È quella parte del Messale e del Breviario, chiamata anche Proprium de sanctis, che contiene i formulari propri per la messa e l'ufficio di alcune messe a data fissa di Nostro Signore, non inserite nel Temporale, delle feste della Croce, di Maria S.ma, degli Angeli, dei Santi, degli anniversari della dedicazione delle chiese e della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Parte integrante del Santorale è il Commune Sanctorum, in cui sono raccolti i formulari liturgici comuni a determinate categorie di santi.
SECRETA
SECRETA
(sottinteso oratio; Super oblata; Sacra) L'orazione della Messa che si recita sulle offerte prima del Prefazio, detta Super oblata nei libri del tipo gregoriano. Il titolo secreta ricorre nel Gelasiano antico (cod. Vat. Reg. lat. 316, della metà del sec. VIII) e già un mezzo secolo prima nel cosiddetto Messale di Bobbio (Parigi, Bibl. naz., lat. 13246) si ha collectio secreta, forse un segno della provenienza gallicana. Lo Jungmann spiega il nome dall'uso gallicano di recitare questa orazione a voce bassa, mentre nel rito romano primitivo e tuttora nel rito ambrosiano l'orazione viene detta ad alta voce. La differenza tra l'antico uso romano e quello nuovo gallicano-franco si vede nell'avviso dell'Ordo XV, 35 (Andrieu, 102): "... dicit orationem super oblationes" (oppure oblatas secrete; cf Ordo V, 58) "ita ut nullus praeter Deum et ipsum audiat"; similmente nell'Ordo XVII, 46 (Andrieu, 181); ciò si faceva a cagione di un silenzio rigoroso, imposto a questo punto nella liturgia gallicana, sotto influsso orientale. Dell'uso di recitare a voce bassa la secreta si ha una testimonianza del sec. VII-VIII in un graffito del cimitero di Commodilla. Il Righetti invece lo spiega per mezzo di due azioni liturgiche concomitanti - anch'esse nel rito orientale - l'una compiuta dal celebrante in segreto, l'altra dal diacono ad alta voce (il diacono recita i nomi degli offerenti, mentre il sacerdote dice, per economia di tempo, l'orazione sulle offerte). Altre derivazioni, p. es., da secernere o secretio (i fedeli dai catecumeni, le offerte per la consacrazione da quelle per la sola benedizione) o da un equivalente di benedictio o di consecratio (Batiffol) o da una orazione preparatoria al Prefazio o all'azione di consacrazione, detta secreta (Brinktrine), sono meno verosimili. La secreta entrava nell'ordinario della Messa assieme con le Collecta, Postcommunio, Super populum. Al tempo della lettera di Innocenzo I a Decenzio, nel 416, non vi si trovano. Come la Colletta, s'indirizza di solito al Padre ed è una formola di oblazione: "Accepta sint..."; "Offerimus... "; domanda la consacrazione delle offerte ed implora le grazie sacramentali; spesso in relazione con la festa relativa. L'ultima parte della conclusione si canta ad alta voce.
Bibliografia
H. Leclercq, Secrète, in DACL, XV, 1, coll. 1129-1132; G. Brinktrine, La S. Messa, Roma 1945, pp. 155-58; M. Righetti, Man. di stor. liturg., III, Milano 1949, pp. 287-90; I. A. Jungmann, Missarum sollemnia, II, Vienna 1949, pp. 108-117; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XI, Città del Vaticano, 1953, coll. 222-223.
SESTA
SESTA
Ora canonica da recitarsi all'ora sesta del giorno (secondo la divisione greco-romana), cioè sul mezzogiorno. L'inno richiama il peso del lavoro e il caldo del giorno per pregare la pace dell'anima nei pericoli della lotta e della passione. Gli scrittori antichi (Ippolito, Constit. Apostol.) mettono la Crocifissione del Signore appunto in quell'ora del giorno. La Sesta ha la stessa origine e struttura come le altre ore minori del giorno, Terza e Nona.
