Piccolo tavolo che deve essere collocato vicino all'altare, dalla parte dell'Epistola, discosto, se possibile, dal muro, per posarvi quanto occorre nella Messa.
Bibliografia
- R. Aigrain, Liturgia, Enc. populaire de connaissances liturgiques, Parigi 1935, p. 223.
- Enrico Dante, da Enciclopedia Cattolica , I, Città del Vaticano, 1948, coll. 3-4.
ACQUA SANTA
ACQUA SANTA
È il sacramentale più comune della liturgia cattolica. Quanto all'uso liturgico, occorre distinguere fra l'acqua che oggi serve esclusivamente per conferire il battesimo, preparata alla vigilia di Pasqua e di Pentecoste con l'infusione dell'olio dei catecumeni e del crisma (acqua battesimale), e l'acqua semplicemente benedetta (acqua santa), di cui si serve comunemente la Chiesa confezionandolo con una miscela di sale mentre di recitano apposite preghiere.
AD LIBITUM
AD LIBITUM
Espressione che in liturgia ha diversi usi:
1. si riferisce al libero uso di certe Collette;
2. musicalmente all'uso di canti recitativi individuali (toni di Orazioni, Epistole, Vangeli) o collettivi (toni comuni dell' Ordinarium Missae)
Bibliografia
Gregorio M. Suñol, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, col. 309.
AD MULTOS ANNOS
AD MULTOS ANNOS
Saluto e augurio di lunga vita che il vescovo consacrato rivolge al suo consacrante al termine della funzione della consacrazione.
Bibliografia
Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, col. 311.
AGENDA
AGENDA
Parola latina che significa "quello che si deve fare". In principio era usata in liturgia per indicare il Canone della Messa e anche tutta la Messa. In seguito indicò il complesso dell'ufficio e delle preci dei defunti. Vennero poi chiamate così anche le raccolte di preghiere e cerimonie per l'amministrazione dei sacramenti.
Bibliografia
Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, col. 445.
AGNUS DEI
AGNUS DEI
Formola liturgica introdotta nella Messa da Sergio I papa, seguendo un antico uso dei greci, con diretta allusione all'espressione di Giovanni Battista (Gv 1, 29). Esso si doveva cantare con la risposta: Miserere nobis, ripetuta più volte durante la solenne frazione del pane consacrato. Poiché questa solennità nel secolo XI si ridusse al solo celebrante, il canto fu limitato a tre invocazioni, la terza con la risposta: Dona nobis pacem.
ALCUINO
ALCUINO
Consigliere di Carlomagno, nato in Northumbria verso il 735, morto a Tours il 19 maggio 804. Opere liturgiche principali: edizione critica del Sacramentario Gregoriano, Liber Sacramentorum, De Baptismi caeremoniis, lettere a Carlomagno sull'aggiunta delle tre settimane alla Quaresima (Ep. 80 e 81), Invocatioalla S.ma Trinità.
ALLELUIA
ALLELUIA
Acclamazione religiosa ebraica ("Lodate il Signore"), passata nella liturgia cristiana. Nel campo strettamente liturgico l'alleluia fu scelto come espressione rituale di giubilo cristiano che prorompe nella solennità della Pasqua e da questa si riverbera su tutte le altre feste dell'anno. Nella Chiesa romana sotto san Gregorio Magno introdusse l'alleluia in tutte le messe dell'anno, escluso il tempo di Quaresima e l'officiatura dei morti.
ALMUZIA
ALMUZIA
Forma di cappuccio unito a una mantelletta, la cui parte posteriore era più lunga dell'anteriore, che costituiva nel medioevo l'abito corale di alcuni canonici. È ancora il distintivo corale dei canonici di alcune cattedrali e collegiate, ma la sua forma è differente dalla primitiva e varia nei diversi paesi.
Bibliografia
J. Braun, Liturgische Gewandung in Occident und Orient, Friburgo in Br. 1907, p. 335; Id., I paramenti sacri. Loro uso, storia e simbolismo, vers. it., Torino 1914, p. 161; Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, coll. 914-915.
ALTARE
ALTARE
Superficie piana orizzontale, elevata da terra, destinata al sacrificio. Nella disciplina attuale l'altare è fisso o mobile.
