BENEDETTO D'ANIENE - BROECKOVEN EGIDE VAN - DIZIONARIO DI MISTICA

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BENEDETTO D'ANIENE - BROECKOVEN EGIDE VAN

B

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  ................. BENEDETTO D'ANIANE (santo)

B

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BENEDETTO D'ANIANE (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Scritta dal suo discepolo Ardone un anno dopo la sua morte, la Vita di Benedetto è un documento molto utile che informa, con precisione, sulle tappe della sua conversione. Nato vicino a Montpellier verso il 750 ed inviato, da piccolo, alla corte dei Franchi, questo visigoto di nobile estrazione sociale sente la chiamata divina a vent'anni. Pur aspirando ardentemente a lasciare il mondo, esita nella ricerca di uno stile di vita donata a Dio. Dopo tre anni di attesa paziente, egli sceglie la " vita regolare ", cioè il monachesimo comunitario. Anche prima di orientarsi a ciò, egli ha sperimentato l'ascesi. Privazioni di sonno, astinenza dal cibo e dal vino, tempi di silenzio: queste privazioni sottolineano una tendenza alla mortificazione che raggiungerà gli estremi agli inizi della sua vita monastica e resterà costante malgrado le mitigazioni imposte dai suoi rapporti con il prossimo.

Nel 774, B. abbandona la carriera militare e, poco dopo, diventa monaco a Saint-Seine, vicino Digione. Spingendo l'ascesi del cibo e del sonno fino agli estremi limiti, pratica anche quella della parola in un modo nuovo: ininterrotto per lunghi periodi, il suo silenzio è arricchito dalla recita di salmi. A queste pratiche, iniziate nel mondo, ne aggiunge di nuove rese possibili dalla vita religiosa: lavori umili, vestiti rappezzati che lo rendono ridicolo, sporcizia del corpo divorato da insetti. In cambio di queste penitenze spaventose, che il suo abate non riesce per nulla a moderare, riceve la grazia della compunzione e il dono delle lacrime.

Questo regime quasi inumano, che egli mantiene per due anni e mezzo, somiglia a quello dei monaci orientali descritti nella Historia monachorum, nella Historia Lausiaca e nella Historia Filotea. In realtà, le prime due hanno potuto fornire a B. stimoli e suggerimenti. Secondo Ardone, il novizio di Saint-Seine non stima molto la Regola di s. Benedetto (RB), ritenendola idonea per i principianti e i deboli, mentre si sforza di elevarsi al livello " dei discorsi di Basilio e della Regola di Pacomio ". In realtà, però, queste due legislazioni orientali non sono più austere della RB.

Ben presto, così, l'impietoso asceta si addolcisce e si converte alla RB, prima disprezzata. Ardone vede in questo fatto una mozione della grazia divina, che tende a porre questo esempio inimitabile alla portata e al servizio altrui. In realtà, l'evoluzione di B. si accompagna ad un'azione sui suoi fratelli: egli comincia ad esortare, incoraggiare, correggere con la piena approvazione del suo abate. Questo carisma, che può già essere chiamato pastorale, ha senza dubbio esercitato un ruolo decisivo nella trasformazione delle sue idee e della sua ascesi personale. Nato per dirigere, forse sente che questo ruolo sociale esige un modo di pensare e di vivere meno lontano da quello comune degli uomini, più conforme al modello così rappresentativo e già così diffuso che è la RB.

Vive a Saint-Seine da cinque anni e otto mesi quando muore l'abate. Eletto all'unanimità per sostituirlo, egli rifiuta e rientra nel suo paese natale. Esistendo già da più di due secoli, il monastero di Saint-Seine è, ai suoi occhi, troppo rilassato per prestarsi ad una riforma. E su una base nuova che vuole costruire la comunità monastica, modellata dalla RB, che egli sogna.

Stabilitosi sulla proprietà familiare d'Aniane con alcuni compagni, B. vive prima in una grande povertà, che scoraggia i primi postulanti. Turbato un istante da questo fallimento, egli si riprende, persevera e vede ben presto affluire le vocazioni. Dal piccolissimo monastero degli inizi, situato in fondo ad una stretta vallata, la comunità passa in edifici molto più grandi dedicati alla Vergine Maria e, un po' più tardi, in un vasto monastero che accoglie trecento monaci e può contenerne mille.

Così si compie in B. una seconda evoluzione. Dopo essere passato dai Padri d'Oriente a s. Benedetto, egli rinuncia all'estrema povertà per ammettere un certo fasto sacro, che Ardone paragona a quello di Salomone. Tuttavia, il monastero resta povero e la vita dei monaci laboriosa, perché le donazioni di terre sono accettate, ma non quelle dei servi. B. stesso svolge a fatica un lavoro manuale come in passato. E in questo quadro di stretta regolarità che prosegue lo sviluppo, insieme cultuale e culturale, del monastero, che si arricchisce di uomini competenti - cantori, lettori, grammatici, biblisti - e di una scuola in cui vengono formati chierici e monaci venuti da fuori.

Mentre la comunità di Aniane cresce, il suo fervore si comunica ad altre case, che si riformano. B. comincia a visitarle e il re di Aquitania, Ludovico il Pio ( 840), gli conferisce autorità su di esse. Quando il re diviene imperatore (814), estende la missione riformatrice di B. a tutto l'impero e gli costruisce il monastero d'Inda, in prossimità del palazzo di Aix-la-Chapelle, per averlo accanto a sé. Una serie di sinodi di abati, riuniti ad Aix dall'816 all'819, elabora statuti che mirano ad unificare l'Ordine monastico intorno alla RB. Comprendere e far comprendere, questa è una delle preoccupazioni costanti di B. A tale scopo, compone due opere maggiori: una raccolta di tutte le regole antiche che ha potuto rinvenire e una Concordia regularum in cui alcuni estratti di quelle legislazioni servono ad illustrare ogni capitolo della RB. Come spiega la sua prefazione, la Concordia vuole mostrare l'accordo fondamentale di questi testi tradizionali con la RB e il beneficio che se ne può trarre per comprenderla. Muore nell'821.

II. Insegnamento spirituale. Molto caritatevole verso i poveri e i monasteri, B. ama raccomandare due virtù complementari: la castità del corpo e l'umiltà del cuore. Il dono delle lacrime, ricevuto nella sua giovinezza, non lo lascia mai. Alla sua morte, avvenuta l'11 febbraio 821, può dire che, in quasi mezzo secolo di vita monastica, nemmeno un giorno ha mangiato il suo pane prima di aver pianto davanti a Dio. Il suo amore per la lettura e per la preghiera lo accompagna fino agli ultimi istanti della sua vita. Ad Aniane, egli vuole che i suoi monaci, evitando ogni parola inutile, non cessino di salmodiare o di recitare la Sacra Scrittura mentre camminano e lavorano. Per sviluppare questo amore per la salmodia e la preghiera ha prescritto che ogni monaco reciti in privato quindici salmi prima delle vigilie, il salmo 118 prima di Prima e cinque o dieci salmi dopo Compieta. Tre preghiere silenziose, accompagnate da prostrazioni, punteggiano la recita notturna.

Prodigandosi per la riforma del monachesimo, B. deve lavorare per la difesa dell'ortodossia. L'adozionismo spagnolo, che vede nel Cristo un figlio adottivo di Dio, si propaga nel sud della Francia. Egli lo combatte in due viaggi che fa al di là dei Pirenei e con parecchi scritti. Ma la cristologia non sembra essere stata il suo argomento preferito di riflessione, se si giudica dai suoi Munimenta verae fidei, il cui tema centrale è la conoscenza di Dio uno e trino, quaggiù e nell'aldilà. Questa vasta opera comprende dapprima una Forma fidei in quindici libri, che sfrutta metodicamente il De Trinitate di Agostino, completandolo con diversi passi dello stesso autore, poi una Confessione di fede relativamente breve e, infine, un Trattato dell'amicizia, in cui il Sermone 385 di Agostino è citato quasi per intero. Rivolgendosi ad un giovane religioso chiamato Garnier, che potrebbe essere il caposcuola di Aniane, B. lo incoraggia a studiare, perché " non si può amare ciò che si ignora ". Pretendere che un monaco non debba darsi allo studio, significa fare il gioco del diavolo. Certo, la sola conoscenza vera di Dio è quella della fede, ma questa dev'essere mantenuta e purificata da una ricerca instancabile della sapienza. Amare Dio per se stesso, gratuitamente, è il termine di tutti gli sforzi, mossi dall'unico desiderio di vederlo eternamente.

Bibl. Vita-Opere: MGH, Script. 198-220; PL 103, 353-384; PL 103, 423-1420; J. Leclercq, Les " Monumenta fidei " di B. d'Aniane, in Analecta monastica I, Roma 1948 (Stud. Anselm. 20) 21-74. Studi: G. Andenna e C. Bonetti (cura di), Benedetto di Aniane. Vita e riforma monastica, Cinisello Balsamo (MI) 1993; L. Bergeron, s.v., in DSAM I, 1438-1442; I. Mannocci, s.v., in BS II, 1093-1096; L. Oligei, s.v., in EC II, 1262-1263; G. Penco, s.v., in DES I, 344.

A. De Vogüé

BENEDETTO DA CANFIELD. (inizio)

I. Cenni biografici e scritti. Di origine inglese, nato a Canfield (o Canfeld), contea di Essex, nel 1562 da genitori di notevole nobiltà e puritani di religione, frequenta a Londra l'Università, senza troppe preoccupazioni morali. Si converte poi al cattolicesimo ed è battezzato nel 1585. Più tardi passa in Francia e diventa frate cappuccino, iniziando il noviziato nel 1587, come membro della Provincia di Parigi. Ordinato sacerdote nel 1593, dopo tre anni ritorna in Inghilterra, ove è imprigionato, ma poi rilasciato a condizione di non mettervi più piede.

Molto stimato per l'austerità della sua vita, ha pure fama di ottimo oratore. Direttore di molte anime, ha anche l'incarico di maestro di novizi. E guardiano di conventi e definitore al capitolo provinciale. Muore il 21 novembre 1610, nel convento di Sant'Onorato, presso Parigi.

Oltre al Soliloquio, memoriale della sua vita secolare, B. ha scritto altri libri di mistica, che si possono citare nel seguente ordine: La Regola di perfezione, opera in tre parti, scritta verso il 1593 ad uso privato di pochi lettori e pubblicata più tardi, nel 1610, per incitamento dei superiori; Metodo e indirizzo dell'orazione, stampato nel 1614, ove si parla dell'eccellenza e delle fasi dell'orazione: preparazione, meditazione, ringraziamento, oblazione e petizione; Il Cavaliere cristiano, pubblicato nel 1609, che contiene due trattati: la caduta del genere umano e la riparazione per opera di Gesù Cristo; la conversione e le virtù del cristiano. Prescindendo da altre operette minori, si può osservare come l'autore, conoscendo il latino, il francese e l'inglese, usi contemporaneamente le tre lingue, per cui i suoi libri, soprattutto La Regola di perfezione, il suo capolavoro, ebbero larghissima diffusione e varie traduzioni in altre lingue.

Nella sua autobiografia, il Soliloquio, scritta durante il noviziato, egli accusa implacabile molti peccati, ma ricorda pure visioni e rapimenti improvvisi. Nel corso della sua vita, come appare dai suoi " scritti " e dalle testimonianze, gode di estasi e illuminazioni, di scrutazione dei cuori e dei vari doni dello Spirito Santo. Si ricorre, infatti, a lui per la soluzione intricata delle estasi di M.me Acarie ( 1618); a lui si rivolge il giovane Bérulle per l'assistenza spirituale di persone da lui dirette; a lui si attribuiscono insperate conversioni e celebri vocazioni religiose.

Non si registrano miracoli strepitosi né particolari eventi celesti; ma, anche se non ha la grazia del martirio, quando ritorna in Inghilterra, ha una indiscussa fama di condotta veramente religiosa, tutta dedita al servizio di Dio e al bene del prossimo. Il Martirologio francescano lo ricorda come " beato " per tradizione dell'Ordine serafico.

II. Dottrina mistica. Il pensiero di B. si mantiene nella scia della tradizione agostiniano-francescana, già presente in s. Bonaventura, Ubertino da Casale ( 1328), Angela da Foligno ed Enrico Herp. Egli evidenzia due punti: la perfetta conformità alla volontà di Dio e il cristocentrismo. Tale conformità si rivela luminosamente nella passione di Gesù Cristo e comporta, come risposta dell'uomo, il totale rinnegamento di sé. L'anima, così, s'identifica con Gesù crocifisso e questi con Dio, formando un'unità in cui prendono vigore l'amore puro e l'azione divina mentre lo sforzo umano tace.

