DISCERNIMENTO - DUBBIO - DIZIONARIO DI TEOLOGIA BIBLICA

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D: DISCERNIMENTO - DUBBIO

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  ................. LUIS MARTINEZ FERNANDEZ

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    DISCERNIMENTO (inizio)

    → coscienza - demoni NT 2 - gustare 1 - profeta VT III 1 - prova-tentazione NT III - segno - semplice 1 - spirito NT 1 - volontà di Dio NT II 1.

    DISEGNO DI DIO (inizio)

    Dio, «autore di tutto ciò che è avvenuto, avviene attualmente ed avverrà in seguito» (Giudit 9, 5 s), agisce «con numero, peso e misura» (Sap 11, 20). Ciò significa che la storia umana non si svolge secondo gli impulsi di un destino cieco. Risultato della *volontà di Dio, essa è orientata, da un capo all’altro, dal termine verso il quale cammina. Questo termine, fissato da tutta l’eternità nella predestinazione, ha due aspetti essenziali: la *salvezza in Cristo e la salvezza di tutti gli uomini. Tale è «il *mistero della volontà di Dio, quel piano amorevole ch’egli aveva predisposto in sé per realizzarlo quando i *tempi fossero compiuti» (Ef 1, 9 s; cfr. 3, 11). Nascosto per lunghi secoli,abbozzato nella *rivelazione del VT, esso non è manifestato pienamente se non nel momento in cui Cristo viene a inserirsi quaggiù nella storia (Ef 3, 1-12). Esso non di meno conferisce unità e intelligibilità all’insieme della storia sacra e delle Scritture. Se la sua designazione tecnica in termini specializzati rimane rara nel VT, esso vi è tuttavia inscritto da un capo all’altro in filigrana.
    VECCHIO TESTAMENTO
    Il VT fornisce le prime approssimazioni, incomplete e provvisorie, del disegno di Dio. Esse si incontrano nelle diverse correnti letterarie, che corrispondono ai diversi atteggiamenti della fede di Israele dinanzi alla storia sacra.
    I. LE CONFESSIONI DI FEDE CULTUALI
    La letteratura deuteronomica ha conservato testi cultuali - confessioni di fede (Deut 26, 5-10), formulari catechetici (Es 12, 26 s; Deut 6, 20...), canovacci di discorsi sacerdotali (Gios 24, 2-15), tutti ricalcati su uno stesso modello - che mostrano il posto centrale che l’idea del disegno di Dio occupava nella fede di Israele: questa vi attingeva una visione religiosa del passato nazionale, considerato nelle sue grandi linee. C’è stata, da parte di Dio, *elezione degli antenati, *promessa di una posterità e di una terra, *compimento della promessa per mezzo di avvenimenti provvidenziali, dominati dall’esodo, dall’*alleanza al Sinai, dal dono della *legge, dalla conquista di Canaan. Il futuro rimane aperto; ma come dubitare che la realizzazione del disegno, così iniziata nei fatti, non debba essere portata da Dio fino al suo termine? L’israelita sa dunque che la sua esistenza è interamente impegnata in un dramma che si svolge, ma la cui fine non gli è ancora svelata se non parzialmente.
    II. LA VISIONE PROFETICA DEI FATTI
    Su questa base i profeti apportano elementi nuovi, perché «Dio non fa nulla quaggiù senza rivelare il suo segreto (sôd) ai suoi servi i profeti» (Am 3, 7). I fatti, prima di avvenire, sono in effetti preceduti da un consiglio divino (Is 5, 19; 14, 26; 19, 17; 28, 29; 46, 10; Ger 23, 18-22), da un piano (Mi 4, 12), da una *volontà di beneplacito (Is 44, 28; 46, 10; 48, 14; 53, 10). Questo è il dato misterioso che i profeti fanno conoscere al popolo di Dio. Ne sottolineano la presenza nel passato nazionale: al tempo dell’*esodo, Dio voleva innalzare Israele alla dignità di figlio (Ger 3, 19 s); il comportamento attuale del popolo ingrato dev’essere valutato in funzione di questo dato, che esige da esso una conversione sincera. Infatti il disegno di Dio continua a dominare la storia presente: se Nabuchodonosor impone il suo giogo ad Israele ed alle nazioni vicine, lo fa come servo di Dio (Ger 27, 4-8), come strumento della sua *ira contro popoli colpevoli (Ger 25, 15...); se questa o quella nazione pagana conosce la rovina, è in virtù di un piano stabilito e per manifestare il giudizio divino (Ger 49, 20; 50, 45); se Ciro diventa il padrone dell’Oriente è per realizzare una volontà divina e assicurare la liberazione di Israele (Is 44, 28; 46, 10; 48, 14). Infine i profeti, nei loro oracoli escatologici, svelano la meta verso la quale Dio fa camminare la storia: la *salvezza; una salvezza alla quale tutte le *nazioni avranno parte assieme ad Israele (cfr. Is 2, 1-4; ecc.); una salvezza di cui gli avvenimenti passati forniscono una certa rappresentazione, perché la *prefiguravano; una salvezza che trascenderà il piano temporale, perché implicherà una *redenzione dei peccatori conforme al disegno di Dio (Is 53, 10). Il quadro abbozzato dai profeti abbraccia quindi l’insieme di questo disegno. Si dà persino il caso che tutti i suoi aspetti siano riuniti in sintesi, come nella parabola in cui Ezechiele evoca successivamente il passato, il presente ed il futuro di Israele (Ez 16).
    III. LE SINTESI DI STORIA
    Confessioni di fede ed interpretazione profetica degli avvenimenti forniscono la cornice di pensiero che dà al genere storico il suo carattere particolare. Benché la scienza moderna vi veda materiali di provenienza e di valore diversi, la loro composizione in forma sintetica conferisce a questi saggi un per farne percepire la continuità (così è già per la collezione delle tradizioni jahviste); vi mette in evidenza leggi provvidenziali che ne spiegano lo svolgimento (come nella sintesi di Giud 2, 11-13). Tutti gli avvenimenti in tal modo appaiono presi in uno stesso disegno di salvezza. La prospettiva universalistica vi rimane presente (cfr. Gen 9, 12; 10; 12, 3; 49, 10), benché il solo destino di Israele sia inteso direttamente. D’altronde, a misura che il tempo scorre, nuovi fatti ne manifestano più chiaramente gli elementi fondamentali. Così alle antiche collezioni di tradizioni - che lo storico sacerdotale riorganizzerà in forma abbreviata - i cronisti deuteronomisti aggiungono una storia della conquista (Gios), dei giudici (Giud) e della monarchia (Sam e Re), fino alla rovina delle istituzioni nazionali. Infine il Cronista, riprendendo lo stesso canovaccio, lo completerà con la storia della restaurazione giudaica (Cron, Esd, Neem). È evidente che c’è qui una esecuzione pratica del piano eterno di Dio, capace di sventare i piani degli uomini (Sal 33, 10 s). Perciò queste stesse sintesi di storia passano direttamente nella preghiera di Israele (Sal 77; 78; 105; 106): la fede si nutre della conoscenza del disegno di Dio rivelato mediante i fatti.