AMALARIO DI METZ
AMALARIO DI METZ
(Amalarius, Amalharius) Teologo e liturgista medievale, sulla cui vita si hanno pochi e discussi dati storici. Sembra sia nato a Metz tra il 770 e il 775, morto ivi il 29 aprile, tra l'850 e l'853. Opere principali: Liber Officalis, detto anche De Ecclesiasticis Officiis(ultima ed. in 4 libri verso l'832), De Ordine Antiphonarii (dopo l'844), varieExpositiones della messa, l' Epistolario.
AMITTO
AMITTO
Indumento sacro di tela (m. 0,70 X 0,80 ca.), da porsi intorno al collo e sulle spalle, munito di fettucce per legarne i capi al petto.
Bibliografia
G. Bona, De rebus liturgicis. Parigi 1672, p. 226; J. Braun, I paramenti sacri, Torino 1924, p. 56: M. Righetti, Storia Liturgica, I, Milano 1945, p. 474 sg.; Enrico Dante, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, coll. 1076-1077.
AMPOLLA
AMPOLLA
Vasetto a collo sottile e corpo di varia forma, destinato a contenere il vino e l'acqua per la Messa e gli oli santi.
Bibliografia
Enrico Dante, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, coll. 1113-1114.
ANELLO
ANELLO
Non si può determinare con certezza quando l'anello assunse nella Chiesa il significato di autorità, di dignità e di preminenza che lo fece riservare ai soli prelati e vietare al semplice clero: tanto più che non è facile, dai documenti che abbiamo, distinguere sempre l'anello sigillare dall'anello di dignità. Certo è che alla fine del sec. VI già si aveva, nella cerimonia della consacrazione dei vescovi, la formola per la benedizione e la consegna dell'anello episcopale, come leggiamo nel Pontificale di Salisburgo, ca. l'anno 600. Il can. 28 del Concilio IV di Toledo (633) enumera l'anello fra le insegne del vescovo; ed i pontificali dei secoli seguenti stabiliscono che l'anello deve portarsi nel dito anulare della mano destra, e che si deve dare al consacrando prima del pastorale. Riservato così l'anello ai soli prelati, secondo le loro varie dignità, si ebbero vari anelli di cui si dà una breve enumerazione.
1. ANELLI DEL SOMMO PONTEFICE
Il Papa ha tre anelli. distinti: l'anellodel Pescatore (piscatorio), l'anello pontificale, l'anello ordinario.
- Anello del Pescatore È usato come sigillo nei brevi pontifici, di cui costituisce una delle principali caratteristiche, e in altri atti redatti dai segretari apostolici, come le cedole e le sentenze concistoriali. Il nome deriva dalla figura dell'impronta, che rappresenta San Pietro pescatore. La sua origine si ricollega con l'origine stessa dei brevi. La prima menzione si trova in due lettere di Clemente IV del 1265 e del 1266 (Potthast 19051 e 19380) come sigillo segreto usato nelle lettere di carattere privato in luogo della bolla plumbea, che era il sigillo ufficiale e solenne. Il primo esemplare è costituito da un sigillo di Niccolò III (1277-80) in cera rossa, di forma ovale, alto circa cm. 2,5, appeso ad un reliquiario del Sancta Sanctorum al Laterano, ora conservato nel Museo Sacro della biblioteca Vaticana: in esso si scorge un giovane imberbe in piedi, che sorregge una canna da pesca con un pesce all'estremità della lenza, ed intorno si legge: † SECRETUM NICOLAI PP. III. Tuttavia fino al pontificato di Niccolò V il sigillo segreto non portò sempre la figura del pescatore: l'anello d'oro dell'antipapa Clemente VII (1378-94) conservato pure al Vaticano, porta il suo stemma sormontato dalla tiara e dalle chiavi; e il sigillo di Eugenio IV (1431-47) usato in alcuni brevi presenta le teste dei Principi degli Apostoli ("anulus capitum Principum Apostolorum"). Nei brevi di Bonifacio IX (1389-1404) l'anello piscatorio è detto "anulus fluctuantis naviculae". Con Niccolò V (5447-55) il tipo divenne costante: ovale impresso su cera rossa, alto circa 2 cm., con la figura di s. Pietro chino nella navicella in atto di tirare la rete, e nel cielo il nome del Papa seguito dal numero ordinale. Intorno alla cera (tranne nella parte inferiore) era attaccata una treccia di pergamena per proteggere il sigillo dallo strofinio. Nel 1842 il sigillo di cera aderente è stato sostituito da un timbro rosso rotondo, che conserva la rappresentazione dell'anello piscatorio.