Infatti si distingue una triplice volontà di Dio: esteriore, interiore ed essenziale in rapporto all'itinerario ascetico delle tre vie: purgativa, che riguarda l'osservanza dei precetti e l'uso delle preghiere vocali; illuminativa, quella in cui Dio investe la facoltà dell'anima elevandola alla contemplazione; unitiva, in cui Dio ne assorbe tutte le potenze instaurando una vita " sovraeminente ". Però, anche se Dio è l'attore principale, l'uomo coopera attivamente senza cadere nella assoluta passività ed oziosità morale.

Ne consegue una quadruplice specie di " preghiera ": vocale per i principianti; mentale per i proficienti; aspirazionale, perché emana dal cuore e con scarsa speculazione; infine l'" orazione di adesione " alla volontà di Dio, fatta senza preghiera vocale, senza meditazione, senza immagini di sorta, in totale nudità di risorse umane. Proprio questa nudità desta il pericolo di incipiente quietismo. Il fatto insospettisce l'Inquisizione romana che, nel 1689, mette la Regola di perfezione all'Indice dei libri proibiti.

Bibl. L. Iriarte, Storia del francescanesimo, Napoli 1981, 333-334; Metodio da Nembro, s.v., in DES I, 344-346; C. de Nant, s.v., in DSAM I, 1446-1451; O. de Veghel (van Asseldonk), Benoît de Canfield (1562-1610). Sa vie, sa doctrine et son influence, Roma 1949; Id., Spiritualité franciscaine du XVI au XVIII siècle, in Laur 20 (1980), 94-109; Id., La dottrina mistica di Benedetto da Canfield, in Aa.Vv., I frati cappuccini, IV, Perugia 1992, 178-210.

A. Quaglia

BENEDETTO DA NORCIA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Possiamo intravvedere la vita spirituale di B. (480ca.-560ca.) attraverso due documenti: la sua Vita, scritta da Gregorio Magno e la Regola dei monaci composta da lui stesso. Il primo di questi testi riflette sia lo spirito del biografo sia quello del protagonista. Il secondo è condizionato dalle fonti letterarie da cui dipende e dal genere impersonale della legislazione. Malgrado questi limiti, la personalità religiosa del santo emerge nell'una e nell'altra opera. Secondo la Vita,1 B. sente la chiamata divina sin dal tempo in cui studia a Roma. Sconvolto dall'immoralità dei suoi compagni, decide di abbandonare il mondo per " piacere solo a Dio " abbracciando la vita monastica. Quando lascia la città, il giovane non si avvia né verso un luogo preciso, né verso una forma di vita ben definita. Il suo unico desiderio - ricevere l'abito da monaco - dimostra che egli si sente ignorante e vuole imparare il servizio divino da coloro che lo praticano da secoli. Ma i doni carismatici, che egli già possiede, daranno presto alla sua ricerca una forma particolare e imprevedibile. Sui monti ad est di Roma, in cui egli spera di trovare dei monasteri e una guida, compie, appena giunto, il primo miracolo che rivela la potenza della sua preghiera. Questo fatto meraviglioso, avvenuto ad Affile, gli procura una popolarità immediata, ragion per cui egli decide di allontanarsi dal luogo per sfuggire alla fama di uomo di Dio con cui lo si guarda. Avendo incontrato a Subiaco un cenobita di nome Romano, che gli dà l'abito e gli procura un nascondiglio, egli passa tre anni in una grotta, sconosciuto a tutti, tranne a questo monaco che lo soccorre e lo nutre in segreto con la sua razione di pane.

Questo lungo ritiro a Subiaco, in una solitudine ed austerità estreme, mostra subito la forza della grazia che muove B. Nello stesso tempo, l'esperienza ha valore di prova. A tre riprese, in circostanze diverse, B. rifarà gesti eroici dello stesso genere, che provano la sua volontà di rompere con il peccato per darsi interamente a Dio. Ed ogni volta, la sua scelta radicale procura un nuovo irraggiamento spirituale per gli uomini. Nel caso iniziale del ritiro a Subiaco, egli ha fuggito l'orgoglio del taumaturgo. La sua volontà di scomparire nell'umiltà sarà, tuttavia, ostacolata dalla Provvidenza, che lo farà scoprire da alcuni pastori. L'influenza religiosa che il giovane anacoreta esercita su di loro è, allo stesso tempo, il coronamento della sua abnegazione e l'occasione di una nuova prova. Questa sarà una tentazione di lussuria. Tra i suoi visitatori, B. ha ricevuto una donna la cui immagine lo turba al punto da scuotere il suo proposito di vita consacrata. La sua reazione è di nuovo senza compromessi: nudo, si rotola nelle spine per " cacciare la voluttà mediante il dolore ". La ricompensa per questo nuovo atto eroico sarà l'immunità dai desideri sessuali, ma anche la fecondità spirituale. Alcuni discepoli si pongono alla sua scuola ed egli ne diventa il padre.

Questo ciclo di tentazioni, di vittoria sul peccato e di irraggiamento sul prossimo, si riproduce altre due volte a proposito di un'altra passione. Dopo l'orgoglio dello spirito e la concupiscenza della carne, infatti, B. è minacciato dall'odio. A due riprese, si tenta di avvelenarlo. B. reagisce, la prima volta, con una calma perfetta: senza rumore né turbamento, egli abbandona i perfidi monaci che lo hanno eletto superiore, ma non lo sopportano più. La seconda volta, la sua carità arriva fino al punto da farlo piangere per il prete geloso che ha attentato alla sua vita e che Dio ha colpito con la morte improvvisa. Queste due vittorie sull'istinto di violenza hanno come conseguenza forme inedite di irraggiamento: l'organizzazione delle comunità monastiche di Subiaco e l'evangelizzazione dei contadini pagani di Montecassino.

Gregorio descrive, dunque, una serie di purificazioni che colpiscono il santo nei punti chiave del suo essere spirituale: prima le facoltà razionali, sede dell'orgoglio, poi l'appetito concupiscibile, rappresentato dal sesso, infine l'appetito irascibile, fonte dell'aggressività. Trionfando su queste passioni, B. s'incammina verso la libertà completa in cui i doni di Dio agiranno attraverso di lui senza intralci. Infatti, a partire dal suo arrivo a Montecassino, pare che egli non subisca più alcuna prova interiore. Ormai è solo un carismatico raggiante quello che Gregorio descrive.

Scolastica ( 547) sorella del santo, potente agli occhi di Dio come la peccatrice del Vangelo che ha amato di più, esercita nella vita di B. un ruolo fondamentale, facendo passare il santo dai miracoli alle visioni, dall'azione alla contemplazione. Tre giorni dopo avergli inflitto questa sconfitta, ella muore ed egli vede la sua anima salire al cielo sotto forma di colomba. La visione seguente ha egualmente per oggetto l'ascesa di un defunto al cielo, ma questa volta lo spettacolo si allarga alle dimensioni dell'universo: sotto il raggio della luce divina, B. vede in un solo sguardo il mondo intero. " Per l'anima che vede il Creatore, la creazione tutta intera è piccola ". Questa espressione di Gregorio segna l'apice di un'ascesa spirituale che è cominciata, tempo prima, alla partenza da Roma. B. ha allora, per amore di Dio, abbandonato il " mondo " degli uomini. Ora, illuminato da Dio, egli vede l'insignificanza di questo " mondo " creato, che ha percepito inizialmente mediante la fede.

II. B. mistico. Morendo nell'oratorio del monastero in atteggiamento di preghiera, il santo indica, un'ultima volta, la direzione di tutta la sua esistenza, tesa verso Dio e verso la vita eterna.

Sebbene la sua biografia sia molto sobria circa le sue esperienze spirituali, due passi dei Dialoghi aprono uno spiraglio sul suo mondo interiore. Il primo è quello in cui Gregorio evoca il secondo soggiorno di B. nella grotta di Subiaco, quando ritorna, dopo il mancato superiorato, presso i monaci perversi. Mentre i tre anni passati in questo luogo, all'inizio della vita del santo, sembrano non essere stati che rinuncia ed ascesi, questo secondo ritiro è definito in termini di attenzione a se stesso e a Dio: " Solo, sotto lo sguardo di Colui che guarda dall'alto, egli abitò con se stesso ". Lungamente spiegata da Gregorio, questa " abitazione con se stesso ", che consiste nel non perdere mai di vista la propria anima e la propria relazione con Dio, serve come base agli slanci contemplativi che B. sembra aver conosciuto in questo periodo. Essa somiglia molto al " timore di Dio ", posto dalla sua Regola al principio della scala dell'umiltà.

Il secondo tratto rivelatore è l'abitudine di piangere pregando.2 In realtà, la Regola non parla quasi mai dell'orazione senza menzionare le lacrime che l'accompagnano. Come molti mistici, B. considera inseparabile dalla vera preghiera questo fenomeno che testimonia che essa sgorga da un cuore toccato dalla Parola di Dio.

Inaugurata dal colloquio intimo con Dio, la vita monastica di B. è evoluta verso un'esistenza comunitaria. Il ruolo di abate, che pare egli non abbia né desiderato né rifiutato, non gli impedisce di ricercare la solitudine fino alla fine della sua vita. A proposito della sua visione cosmica, Gregorio riferisce che egli abita, a Montecassino, in una torre a parte, in cui si dà, solo, alla preghiera notturna. Non lasciando mai il suo monastero, pare che l'anziano anacoreta resti, in questo modo, fedele al suo primo amore per la vita solitaria con Dio.

Nella sua Regola, B. comincia con il riprodurre, abbreviandola, l'opera anonima, tre volte più lunga, che si chiama la Regula Magistri, e che egli riprende in modo personale, ispirandosi al suo predecessore. L'itinerario spirituale del monaco, già abbozzato da Cassiano, va dal timore del Signore all'" amore perfetto che caccia il timore " (1 Gv 4,18), passando attraverso l'umiltà, descritta con l'immagine di una scala di dodici pioli.3 " Chi si umilia sarà esaltato " (Lc 14,11). Come il Cristo (cf Fil 2,8), il monaco si umilia quaggiù per raggiungere la gloria celeste. Cominciando e terminando con uno sguardo su Dio, quest'umiltà si manifesta, di fronte agli uomini, con l'obbedienza e la pazienza, l'abbassamento e il silenzio. Attraverso gli uomini, si obbedisce al Cristo (cf Lc 10,16), che è anche il modello dell'obbedienza (cf Gv 6,38).

Lungo, da solo, quasi quanto gli altri undici, il primo gradino di umiltà consiste nel ricordarsi incessantemente di Dio, della sua presenza e del suo sguardo, di ciò che egli comanda agli uomini e della sorte eterna che egli riserva loro. Fondamentale e costante, questa fede nel Dio presente si intensifica nell'ora dell'Ufficio divino, celebrato sette volte al giorno e una volta di notte. Queste sette riunioni quotidiane nell'oratorio, in cui la preghiera si nutre dei salmi, segnano la volontà di consacrare a Dio il giorno intero, comprese le ore della lettura e del lavoro che separano gli uffici, in modo da pregare incessantemente (cf 1 Ts 5,17).

Esplicitamente nel Maestro, implicitamente in B., la scala dell'umiltà termina al cielo, ma questo termine ultimo è prefigurato quaggiù da uno stato di carità perfetta in cui si compie la carità divina come naturalmente, per semplice amore del bene (Cassiano, il Maestro) o del Cristo (Benedetto).

In un riferimento personale, alla fine del suo prologo, B. non teme di dire che la " via stretta " del Vangelo non fa sentire la sua strettezza che agli inizi. In seguito, progredendo nella vita religiosa e nella fede, si ha l'impressione di essere al largo perché il cuore si dilata sotto l'influsso dell'amore. L'" ineffabile dolcezza ", che caratterizza ciò è uno dei tocchi mistici della Regola. Si può mettere insieme la " gioia dello Spirito Santo ", che accompagna i sacrifici della Quaresima, e la " gioia del desiderio spirituale " con la quale in questo tempo, che simboleggia tutta la vita terrestre, si aspetta la santa Pasqua.4 E " con tutta la sua brama spirituale " che il monaco deve desiderare la vita eterna.5 Queste formule indicano, allo stesso tempo, lo slancio di tutto l'essere verso l'aldilà e la mozione dello Spirito divino che produce questo orientamento. La stessa azione divina è evocata alla fine del capitolo sull'umiltà: è " il Signore, mediante lo Spirito Santo ", che opera nell'anima questa adesione totale e spontanea al suo volere che è la perfetta carità.

B. si distingue dal Maestro per l'accento posto sull'aspetto interiore delle osservanze e per l'interesse allo sviluppo spirituale dell'uomo fin da quaggiù. Quanto alla concezione della vita comune, i due autori presentano una divergenza significativa. Per l'uno e per l'altro, il monastero è una " scuola " del Cristo, analoga al gruppo dei dodici discepoli riuniti intorno a questi durante la sua vita terrena; " dottore " di questa scuola, l'abate rappresenta il Cristo. Ma a questa struttura verticale e gerarchica, che riprende dal Maestro, B. aggiunge una dimensione orizzontale sconosciuta a quest'ultimo. In lui appare una preoccupazione nuova delle relazioni fraterne nella carità. Questa evoluzione, che si ritrova in altri ambienti monastici, riproduce quella del gruppo dei primi discepoli del Cristo: riunita per comprendere l'insegnamento di Gesù, questa scuola dei Dodici è diventata, in virtù del nuovo comandamento donato da lui al momento della sua morte, una comunione.