    IV. LA RIFLESSIONE SAPIENZIALE
    Per la stessa ragione la riflessione sapienziale, in genere di carattere così atemporale, si dedica qui alla storia per trarne le lezioni. Medita le vie di Dio, così diverse dalle vie dell’uomo (Is 55, 8), così incomprensibili ai peccatori (Sal 94, 10). In questo concerto Qohelet fa sentire una nota discordante quando denuncia l’eterno ritorno delle cose terrene (Eccle 1, 4-11) o la incomprensibilità dell’insieme del tempo (Eccle 3, 1-11): profondamente imbevuto del senso del mistero, egli non si accontenta facilmente delle soluzioni troppo rapide! Ma altrove l’orientamento del pensiero è completamente diverso. Il Siracide medita l’esempio degli antenati (Eccli 44 - 50); l’autore della Sapienza scopre nella storia dei patriarchi e dell’esodo le leggi fondamentali del comportamento di Dio, costantemente applicate nella realizzazione terrena del suo disegno (Sap 10 - 19): lezione preziosa per uomini che sanno di essere impegnati in questo disegno e ne aspettano il compimento supremo.
    V. L’APOCALITTICA
    Al punto di congiunzione della sapienza e della profezia, la corrente apocalittica sintetizza infine ciò che il tardo giudaismo sapeva del disegno di salvezza, alla luce delle *Scritture antiche completate da una rivelazione dall’alto. Già Is 25, 1 celebra nella caduta della città del male l’esecuzione del consiglio di Dio. Ma è soprattutto Daniele a conglobare in una visione d’assieme la storia passata della nazione, la sua situazione presente ed il futuro escatologico verso il quale è tesa. Gli imperi passano; ma attraverso la loro successione si prepara la venuta del *regno di Dio, oggetto delle promesse antiche (Dan 2; 7). Le potenze persecutrici tramano le loro macchinazioni contro il popolo di Dio; ma vanno incontro alla loro perdita, mentre Israele va verso la salvezza (Dan 8, 19- 26; 10, 20 - 12, 4). Questo è il *mistero (Dan 2, 22- 27 s), la cui sostanza era già racchiusa sotto le cifre delle Scritture (Dan 9). Un identico stato d’animo si ritrova nelle apocalissi apocrife (Enoch), e caratterizza il giudaismo contemporaneo del NT. Così il tema del disegno di Dio è fondamentale in tutto il VT: la storia sacra ne è la realizzazione; la *parola di Dio ne apporta la *rivelazione. Non già che con questo l’uomo acquisti un’ipoteca qualunque sui *misteri divini; ma nel suo amore Dio glieli fa conoscere a poco a poco, illuminando nello stesso tempo il senso della sua esistenza.
    NUOVO TESTAMENTO
    Tutto il NT si inserisce nello stesso canovaccio; ne precisa soltanto il dato finale, più importante, perché nell’evento di Gesù il disegno di Dio si manifesta pienamente e nello stesso tempo la sua fine si attua in una forma storica.
    I. GESÙ NEL DISEGNO DI DIO
    1. Gesù stesso si vede al centro del disegno di Dio, al termine del suo periodo preparatorio, nella pienezza dei *tempi. Questa coscienza si manifesta attraverso formule varie: l’invio di Gesù da parte del Padre (Mt 15, 24; Gv 6, 57; 10, 36) e la sua venuta in questo mondo (Mt 5, 17; Mc 10, 45; Gv 9, 39), il compimento della volontà del Padre (Gv 4, 34; 5, 30; 6, 38) e quello delle Scritture (Lc 22, 37; 24, 7. 26. 44; Gv 13, 8; 17, 12), o semplicemente la necessità della sua passione («Bisogna...»: Mc 8, 31 par.; Lc 17, 25; Gv 3, 14; 12, 34) ed il giungere della sua *ora (Gv 12, 23). Queste espressioni definiscono una situazione critica, in funzione della quale Gesù agisce costantemente. Se predica la buona novella del regno (Mt 4, 17. 23 par.), se guarisce gli ammalati e scaccia i demoni, lo fa per indicare che è colui che doveva venire (Mt 11, 3 ss) e che il *regno di Dio è venuto (Mt 12, 28). Con lui il disegno di Dio è quindi giunto alla sua svolta decisiva. In lui si realizzano le *Scritture che ne abbozzavano in anticipo il termine: esse illuminano il significato del suo destino terreno, che passa attraverso la *croce per accedere alla gloria; viceversa, il suo destino terreno illumina le Scritture, mostrando il modo in cui gli oracoli profetici devono prendere corpo nei fatti.
    2. A questa rivelazione in atto, Gesù aggiunge indicazioni orali più esplicite. Attraverso le *parabole, in cui sono rivelati i *misteri del *regno di Dio (Mt 13, 11 par.), egli mostra il modo paradossale in cui il disegno di salvezza raggiungerà il suo termine. Di fatto la sua morte ne è il punto centrale (Mt 31, 38 s), affinché «la *pietra rigettata diventi la pietra d’angolo» (Mt 21, 42 par.). Per via di conseguenza la *vigna del regno sarà tolta ad Israele per essere affidata ad altri vignaioli (Mt 21, 43); il banchetto delle *nozze escatologiche, rifiutato dagli invitati di Israele, sarà aperto ai miserabili e ai peccatori di fuori (Mt 22, 1-11 par.). D’altronde la costituzione del *regno sulla terra non avverrà mediante una trasformazione repentina del mondo: la *parola seminata da Gesù germoglierà nei cuori lentamente, come il seme nei solchi, ed accanto a splendidi successi conoscerà sconfitte (Mt 13, 1-9. 18-23 par.). Malgrado tutto, il regno coprirà infine il mondo, come l’albero nato da un umile granello (Mt 13, 31 s par.); lo trasformerà come fa il lievito nella pasta (Mt 13, 33 par.). Occorrerà perciò molto tempo. Gesù quindi discerne nel futuro parecchi piani successivi: quello della sua prossima passione, seguita dalla risurrezione al terzo giorno, quello del suo ritorno in gloria sotto i tratti del figlio dell’uomo (Mt 24, 30 s). Così pure, quando pensa alla costituzione del regno, egli distingue il tempo della fondazione e quello della consumazione (Mt 13, 24-30. 47 ss par.). Introduce così nell’escatologia profetica una prospettiva temporale che nulla, neppure la predicazione di Giovanni Battista, permetteva fino allora di notarvi. Il disegno di Dio conoscerà una nuova tappa tra la pienezza dei *tempi e la fine dei secoli (Mt 28, 20). In previsione di questa tappa Gesù conferisce al regno la forma di una istituzione visibile fondando la sua Chiesa (cfr. Mt 16, 18).