- Anello Pontificale È simile all'anello che prendono i vescovi quando pontificano, ma è molto più ricco. Il Pontefice lo riceve dal cardinal vescovo assistente secondo le cerimonie proprie della Messa papale.
- Anello Ordinario Come i vescovi, il Papa porta abitualmente l'anello alla mano destra. Il Venerdì Santo per la Messa dei presantificati il Papa si reca in cappella senza anello in dito e senza dare la benedizione: ciò deve anche osservarsi da tutti quelli che ne hanno l'uso, in segno di lutto per la morte del Signore.
2. ANELLO CARDINALIZIO
È quello che i cardinali ricevono nel concistoro segreto, come distintivo della loro dignità, quando il Papa assegna ad essi i titoli delle chiese. Consiste in un cerchio d'oro con uno zaffiro sotto la cui legatura vi è in smalto lo stemma del Pontefice. Non se ne conosce l'origine, ma già si trova menzionato nel sec. XII.
3. ANELLO VESCOVILE
I vescovi hanno due anelli: quello pontificale, per le funzioni solenni; e quello ordinario, che consiste in un cerchio d'oro con pietra circondata di brillanti. Sono concessi 50 giorni di indulgenza (S. Uff., 18 apr. 1909) a chi bacia l'anello di un cardinale o di un vescovo.
4. ANELLI DEGLI ABATI e PRELATI "NULLIUS" Il can. 325 del CIC concede agli abati nullius il privilegio di portare ovunque un anello con unica gemma, che viene dato ad essi, come anche agli altri abati regolari, nella solenne benedizione che ricevono. Si crede che la prima concessione risalga alla fine del sec. X.
5. ANELLO DEI PRELATI INFERIORI Il motu proprio Inter multiplices di Pio X (25 febbr. 1905) regola in maniera definitiva l'uso dell'anello per protonotari apostolici. Solo i protonotari partecipanti possono ovunque e sempre portare l'anello con unica gemma: i soprannumerari e quelli ad instar participantium possono usare l'anello nelle sole funzioni pontificali. I protonotari onorari non hanno l'uso dell'anello. Il CIC (can. 136, § 2) vieta l'uso dell'anello a tutti i chierici che non ne abbiano per legge o per indulto apostolico il privilegio. L'indulto apostolico è, in ogni caso, necessario per portare l'anello durante la celebrazione della Messa, a meno che non si tratti di un cardinale, di un vescovo o di un abate benedetto (can. 811, § 2).
6. ANELLO DEI DOTTORI Eugenio III, che istituì i gradi accademici, concesse ai dottori ritualmente creati l'uso dell'anello con una sola gemma. Analoga disposizione si trova nel can. 1378 del CIC.
7. ANELLO NUZIALE
Si dà dallo sposo alla sposa nell'atto della celebrazione del matrimonio, e viene benedetto per la mistica significazione che deve avere: segno del mutuo amore e pegno di indissolubile unione. Il suo uso passò nella liturgia cristiana dall'antichità romana.
8. ANELLO NELL'ARTE
All'avvento del cristianesimo i simboli e le figurazioni pagane che ornavano il sigillo cedono il posto ad altre di soggetto sacro che sono in stretto rapporto con il repertorio iconografico delle catacombe; nella massima parte degli esemplari - interessante per varietà di tipi la raccolta del British Museum di Londra - l'esecuzione è piuttosto sommaria e rozza. L'anello del vescovo trae origine dalla necessità che egli aveva di apporre il proprio sigillo ad atti ufficiali; in processo di tempo acquista il significato di suggello della vera fede e diviene simbolo di unione fra il pastore e la sua diocesi. Già nel sec. VII era in Spagna un normale attributo vescovile e tale divenne in Francia nel IX e poco più tardi in tutte le altre regioni dell'Occidente. In relazione col nuovo significato e col diverso orientamento del gusto, al sigillo inciso si sostituì di regola il castone con una pietra colorata talvolta incisa; non di rado vennero usati anche cammei o pietre lavorate dell'antichità pagana. Durante il Rinascimento l'anello raggiunge un elevato grado di arte anche per l'unione di varie tecniche come il niello e lo smalto; più massiccio nel castone appare durante l'età barocca. Merita particolare menzione l'anello piscatorio la cui forma è invariata almeno dal sec. XV; è un anello generalmente di bronzo dorato con cristallo di rocca inciso con la rappresentazione della navicella e il nome del Pontefice che di esso si serve per apporre il sigillo ai brevi; subito dopo la morte viene distrutto.
