pur m'ài lassato!...


Lo Stabat Mater dolorosa e lo Stabat Mater speciosa hanno un andamento molto simile, speculare, nella scansione delle strofe e nella terminologia sapientemente capovolta, ora dolorosa ora gaudiosa:

Stabat Mater dolorosa
iuxta crucem lacrimosa
dum pendebat Filius;
        cuius animam gementem,
       contristatam et dolentem
        pertransivit gladius...

* * *
Stabat Mater speciosa
iuxta foenum gaudiosa
dum iacebat parvulus...
        cuius animam gaudentem
        laetabuntam et ferventem
        pertransivit iubilus...


L'una e l'altra lauda non si allontanano di molto dalle pagine del vangelo, ma seguono episodi di minima portata o di grande importanza della vita di Gesù, rivissuti da Maria, in una lunga orazione. Sono ricche di fantasia e di emotività nel coinvolgimento del lettore che viene guidato a rivivere il mistero della natività e quello della morte. Non contengono una mistica artificiosa e accademica, bensì fondono insieme poesia e preghiera, cultura e fede come solo Jacopone, frate francescano, poteva fare nella contemplazione della gioia e del dolore della vita di Gesù e di Maria.



GIOVANNI BOCCACCIO

Giovanni Boccaccio (1313-1375) ebbe una vita meno travagliata, tormentata e anche meno ricca di elementi filosofici e teologici di quella del Petrarca. Dalla sua natia Certaldo, si trasferì, molto giovane a Firenze e poi a Napoli dove si dedicò agli studi e alle letture classiche. Egli si sentiva "creato dalla natura alle poetiche meditazioni" e a tale inclinazione si dedicò lentamente e costantemente, da solo, senza l'aiuto di maestri e contro il volere del padre; "imparò da solo la poetica e si applicò ad essa con grandissima avidità, e vide e lesse e si sforzò d'intendere quanto poteva i libri dei poeti", così scrive nelle Genealogie. Ritornato a Firenze, poté vedere e constatare i gravi mali della peste del 1348 che gli diede lo spunto per il suo capolavoro il Decamerone. Ma non scrisse solo questa grande opera, bensì altre che intendevano rimembrare l'esperienza d'amore che aveva riempito la giovinezza dello scrittore: Il Filocolo, Filostrato, Teseida, Ninfale fiesolano, l'Amorosa visione. Stese inoltre una Vita di Dante e le Rime.
Tra tali Rime si trova un sonetto alla Madonna che Boccaccio scrisse in vecchiaia, al tempo in cui rivedeva la sua vita, il suo passato e nutriva sentimenti di nostalgia, di sofferenza, di pentimento; non ha più la baldanza della gioventù, ma serenamente si rivolge a Maria, come regina e madre e alza lo sguardo verso il cielo e l'eternità. I versi di tale sonetto esprimono, annota Vittore Branca in una edizione critica delle "Rime" nel 1939, "in un atteggiamento raccolto e meditativo il peso e la solitudine dell'anima del poeta al venir meno dalla baldanza gioiosa e del fervore di vita raffinata che ne aveva informato tutto il vivere. Sono tra gli accenti più commossi e immediati del Boccaccio: di una pacata robustezza spirituale, di una umanità stanca ma profonda, quale raramente troviamo nella sua opera.

O Regina degli angioli, o Maria,
ch'adorni il ciel coi tuoi lieti sembianti
e stella in mar dirizzi e naviganti
a port'e segno di diritta via,
            Per la gloria ove sei, Vergine pia,
            ti prego guardi a' mia miseri pianti,
            incresciuti di me, to' mi davanti
            l'insidie di colui che mi travia.
Io spero in te ed ho sempre sperato;
vogliami il lungo amare e reverente,
il qual ti porto ed ho sempre portato.
            Drizza il mio cammin, fammi possente
            Di divenir ancor dal destro lato
            Del tuo Figliuol, fra la beta gente.


 







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