    II. PROCLAMAZIONE DEL DISEGNO DI SALVEZZA
    La comunità primitiva ha raccolto fedelmente tutto questo insieme di lezioni. Il *vangelo che essa proclama dinanzi al mondo non è più soltanto quello del regno: è quello della *salvezza venuta in *Gesù, Messia e Figlio di Dio, salvezza accessibile ormai a tutti gli uomini che credono nel suo *nome (Atti 2, 36-39; 4, 10 ss; 10, 36; 13, 23). Svelando così l’ultimo segreto del disegno di Dio, la Chiesa apostolica, nella sua predicazione ai Giudei, si vede non di meno obbligata a superare lo *scandalo causato dalla croce di Gesù: come comprendere che Dio abbia potuto permettere che il suo *Messia fosse messo a morte? Ora questa *morte era appunto l’oggetto di un disegno ben determinato e di una prescienza divina (Atti 2, 23; 4, 28...), come mostrano abbondantemente le Scritture. Non si tratta soltanto di apologetica: la riflessione cristiana sul paradosso della *croce va dritto al centro del disegno di Dio. «Cristo è morto per i nostri peccati, conformemente alle Scritture» (1 Cor 15, 3). Non è a caso che queste abbozzavano in più modi il volto del giusto sofferente: con ciò indicavano il modo in cui il *figlio dell’uomo avrebbe compiuto la *redenzione.
    III. PAOLO, TEOLOGO DEL DISEGNO DI DIO
    1. Visione d’assieme.
    - Di fatto tutta la teologia di S. Paolo non è che un annunzio del disegno di Dio nella sua interezza (Atti 20, 27). Il tema è soggiacente dovunque nelle lettere, perché Paolo riprende, sistematizzandole, le idee della comunità primitiva, specialmente riguardo al paradosso della *croce (1 Cor 1, 17-25; 2, 1-5). In due casi questo tema affiora in primo piano nel suo pensiero e si esprime formalmente. Il primo è quello delle sintesi in cui Paolo presenta in compendio l’insieme del piano di Dio, culminante in *Gesù Cristo e nella sua *Chiesa. Per coloro che Dio ama, questo piano si svolge secondo tappe rigorosamente concatenate: *predestinazione, vocazione, giustificazione, glorificazione (Rom 8, 28 ss). Questo schema è ampiamente sviluppato nell’inno che apre la lettera agli Efesini (1, 3-14), dove il «disegno amorevole», prestabilito e realizzato nella pienezza dei tempi, si identifica con il mistero della *volontà divina (1, 9 s), quel mistero che Cristo ha posto in piena luce e di cui Paolo è stato costituito ministro (3, 1-12).
    2. Il destino di Israele.
    - All’interno di questa visione d’assieme Paolo distingue un punto particolare in cui il disegno di Dio si afferma in modo più paradossale: il destino di *Israele nell’economia della redenzione. Costituiva già un metodo ben strano, per assicurare la salvezza di tutti gli uomini, il separare un popolo, fornirlo di privilegi esclusivi (Rom 9, 4 s), collocarlo apparentemente solo nella via della *redenzione. Ma che dire quando questo popolo, non contento di rigettare Gesù, si ostina dinanzi alla predicazione del vangelo? Non c’è qui una specie di scandalo? Dio, la cui chiamata e i cui doni sono senza pentimento (Rom 11, 29), avrebbe rigettato Israele (Rom 11, 1)? No, ma questa stessa ostinazione (cfr. *indurimento), prevista nelle Scritture (Rom 9, 23...; 10, 19 - 11, 10), fa parte anch’essa del disegno di salvezza: Dio voleva racchiudere tutti gli uomini nella disobbedienza, per fare poi *misericordia a tutti (Rom 11, 30 ss); voleva stroncare provvisoriamente i rami sterili dell’ulivo, per innestare al loro posto i pagani (Rom 11, 16-24). Così il privilegio di Israele nel disegno di salvezza appare nella sua vera luce. Per mezzo di Israele Dio ha riallacciato i suoi rapporti con l’umanità, per mezzo del peccato di Israele ha realizzato infine la salvezza. Ora il tempo della separazione è terminato. Dio vuole rifare l’*unità degli uomini in Cristo, riconciliando Giudei e pagani nell’unica *Chiesa (Ef 2, 14-22). A questa disposizione definitiva non ha risposto che un *resto di Israele (Rom 11, 1-6); ma la massa del popolo vi risponderà a sua volta quando la totalità dei pagani sarà entrata nella Chiesa (Rom 11, 25 ss). Così la storia della Chiesa non sfugge al disegno di Dio più di quanto facesse un tempo la storia di Israele: ne rivela la disposizione ultima.
    IV. IL COMPIMENTO FUTURO DEL DISEGNO DI DIO
    La presentazione del disegno di Dio nel VT terminava in escatologia: i testi sacri ne abbozzavano in anticipo il termine. Il NT ha coscienza che ora questo termine è raggiunto, inaugurato, reso presente nel tempo; tuttavia non è totalmente consumato. Il tempo della Chiesa costituisce l’ultima tappa del disegno di Dio; ma anch’esso cammina verso una fine. C’è dunque ancora posto per una escatologia cristiana, che evoca a sua volta la consumazione delle cose e comprende, in questa prospettiva, la storia che la prepara. A questo si collega una serie di testi, dall’apocalisse sinottica (Mc 13 par.) alle brevi indicazioni paoline (1 Tess 4, 13-17; 2 Tess 2, 1-12; 1 Cor 15, 20-28) ed a tutta l’Apocalisse giovannea. Quest’ultima, interpretando la testimonianza delle Scritture antiche alla luce di Cristo e dell’esperienza ecclesiale, ha risolutamente di mira il futuro e guarda in faccia gli avvenimenti che porteranno a termine il disegno di Dio. Seduzioni dell’*anticristo, *persecuzioni, prodromi del *giudizio finale insiti nelle sciagure della storia, non sono effetti del caso. Dio li conosce in anticipo, ed attraverso ad essi fa camminare la salvezza quaggiù, fino al *giorno in cui il numero dei suoi eletti sarà completo (Apoc 7, 1-8). Allora il Figlio potrà infine rimettere tutte le cose al Padre suo (1 Cor 15,24), affinché Dio sia tutto in tutti (15, 28).
    A. A. VIARD e P. GRELOT
    → Abramo I - alleanza - cercare III - Chiesa II 0.1 - compiere - creazione VT III; NT II 1 - croce I 2.3 - Dio VT I - elezione - figura VT II - giorno del Signore - missione VT I 2, II 1 - mistero - nazioni 0; VT II 2, III; NT 1 2, II - obbedienza - opere VT I; NT I - ora - parola di Dio VT II 1 b c. 2 a - peccato III 2 b, IV 3 d - popolo A III; B; C II - predestinare - profeta VT I 2 - provvidenza - resto NT - rivelazione VT II 1; NT I 1 a b, II 1 a - sapienza VT III 3 - servo di Dio 0, II 2 - tempo - verità VT 3 - volontà di Dio.