Bibliografia
K. A. Fink, Untersuchungen über die päpstlichen Breven des 15. Jahrhunderts, in Römische Quartalschrift, 43 (1935), p. 80 sgg., dove è riportata la bibliografia precedente, tra cui v. specialmente F. Cancellieri, Notizie sopra l'origine e l'uso dell'a. piscatorio, Roma 1828; Ed. Watterton, On the "Annulus piscatoris" or Ring of the Fisherman, in Archaeologia, 40 (1866), pp. 138-42; E. Molinier, Histoire générale de l'art appliqué à l'industrie, I, Parigi 1902 ; H. Leclerq, s. v. in DACL. I, coll. 21742223; O. M. Dalton, Catalogue of the Early Christian Antiquities in the British Museum, Londra 1911, pp. 1-33; Guglielmo Matthiae, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, coll. 1217-1220; F. Liceti, De annulis antiquis, II ed., Udine 1645: J.-A, Martigny, Des anneaux chez les premiers chrétiens et de l'anneau épiscopal en particulier, Mâcon 1858; M. Deloche, Le port des anneaux dans l'antiquité romaine et les premiers siécles du Moyen-âge, in Mém. Acad. Inscript, 35 (Parigi 1896).
ANNO LITURGICO
ANNO LITURGICO
È la serie delle feste e dei tempi festivi della Chiesa, e ha avuto inizio ed evoluzione indipendentemente dall'anno civile. Ha inizio la prima domenica dell'Avvento, che cade sempre negli ultimi di novembre o i primi di dicembre. Nell'anno liturgico si contano le settimane, in numero di 52, a somiglianza della settimana creatrice di Dio. Il settimo giorno si chiama "giorno del Signore", dies dominica, mentre gli altri prendono il nome dal posto che hanno nella settimana: secunda, feria tertia, quarta, quinta, sexta, sabbatum, e incominciano la sera precedente. La domenica corrisponde alla feria prima, perché presso gli ebrei il sabato era il giorno del Signore. Le settimane, a loro volta, si riuniscono per formare i tempi, che costituiscono dei cicli, intorno ai quali si raggruppano. I due principali sono quelli di Pasqua e di Natale. Nel "calendario liturgico" attuale l'anno consta del Temporale, che si sviluppa secondo il ciclo pasquale con le sue feste mobili, e delSantorale, che segue il calendario civile, con le feste nei giorni fissi.
ANTIFONA
ANTIFONA
Da Antiphoné= canto alternato fra due cori. È una breve formola, composta da una o più frasi, che mette in risalto il siginificato del salmo: è come una chiave per l'interpretazione del salmo stesso, dal quale quasi sempre è tolta, e ne indica il pensiero principale. A volte illustra il mistero che si celebra, come le antifone proprie delle feste o del Commune Sanctorum, che sono brevi preghiere, lodi od invocazioni prese da passi scritturistici o composte ex novo.
ANTIFONARIO
ANTIFONARIO
Il nome deriva etimologicamente da antifona; oggi, però, per antifonario si intende il libro liturgico che contiene tutti i canti che servono per l'ufficio divino: quindi non solo antifone, ma anche inni, versetti, ecc.
ANTIFONE O
ANTIFONE O
Il 17 dicembre nella liturgia romana incomincia alMagnificat una serie di antifone speciali in preparazione alla festa di Natale. Si chiamano Antiphonae Maiores, per ragione della particolare solennità con cui vengono cantate, oppure Antiphonae O perché tutte cominciano con questa interiezione.