Note: 1 Gregorio, Dialoghi II; 2 Ibid., 17; 3 RB 7; 4 RB 49, 6-7; 5 RB 4, 46.

Bibl. Opere: Ed. critica della Regola, a cura di A. de Vogüé, 6 voll. in SC, 181-186, Paris 1971-1972 e dei Dialoghi di Gregorio Magno, a cura di A. de Vogüé, 3 voll., in SC, 251, 260, 265, Paris 1978-1980. Studi: T. Leccisotti, s.v., in EC II, 1251-1262 (con ampia bibl.); A. Lentini, s.v., in BS II, 1104-1171 (con ampia bibl.); G. Penco, s.v., in DES I, 346-352; Ph. Schmitz - P. de Puniet, s.v., in DSAM I, 1371-1409; G. Turbessi, Ascetismo e monachesimo in s. Benedetto, Roma 1965; A. de Vogüé, Autour de s. Benôit, Bellefontaine 1976; Id., La Regola di s. Benedetto. Commento dottrinale e spirituale, Padova-Praglia 1984; Id., La comunità. Ordinamento e spiritualità, Praglia (PD) 1991; Id., Ciò che dice s. Benedetto. Una lettura delle Regole, Roma 1992; Id., Etudes sur la Règle de saint Benoît. Nouveau recueil, Bellefontaine 1996;

A. de Vogüé

BERINZAGA ISABELLA CRISTINA. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Milano nella famiglia Lomazzi intorno al 1551. Il nome Berinzaga le è dato dallo zio materno nella cui famiglia viene allevata, mentre lei stessa più tardi assumerà il nome Cristina in onore della santa martire di Bolsena. In un ambiente aristocratico, ma povero, B. deve dedicarsi ai lavori domestici. Non ha la possibilità di studiare e conosce il sacrificio quotidiano. Rifiuta il matrimonio, ma anche la vita claustrale. Frequenta i gesuiti che l'accolgono, ma presto sono preoccupati per alcuni suoi atteggiamenti ispirati e per programmi di vita spirituale che sembrano essere fuori dall'ordinario. L'incontro con padre Gagliardi, incaricato di controllarla, segna per B. un nuovo slancio nella vita spirituale, tanto più che il gesuita è aperto ed interessato ai fenomeni mistici. Egli le detta gli esercizi spirituali ed ella è tenuta ad annotare le proprie esperienze interiori. Il Gagliardi assiste anche ad alcune sue estasi. Ma all'interno dell'Ordine, il Gagliardi suscita perplessità per il suo atteggiamento di riformatore, per cui viene richiamato a Roma. La B. lo segue, ma le idee sue e quelle del Gagliardi vengono giudicate pericolose. C'è il rischio di finire al tribunale del Sant'Uffizio.

B. viene emarginata dalla Congregazione dei gesuiti cui pure è legata con una forma particolare di obbedienza e di vita e si trasferisce a Milano dove è conosciuta ed apprezzata dal card. Borromeo ( 1584). Le viene affidato il governo degli ospedali e l'aiuto ai monasteri bisognosi. La peste del 1576 la trova impegnata in una valida azione caritativa. Muore nel 1624.

Dalle annotazioni in margine agli esercizi spirituali nasce il Breve compendio intorno alla perfezione cristiana pubblicato anonimo a Brescia nel 1611 e a Vicenza nel 1612. Prima ancora delle edizioni italiane, il libro era stato pubblicato in Francia con il titolo Abregé de la perfection chrétíènne (Paris 1596). Il futuro card. de Bérulle, allora giovanissimo, ma già interessato allo studio della mistica, lo rimaneggia e lo ripubblica con il titolo Bref discours de l'abnègatíon intèrieure (1597).

L'opera anonima è apprezzata anche da s. Francesco di Sales e da Surin e viene tradotta in molte lingue.1 Tacciato di quietismo, il libro è messo all'Indice per due secoli (1703-1899) e solo recentemente conosce nuovo interesse.

II. Il cammino spirituale di B. ha certamente accenti ignaziani, ma possiede un'originalità sua propria. L'orientamento di fondo è " la via dell'annichilazione " che comprende tre momenti successivi: annichilazione di sé, che si acquista mediante la conoscenza di se stessi e il conseguente disprezzo di sé; spogliamento operato da Dio su chi già sa di non valere nulla: Dio lascia all'anima la sua volontà passiva di volere ciò che lui vuole; sostituzione della volontà di Dio alla volontà passiva per raggiungere l'identificazione con lui e la disponibilità assoluta ad essere come egli vuole.

Ciò che emerge nella dottrina della B. è l'insistenza su quella forma di libertà della persona su cui Dio fa leva. Dio non invade né identifica a sé, annullando la libertà della creatura, ma donandole un atteggiamento che richiama la sua stessa libertà divina.

Un altro tema vissuto in forma caratteristica dalla B. è quello della sua consacrazione alle tre Persone della SS.ma Trinità, cui sono legati i tre voti: la povertà di spirito è relativa al Padre, la castità fisica e spirituale è relativa al Figlio e l'obbedienza è relativa allo Spirito Santo.

Il cammino spirituale proposto dalla B. è, secondo lei, percorribile da tutti, perché l'esperienza unitiva con Dio è un bene reale e comune, a cui tutti " infallibilmente arrivano ", purché lo perseguano. Esso è un cammino ordinario, che la B. espone in forma discorsiva, con un linguaggio essenziale accessibile a tutti.

Note: 1 P. Vanzan, Per via di annichilazione. Una mistica e la sua guida spirituale nella Milano del Cinquecento, in CivCat 145 (1995)1, 149-156.

Bibl. Opera: M. Bendiscioli (cura di), Breve compendio di perfezione cristiana e " Vita di Isabella Berinzaga ", Firenze 1952; M. Gioia, Per via di annichilazione. Un testo di Isabella Cristina Berinzaga redatto da Achille Gagliardi S.J., Roma-Brescia 1994. Studi: M. Marcocchi, Per la storia della spiritualità in Italia fra il Cinquecento e il Seicento, in ScuCat 106 (1978), 419-422, 433-439; G. Pozzi - C. Leonardi (cura di), Isabella Cristina Berinzaga, in Scrittrici mistiche italiane, Genova 1988, 392-398; P. Vanzan, Per via di annichilazione. Una mistica e la sua guida spirituale nella Milano del Cinquecento, in CivCat 145 (1995)1, 149-156.

M. Tiraboschi

BERNARDINO DA SIENA (santo). (inizio)

I. Vita ed opere. B. nasce a Massa Marittima l'8 ottobre 1380 dalla famiglia senese degli Albizeschi. Rimasto orfano di padre e di madre ancora fanciullo, è inviato a Siena dove compie gli studi di grammatica, filosofia e diritto e si dedica ad opere di carità. Diventato frate minore nel 1402, è ordinato sacerdote nel 1404. Per alcuni anni studia teologia, filosofia e Sacra Scrittura e si dedica alla predicazione e a lavori manuali. Dal 1418 in poi si consacra quasi totalmente alla predicazione. Lavora instancabilmente per lo sviluppo della " Osservanza " nel suo Ordine, attraendo ad essa migliaia di giovani. Muore a L'Aquila il 19 maggio 1444 dopo aver predicato l'ultima Quaresima a Massa Marittima. Niccolò V ( 1455) lo proclama santo a soli sei anni dalla morte, nella Pentecoste del 1450.

Tutta la produzione letteraria di B. è in funzione del suo apostolato ed è prevalentemente composta di " trattati ", " sermoni " e quaresimali. Alcuni sono in lingua latina, altri in volgare. La vasta eredità letteraria di B. ora è raccolta in una moderna edizione critica, curata dai Padri di Quaracchi in nove volumi: S. Bernardini Senensi O.F.M. Opera omnia, studio et cura PP. Collegii s. Bonaventurae ad fidem codicum edita, 9 voll., Quaracchi, Firenze, 1950-1965. Esistono alcune edizioni recenti di singole opere: Sermoni latini, a cura di D. Pacetti, 3 voll., Siena 1929-1932; Prediche volgari, 5 voll. a cura di P. Cannarozzi, Pistoia-Firenze 1934-1940; Operette volgari, a cura di D. Pacetti, Firenze 1938; Trattato delle ispirazioni, volgarizzato da D. Pacetti, Milano 1944.

II. Dottrina spirituale. B. si propone espressamente il programma di una teologia predicata: " Ho creduto utilissimo a coloro che desiderano Dio aprire la via di questa santissima religione dalle opere dei grandi santi, dottori e maestri teologi ".1 Un merito di B. è quello di portare la dottrina, elaborata dai grandi teologi della scolastica, dalla cattedra delle Università sul pulpito delle chiese e delle piazze. La teologia fatta nella scuola e per la scuola, per opera del grande predicatore, diviene teologia kerigmatica, teologia dell'evangelizzazione che ha per fine principale la formazione pratica di un'autentica vita cristiana.

Dopo la Bibbia e i Padri, B. si riferisce soprattutto a Tommaso, Bonaventura e Duns Scoto ( 1308). Questi tre dottori sono da lui associati in armonia, poiché è convinto che la predicazione, per essere autentica, deve attingere direttamente alle opere dei maggiori teologi. La profonda coscienza di appartenere al Signore motiva in B. la necessità di farsi instancabile voce per annunciare la parola di Gesù Cristo, la quale, non solo illumina la vita, ma la trasforma. Tale parola coinvolge l'uomo intero, nelle sue potenze spirituali e nelle facoltà intellettive, orientando l'esistenza ad una progressiva trasformazione in senso evangelico. Se B. dedica tutte le sue forze alla predicazione della parola di Gesù è perché questa aiuti i fedeli a camminare nella via della santità attratti dalla grazia che conduce alla sequela di Cristo. Ciò spiega l'importanza che B. riconosce a Cristo nella propria vita spirituale e nella predicazione.

Un'attenta analisi degli scritti bernardiniani (M. Gronchi) ha dimostrato che la cristologia di B. si sviluppa secondo tre direttrici che sono l'immagine di " Jesù umanato ", di " Jesù passionato ", di " Jesù glorificato ". 1. Con l'immagine di Jesù umanato, B. raccoglie i motivi dominanti dell'innologia paolina di Col 1,15-20 e di Ef 1,3-14 nonché della tradizione francescana, nel segno del primato di Cristo, incondizionatamente predestinato ad essere nel mondo. A Gesù " umanato " sono destinate le creature in ordine al loro stesso fine che sta nel raggiungere la perfezione, la pienezza della comunione con Dio, la gloria. La presenza di Gesù nel mondo è già, in certo senso, elevazione e salvezza di tutto il cosmo. 2. L'immagine di Jesù passionato presenta, per B., il doloroso esito del cammino del Salvatore con gli uomini verso il Padre. Il peccato del mondo è stato occasione per manifestare il grande amore da parte di Dio, capace di far crescere verso la pienezza della vita suo Figlio e tutti coloro che gli obbediscono, attraverso le sofferenze e la croce vissute con amore. 3. L'immagine di Jesù glorificato raccoglie, intorno al tema del compimento pasquale, la prospettiva soteriologica dominante: il Figlio è glorificato dal Padre con quella gloria che aveva presso di lui prima che il mondo fosse, gloria nascosta nell'Incarnazione e morte e rivelata con la risurrezione e con l'ascensione, e ora offerta ai credenti perché vivano in comunione con Dio e tra di loro. B. vuole infondere nei suoi uditori l'amore per Cristo, perciò si diffonde nel descrivere il simbolismo mistico del " Legno della vita " (centro del mondo e della storia) e i suoi " dodici frutti salutari " offerti a tutta l'umanità.