Bibliografia
H. Leclercq, Sexte et Tierce, in DACL, XV, 1 coll. 1396-99. C. Callewaert, De Brev. rom. liturgia, Bruges 1939, nn. 212,226, 317, 318; P. Albrigi, Sacra liturg. L'oraz. pubblica, Vicenza 1942, pp. 88-90, 439-41; M. Righetti, Man. di stor. litur., Milano 1946, pp. 421-23, 584-86; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XI, Città del Vaticano, 1953, col. 429.
SETTIMANA SANTA
SETTIMANA SANTA
(Major hebdomada, Hebdomada sancta, Hebdomada authentica) È la settimana antecedente la Pasqua, detta anche "maggiore" o "autentica", perché commemora la Passione, Morte, sepoltura e Risurrezione di Cristo. Oggi i tre ultimi giorni (Giovedì, Venerdì e Sabato) sono detti il triduo sacro e hanno uffici propri.
STAZIONE LITURGICA
STAZIONE LITURGICA
Chiesa in cui si celebrano, in determinate circostanze, le funzioni liturgiche.
STOLA
STOLA
(più anticamenteorarium) È una insegna liturgica, comune ai diaconi, ai sacerdoti e ai vescovi, ma diversamente portata: dai diaconi sulla spalla sinistra a tracolla e annodata sotto il braccio destro, dai sacerdoti pendente dal collo e incrociata sul petto se sopra il camice o semplicemente pendente con i due lembi paralleli; dai vescovi i quali mai la incrociano perché già portano la croce pettorale. Al diacono e al sacerdote vien consegnata nella ordinazione. È una striscia di seta lunga cm. 200-50, larga cm. 8-10; quella che si porta con la pianeta ha una croce, in mezzo e in fondo a ciascun lembo (sec. XVI), quella che si usa sopra la cotta spesso è più ornata e più ricca. Segue le regole dei colori liturgici. La stola si trova in Oriente fin dal sec. IV come insegna del clero di grado minore (Concilio di Laodicea), con la distinzione: il diacono porta la stola detta "orario" sulla spalla sinistra visibile (non sotto la veste superiore) e svolazzante, il sacerdote invece porta quella detta "epitrakelion" pendente dal collo. I gradi superiori portano il pallio. Tutte e due le insegne sono della stessa origine, non di istituzione ecclesiastica, ma di privilegio imperiale; il pallio fatto di lana, la stola di lino o seta. Nell'Occidente, fuori di Roma, nella Spagna, la stola è propria dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi. I diaconi la portano sulla spalla sinistra pendente davanti e di dietro sopra la dalmatica, sempre di colore bianco in tela o lana; dal sec. XII a tracolla e a sciarpa e dal sec. XV di colore della dalmatica e sotto di essa. Nel rito ambrosiano anche oggi sopra la dalmatica. I preti della Spagna la portavano attorno al collo come i vescovi, ma fin dal Concilio di Praga del 675 incrociata sul petto; questo modo s'introduce dappertutto dal sec. XIV e venne prescritto per i preti dal messale pianum. In Gallia si trova la stola come insegna dei vescovi, detta "pallio" da pseudo Germano; la stola diaconale si portava sul camice; la stola sacerdotale è nel sec. IX cosi propria dei preti che la portavano anche nei viaggi. A Roma invece non era un'insegna speciale e la portavano anche i suddiaconi e gli accoliti sotto la pianeta; si diceva "orario" ed era più che altro un'insegna distintiva del clero dai laici. Verso il sec. X, quando il suddiacono e l'accolito non portano più la pianeta, la stola diviene insegna propria del diacono, del prete e del vescovo. E da questo tempo l'uso e il significato della stola è uniforme nell'Occidente. L'origine della stola e del nome è ancora oscura. Il nome di orarium (lat. os = bocca, volto) proviene dal latino, mentre la voce "stola" deriva dal greco. Il Wilpert fa derivare la voce orarium dei diaconi dalla mappa usata nel servire a tavola, portata sulla spalla sinistra; i diaconi erano ministri alla tavola eucaristica e agapica. I ministri dei sacrifici pagani come gli inservienti a tavola erano provvisti di una tale mappula. Questa mappula diviene mediante la contabulatio, una striscia o fascia. L'orario sacerdotale, un vero orario o sudario da proteggere il volto dal freddo nell'inverno, dal sudore nell'estate, anch'essa passa dalla forma contabulata a quella d'una striscia. Ma tutte queste spiegazioni ne lasciano l'origine oscura, e si preferisce la derivazione di L. Duchesne da un'insegna imperiale, come recentemente ha sostenuto Klauser. La voce "stola" proviene dalla denominazione usata in Gallia e derivata dal greco per designare non una veste femminile, ma una veste distintiva in senso scritturale (Apoc. 6, 11; 7, 9, 14).