    DISINTERESSE (inizio)

    → amore - dono NT 3 - elemosina NT 1 - grazia IV - retribuzione.

    DISOBBEDIENZA (inizio)

    → ascoltare 1 - incredulità - obbedienza II - peccato I 1.

    DISPERSIONE (inizio)

    La dispersione degli uomini sulla terra appare, fin dai primi capitoli della Genesi, come un fatto ambiguo. Conseguenza della *benedizione divina, per mezzo della quale l’uomo deve moltiplicarsi e riempire la terra (Gen 9, 1; cfr. 1, 28), essa avviene nell’*unità; castigo del peccato, essa diventa il segno della divisione, primo *scisma tra gli uomini (Gen 11, 7 s). Questa duplice prospettiva si ritrova in seguito nella storia della salvezza.
    1. Dispersione del popolo-nazione.
    - Dio si è scelto un *popolo, al quale ha dato una *terra. Ma, infedele a Dio, Israele è disperso (2 Re 17, 7-23), ritorna in *esilio come un tempo in *Egitto (Deut 28, 64-68). Le sventure che accompagnano l’esilio sono rese dai LXX con il termine diàspora (Deut 28, 25; 30, 4; Is 49, 6...), che anche se in realtà significa «dispersione», verrà in seguito a designare l’insieme degli Ebrei sparsi per il mondo pagano dopo la cattività di Babilonia. Questa dispersione ha come scopo la purificazione (Ez 22, 15); una volta che questa è realizzata, avrà luogo il raduno (Ez 36, 24). Nel frattempo essa rimane un fatto doloroso che tormenta le anime pie (Sal 44): venga il tempo in cui Dio radunerà tutti i membri del suo popolo (Eccli 36, 10)! Tuttavia da questo male Dio trae un maggior bene: Israele disperso fa conoscere la vera fede agli *stranieri (Tob 13, 3-6); fin dall’esilio incomincia il proselitismo (Is 56, 3); all’epoca greca l’autore della Sapienza desidera essere inteso dai pagani, perché tale è, a suo giudizio, la vocazione di Israele (Sap 18, 4). In questa nuova prospettiva Israele tende a liberarsi dal suo statuto di nazione per prendere forma di chiesa; non più la razza, ma la fede gli assicura l’unità vivente, di cui sono segno i *pellegrinaggi a Gerusalemme (Atti 2, 5-11).
    2. Dispersione del popolo-chiesa.
    - Con Cristo, il popolo di Dio supera la cornice nazionale giudaica e diventa propriamente *Chiesa. Nella *Pentecoste lo Spirito, mediante il dono delle *lingue e della carità, assicura la comunione delle *nazioni; ormai il Dio che unisce gli uomini non si adora più qui o là, ma «in spirito e verità» (Gv 4, 24). I fedeli quindi non temono più la persecuzione che li disperde lontano da Gerusalemme (Atti 8, 1; 11, 19) e faranno risplendere la loro fede, secondo l’ordine del risorto di radunare tutte le nazioni in una sola fede, mediante un solo battesimo (Mt 28, 19 s). Alla diaspora giudaica si sostituisce quindi un’altra diaspora, voluta da Dio per la conversione del mondo. Ad essa Giacomo indirizza la sua lettera (Giac 1, 1); Pietro la ritrova presso i pagani convertiti, che assieme ai Giudei fedeli formano il nuovo popolo di Dio (1 Piet 1, 1) al fine di riportare all’unità l’umanità dispersa (Atti 2, 1-11). Infatti, per i cristiani, l’unità della *fede trionfa incessantemente sulla dispersione. I figli di Dio sono radunati dal sacrificio di Cristo (Gv 11, 52): ormai, in qualunque luogo essi si trovino, il Cristo «elevato da terra» li attira a sé (Gv 12, 32), dando loro lo *Spirito di carità che li unisce nel suo proprio *corpo (1 Cor 12).
    R. MOTTE
    → castighi - esilio - Pentecoste II 2 c - scisma VT 1 - solitudine - straniero I - unità.