Il modo con cui il cristiano può entrare in contatto personale con Gesù crocifisso, per essere poi partecipe della gloria del Cristo glorificato, viene indicato in una predica " della croce " in cui B. commenta il testo di Fil 2,5: " Hoc enim sentite in vobis quod et in Christo Jesù ". Indica come necessarie tre condizioni: 1. " Sentire ", ossia fare esperienza, il che è distinto dal pensare e dall'intendere. Infatti, molti possono pensare, molti meno possono intendere, pochi possono sentire. Il sentire implica un coinvolgimento molto più profondo e totale con l'oggetto in causa, ossia con Cristo. 2. " In vobis ", ossia il soggetto deve sperimentare la propria relazione personale con Cristo crocifisso quasi come un'osmosi, una comunicazione tale da trasfondere nel discepolo il sentimento profondo di Gesù. Per la contemplazione del Crocifisso non basta pensare alla croce senza Cristo, e neppure intendere Cristo in croce in modo distaccato; è indispensabile sentire con amore Cristo crocifisso in se stessi. Questo opera una vera partecipazione trasformante, tipica dell'amore che produce somiglianza, comprensione, osmosi. Viene da chiedersi come possa prodursi nel credente il sentire in sé la passione di Cristo. B. risponde interpretando l'espressione paolina: " Quod et in Christo Jesù ". 3. " Quod et in Christo Jesù ": sentire in se stessi Cristo crocifisso vuol dire passare " dalla scorza alla midolla ", significa percepire intimamente l'amarezza della sua dolorosa passione in se stessi; significa ancora diventare partecipi di tutta l'umiliazione del Figlio di Dio divenuto bambino, fatto uomo e poi crocifisso. Solo così il fedele può crescere nella immedesimazione col Crocifisso.

Se fin qui il discorso di B. si è svolto su un piano piuttosto psicologico, esso poi passa a indicare la preminenza della grazia. E la grazia ciò che prende il sopravvento e rende possibile l'esperienza di unione spirituale tra il discepolo e Cristo. La contemplazione del Crocifisso offre la grazia della sequela. L'amore di Cristo attira l'uomo, lo fa dimentico di sé, trasforma, rende somiglianti, fa conoscere. " E così che pian piano si produce quella somiglianza con Cristo che, favorita da una iniziale disposizione psicologica interiore e alimentata dagli atti dei sensi spirituali, rappresenta il precipuo frutto della gratia crucis (sentite): l'esistenza del discepolo viene plasmata ad immagine del Signore sofferente (in vobis), purificato dal peccato e incamminato verso la più alta contemplazione dell'amore di Dio (quod et in Christo Jesu). L'esempio di s. Francesco, quindi, conforta il credente nella possibilità di accedere ai più alti livelli di innamoramento di Cristo, dal momento che " non è niuno che si possa nascondere dal caldo di Cristo Jesù (cf Sal 18,7). Tutti ci potiamo innamorare di lui ".2 Per indicare più specificamente la gradualità dell'ascesa contemplativa possibile per ognuno, B. offre il percorso bonaventuriano della " scala " scandita nei suoi vari gradini fino all'ultimo, quello dell'unione mistica, ove il fedele non vorrebbe più separarsi da Cristo, secondo l'espressione paolina: " Chi ci separerà dall'amore di Cristo? " (Rm 8,35).

In materia di dottrina spirituale, B. è per un' ascesi condita con il sale della discrezione; insiste sull'umiltà e ripetutamente afferma il primato della carità animata da un'ardente devozione a Gesù Cristo. Particolare interesse meritano i due trattati De Spiritu Sancto e De inspirationibus, ai quali, come al trattato De vita christiana, egli lavora fino alla morte. Il De Spiritu Sancto è rimasto incompiuto a causa della morte del santo: avrebbero dovuto completarlo altri due sermoni per il sabato e la domenica ottava della Pentecoste. Vi si parla dei doni dello Spirito Santo, del modo con cui essi ci uniscono al divino amore e dei modi con cui si manifestano la presenza e l'azione dello Spirito Santo. Il trattato De inspirationibus esamina la natura e le specie di ispirazioni, la loro origine, il discernimento delle medesime e le illuminazioni che aiutano a conoscere quali ispirazioni sono meritorie e perché lo sono. Nella parte centrale (il discernimento) viene affrontato il problema della contemplazione passiva, considerata come " grazia e virtù ", e si specifica che bisogna essere cauti a proposito di visioni, rivelazioni, estasi ed altri fenomeni del genere. A proposito della contemplazione unitiva, sembra che B., qui su questa terra, non l'ammetta per modum status ma solo per modum actus.

III. B. mistico. Per tutta la vita, B. fu un appassionato cercatore di Dio. Le fonti biografiche attestano che fin da giovane fu impegnato in una vita di pietà, di carità, di tensione alla santità oltre che nello studio; tanto più dopo il suo ingresso nella vita francescana trascorsa per vari anni nei romitori dell'Osservanza.

B. deriva la concezione teologica di Dio dalla corrente ignea del misticismo che, attraverso s. Paolo, l'Areopagita, s. Agostino, s. Bernardo, s. Bonaventura e il beato Duns Scoto, fluisce in lui offrendogli una incrollabile professione di fede: Dio è amore, atto puro e infinito di amore; a Dio ci si unisce con l'amore; l'amore entra ove la scienza si arresta.

Innamorato seguace di Francesco d'Assisi, B. se lo propone come modello nel realizzare i tre stati della perfetta unione con Dio, che sono " avere el cuore infiammato..., trasformato... in amore anichilato ". L'unione con Dio avviene per mezzo di Gesù Cristo, unico mediatore. Raramente, B. lascia trapelare la sua passione d'amore per il Signore Gesù. Tuttavia, parlando del Nome di Gesù, le dighe del riserbo vengono travolte e nelle parole del predicatore vibra il cuore del santo mistico: " La più dolce parola che sia è Gesù... El più dolce predicare che sia è del Nome di Gesù... Ficcati bene nel cuore el Nome di Gesù; non arai niuna fatica, per grande ch'ella sia, che non ti venga in allegrezza ". Gesù è il Maestro con cui B. dialoga. Se egli predica è perché ha sperimentato in se stesso la potenza e la bontà del suo Signore. Il Figlio di Dio lo spinge a predicare e gli dà anche la forza di perdonare chi lo avversa, poiché porta nel cuore il sigillo impresso con le " cinque lettere " che Cristo ha, " due nelle mani, due nei piedi e una nel costato ", e sono queste: " A.M.O.R.E. ".3

B. è stato definito il " mistico sole del secolo XV ". " Quando predica, sembra tutto proteso fuori del proprio io ad osservare costumi, gesti, parole del prossimo; sembra esperto d'ogni stato d'animo, d'ogni classe sociale, d'ogni arte e professione; sembra uomo d'azione più che di preghiera, realista e realizzatore più che contemplativo. In verità, B. è sempre unito a Dio, ma non perduto e obliato in Dio; è sempre in preghiera, ma la sua preghiera si carica, per così dire, delle cose della terra per offrirle all'Altissimo; è sempre in contemplazione, ma dall'alto guarda ’l'aiuola che ci fa tanto feroci' con uno sguardo che abbraccia tutti gli aspetti della realtà " (M. Sticco).

Note: 1 De christiana religione, Proemium: I, 4; cf De evangelio aeterno, Prologus, a. 3, c. 3; 2 M. Gronchi, La cristologia di s. Bernardino da Siena, Genova 1992; 3 Ibid., 111.

Bibl. Aa.Vv. Enciclopedia bernardiniana, 4 voll. a cura del Centro di Attività Bernardiniane per il VI centenario della nascita di s. Bernardino, L'Aquila 1980-1985. Il primo volume è tutto dedicato alla bibliografia bernardiniana. In particolare segnaliamo: S. Bernardino da Siena. Saggi e ricerche pubblicati nel quinto centenario della morte (1444-1944), a cura dell'Università Cattolica del S. Cuore, Milano 1945; S. Bernardino: storia, cultura, spiritualità. Atti delle celebrazioni organizzate a Verona, Vicenza 1982; A. Blasucci, La spiritualità di s. Bernardino da Siena, in Miscellanea Francescana, 44 (1944), 3-67; C. Cenci, La dottrina spirituale di s. Bernardino da Siena desunta dalle sue opere latine, Roma 1961; R. Frison, La gloria del paradiso in s. Bernardino da Siena, Roma 1962; J. Heerinckx, s.v., in DSAM I, 1518-1521; A. Matanic, s.v., in DES I, 355-356; M. Sticco, Pensiero e poesia in s. Bernardino da Siena, Milano 1945.

R. Barbariga

BERNARDO DI CLAIRVAUX (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nato a Fontaine-lès-Dijon nel 1090, dopo gli studi ecclesiastici, questo giovane figlio di cavaliere, recluta e forma un gruppo di trenta compagni e con loro entra nell'abbazia di Citeaux nel 1112 o 1113. Grazie a tutti loro può essere fondata nel 1115, l'abbazia di Clairvaux. Egli promuove l'espansione dell'Ordine cistercense che alla fine della sua vita conterà trecentocinquanta monasteri. Molto presto, con lettere e in seguito con i suoi viaggi, egli esercita all'estero una rilevante attività al servizio del papato, della Chiesa, del monachesimo e della cavalleria. Muore a Clairvaux il 20 agosto 1153. Canonizzato nel 1174, viene dichiarato Dottore della Chiesa nel 1830.

La sua opera scritta è costituita da più di cinquecento lettere, numerosissimi sermoni e trattati. Di questi ultimi i più importanti ai fini della dottrina spirituale sono i seguenti: Sui gradi dell'umiltà e dell'orgoglio (1125), Sull'amore di Dio (1125-1126), Sulla conversione (1140), Sulla considerazione (1149-1152). Dal 1135 alla morte redige i suoi ottantasei Sermoni sul Cantico dei Cantici. La solidità della sua dottrina, il suo fervore, le qualità letterarie del suo stile, spesso immaginoso e poetico, assicurano un'immensa diffusione al suo insegnamento. Tutta la sua cultura dipende dalla tradizione monastica fondata sulla Bibbia, sulla liturgia, sulla patristica. Egli si esprime in un linguaggio completamente biblico e si ispira soprattutto a s. Paolo e a s. Giovanni. Tra i Padri, egli dipende da Origene (nella sua versione latina), da s. Agostino, dalle Omelie dell'Ufficio divino. Ha affrontato tutti gli aspetti della fede e della pratica cristiana, con l'intento di favorire un'intima unione personale con Dio nella Chiesa.

II. Dottrina mistica. 1. Il Cristo e la condizione umana. B. parla della mistica in termini di esperienza e a partire da due realtà primarie: a. Ogni unione con Dio non può essere che una partecipazione al mistero della morte e della risurrezione di Cristo; si tratta, come per Gesù, di passare dalla condizione carnale alla vita secondo lo Spirito. Dio, nel Cristo, ha voluto fare l'esperienza di che cosa significhi essere uomo, con le difficoltà e le sofferenze che comporta tale condizione, compresa la morte accettata per amore. Ma è stato interamente trasformato nella gloria mediante la sua risurrezione; la sua ascensione è il simbolo di questo passaggio dalla carne allo Spirito. Quando, poi, egli è presso il Padre, manda lo Spirito Santo agli uomini perché anch'essi possano fare una certa esperienza di questa trasformazione. b. Ora, questa esperienza spirituale deve realizzarsi in esseri che sono di carne, cioè che non solo hanno un corpo, ma sono un corpo: questo fa da mediatore tra il mondo nel quale essi esistono e la vita divina che deve diffondersi in essi. Ciò che s. Paolo chiama la " concupiscenza della carne " non è nel corpo, ma nel cuore; la grazia lo guarisce e " per lo spirito che è buono, la carne è un compagno, anch'esso buono e degno di fiducia ".1 Di qui l'importanza che occupano, nell'esperienza cristiana, i sensi e, grazie alle sensazioni che essi ricevono, le immagini che permettono di acquistare una certa rappresentazione di Dio e dei suoi misteri nonché di esprimersi a loro riguardo. Infatti Dio, facendosi uomo, e mandando lo Spirito del Cristo risorto, " è disceso fino alla nostra immaginazione ".2 I paragoni presi in prestito dalle realtà di questo mondo - per esempio il simbolismo dell'alimentazione e quello dell'unione d'amore di cui parla il Cantico dei Cantici - permettono di evocare tutti gli aspetti dell'itinerario spirituale che vanno dall'umiltà all'estasi. Non si tratta di fasi successive, ma di dati simultanei che, durante tutta la nostra esistenza, segnano le diverse attività che comporta la vita cristiana.

2. Dall'umiltà all'estasi. L'esperienza di base è quella della " miseria " dell'essere umano, cioè dei suoi limiti e della sua distanza in relazione a Dio. Di qui scaturisce un desiderio al quale Dio risponde mediante la sua inabitazione permanente e, talvolta, con " visite " straordinarie. L'essere umano resta diviso tra questa esperienza del suo essere limitato e anche della sua tendenza al male e, d'altra parte, della capacità che egli ha di ricevere Dio in sé. Creato ad immagine di Dio, egli ha perduto con il peccato la libertà originale che gli avrebbe permesso sempre di agire in conformità con la volontà di Dio. Ma grazie al Cristo, egli conserva la certezza che alla sua " miseria " risponde la " misericordia ", cioè la compassione di Dio. Le " tentazioni " non mancano, ma sono altrettante occasioni per rinnovare il desiderio di essere fedeli a Dio. La memoria conserva il ricordo delle colpe passate, ma queste, una volta perdonate, non macchiano più.3 B. descrive con molto realismo questa " contrarietà ", la contraddizione interna provata dal cristiano, ma è profondamente ottimista riguardo alla possibilità che l'uomo ha di liberarsi del suo io spontaneo, fino a pervenire ad un excessus, vale a dire un'uscita da sé verso Dio che può comportare dei momenti " brevi e rari ", di estasi. Si tratta sempre di integrare tutto l'umano nella vita cristiana.