ANTIMENSION
ANTIMENSION
È l'altare portatile dei greci. La Chiesa latina col tempo adottò solamente altari portatili di pietra, mentre la Chiesa greca si servì del legno ed anche della stoffa, usando poi definitivamente solo questa. Oggi l'antimension è comunemente un rettangolo (talvolta un quadrato) di m. 0,40 x 0,60, di seta o anche di tela, che porta cucita nella parte posteriore una piccola borsa con dentro reliquie, inclusevi dal vescovo nella consacrazione. Gli dette origine la necessità frequente di celebrare i divini misteri lontano dalle chiese, o nei luoghi privi di altari fissi; ma dati storici positivi si hanno soltanto nel sec. VIII e IX. Anticamente si usava solo quando l'altare non era consacrato; oggi invece si usa indifferentemente su tutti gli altari. Fuori della Messa, esso resta sull'altare piegato in quattro: il sacerdote nella celebrazione del divino sacrificio lo spiega a suo tempo secondo le prescrizioni rubricali. Ordinariamente viene consacrato durante la cerimonia della consacrazione della chiesa, quando il vescovo, lavato l'altare una seconda volta con il vino profumato o con l'acqua di rose, l'asciuga con gli antimension e poi ripete la stessa azione dopo aver unto l'altare col sacro crisma. Gli antimension così consacrati devono restare sull'altare finché non vi siano celebrate sette Messe. In caso di necessità possono consacrarsi anche in altri tempi dal vescovo o da un sacerdote a ciò delegato. Ai sacerdoti di altro rito è vietato celebrare la Messa sull'antimension. (can. 823, § 2).
Bibliografia
S. Pétridès, s. v. in DACL, I, ii, coll. 2319-26; Id., L'Antimension, in Echos d'Orient, 3 (1899-1900), pp. 193-202; R. Souarn, Memento de théologie morale à l'usage des missionnaires Parigi 1907, pp. 79-81; Enrico Dante, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, coll. 1451-1452.
APOLOGIA
APOLOGIA
nella Messa. Con questo nome si designavano nella liturgia antica alcune preghiere che il sacerdote recitava per implorare il perdono delle proprie colpe. Nella liturgia odierna è rimasto il Confiteoral principio della Messa, quale avanzo di queste apologie.
Bibliografia
E. Martène, De antiquis Ecclesiae ritibus, I, cap. 4, art. 11, Anversa 1773; F. E. Warren, The Liturgy and Ritual of the Celtic Church, Oxford 1881, p. 230; F. Cabrol, s.v.in DACL, I, coll. 2591-2601; Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano, 1948, col. 1669.
ARCANO
ARCANO
disciplina dell'Arcano. Con l'espressione disciplina arcani si suole designare, dal secolo XVII in poi, un uso vigente nella Chiesa antica, specialmente dal secolo III al V, di non parlare agli estranei dei riti sacri e dei dogmi della religione.
ARREDI SACRI
ARREDI SACRI
Sono gli oggetti che servono per il culto, specialmente quelli che più strettamente si riferiscono alla S.ma Eucaristia e servono sia per la persona del sacerdote (paramenti sacri) sia per la confezione e conservazione del S.mo Sacramento (vasi sacri), sia anche per ornare l'altare e la chiesa dove si celebra. Ad imitazione di Cristo, che istituì il Sacramento eucaristico in una qualunque stanza, con vesti ed in vasi d'uso comune, i primi cristiani solevano celebrarlo senza apparato speciale ed in luoghi privi di particolare distinzione. Solo più tardi, quando la celebrazione eucaristica incominciò a rivestire carattere solenne, l'arredamento sacro acquistò i principali elementi liturgici odierni. Con le invasioni barbariche la vita romana subì una radicale trasformazione anche nel modo di vestire. Di qui il principio di quel distacco che gradualmente venne accentuandosi fra i laici e il clero, il quale ritenne le vesti antiche nella celebrazione dei sacri riti. Altrettanto si dica dei vasi sacri, la forma e la materia dei quali fu stabilita man mano da usi e prescrizioni particolari. Col medioevo si diffuse la tendenza ad una semplificazione nella forma dell'arredamento sacro. Ma l'arte del ricamo, del cesello e dell'intarsio fu sempre largamente profusa, specialmente nelle epoche in cui i grandi geni arricchivano le chiese di tanti mirabili capolavori, a far sì che quanto era necessario direttamente e indirettamente al servizio liturgico si distaccasse per ricchezza e squisita fattura dagli oggetti di uso comune. La materia con cui si confezionano gli arredi sacri deve essere più o meno preziosa secondo che si trovi a più o meno diretto contatto con la S.ma Eucaristia. Così per le pianete, le tunicelle, il piviale, il velo omerale, è necessaria la seta; il lino o la canapa per il camice, il purificatoio, le palle, le tovaglie, gli amitti; l'oro e l'argento per il calice, la pisside, la patena, l'ostensorio. Per questi ultimi possono adoperarsi anche altri metalli; però la patena e l'interno della coppe del calice e della pisside devono essere dorati. Per i paramenti sacri è necessaria la benedizione, mentre per il calice e la patena occorre la consacrazione da parte del vescovo o di un altro sacerdote delegato. Per la conservazione degli arredi sacri esiste in ogni chiesa la sacrestia o altro luogo a ciò destinato; i più preziosi vengono talvolta custoditi in apposito tesoro. Più ampie notizie sotto le voci rispettive.