    DISPREZZO (inizio)

    → fierezza VT 3; NT 2 - orgoglio 1.

    DISSENSO (inizio)

    → eresia - scisma - unità.

    DISTRUGGERE (inizio)

    → anatema VT - edificare 1 2 - tempio VT I 2.3; NT I.

    DITO DI DIO (inizio)

    → braccio e mano 1 - scrittura III.

    DIVINAZIONE (inizio)

    → magia 1.

    DIVISIONE (inizio)

    → dispersione - eresia - scisma - unità - uomo II 1 a.

    DIVORZIO (inizio)

    → adulterio - matrimonio VT II 3; NT I 1.

    DOCILITÀ (inizio)

    → ascoltare - bambino - discepolo - indurimento - semplice 2.

    DODICI (inizio)

    → apostoli I - Chiesa III 2 - elezione NT II 1 - Israele VT 1 b - numeri I 1, II 1.

    DOLCEZZA (inizio)

    → mitezza.

    DOLORE (inizio)

    → consolazione - sofferenza - tristezza.

    DOMANDARE (inizio)

    → pane III - preghiera.

    DOMENICA (inizio)

    → feste NT II - giorno dei Signore NT III 3 - Pasqua III 1 - sabato NT 2 - settimana 2 - tempo NT II 3.

    DONNA (inizio)