3. L'amore universale. La grazia di Dio e lo sforzo ascetico dell'essere umano rendono possibile questo superamento dell'io e del proprio egoismo. Allora il peso della nostra miseria cessa di opprimerci, la certezza che abbiamo di poter raggiungere Dio rende meno difficile lo sforzo della nostra ascensione verso di lui. La nostra carità si dilata all'infinito: essa abbraccia anche coloro che, secondo la tendenza spontanea della nostra natura, ne sarebbero esclusi, i nostri nemici. Essa ci spinge ad una " compassione " attiva verso tutti; essa ci fa accettare tutte le difficoltà. A poco a poco, alla pena si sostituiscono l'ardore e il " fervore ". Il " cuore " è purificato, pacificato. Esso può contemplare Dio, cioè guardarlo senza vederlo, ma già unendosi a lui come una sposa al suo sposo. Dappertutto è sottolineato il ruolo dello Spirito Santo in questo lavoro di liberazione che ci fa uscire dalla nostra limitatezza per aprirci a tutti ed unirci a colui che è l'Amore stesso. La Vergine Maria è il modello perfetto dell'unione totale con Dio di cui, grazie all'azione dello Spirito Santo, ella ha portato in sé il Figlio incarnato. In tutta la sua vita, ha realizzato l'unione con Dio mediante la sua umiltà e la sua compassione per Gesù e per quelli in cui egli vive. Nella sua gloria di Regina-Madre, ella intercede in loro favore. Per tutti, l'amore comporta tre gradi che consistono nell'amare se stessi, nell'amare gli altri e nell'amare Dio. Un quarto grado offre un anticipo eccezionale di ciò che sarà l'amore assolutamente perfetto nella beatitudine celeste.

4. Permanente attualità di questo messaggio. Prendendo coscienza, con umiltà, della propria miseria, l'essere umano, con la carità, intuisce che questa indigenza è quella di tutti; egli, dunque, deve provare " compassione " per tutti e praticare ciò che B. chiama " l'amore sociale ". Di qui la necessità dell'impegno al servizio della Chiesa e della società, affinché tutti vivano nel desiderio di Dio. La ricerca contemplativa prepara ad un'azione concreta e realistica che ciascuno compie a seconda del suo stato di vita. Questo ritorno efficace verso l'umanità, B. l'ha realizzato verso i suoi monaci, la sua famiglia, i suoi amici e verso tutti, chierici e laici, nobili e gente di umili condizioni; in favore dei poveri, egli è intervenuto più di una volta. Ha comunicato ciò che si può chiamare un misticismo pratico. Ben presto sono stati attribuiti a lui dei testi che dipendono più dall'affettività che dalla teologia, ma nei suoi scritti autentici egli ha proposto della vita mistica un'analisi esperienziale, esistenziale, che ha esercitato influenza in tutte le epoche ed è vicino a molti pensatori del nostro tempo.

Note: 1 De diligendo Deo, 31; 2 Sermone nella Natività di B.M.V. 10; 3 De conversione 28-30.

Bibl. Opere: S. Bernardi Opera, 8 voll., Romae 1957-1977; Opere di s. Bernardo, Milano 1984-1994. Studi: Aa.Vv., La dottrina della vita spirituale nelle opere di s. Bernardo, Roma 1990; E.C. Butler, Il misticismo occidentale. Contemplazione e vita contemplativa nel pensiero di Agostino, Gregorio e Bernardo, Bologna 1970; F. Gastaldelli, Ricerca ed esperienza di Dio secondo s. Bernardo, in Rivista cistercense, 8 (1991), 133-154; E. Gilson, La teologia mistica di s. Bernardo, Milano 1987; R. Grégoire, Bernardo, in La Mistica I, 399-418; U. Köpf, Religiöse Erfahrung in der Theologie Bernhards von Clairvaux, Tübingen 1980; A. Le Bail, s.v., in DSAM I, 1454-1499; J. Leclercq, St. Bernard mystique, Paris 1948; Id., Nouveau visage de Bernard de Clairvaux. Approches psycho-historiques, Paris 1976, Id., Bernardo di Chiaravalle, Milano 1992; B. Schellenberger, Bernardo di Chiaravalle, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi mistici I, Bologna 1987, 133-149; P. Zerbi, s.v., in BS III, 1-37.

J. Leclercq

BERULLE PIERRE DE. (inizio)

I. Vita ed opere. B. è stato un autentico promotore della mistica. Egli è il primo e massimo rappresentante di quella che si chiama la scuola francese di spiritualità. Attraverso la sua esperienza e i suoi discepoli, soprattutto Condren, Giovanni Eudes, Vincenzo de' Paoli e indirettamente Olier e molti altri, egli ha esercitato e continua ad esercitare un'influenza molto considerevole. J. Dagens ha potuto scrivere: " Senza B. mancherebbe qualche cosa di essenziale alla vita spirituale della Francia e al pensiero cristiano ".

Nato nel castello di Sérilly, nei pressi di Troyes, nel 1575, egli trascorre la parte migliore della sua vita a Parigi. Dopo buoni studi presso i gesuiti ed alla Sorbona, incontra i migliori mistici del suo tempo in casa di sua cugina, M.me Acarie ( 1618); questi contatti ed una intelligenza precoce lo preparano ad una vita spirituale e apostolica straordinaria, fondata su una visione teologica molto profonda. La lettura dei mistici renano-fiamminghi gli ispira un senso acuto della grandezza di Dio. Due ritiri, nel 1602 e 1607, lo orientano definitivamente verso un cristocentrismo molto contemplativo: " Gesù, compimento del nostro essere... ". Tuttavia, nel 1604 egli si reca in Spagna e, al ritorno, conduce con sé alcune carmelitane che costituiscono il primo nucleo del Carmelo francese il cui sviluppo è rapidissimo. Dal 1604 al 1660, in Francia si fondano sessantadue monasteri. Il ruolo di visitatore delle carmelitane gli procura molte difficoltà, ma il voto di servitù a Gesù, da lui emesso, diventa l'occasione per scrivere i meravigliosi (e difficili) Discorsi dello stato e della grandezza di Gesù pubblicati nel 1623. Vi si trovano sviluppate alcune considerazioni sugli " stati e misteri " di Gesù. " Passati per quanto riguarda l'esecuzione, essi sono presenti in quanto alla loro virtù che non passa mai ". Tra questi misteri, quello dell'Incarnazione è al centro della sua contemplazione, insieme a quello dell'infanzia di Gesù. E qui che si radica la devozione, così profonda e così tenera, di B. per Maria (vedi la Vita di Gesù).

Avendo fondato nel 1611 l'Oratorio di Gesù per " restaurare lo stato di sacerdozio ", B. compone per i suoi confratelli un Ufficio in onore di Gesù e propone loro di emettere il voto di servitù a Gesù. Solo la lettura attenta di alcune pagine scelte di B. permette di percepire la profondità e il lirismo della sua dottrina cristologica, teologicamente molto fondata.

Egli adempie a molte altre funzioni di ordine diplomatico o riformatore: è creato cardinale nel 1627 da Urbano VIII ( 1644) che lo definisce " Apostolo del Verbo incarnato ". B. passa, così, alla storia della spiritualità come un maestro ed un pioniere incontestato. Muore nel 1629.

II. Il teocentrismo berulliano. " Dio è Dio... ". " Non c'è nulla di grande se non Dio e ciò che rende omaggio a Dio ". " B. ha provocato nel mondo spirituale dei suoi tempi una specie di rivoluzione, che si può chiamare con un nome inusuale, ma quasi necessario, teocentrica ". L'antropocentrismo interpreta questa verità riconosciuta da tutti i cristiani: " Dio è il nostro fine ", così: " Dio è per noi ", mentre il teocentrismo la interpreta nel modo seguente: " Noi siamo per Dio ". Indubbiamente, siccome la terra girava intorno al sole, prima di N. Copernico ( 1543) innumerevoli santi hanno vissuto " teocentricamente ", ma senza formulare questa esperienza con molta chiarezza. Il pensiero cristiano adottava piuttosto la prospettiva di s. Agostino. " Questi afferma: Signore ci hai fatti per te ", fecisti nos ad te, che egli intende: ci hai fatti perché noi trovassimo in te la nostra beatitudine. L'assioma cento volte ripetuto da B., e sul suo esempio da tutta la scuola francese, diventa: " Per prima cosa occorre guardare Dio e non se stessi, e non operare attraverso questo sguardo e ricerca di se stessi, bensì attraverso lo sguardo puro di Dio ". Quella di B. si può qualificare come spiritualità dell'adorazione che vuole identificarsi il più possibile con il suo modello, il " Perfetto Adoratore ", il Verbo incarnato, " aderire " ai suoi " stati ".

III. Il Verbo incarnato è al centro dell'esperienza spirituale e del messaggio dei maestri della scuola francese. Quando B. parla del Verbo incarnato si riferisce, senza dubbio, a Gesù vivente, risorto, contemplato nel mistero della sua Incarnazione.

Certo, per tutti i cristiani, questo mistero è al centro della fede e tutte le scuole di spiritualità sono delle " scuole del Cristo " (s. Bernardo), ma B. e i suoi discepoli hanno voluto imperniare vigorosamente lo sguardo, la preghiera e l'attività dei cristiani sulla persona stessa di Gesù: che lo si adori nel mistero stesso della sua Incarnazione o negli altri suoi misteri (e " stati "), questa adorazione si esprime nelle " elevazioni " bérulliane, nelle grandi devozioni all'Eucaristia, al cuore di Gesù e di Maria, all'infanzia del Cristo, a Maria... A Gesù ci si unisce (adesione) mediante la comunione ai suoi misteri, alle sue disposizioni, al suo cuore (i tre sguardi di Gesù); Gesù viene a vivere e ad agire in noi mediante la fede, l'amore, l'impegno apostolico. Questa vita di " Gesù in noi " nasce nel battesimo, si nutre e si sviluppa con l'Eucaristia e l'orazione (= comunione non sacramentale); Gesù ci invia " come " egli è stato inviato dal Padre e come egli ha inviato i suoi primi apostoli arricchiti del suo Spirito (cf Discorso sulla missione dei Pastori); Gesù è legato a Maria in modo unico e definitivo: ella gli ha dato la sua umanità, egli vive in lei e lei resta sua madre e nostra madre.

A partire da questo sguardo su Gesù, B. parla a lungo degli " stati e misteri " del Verbo incarnato. " Ogni circostanza della vita del Figlio di Dio è un mistero e ad ogni mistero corrisponde uno stato del Verbo incarnato che assume il suo valore nell'Incarnazione ". Lo stato, quello almeno che B. considera, a partire dal 1615, è " l'atteggiamento interiore di Gesù in ciascuna delle circostanze della sua vita terrena o gloriosa, considerata come una realtà eterna nella misura in cui questa vita è assunta da una persona divina " (L. Cognet). B. mette sullo stesso piano " lo stato, la virtù, il merito del mistero ". La vita cristiana consiste, allora, contemporaneamente nell'adorare Gesù nei suoi stati e misteri e nell'aderire a lui nei suoi atteggiamenti interiori, il che richiede un' abnegazione radicale del proprio io.

Tra i misteri maggiori che B. propone, quello dell'Incarnazione è al centro della sua contemplazione. E lo stesso per quello dell'infanzia di Gesù. Lo stato di infanzia è per lui il culmine dell'annientamento: il Verbo, la Parola divenuta muta (infans). Ed è qui che si radica la devozione così profonda di B. al SS.mo Sacramento e alla Vergine Maria. Ciò che è stato pubblicato con il titolo di Vita di Gesù è una lunga meditazione sul mistero dell'Incarnazione. Essa offre meravigliose pagine sull'Annunciazione. Altre meditazioni permettono di contemplare l'atteggiamento di Maria al tempo della nascita e dell'infanzia di Gesù che B. considera sempre " il compimento del nostro essere ".

IV. Restaurare lo stato di sacerdozio. B. ha esercitato un grande influsso presso le prime carmelitane; come per gli oratoriani, egli propone loro il voto di servitù, pratica molto discussa. Inoltre, egli ha esercitato un'influenza profonda su persone dirette da lui, tra gli altri su Vincenzo de' Paoli. Ma occorre sottolineare, in modo speciale, la sua preoccupazione di rinnovamento della vita spirituale e del ministero dei sacerdoti.