Bibliografia
J. Braun. Die liturgische Gewandung, Friburgo 1907, pp. 562-620; id., I paramenti sacri, loro uso, storia e simbolismo, vers. it., Torino 1914, pp. 121-29; L. Duchesne, Les origines du culte chrétien, Parigi 1925, pp. 410, 415; M. Righetti, Man. di stor. liturg., I, Milano 1950, pp. 520-24; T. Klauser, Der Ursprung der bischöfl. Insignien und Ehrenrechte, Krefeld 1950, pp. 17-20; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XI, Città del Vaticano, 1953, coll. 1371-1372.
STOLONE
STOLONE
(stola latior) Striscia di seta del colore liturgico portata dal diacono dal Vangelo a dopo la comunione nelle messe penitenziali, in cui i sacri ministri non portano dalmatica e tunicella.
SUCCINTORIO
SUCCINTORIO
(subcinctorium, subcingulum, perizoma; balteus, praecinctorium, semicinctium) Ornamento del Papa nella Messa solenne. È una striscia di stoffa simile al manipolo ripiegata in mezzo, del colore della pianeta, ornata da una parte con un agnello d'oro, dall'altra con una croce d'oro; viene attaccata alla parte sinistra del cingolo. A Roma il succintorio non si usava prima del sec. XI. Bruno di Segni (m. nel 1123) e Sicardo da Cremona (m. nel 1215) sono tra i primi a nominarlo. Non viene menzionato negli Ordines Romani primi né dagli scrittori dei seco. VIII-X (Amalario, Rabano, Strabone, Pseudo Alcuino). Però a Ravenna era già in uso nel sec. VII-VIII; venne poi chiamato: balteus(nel Sacramentario di Ratoldo di Corbie), praecinctorium (nella Messa detta Illyrica), semicinctorium (nell'Italia del sud). È proprio dei vescovi (Ordo XIV, 48.53) dato in privilegio anche agli altri prelati; a Milano portato anche dai preti-cardinali del Capitolo metropolitano. Il caeremoniale Episcoporum Romanum non lo nomina più. Serviva in origine per assicurare la stola, come dicono Durando ("quo stola pontificis cum ipso cingulo colligatur", Rat., III, 1,3) e s. Carlo Borromeo ("subcinctorium, quo stola cum cingulo connectitur", Braun, op. cit. in bibl., p. 120, n. 5), perché la stola era ancora abbastanza lunga. La stola venne poi accorciata e assicurata col cingolo stesso; il succintorio divenne un semplice ornamento. Secondo Durando simboleggia la castità del corpo come il cingolo quella dell'anima. Il succintorio non aveva mai relazione né traeva origine dall'epigonation greco che si portava sempre alla destra ed era in origine un enchirion, un sudario..
Bibliografia
J. Braun, Die liturgische Gewandung im Occident und Orient, Friburgo 1907, pp. 117-24; id., I paramenti sacri, vers. it., Torino .1914, pp. 80-81; L. Eisenhofer, Handbuch der kath. Liturgik, I, Friburgo 1932, pp. 423-24; M. Righetti, Man. di stor. liturg., I, Milano 1950. pp. 497-98; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XI, Città del Vaticano, 1953, coll. 1478-1479.