    Nei codici di Israele come in quelli del Medio Oriente antico, la condizione della donna resta quella di una minorenne: la sua influenza permane legata alla funzione materna. Ma Israele si distingue per la sua fede nel Dio creatore che afferma la sostanziale parità dei sessi. Tuttavia la vera posizione della donna è rivelata soltanto con la venuta di Cristo; perché, se, secondo l’ordine della creazione, la donna si completa diventando sposa e madre, può anche completarsi, nell’ordine della nuova creazione, con la verginità.
    VECCHIO TESTAMENTO
    SPOSA E MADRE
    1. Nel paradiso terrestre.
    - I sessi sono un dato fondamentale della natura umana: l’*uomo fu creato «maschio e femmina» (Gen 1, 27). Questa sintesi del redattore sacerdotale suppone il racconto jahvista, dov’è esposta la duplice funzione della donna in rapporto all’uomo. A differenza degli animali, la donna, tratta dal più intimo di Adamo, ne ha la stessa natura; tale è la constatazione dell’uomo dinanzi alla creatura che Dio gli presenta. Più ancora, rispondendo al disegno divino di dargli «un aiuto, una specie di riflesso» (2, 18), Adamo si riconosce in essa; riconoscendone il *nome, dà un nome a se stesso: dinanzi ad essa non è più semplicemente Adamo, ma diventa iš, ed essa è iššah. Sul piano della *creazione la donna completa l’uomo, facendolo diventare suo sposo. Questa relazione avrebbe dovuto rimanere perfettamente uguale nella differenza, ma il peccato l’ha snaturata assoggettando la sposa al proprio marito (3, 16). La donna non inizia soltanto alla vita di società, ma è la *madre di tutti i viventi. Mentre numerose religioni assimilano volentieri la donna alla *terra, la Bibbia la identifica piuttosto con la *vita: essa è, secondo il senso del suo nome di natura, Eva, «la vivente» (3, 20). Se, a causa del peccato, essa non trasmette la vita se non attraverso la *sofferenza (3, 16), trionfa non di meno della morte assicurando la perpetuità della specie; e per mantenersi in questa speranza essa sa che un giorno la sua posterità schiaccerà la testa del serpente, del nemico ereditario (3, 15).
    2. Nella storia sacra.
    - In attesa di quel giorno benedetto, la funzione della donna rimane limitata. Certamente, in casa, i suoi diritti sembrano uguali a quelli del marito, per lo meno nei confronti dei figli che essa *educa; ma la *legge la mantiene al secondo posto. La donna non ha partecipazione ufficiale al *culto; se anch’essa può gioire pubblicamente durante le feste (Es 15, 20 s; Deut 12, 12; Giud 21, 21; 2 Sam 6), non esercita alcuna funzione sacerdotale; solo gli uomini sono tenuti ai *pellegrinaggi d’obbligo (Es 23, 17). Tra quelli che sono rigorosamente obbligati a osservare il sabato (20, 10), la sposa non è nominata. Al di fuori del culto, la legge si preoccupa molto di proteggere la donna, soprattutto nel suo campo proprio, la vita: non costituisce essa forse la presenza stessa quaggiù della vita *feconda (ad es. Deut 25, 5-10)? L’uomo la deve rispettare nel suo ritmo di esistenza (Lev 20, 18); la rispetta a tal punto da esigere da essa un ideale di fedeltà nel *matrimonio a cui egli stesso non si attiene.Nel corso della storia dell’alleanza talune donne hanno avuto una parte importante, sia in bene che in male. Le donne straniere hanno sviato il cuore di Salomone verso i loro dèi (l Re 11, 1-8; cfr. Eccle 7, 26; Eccli 47, 19); Gezabele rivela la potenza d’una donna sulla religione e la morale del suo sposo (1 Re 18, 13; 19, 1 s; 21, 25 s); si vedono dei figli conoscere la lingua materna e «non saper più parlare ebraico» (Neem 13, 23 s). La donna sembra disporre a piacer suo della vita religiosa che non esercita ufficialmente nel culto. Accanto a questi esempi al rovescio, ecco le mogli dei patriarchi che mostrano il loro lodevole slancio verso la *fecondità. Ecco le eroine: mentre l’accesso al culto è loro vietato, lo spirito di Jahvè scende su talune donne, trasformandole, proprio come gli uomini, in profetesse, mostrando che il loro sesso non costituisce un ostacolo alla irruzione dello spirito: così Maria (Es 15, 20 s), Debora e Jael (Giud 4, 4 - 5, 31), Hulda (2 Re 22, 14-20).
    3. Nella riflessione dei sapienti.
    - Rare, ma nient’affatto tenere, sono le massime attribuite a donne sulle donne (Prov 31, 1-9); il ritratto biblico della donna è firmato da uomini; e se non sempre è lusinghiero, non prova affatto che i loro autori siano misogini. La severità dell’uomo nei confronti della donna è la contropartita del bisogno che egli ne ha. Così descrive il suo sogno: «trovare una donna è trovare la fortuna» (Prov 18, 22; cfr. 5, 15-18), significa avere «un aiuto simile a sé», un saldo sostegno, una siepe per la propria vigna, un nido contro l’appello alla vita errabonda (Eccli 36, 24-27); significa trovare, oltre la forza mascolina che lo rende fiero, la grazia personificata (Prov 11, 16); che dire se questa donna è valente (Prov 12, 4; 31, 10-31)? Basta evocare la descrizione della sposa nel Cantico (Cant 4, 1-5; 7, 2-10). Ma l’uomo che ha esperienza teme la fragilità essenziale della sua compagna. La bellezza non basta (Prov 11, 22); anzi, è pericolosa quando in Dalila è congiunta all’astuzia (Giud 14, 15 ss; 16, 4-21), quando seduce l’uomo semplice (Eccli 9, 1-9; cfr. Gen 3, 6). Le figlie causano molta preoccupazione ai loro genitori (Eccli 42, 9 ss); e l’uomo che si permette molte libertà al di fuori della donna della sua giovinezza (cfr. Prov 5, 15-20), teme la versatilità della donna, la sua inclinazione all’*adulterio (Eccli 25, 13 - 26, 18); deplora che essa si dimostri vanitosa (Is 3, 16- 24), «stolta» (cfr. *follia) (Prov 9, 13-18; 19, 14; 11, 22), rissosa, lunatica e malinconica (Prov 19, 13; 21, 9. 19; 27, 15 s). Non bisognerebbe limitare a questi quadretti di costume l’idea che i sapíenti avevano della donna. Di fatto questa è la una *figura della *sapienza divina (Prov 8, 22-31); manifesta poi la *forza di Dio che si serve degli strumenti deboli per procurare la sua gloria. Già Anna magnificava il Signore degli umili (1 Sam 2); Giuditta, come una profetessa in atto, mostra che tutti possono contare sulla protezione di Dio; la sua bellezza, la sua prudenza, la sua abilità, il suo coraggio e la sua castità nella vedovanza ne fanno un tipo perfetto della donna secondo il disegno di Dio nel VT.