" E che! sarebbe possibile che nostro Signore abbia desiderato una così grande perfezione di tutti gli ordini religiosi e che non l'abbia richiesta dal suo ordine che è l'ordine sacerdotale? Perché è l'ordine che egli stesso ha istituito immediatamente, questo è l'ordine di coloro che sono suoi ambasciatori sulla terra, che parlano in suo nome, che agiscono nella sua potenza, che dispensano i suoi misteri, che annunciano le sue verità, che danno il suo sacro corpo, che comunicano il suo Spirito, che, in suo nome, legano e sciolgono le anime, aprono e chiudono le porte dei cieli; e, mentre i religiosi sono consacrati dai voti che sono opera loro, sebbene santa e lodevole, i sacerdoti sono consacrati per opera di Gesù Cristo stesso, che comunica loro ancora lo Spirito Santo, secondo queste parole: ricevete lo Spirito Santo " (Fragment IV, c. 1618).

Si vede con tali raffronti che la realtà propriamente " mistica " del ministero apostolico, il suo radicamento cristologico come li ha esplicitati il Concilio Vaticano II, sono già chiaramente valorizzati da questi grandi mistici del XVII secolo. La passione che li domina per la dignità e santità dei sacerdoti si alimenta ad una doppia sorgente: il senso di urgenza della santificazione dei sacerdoti per assicurare un'autentica evangelizzazione e una convinzione teologica relativa alla loro missione: in essi e per essi il Verbo incarnato continua in un modo specifico la sua propria missione nel mondo e li anima con il suo Spirito di Pastore.

Bibl. Opere: L'edizione de Les _uvres de l'éminentissime et révererendissime Pierre Card. de Bérulle, realizzata da F. Bourgoing nel 1644, è stata rieditata nel 1960 dall'Oratorio. Un'edizione delle Oeuvres complètes è stata pubblicata dal Migne nel 1856. La Correspondance du Card. Pierre de Bérulle, 3 voll., è stata pubblicata da J. Dagens, Paris-Louvain 1937-1939; Opuscules de piété, preséntés par G. Rotureau, Paris 1944. E in corso di stampa un'edizione critica di tutte le opere di Bérulle. Recentemente, sono stati pubblicati tre volumetti nella collezione Foi vivante (ed. du Cerf, Paris): Elévation sur sainte Madeleine (n. 224), 1987; Les mystères de la vie du Christ (n. 223), 1988; La vie de Jésus (n. 236), 1989; P. de Bérulle, Le grandezze di Gesù. Passi scelti da R. Boureau, Cinisello Balsamo (MI) 1998. Studi: oltre ai capitoli di H. Bremond e di L. Cognet (cf bibl. cap. 1) consacrati a Bérulle, occorre citare: F. Antolín Rodríguez, s.v., in DES I, 243-248; R. Bellemare, Le sens de la créature dans la doctrine de Bérulle, Paris 1959; P. Cochois, Bérulle et l'Ecole française, Paris 1963; L. Cognet, Spiritualità moderna. La scuola francese (1500-1650), 62, Bologna 1974, 114-246; J. Dagens, Bérulle et les origines de la restauration catholique, Paris 1952; R. Deville, La scuola francese di spiritualità, Cinisello Balsamo (MI) 1990, 32-54; M. Dupuy, Pierre de Bérulle. Introduction et choix des textes, Paris 1964; Id., Bérulle: une spiritualité de l'adoration, Paris 1964; F. Emiliano, s.v., in EC II, 1483-1486; M. Join-Lambert, s.v., in DIP I, 1407-1409; G. Moioli, Teologia della devozione berulliana al Verbo incarnato, Varese 1964; A. Molien, s.v., in DSAM I, 1539-1581; J. Orcibal, Le Cardinal de Bérulle. Evolution d'une spiritualité, Paris 1965; F.-G. Preckler, Bérulle aujourd'hui, Paris 1978.

R. Deville

BIBBIA. (inizio)

Premessa. Disegnare un profilo del rapporto tra B. e mistica è impegno molto arduo e complesso, nonostante l'assenza del termine mistica nella Scrittura. Mettiamo subito tra parentesi il rapporto tra letteratura, dottrina ed esperienza mistica, da una parte, e B. dall'altra: basterebbe solo citare come emblema la rilettura del Cantico da parte di s. Giovanni della Croce per far balenare quanto sterminato e ricco sia questo orizzonte. Noi, invece, ci fermeremo solo all'interno della Scrittura nel tentativo di abbozzare una mappa essenziale di ciò che intendiamo come mistica nel modo in cui la Parola di Dio la intuisce e la propone nei suoi lineamenti fondamentali.

I. L'esperienza mistica nella Scrittura. La prima e fondamentale affermazione biblica potrebbe essere così formulata: l'esperienza mistica non è, prima di tutto, un'esperienza su Dio ma di Dio. C'è un a priori assoluto di Dio rispetto a ogni desiderio dell'uomo, perché prima ancora che l'uomo s'interessi di Dio, è Dio che si prende cura di lui (cf Is 40,27; 49,14-16), è lui che rompe il silenzio del nulla con la sua parola creatrice, è lui che spezza le catene del male con la sua parola redentrice, è lui che " sta alla porta e bussa " (cf Ap 3,20). Molto suggestiva è la dichiarazione di Paolo che, in Rm 10,20, citando un'ardita affermazione (" osa dire ") di Is 65,1, pone in bocca al Signore questa frase: " Mi feci trovare da chi non mi cercava ". La mistica non è innanzitutto conoscere-amare Dio ma essere conosciuti-amati da lui (cf Gal 4,9). E un essere " conquistati " da lui (cf Fil 3,12).

In principio c'è, quindi, un'epifania di Dio (" prima che Abramo fosse, io sono ", Gv 8,58), c'è la sua eudokia o " buona volontà " che precede quella umana (cf Lc 2,14). La B. annunzia costantemente il primato della rivelazione divina sulla ricerca umana, della grazia sul merito, del regno che cresce da solo come il seme nella terra, sia che il contadino dorma sia che vegli (cf Mc 4,26-29). I luoghi ove incontrare questa teofania sono tre. Innanzitutto la storia della salvezza, come è attestato dallo stesso Credo di Israele (cf Dt 26,6-9; Gs 24,1-13; Sal 136) e dall'Incarnazione cristiana che nella " carne " di Cristo vede la presenza suprema e il santuario perfetto di Dio (cf Gv 1,14; 2,19-22; 1 Cor 6,19). C'è poi lo spazio che rivela la presenza divina sia nel tempio cosmico (cf Sal 19,104) sia in quello di Sion (cf 1 Re 8) ove si può celebrare un incontro mistico tra Dio e l'uomo. E, infine, è la parola nella sua efficacia che feconda il terreno arido dell'esistenza umana facendola vivere e germogliare (cf Is 55,10-11). Il Dio-con-noi (=’immanû-'el) esige però un dialogo libero; al bussare di Cristo si deve accompagnare l'" apertura della porta " e l'" ascolto della voce ". Ed è questa la seconda grande affermazione biblica sulla mistica. All'irruzione divina nella storia, nello spazio e nell'esistenza umana deve rispondere l'itinerario dell'anima in Dio, alla grazia deve unirsi la fede, all'amore donato dal Salvatore deve corrispondere l'intimità dell'uomo. Emblematiche in questo senso sono alcune categorie e simboli. Pensiamo innanzitutto all'agape. Ancora una volta si deve ribadire che il primato è divino: " Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi... e ci ha amati per primo " (1 Gv 4,10.19; cf Ef 2,4; 1 Gv 4.8.16). Ma a questo promanare dell'amore divino deve intrecciarsi l'amore del fedele, un amore che tutto avvolge proiettandosi nelle due direzioni radicali dell'essere, la verticale e l'orizzontale, come insegna l'ammonimento di Cristo sul compendio della Scrittura nell'amore per Dio e per il prossimo (cf Mt 22,37; cf Dt 6,5). " Il Signore chiede... che tu lo ami " (Dt 10,12), ma vuole anche che " vi amiate gli uni gli altri, come vi ho amato " (Gv 15,12). E su questa vicenda d'amore, celebrata da Paolo nello stupendo " inno all'agape " di 1 Cor 13, che si misura l'autentica esperienza mistica, che è tensione verso la stessa pienezza e perfezione dell'amore divino (cf Mt 5,48).

La categoria dell'agape coinvolge, poi, tutta la ricca simbolica paterna, materna e nuziale che attraversa il testo biblico e che ha avuto straordinaria fortuna nella stessa letteratura mistica. Da un lato, la figura paterna di Dio riprende i motivi della cura amorosa e dell'educazione del figlio anche attraverso le prove purificatrici (cf Dt 8,5 e Os 11,1-4); dall'altro, quella materna esprime l'intensità e la tenerezza d'un rapporto inestinguibile di fiducia (cf Is 49,15; Sal 131). Perciò, anche se " mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, il Signore mi ha raccolto " (Sal 27,10) e la parabola del figlio prodigo di Lc 15 ne è una luminosa testimonianza. L'amore divino ha anche tutti i contorni di un affetto nuziale, come è ripetutamente cantato dalla teologia profetica, a partire da Osea (cf 1-3) per lambire molte altre pagine (cf Is 54; 62,1-5; Ger 2,2; Ez 16) e raggiungere il suo acme nella rilettura tradizionale del Cantico dei Cantici.

Un'altra categoria significativa è quella della comunione e del " rimanere "-" dimorare " in Dio e in Cristo (menein-monê), categoria esaltata soprattutto da Giovanni. Basterebbe solo scorrere i discorsi dell'Ultima Cena (cf Gv 13,17) o la Prima Lettera di Giovanni (cf 1,7; 3,16; 4,7.11.16. 20-21) per vedere la fioritura di questo simbolo in tutte le sue dimensioni. Noi vorremmo solo evocare la comunione che è attuata attraverso la fede e l'Eucaristia, proposta dalla celebre omelia di Gesù nella sinagoga di Cafarnao (cf Gv 6), e la suggestiva immagine della vite sviluppata in Gv 15, ove insistente è l'appello a " rimanere " in Cristo come il tralcio deve restare attaccato alla vite per vivere e produrre frutto. Anche in questo caso il " rimanere " mistico è duplice: " Rimanete in me e io in voi.... Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla " (Gv 15,4-5).

L'immagine del " rimanere-dimorare " conduce spontaneamente a un'altra categoria che è quasi estrema e fa sì che " Dio sia tutto in tutti " (1 Cor 15,28). Intendiamo alludere alla vita comune tra Dio e il fedele. Pensiamo alla " nuova alleanza " cantata da Ger 31,31-34 e da Ez 36,24-27, in cui lo spirito stesso di Dio è infuso nella creatura umana che riceve anche un " cuore di carne " che batta solo per il suo Signore. Pensiamo alla dichiarazione dell'orante del Sal 119,94: " Io sono tuo, Signore! " e alle parole intensissime di Paolo: " Per me vivere è Cristo... Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me... La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! " (Fil 1,21; Gal 2,20; Col 3,3). Pensiamo anche all'eternità propria della vita mistica perché essa partecipa della stessa qualità di Dio. Già nell'AT il fedele, vissuto in intimità con Dio " suo bene sopra il quale non c'è nessuno ", era convinto che " tu non abbandonerai la vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi mostrerai il sentiero della vita, gioia piena davanti al tuo volto, delizia alla tua destra per sempre " (cf Sal 16,2. 10-11; Sal 73,23-28; Sap 3).

Il cristiano che ha partecipato alla passione del Cristo (cf Gal 6,17) ne condivide la gloria pasquale e " così saremo sempre col Signore " (1 Ts 4,17). Il credente che ha fatto l'esperienza mistica della comunione col divino durante l'esistenza terrena (cf Sal 63,2-9) sa che nulla lo potrà separare dall'amore del suo Dio (cf Rm 8,35-39) perché " la sua sorte è Dio in eterno " (cf Sal 73,26). Il mistero pasquale diventa il sigillo di ogni esperienza mistica, la sua fonte e il suo culmine, la sua radice e la sua pienezza.

Bibl. G. Barbaglio (cura di), Spiritualità del Nuovo Testamento, Bologna 1988; A. Bonora (cura di), Spiritualità dell'Antico Testamento, Bologna 1987; L. Cerfaux, Le Christ dans la théologie de Saint Paul, Paris 19642; Id., Le chrétien dans la théologie paulinienne, Paris 1962; R. Fabris, (cura di), Spiritualità del Nuovo Testamento, Roma 1985; Id., L'esperienza di fede nella Bibbia, Roma 1987; A. Fanuli (cura di), Spiritualità dell'Antico Testamento, Roma 1988; G. Helewa - R. Penna - B. Maggioni, L'esperienza di Dio nella Bibbia, in La Mistica I, 115-150; A. Lefevre, La Bible livre spirituel, in DSAM IV, 128-278; B. Maggioni, Esperienza spirituale nella Bibbia, in NDS, 542-600; J. Murphy - P. O'Connor, L'existence chrétienne selon Saint Paul, Paris 1965; G. Ravasi, Linee bibliche dell'esperienza spirituale, in Aa.Vv., Corso di Spiritualità, Brescia 1989, 56-123; E. Schweizer, Die Mystik des Sterbens und Auferstehens mit Christus bei Paulus, in EvTh 26 (1966), 239-257.