Bibliografia
G. Braun, I paramenti sacri, Torino 1914; E. Roulin, Linges, insignes et vêtements liturgiques, Parigi 1930; Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, II, Città del Vaticano, 1949, col. 18.
ARUNDINE
ARUNDINE
(dal lat. arundo "canna"). Asta ornata e sormontata da tre candele disposte a triangolo, usata nella funzione del Sabato Santo. Dopo la benedizione del fuoco alla porta della chiesa, il diacono vi entra sorreggendo con la destra l'arundine, e canta tre volte il Lumen Christiall'ingresso, a metà e vicino all'altare, alzando ogni volta il tono della voce e accendendo una delle tre candele. L'arundine rimane poi a fianco dell'altare maggiore fino alla domenica in albis. Il rito trae forse la sua origine dall'uso esistente in Roma dove, il Giovedì Santo, verso nona, alla porta del Laterano si accendeva, con una scintilla tratta da pietra focaia, una candela posta su una canna; con essa poi si accendevano sette lampade e si iniziava la Messa (Ordo Rom. I , appendice 1, dell'evo carolino). La miniatura di un Exsultet(Cod. Vat. lat. 3784, sec. XII) fa pensare che l'arundine non fosse altro in origine che l'asta munita di una o più candele, adoperata per accendere il Cero pasquale. Comunque l'attuale cerimonia delLumen Christi compare solo nell' Ordo Rom. XII, 30 (fine sec. XII inizio sec. XIII).
Bibliografia
Ordo Romanus I, appendice 1, n. 2 e Ordo Romanus XII, 30: PL 78, 960, 1076; M. Righetti, Storia liturgica, II, Milano 1946, p. 171; Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, II, Città del Vaticano, 1948, col. 71.
ASPERGES ME
ASPERGES ME
Formola con cui si fanno le aspersioni rituali di acqua benedetta (v. Aspersione). Non è facile decidere se l'uso della formola coincidesse sempre con quello dell'acqua. Nel sec. IX si usava certamente per l'aspersione sugli infermi (Teodulfo di Orléans [m. nel 815], Capitulare alterum, 105, 220; Sinodo di Nantes can. 4, in Mansi, XI, 658, falsamente attribuito al 658). Probabilmente si usava anche nell'aspersione domenicale del popolo (nella quale forse ognuno si aspergeva senza essere asperso da altri), che Incmaro di Reims (Capitula Synod., I, 5: PL 125, 774) prescrive nell'852, mentre sembra che in principio l'aspersione dei luoghi e delle cose fosse fatta al canto dei salmi (S. Baluze, Capit. Regum Francor., I, Parigi 1677, p. 903) o forse solo con la recita di collette. È conosciuto con certezza l'uso dell'A. al sec. XI nell'aspersione domenicale dalle Consuetudines cassinesi dell'abate Oderisio (E. Martène, De ant. Eccl. ritibus, ed. di Anversa 1738, lib. IV, p. 134). Nel tempo pasquale in suo luogo si canta Vidi aquam, composizione ispirata ad Ez. 47, 1, con evidente allusione al Battesimo di cui la Pasqua celebra il ricordo. Nella processione pasquale vespertina dei neofiti, infatti, si cantava a Roma questa stessa antifona (Ordo Roman., I, cap. 13: PL 78, 966). Il senso battesimale, che nel medioevo subentrò al primitivo senso lustrale cd esorcistico del rito e della formola di aspersione, nonché il tradizionale uso di non cantare il salmo 50 durante il periodo pasquale, diedero forse motivo, più che la reminiscenza storica romana, all'introduzione del Vidi aquam nello stesso periodo liturgico.