    NUOVO TESTAMENTO
    VERGINE, SPOSA E MADRE
    Questo ritratto, per quanto bello, non conferisce ancora alla donna la sua dignità sovrana. La preghiera quotidiana dell’ebreo lo dice ancor oggi con ingenuità: «Benedetto sii tu, Dio nostro, per non avermi fatto né pagano, né donna, né ignorante!», mentre la donna si accontenta di dire: «Lodato sii tu, o Signore, che mi hai creata secondo la tua volontà». Di fatto, soltanto Cristo consacra la dignità della donna.
    1. Aurora della redenzione.
    - Questa consacrazione ebbe luogo nel giorno dell’annunciazione. Il Signore volle nascere da una donna (Gal 4, 4). *Maria, vergine e madre, realizza in sé il voto femminile della *fecondità; nello stesso tempo rivela e consacra il desiderio fino allora soffocato della *verginità, assimilata ad una vergognosa *sterilità. In Maria si incarna l’ideale della donna, perché essa ha dato i natali al principe della vita. Ma, mentre la donna di quaggiù corre il rischio di limitare la sua ammirazione alla vita corporale che ha donato al più bello dei figli degli uomini, Gesù ha rivelato l’esistenza di una maternità spirituale, frutto portato dalla verginità della fede (Lc 11, 28 s). Attraverso Maria la donna può diventare simbolo dell’anima credente. Si comprende quindi come Gesù accetti di lasciarsi *seguire da sante donne (Lc 8, 1 ss), di prendere come esempio delle vergini fedeli (Mt 25, 1-13) o di affidare a donne una *missione (Gv 20, 17). Si comprende come la Chiesa nascente segnali il posto e la parte avuta da numerose donne (Atti 1, 14; 9, 36. 41; 12, 12; 16, 14 s), ormai chiamate a collaborare all’opera della Chiesa.
    2. In Cristo Gesù.
    - Questa partecipazione suppone che sia scoperta una nuova dimensione della donna: la *verginità. Paolo ha elaborato così una teologia della donna, mostrando in qual senso la divisione dei *sessi è superata e consacrata. «Non c’è più né uomo né donna: voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28); in un certo senso la distinzione dei sessi è superata, al pari delle divisioni di ordine razziale o sociale. L’esistenza celeste può essere anticipata, quella vita angelica di cui parlava Gesù (Mt 22, 30); ma la sola fede la può giustificare. Se saggiamente Paolo continua a dire che è «meglio sposarsi che bruciare» (1 Cor 7, 9), esalta tuttavia il *carisma della verginità; osa persino contraddire la Genesi che affermava: «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18; 1 Cor 7, 26): tutti, ragazzi e ragazze, possono, se chiamati, rimanere vergini. Così una nuova distinzione, tra sposati e vergini, si aggiunge alla prima tra uomo e donna. La fede e la vita celeste trovano nella verginità vissuta un tipo concreto di esistenza, in cui l’anima si unisce con decisione e completezza al suo Signore (7, 35). Per rispondere alla sua *vocazione la donna non deve necessariamente diventare sposa e madre, ma può restare vergine di cuore e di corpo. Questo ideale della verginità, che la donna può ormai fissare e realizzare, non sopprime la condizione normale del *matrimonio (1 Tim 2, 15), ma apporta un valore di compenso, così come il *cielo dà equilibrio e collocazione alla terra. Infine, ultimo approfondimento, il rapporto naturale uomo-donna è fondato sul rapporto Cristo-Chiesa. Di Cristo, e non soltanto di Adamo, la donna è l’altra parte, e allora rappresenta la *Chiesa (Ef 5, 22 ss).
    3. La donna e la Chiesa.
    - La divisione dei sessi, benché trascesa dalla fede, rinasce nel corso. dell’esistenza e si impone nella vita concreta della Chiesa. Dall’ordine che esiste nella creazione Paolo deduce due dei modi di comportarsi della donna. Essa deve portare un velo all’assemblea del culto, esprimendo con questo simbolo che la sua dignità cristiana non l’ha liberata dalla dipendenza nei confronti del marito (1 Cor 11, 2-16), né dal posto secondario che essa occupa ancora nell’insegnamento ufficiale: non deve «parlare» in Chiesa, cioè non può *insegnare (1 Cor 14, 34; cfr. 1 Tim 2, 12); tale è il «comandamento del Signore» ricevuto da Paolo (1 Cor 14, 37). Ma Paolo non nega alla donna la possibilità di *profetare (11, 5), perché, come nel VT, lo spirito non conosce la distinzione dei sessi. Velata e silenziosa nel culto, affinché sia mantenuto l’«ordine», la donna d’altra parte è incoraggiata a *testimoniare in casa mediante una «vita casta e piena di rispetto»(1 Piet 3, 1 s; 1 Tim 2, 9 s); e quando, *vedova, ha raggiunto un’età avanzata che la preserva dai ripensamenti, ha una parte importante nella comunità cristiana (1 Tim 5, 9). L’Apocalisse non perde di vista la funzione svolta da Gezabele (Apoc 2, 20) né i delitti della famosa prostituta (17, 1. 15 s; 18, 3- 9; 19, 2), ma magnifica soprattutto «la donna» incoronata di stelle, quella che dà alla luce il figlio maschio e che è perseguitata nel deserto dal dragone, ma che ne deve trionfare con la sua progenie (Apoc 12). Questa donna è anzitutto la Chiesa, nuova Eva che dà i natali al *corpo di Cristo; poi, secondo l’interpretazione tradizionale, è *Maria stessa; vi si può infine vedere il prototipo della donna, di quella che ogni donna desidera in cuor suo di diventare.
    X. LÉON-DUFOUR
    → adulterio - carne I 2 - fecondità - gioia VT 1 - madre - Maria - matrimonio - segno NT II 3 - sessualità I - Spososposa - sterilità - vedove - verginità - veste.