G. Ravasi

BILOCAZIONE. (inizio)

I. La nozione. Fenomeno paranormale per cui un corpo fisico è apparentemente presente in due distinti luoghi e allo stesso tempo. Questo fenomeno si è verificato nella vita di numerosi santi, per esempio nella vita di s. Francesco d'Assisi, di s. Antonio di Padova, di s. Pietro Alcàntara, di s. Alfonso de' Liguori, di s. Paolo della Croce, ecc.

II. Spiegazione. Lo psicologo Carlo Richet distingue due tipi di b.: la prima detta soggettiva (per la quale si ha la sensazione di essere e di operare in un altro luogo pur rimanendo nel luogo in cui si è in realtà) e la seconda detta oggettiva (per la quale un individuo è visto in due luoghi distinti, ma nel medesimo istante).

La b. soggettiva è, nella maggioranza dei casi, un'esperienza extracorporea o extrasomatica. Nella teologia mistica il termine viene sempre riferito a quella oggettiva, ossia, come si è già detto, all'esperienza di un corpo materiale apparentemente presente in due luoghi distinti e nello stesso istante. Chiaramente ciò è fisicamente impossibile in quanto un corpo materiale non può essere contemporaneamente presente in due luoghi distinti. Ne consegue che il corpo fisico sarà presente realmente in un luogo, ma solo apparentemente nell'altro, essendo quest'ultima apparizione solo un'immagine o una rappresentazione di vario tipo. Infatti, il fenomeno di b. apparente ha tre possibili cause: naturale, preternaturale e soprannaturale. Se la causa è soprannaturale, la b. apparente può essere il risultato di un'azione diretta di Dio o dell'intervento di un angelo. Se, invece, la causa della b. apparente è preternaturale, allora è opera del diavolo che la attua con raggi luminosi, con vapori o perfino con sostanze materiali con cui crea il duplicato dell'individuo. La possibilità che la b. apparente si verifichi per una causa naturale non è stata ancora provata, ma il grande progresso della parapsicologia, ci induce ad essere prudenti lasciando aperta tale possibilità.

Bibl. J. Aumann, Teologia spirituale, Roma 1991, 513-514; T. Poolt, Los fenómenos misteriosos del psiquismo, Barcelona 1930, 224-230; J. Rodríguez, s.v., in DES I, 368-369; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 1965, 1111-1120; A. Solignac, Multilocation, in DSAM X, 1837-1840.

J. Aumann

BLOIS LOUIS FRANÇOIS J. DE. (inizio)

I. Cenni biografici. François Joseph Louis de Blois nasce a Donnstiennes nel 1506 da antica e nobile famiglia fiamminga e muore a Liessies nel 1566. Abbandonati gli agi della corte dell'arciduca Carlo, poi Carlo V ( 1558), di cui è paggio, entra quattordicenne nell'abbazia benedettina di San Lamberto (1520), per poi dedicarsi agli studi superiori a Gand e a Lovanio. Si perfeziona nella formazione monastica sotto la guida dell'abate Gippus, che ha già iniziato un'opera intensa di riforma, a causa di una radicata decadenza religiosa. Gli succede nel governo dell'abbazia (1530) e ne continua il delicato compito, regolandosi con saggezza e fermezza: per aver conseguito ottimi risultati in merito viene ritenuto " un secondo s. Bernardo".

Compone parecchie opere ascetiche, tra cui lo Speculum monachorum (1538), L'institutio spiritualis (1553), gli Statuta benedettini, che otterranno l'approvazione del pontefice Paolo III ( 1549), ed ancora diversi opuscoli (alcuni postumi), in cui brillano le doti di asceta dal senso altamente mistico e pratico insieme.

II. L'esperienza mistica. Fortemente convinto di dover procedere ad una sana riforma monastica, segue il programma evangelico del " coepit facere et docere ", facendo precedere l'esempio all'insegnamento: il monastero idealmente sarebbe diventato un paradiso. Una vita, la sua, totalmente dedita all'ascesi, che gli otterrà - dopo la morte - il titolo di venerabile, anche se non vedrà mai gli onori degli altari.

Paragonato a s. Bernardo e a s. Giovanni della Croce, gode di fama imperitura per la saggezza dei suoi scritti, informati di uno stile comprensibile e suasivo. Alla sua scuola, fatta di piena libertà e di grandi aspirazioni, cresce un'accolta di anime generose con la creazione di una specie di cenacolo o associazione di Terz'Ordine. In essa è tale e tanta la docilità all'azione dello Spirito Santo che la dirige, che alcune donne vi profetizzano come gli uomini più ispirati.1

Questi gli elementi o punti fondamentali della dottrina " blosiana ": a base di ogni ricerca spirituale si situa il concetto della presenza di Dio, poiché è al centro del cuore umano che Dio inabita con la sua grazia. Atteggiamento caratteristico dell'anima è l'abbandono totale: si procede così speditamente per la via del puro amore. " Abbandonati allo Spirito Santo che ti conduca dove egli vuole... Sa bene lui in che modo, per che via e fino a che punto dovrai progredire ".2

A guida dello spirito subentra, quindi, in forma prioritaria il maestro interiore: si delinea in tal modo una tipica unione con Dio: " Per unirti a Dio pensa all'Uomo-Dio. Pensa alla grazia dello Spirito Santo, senza del quale non si può nemmeno pronunciare una volta sola il nome di Gesù! ".3

A sostegno di tutto - quale tensione - sovrasta la devozione cristocentrica: attraverso l'umanità di Cristo si giunge alla sua divinità. Passaggio obbligato per ogni anima è il ricordo della passione del Salvatore, attraverso i contesti liturgici: " Gesù patisce per te tanta tristezza, per te suda sangue! Esercitati, in modo particolare, nel meditare la passione del tuo Salvatore. Solo dal Calvario si spicca il volo per il cielo! ".4

A compimento finale si determina un'aspirazione profonda alla beatitudine; un desiderio sempre rinnovato, come si augura l'autore: " Noi ci ritroveremo così in Dio e nella visione del suo volto dolce come il miele, termine ultimo e compimento dei nostri desideri, poiché in lui si troveranno ogni sazietà e ogni eccellenza spirituale " (Miroir des humbles, XI).

Più che una spiccata originalità e sistematicità pare si debba attribuire al B. quell'aderenza di vita interiore che si adegua a ogni situazione contingente di esperienza tanto monastica quanto laicale. La sua esistenza e opera coincidono con il travagliato periodo del Concilio di Trento e della Controriforma, di cui può essere considerato un antesignano e un sostenitore, sebbene indirettamente. La sua dottrina è, per riconoscimento universale, ancora oggi di grande attualità. Fu apprezzato da s. Francesco di Sales, che non esitò a raccomandarne la lettura a una sua figlia spirituale, sr. de Soulfour, novizia: " Ho fatto leggere a mensa il libro dell'Institutio spiritualis del B. ed ho provato un gusto indicibile. Leggetelo, vi prego gustatelo! E degno di essere letto ".5 Saranno dello stesso parere, in seguito, s. Alfonso M. de' Liguori, P. Faber ( 1863) e altri.

Note: 1 Cf Dom P. Guéranger, Les exercises de sainte Gertrude, 1908, pref. XIX; 2 Regola di vita spirituale, a cura di P. Gallini, Roma 1938, 130; 3 Ibid., 176; 4 Ibid., 158; 5 Lettera del 16.1.1603: Oeuvres d'Annecy, t. XII, 169.

Bibl. Opere: P. Gallini (cura di), La Regola di vita spirituale, Roma 1938. Studi: A. Beguin, L. de Blois. L'impaziente, Milano 1949; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 66; A. Mancone, s.v., in EC II, 1721-1723; P. de Puniet, La place du Christ, la contemplation, l'union à Dieu selon la doctrine de L. de Blois, in ViSp 21 (1919-1920), 386-403; 22 (1920-1921), 112-167; Id., s.v., in DSAM I, 1730-1738; L.H. Vos, Louis de Blois, abbé de Liessies (1506-1566), Paris-Turnhout 1992; B. Wilberforce - R. Hudleston, The Works of Louis de Blois, Condres, 1925-26.

A. Pedrini

BOHME JACOB. (inizio)

I. Vita e opere. B. nasce a Alt Seidenberg il 24 aprile 1575 e muore a Goerlitz il 17 novembre 1624. E il primo grande rappresentante della mistica protestante. Di professione è calzolaio. E portato alla meditazione e alla solitudine. Come severo autodidatta e animato da un forte vigore speculativo trova i suoi punti di riferimento nel Medioevo e nel Rinascimento. Sensibile alle correnti creative del luteranesimo e del calvinismo tenta di trovare una sintesi tra le contraddizioni della sua epoca accentuando l'esperienza mistica. La sua forza sta nell'essere stato pioniere di nuovi orientamenti. Conosce relativamente i grandi filosofi del passato e questo gli permette di non essere condizionato nel suo pensiero e di apparire libero, quindi moderno. Diventa d'ispirazione a poeti e filosofi tra cui Hegel ( 1831). Ha una notevole incidenza sul pietismo. Si parla di lui come del primo filosofo del luteranesimo, come dello scopritore dell'inconscio.1 Il suo pensiero attrae l'attenzione dei maggiori teologi protestanti da F.D. Schleiermacher a R. Otto. Quest'ultimo ne ricorda la descrizione dell'esperienza mistica in se stessa, indescrivibile, ma capace con una sola goccia di far scomparire l'inferno; chi la conosce può veramente dire di essere passato da morte a vita.

Nel 1612 esce il suo primo libro l'Aurora e B. si scontra subito con l'ortodossia luterana che gli proibisce di continuare le sue pubblicazioni. Ma nel 1619 riprende coraggio e, sostenuto da amici, ricomincia a pubblicare; nel 1624 è accolto favorevolmente a Dresda. Compone ben venticinque opere considerate tra le migliori del suo tempo. I suoi scritti sono stampati in Olanda e, tradotti in inglese, hanno un'ampia diffusione in Inghilterra dove i suoi seguaci fondano anche delle comunità.2 Il suo spiritualismo non gli impedisce di rispettare la comunità sacramentale. Alla fine della sua vita confessa chiaramente la sua fede evangelica, ma non estirpa del tutto il sospetto della gente che toglie la croce dalla sua tomba. Tra le sue opere ricordiamo La natura di tutte le cose, Sull'elezione della grazia, Il grande mistero e La via a Cristo.

II. La sua esperienza mistica lo porta a porre in rilievo il sì e il no in tutte le cose orientandone il superamento mediante una gnosi riconciliativa atemporale che si riscontra al di là della banalità rappresentata dagli eventi. Egli parla dei " sette spiriti " che fecero di Dio un Dio dinamico diverso dal " motore immobile ". Parla dei " sette principi " per spiegare il passaggio dall'Uno ai molti, tesi cara al neoplatonismo. Parla dei " sette giorni " della creazione in cui tutto è composto di sì e no. Per superare il contrasto occorre rifarsi al Logos che abita nel creato in quanto ogni cosa creata porta la sua firma: una " luce interiore " in vista della rigenerazione. La coincidenza degli opposti, del sì e del no, supera la possibilità di comprensione della ragione. " ...Occorre che l'uomo si abbandoni a Dio con tutte le sue forze, con tutto ciò che possiede ".3 In tema di soteriologia B. passa dal Cristo " per noi " di Tertulliano ( 220 ca.) e di Anselmo al Cristo " in noi ".

La sua meditazione affonda certamente le radici nell'ampia tradizione cristiana, ma la sua enfasi sulla " luce interiore ", sulla " scintilla ", sulla " firma " relega in secondo piano i dogmi fondamentali del cristianesimo e i suoi punti di riferimento storici; in modo particolare il problema della giustificazione per fede, caratteristica della Riforma del XVI secolo, diventa addirittura evanescente. E questa enfasi a fare di lui un mistico rispetto ai suoi contemporanei.

Note: 1 P. Tillich, Umanesimo cristiano, Roma 1969, 102 e 152; 2 E. Troeltsch, Sociologia delle sette e della mistica protestante, Roma 1931, 135 e 148; 3 Citazione da La via verso Cristo, in E. Campi, Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, Torino 1991, 364ss.

Bibl. Opere: J. Böhme: La via verso Cristo, Bari 1933. Studi: J.-M. Braig, s.v., DSAM I, 1745-1751; E. Campi, Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, Torino 1991; C. Fabro, s.v., in DES I, 371-375; E. Nobile, Böhme e il suo dualismo essenziale, Roma 1928; B. Sill, s.v., in WMy, 66-68; H. Tesch, Der Mystiker Jacob Böhme, Leiden 1981; P. Tillich, Storia del pensiero cristiano, Roma 1969; E. Troeltsch, Sociologia delle sette e della mistica protestante, Roma 1931.