Bibliografia
Bibl.: A. Franz, Die kirchlich. Benedictionen im Mittelalter, I, Friburgo in Br. 1909, p. 86 sgg.; Salvatore Marsili, da Enciclopedia Cattolica, II, Città del Vaticano, 1949, coll. 154-155.
ASPERSIONE
ASPERSIONE
È l'atto di spruzzare sulle persone o sulle cose l'acqua benedetta, di solito usando uno strumento di metallo o ramoscelli di alcune piante (v. Aspersorio). L'acqua è stata sempre usata per la purificazione, donde il suo largo impiego nelle varie religioni (v. Rito ). Nessuna meraviglia, quindi, che anche le religioni rivelate si servissero di un tal rito per significare la purificazione del corpo. Nella Legge mosaica la purificazione con l'acqua si faceva in tre modi: per abluzione, per aspersione e per immersione. Nel libro dei Numeri (19) abbiamo una curiosa aspersione dell'acqua lustrale, mischiata alle ceneri di una vacca rossa. Nella festa dei Tabernacoli le lustrazioni erano più numerose. La religione cristiana ereditò dall'ebraica l'uso dell'acqua lustrale, e scelse nei libri sacri le preghiere e i canti che accompagnano ancor oggi il rito dell'aspersione. Esso risale alla più remota antichità, e ne vediamo tracce negli Atti di Pietro, scritti verso il 200, e negli Atti di s. Tommaso, scritti verso il 232. Nel Sacramentario di Serapione, oltre la benedizione dell'acqua battesimale, vi sono varie formole per la benedizione dell'olio, dell'acqua e del pane. In Oriente, almeno dal sec. III, si ha l'uso liturgico dell'acqua benedetta per ottenere la guarigione dalle malattie e contro le tentazioni del demonio; in Occidente, invece, dobbiamo risalire alla metà del sec. VI per avere delle notizie certe. S. Agostino, infatti, s. Gregorio di Tours e s. Cesario di Arles tacciono su tale soggetto. Se ne parla nella lettera di papa Vigilio a Profuturo di Braga (538), nelle vite di s. Emiliano, di s. Mabo e di s. Vilfrido, nel Liber Pontificalis, ove si accenna all'uso occidentale di mischiare il sale all'acqua nella benedizione. L'aspersione dell'acqua nelle domeniche, poi, rimonta ad Incmaro (sec. IX); e dalla liturgia gallicana è passata alla romana.
Bibliografia
G. Bona, Rerum lìturgicarum libri duo , II, Torino 1749, pp. 81-84; P. M. Paciandi, De sacris christianorum balneis , Roma 1758; A. Gastoué, L'eau bénite, son origine, son histoire, son usage, Parigi 1907; Enrico Dante, da Enciclopedia Cattolica, II, Città del Vaticano, 1949, col. 155.
ASPERSORIO
ASPERSORIO
È uno strumento di argento, oro od altro metallo, che serve a spruzzare di acqua benedetta le persone e gli oggetti. Oltre le pile per l'acqua santa all'ingresso delle chiese, furono presto in uso dei vasi minori, portatili, per poter più facilmente eseguire le varie aspersioni richieste dalla liturgia. I primi cristiani le praticavano con ramoscelli d'issopo o di altre erbe profumate, come alloro, mirto, olivo. Nella forma oggi più usata, l'aspersorio consiste in un'asta di metallo, terminante in una palla traforata, o in setole bianche. Il Pontificale romano prescrive l'aspersorio d'issopo per la consacrazione o benedizione di chiese e di altari, e ciò in armonia alla formola di benedizione: Asperges me hyssopo.
Bibliografia
Bibl.: Ordo Romanus I, appendice 1, n. 2 e Ordo Romanus XII, 30: PL 78, 960, 1076; M. Righetti, Storia liturgica, II, Milano 1946, p. 171; Enrico Dante, da Enciclopedia Cattolica, II, Città del Vaticano, 1949, col. 155.