    DONO (inizio)

    All’origine di ogni dono la Bibbia insegna a riconoscere una iniziativa divina. «Ogni dono valido... discende dal Padre degli astri» (Giac 1, 17; cfr. Tob 4, 19). Dio ha l’iniziativa della creazione e dà a tutti nutrimento e vita (Sal 104); Dio ha ancora l’iniziativa della salvezza (Deut 9, 6; 1 Gv 4, 10). Di conseguenza, la generosità si svia quando pretende di precedere la *grazia (cfr. Gv 13, 37 s); il primo atteggiamento che si impone all’uomo è di aprirsi al dono di Dio (Mc 10, 15 par.). Ricevendolo, egli diventa capace di una generosità autentica ed è chiamato a praticare a sua volta il dono (1 Gv 3, 16).
    VECCHIO TESTAMENTO
    1. I doni di Dio.
    - Più che il tempo del dono, il VT è quello della *promessa. In esso i doni stessi non fanno che prefigurare e preparare il dono definitivo. «Alla tua posterità io do questo paese» dice Jahvè ad Abramo (Gen 15, 18). L’eco di queste parole risuona lungo tutto il Pentateuco. Il Deuteronomio si dedica a far apprezzare un tale dono (Deut 8, 7; 11, 10), ma annunzia pure che le infedeltà causeranno l’esilio; un altro dono è necessario: la *circoncisione del cuore, condizione del ritorno e della vita (Deut 29, 21 - 30, 6). Per mezzo di Mosè Dio dà al suo popolo la *legge (Deut 5, 22), dono tra tutti eccellente (Sal 147, 19 s), perché è una partecipazione alla sua stessa sapienza (Eccli 24, 23; cfr. Deut 4, 5-8). Ma la legge è impotente, se il cuore che la riceve è malvagio (cfr. Neem 9, 13. 26). Ad Israele occorre un *cuore nuovo; questo è il dono futuro, verso il quale i profeti orientano le aspirazioni (Ger 24, 7; Ez 36, 26 ss). Così è di tutti i doni del VT: gli uni sembrano avere breve durata (dinastia davidica, presenza della *gloria nel tempio), e delusioni successive costringono le speranze a mirare più avanti; gli altri non sono più che ricordi che accrescono i desideri, *pane del cielo (Sap 16, 20 s), *acqua della roccia (Sal 105, 41). Israele ha ricevuto molto, ma si aspetta ancora di più.
    2. I doni a Dio.
    - Per riconoscere il suo dominio sovrano e i suoi benefizi, Israele offre a Jahvè *primizie, decime (Deus 26) e *sacrifizi (Lev 1...). Reca pure dei doni per compensare le infedeltà all’alleanza (Lev 4; 5) e riacquistare il favore di Jahvè (2 Sam 24, 21-25). Le offerte a Dio si pongono quindi in una prospettiva di reciprocità (Eccli 35, 9 s).
    3. I doni reciproci.
    - In questa stessa prospettiva è inteso per lo più il dono tra individui, famiglie o popoli. Donando, si manifesta la hesed, quella benevolenza e beneficenza mutue, che sono la regola tra alleati e amici. Colui che accetta il dono, accetta 1’*alleanza e si interdice ogni atteggiamento ostile (Gen 32, 14; Gios 9, 12 ss; 2 Sam 17, 27 ...; 19, 32 ...). Ma i doni che mirerebbero a corrompere sono severamente esclusi (Es 23, 8; Is 5, 23). La prospettiva non è quindi priva di nobiltà, tanto più che la reciprocità delle prestazioni attesta normalmente la reciprocità dei sentimenti. Il dono ai poveri, raccomandato in termini magnifici (*elemosina), tende anch’esso ad assimilarsi ai doni reciproci. Si spera che il povero avrà un giorno di che rendere (Eccli 22, 23) oppure che Jahvè supplirà (Prov 19, 17). È decisamente sconsigliato di donare all’uomo cattivo (Tob 4, 17): un simile dono sarebbe in pura perdita (Eccli 12, 1-7). Ad una generosità di tipo molto pratico il VT si preoccupa di unire una ragionevole prudenza.
    NUOVO TESTAMENTO
    «Se tu conoscessi il dono di Dio...» (Gv 4, 10). Ponendo in piena luce la folle generosità di Dio (Rom 5, 7 s), il NT sconvolge le prospettive umane. È veramente il tempo del dono.
    1. Il dono di Dio in Gesù Cristo.
    - Il Padre ci rivela il suo *amore dandoci il Figlio suo (Gv 3, 16), e nel Figlio il Padre dona se stesso, perché Gesù è tutto ripieno della ricchezza del Padre (Gv 1, 14): parole ed opere, potere di giudicare e di vivificare, nome, gloria, amore, tutto ciò che appartiene al Padre è dato a Gesù (Gv 17). Nella *fedeltà all’amore che l’unisce al Padre (Gv 15, 10), Gesù realizza il dono completo di se stesso: «dà la sua vita» (Mt 20, 28 par.). «Vero pane del cielo dato dal Padre», egli dà «la sua carne per la vita del mondo» (Gv 6, 32. 51; cfr. Lc 22, 19; «Questo è il mio corpo dato per voi»). Mediante il suo sacrificio egli ottiene di comunicarci lo *Spirito promesso (Atti 2, 33), «dono di Dio» per eccellenza (Atti 8, 20; 11, 17). Già in questa terra noi possediamo in tal modo il pegno della nostra *eredità: siamo arricchiti di ogni dono spirituale (1 Cor 1, 5 ss) e non sarà mai abbastanza celebrata la sovrabbondanza del dono della *grazia (Rom 5, 15-21). In modo segreto, ma reale (Col 3, 3 s), noi viviamo già della *vita eterna, «dono gratuito di Dio» (Rom 6, 23).
    2. Il dono a Dio in Gesù Cristo.
    - Dopo il sacrificio di Cristo, che è nello stesso tempo dono di Dio all’umanità (Gv 3, 16) e dono dell’umanità a Dio (Ebr 8, 3; 9, 14), gli uomini non hanno più bisogno di presentare altri doni. La vittima perfetta basta per sempre (Ebr 7, 27). Ma bisogna che essi si uniscano a questa vittima e, presentandosi essi stessi a Dio (Rom 12, 1), si pongano a sua disposizione per il servizio degli altri (Gal 5, 13-16; Ebr 13, 16). Infatti la grazia non si riceve come un dono sul quale ci si potrebbe rinchiudere; si riceve per *fruttificare (Gv 15; cfr. Mt 25, 15-30).
    3. Il dono senza ricambio.
    - Il movimento del dono agli altri acquista quindi un’ampiezza ed una intensità mai conosciute. La «cupidigia», che vi si oppone, dev’essere combattuta senza remissione. Ormai, invece di ricercare la reciprocità delle prestazioni, bisogna piuttosto fuggirla (Lc 14, 12 ss). Quando si è ricevuto tanto da Dio, ogni calcolo, ogni grettezza di animo, diventano scandalosi (Mt 18, 32 s). «Dà a chi ti chiede» (Mt 5, 42). «Avete ricevuto gratuitamente, date gratuitamente» (Mt 10, 8). Beni materiali o doni spirituali, il cristiano è chiamato a considerare tutto come *ricchezze di cui non è che l’amministratore e che gli sono affidate per il servizio degli altri (1 Piet 4, 10 s). Consiglio inaudito, Gesù impegna anche colui che desidera la perfezione a donare tutti i suoi averi (Lc 18, 22). Il dono di Dio in Gesù Cristo ci porta ancora più lontano: Gesù «ha offerto la sua vita per noi», la sua grazia ci porta a «offrire anche noi la nostra vita per i nostri fratelli» (1 Gv 3, 16); «non c’è amore più grande...» (Gv 15, 13). Il dono realizza l’unione dell’amore e suscita in tutti il *ringraziamento (2 Cor 9, 12-15). Il donatore ringrazia Dio come e più del beneficiario, perché sa che la sua generosità è anch’essa una grazia (2 Cor 8, 1), un frutto dell’amore che viene da Dio (cfr. 1 Gv 3, 14-18). E per questo, in definitiva, «c’è più felicità nel dare che nel ricevere» (Atti 20, 35).
    A. VANHOYE
    → amore I NT l; II NT 2 - benedizione - carismi - Dio NT V - elemosina - eredità - giustificazione II 3 - grazia - pane - predestinare 4 - presenza di Dio VT III 2; NT I – primizie – promesse – regno – ricchezza – ringraziamento – sacrificio – sapienza – VT III 4 – spirito di Dio VT I 3 – terra VT II .

    DOPPIEZZA (inizio)

    → cuore I - ipocrita - labbra 1 menzogna - semplice 2.

    DOSSOLOGIA (inizio)

    → benedizione III 5, IV 0.1 –confessione VT 1; NT 1 –gloria V –lode.

    DOTTORE DELLA LEGGE (inizio)

    → discepolo VT 3 –farisei –insegnare NT I –legge B; C I 2.

    DOTTRINA (inizio)

    → insegnare –parola di Dio –predicare –sapienza –tradizione –vangelo –verità NT 2.

    DOVERE (inizio)

    → bene e male –coscienza –legge –obbedienza II 3 –servire II III –volontà di Dio NT II.

    DRAGONE (inizio)

    → animali –bestie e Bestia –mare 2 –persecuzione I 4 a –Satana.

    DUBBIO (inizio)

    → fiducia –incredulità –peccato I 1.

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