R. Bertalot

BONA GIOVANNI. (inizio)

I. Vita e opere. Nato a Mondovì (CN) il 10 ottobre 1609 da Giovanni Battista, appartenente alla nobile famiglia delfinate dei Bonne de Landisguières e da Laura Zugano, di umili origini, B. si sente ben presto chiamato alla vita religiosa, ottenendo pertanto di essere accolto quindicenne nella Congregazione cistercense di S. Bernardo, dove pronuncia i voti il 2 agosto 1626, prendendo il nome di Giovanni di S. Caterina.

Compiuti gli studi filosofici ad Asti, si reca a Roma nel 1633 per studiare teologia, e riceve, nello stesso anno, l'ordinazione sacra. Professore di teologia nel 1636 al santuario di Mondovì, viene quindi destinato al monastero di S. Andrea in Torino, dove rimane finché non è nominato priore ad Asti (1643), divenendo successivamente abate di Vico (1647) ed infine abate generale del suo Ordine nel 1651. Trasferito a Roma, pubblica un trattato sull'Ufficio divino Psallentis Ecclesiae harmonia (1633), completato in una nuova edizione uscita nel 1663 a Parigi con il diverso titolo di De divina psalmodia.

Nello stesso periodo esercita anche impegnative funzioni presso la Curia Romana in qualità di membro o consultore di talune Congregazioni cui rende, peraltro, segnalati servizi con la sua profonda dottrina in materia storica, teologica, liturgica ed agiografica, che attira su di sé l'ammirata attenzione di molti eminenti eruditi del suo tempo con i quali ha relazioni di amicizia e di cultura.

Declinata l'offerta del vescovato di Asti, auspice il duca Carlo Emanuele II di Savoia, deve tuttavia accettare la porpora cardinalizia conferitagli il 29 novembre 1669 da Clemente IX ( 1669), alla morte del quale il B. è uno dei papabili, tanta è la stima di cui gode per la sua bontà e santità di vita. Appartiene agli anni del cardinalato la pubblicazione, tra l'altro, del suo capolavoro scientifico Rerum liturgicarum libri duo (Roma 1671 e più volte ristampato in seguito), in cui tratta esclusivamente della Messa, studiata nella sua storia e nei suoi riti, opera che suscita, nondimeno, accese polemiche per la novità di talune tesi. Sta attendendo alla revisione finale del trattato De preparatione ad mortem quando cessa di vivere dopo breve malattia, il 28 ottobre 1674 in Roma, dove viene sepolto nella chiesa di S. Bernardo alle Terme. Scrittore soprattutto di spiritualità e rigorista, il B. è ingiustamente accusato di filogiansenismo, per una certa avversione da parte sua per gli antigiansenisti, di cui condanna gli eccessi.

Delle numerose opere ascetiche, liturgiche e teologiche da lui lasciate, ben diciannove (comprese le tre succitate) sono quelle edite, in vita e postume, ultima delle quali l'Hortus caelestium deliciarum, pubblicato nel 1918 da M. Vattasso nella collana Studi e testi (n. 32) della Biblioteca Apostolica Vaticana. Alcune di tali opere, divenute ormai classiche nel loro genere, sono state più volte ristampate e tradotte in varie lingue. Tra queste vanno segnalate: Manuductio ad coelum (Roma 1658), De sacrificio Missae (1668), De discretione spirituum (1672), Principia et documenta vitae christianae (1674), Cursus vitae spiritualis (1674), pregevole trattato di teologia ascetica pubblicato, tuttavia, sotto il nome del suo confratello Carlo Giuseppe Morozzo, Horologium asceticum (Parigi 1676), Analecta liturgico-sacra, pubblicati dal p. Roberto Sala in appendice alle Epistolae selectae (Torino 1755) del B. Si hanno anche varie edizioni di Opera omnia, curate in Italia e fuori, da quelle di Parigi del 167778, Anversa e Colonia a quelle di Torino del 1747 e Venezia del 1752 e 1764. Rimangono nondimeno inedite altre dodici opere, poesie e numerose lettere, conservate tutte nella Biblioteca Vaticana.

II. Dottrina spirituale. Le opere del B. evidenziano una personalità tipica del suo tempo. Egli si presenta come un monaco molto legato alla spiritualità tradizionale che vive in prima persona, prima ancora di insegnarla agli altri. Maestro di vita ascetica, più che di mistica, egli insiste sul distacco progressivo da ogni attaccamento naturale o spirituale e soprattutto su una crescente purificazione interiore per raggiungere l'unione con Dio. Egli insegna che non si può vivere in pienezza la carità se non si dominano prima le passioni. Solo un'ascesi rigorosa può condurre all'acquisizione della carità, alimentata dall'uso frequente di giaculatorie, espressione di una profonda vita di orazione. L'unione con Dio, infatti, è non solo dono, ma frutto di una vita di ascesi e di orazione.

Bibl. E. Baccetti, s.v., in DES I, 374-375; J.-M. Canivez, s.v., in DSAM I, 1762-1766; L. Ceyssens, s.v., in DizBiogr XI, 442-445, con bibl.; G.B. Francesia, Il principe degli asceti del sec. XVI, Torino 1910; A. Lerda, Notizie e curiosità nelle lettere private del monregalese Bona, in Bollettino della Società per gli Studi Storici, 91 (Cuneo 1984), 175-180; G.B. Ressia, Il card. Bona maestro di vita cristiana, Mondovì (CN) 1910.

N. Del Re

BONAVENTURA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nato a Bagnoregio nel 1217 ca., studia arti a Parigi (1235-1243), ove entra nell'Ordine dei Minori (1243); terminato il curriculum teologico (1243-1254), al culmine della carriera accademica diventa Generale dell'Ordine (1257-1274). Muore durante il II Concilio di Lione, il 15 luglio 1274.

Dottore Serafico o Doctor ardens, maestro di teologia e principe della mistica, in tutti i suoi scritti B. trascende le preoccupazioni troppo intellettualistiche del suo tempo ed è sempre attento all'esame del cammino che porta l'anima dalla conversione a Cristo sino alla suprema esperienza mistica. La sua solida teologia francescana (" più pratica che speculativa ") è anche una " metafisica della mistica cristiana " (E. Gilson). Se le grandi opere (Commento alle Sentenze di P. Lombardo; Breviloquio; scritti esegetici, questioni disputate, collazioni, sermoni, apologie) trattano già i vari elementi della vita ascetico-mistica (virtù, doni dello Spirito Santo, beatitudini, contemplazione, primato dell'amore), i segreti della vita mistica, invece, sono oggetto prevalente di opuscoli sicuramente suoi: Le cinque feste del Bambino Gesù, La perfezione della vita religiosa, La preparazione alla Messa, L'albero della vita e quelli più influenti, quali il Soliloquium, La triplice via (esemplare compendio di teologia mistica, con la suddivisione in via purgativa, illuminativa e unitiva), e l'Itinerarium mentis in Deum (libro aureo della letteratura mistica francescana).

II. L'Itinerarium indaga sui sei gradini della conoscenza di Dio, in ciascuno dei quali l'anima desiderosa di essere libera di magnificare, ammirare e gustare Dio, volta per volta giunge alla conoscenza della Trinità risplendente nel creato, nell'anima e al di sopra dell'anima (nel nome di Dio, che è Essere e Bene); poi, nel settimo gradino, a somiglianza di Francesco a La Verna, " giunge fino alla pace, cui si perviene attraverso l'estasi della sapienza cristiana " (Prol. 3), allorché tutte le altre facoltà spirituali tacciono e solo l'amore va oltre e trapassa completamente in Dio (c.7; Hexaëmeron, 2,32). Ma, a causa del peccato, l'uomo è caduto e non riesce più a staccarsi dalla terra: perduta la vera conoscenza e l'unica sapienza, è ormai incapace di vedere Dio presente nella sua impronta, nella sua immagine e similitudine e nel suo nome. Di qui la necessità per l'uomo di ricorrere a Cristo per raggiungere la vera e unica conoscenza e sapienza, la suprema estatica unione con Dio mediante l'ardentissimo amore che " lo inchioda con lui alla croce ", come avvenne a Paolo quando fu rapito al terzo cielo (Itinerarium, Prol. 3). Ciò permette a B. di lumeggiare la struttura della vita della grazia come vita di unione con Dio in Cristo, che, nel suo progredire, sfocia normalmente in quella suprema esperienza mistica. Proprio per questo, B. descrive la vita cristiana sin dai suoi inizi con termini mistico-cristologici: ogni unione con Cristo (unica porta, unica via, unica scala e unica meta dell'itinerario dell'anima verso Dio) (Ibid., 7,1) è prefigurazione della vita mistica. L'ingresso per questa porta consiste nell'iniziale fondamentale unione con Cristo mediante le virtù teologali della fede, speranza e carità (Ibid., 7,2), che purificano, illuminano e perfezionano la mente, restaurano l'immagine di Dio in essa e le restituiscono i " sensi ": con la fede riacquista l'udito e la vista per accogliere la Parola e vedere la Luce (Cristo); con la speranza desidera ardentemente accogliere il Verbo ispirato (nel cuore) e riacquista l'olfatto spirituale; con la carità abbraccia il Verbo incarnato, traendone diletto e, quasi passando attraverso di lui " per mezzo dell'amore estatico, riacquista il gusto e il tatto spirituali "; " ristabiliti questi sensi spirituali, la mente vede il suo sposo, lo ascolta, ne sente il profumo, lo gusta e lo abbraccia "; per questo, nessuno raggiunge la conoscenza di Dio visto nella sua immagine (l'anima) se non colui che la riceve, perché essa " è data soltanto in un'esperienza affettiva più che in una conoscenza razionale " (Ibid., 4,3).

III. La vita mistica. In tutti i suoi insegnamenti B. sostiene che, anche nel suo supremo grado, la vita mistica non differisce essenzialmente dalla vita della grazia (e delle virtù morali, dei doni, dei consigli, e delle beatitudini), ma ne è la piena fioritura: per questa ragione, oltre ai normali mezzi soprannaturali dei quali dispone ogni cristiano, essa non richiede nuove entità soprannaturali (la cosiddetta grazia mistica o " gratis data "). Egualmente, per giungere a questa " estasi della sapienza cristiana ", non si richiede la miracolosa creazione e infusione di " specie intelligibili " nell'intelletto; questa suprema esperienza mistica, infatti, che si compie " per modo di tatto e di amplesso ", è - dice B. commentando Dionigi l'Areopagita - " una sapienza velata nel mistero ", " superiore ad ogni sostanza e ad ogni conoscenza, trascende ogni intelletto, è segretissima, la si conosce solo sperimentandola: poiché l'anima ha molte facoltà per comprendere, ora è necessario abbandonarle tutte; infatti, al vertice sta l'amore, che unisce e tutte le trascende " (Hexaëmeron, 2,29; cf 30). Conseguentemente, anche i vari e successivi gradi o passaggi verso questa suprema esperienza mistica, sono descritti con termini mistici. Così, quando mancano ancora due gradi o passi prima di sfociare nella suprema pace estatica, la mente già " si ritrae nella sua parte più intima per contemplare Dio tra santi splendori e ivi, come su di un letto, dormire e riposare, mentre lo sposo prega che non la si risvegli fino a quando le piacerà " (Itinerarium, 4,8): allora, già in questo quarto grado, reso possibile soltanto dalla grazia e dalle virtù teologali concesse ad ogni cristiano, e dal conseguente recupero dei sensi spirituali, la condizione raggiunta dall'anima è descritta con immagini, metafore e termini specifici della mistica: " La nostra anima (unita a Cristo) riempita di tutte queste luci intellettuali, viene scelta come dimora della divina sapienza, resa figlia, sposa e amica di Dio, membro del Capo che è Cristo, sua sorella e coerede. Ancor più: tempio dello Spirito Santo, fondato sulla fede, eretto sulla speranza, consacrato a Dio con la santità dell'anima e del corpo. Tutto questo produce quella carità perfetta di Cristo che si effonde nei nostri cuori " (Ibid., 4,8-9).

In conclusione, si può affermare che B. identifica l'esperienza mistica con la condizione in cui sfocia normalmente ogni vita cristiana vissuta, con crescente fedeltà, nella grazia; sostiene, altresì, la chiamata di tutti i cristiani alla vita mistica, qualunque sia il compito e la missione a cui Dio li chiama. La ragione per cui soltanto pochi la raggiungono risiede soltanto nella mancanza di generosità e di una perfetta conversione del cuore.

Bibl. Opere: Opera omnia, 10 voll., Ed. Quaracchi, Firenze 1882-1902. Studi: sino al 1974 cf Bibliographia bonaventuriana, in Aa.Vv., S. Bonaventura 1274-1974, V, Grottaferrata 1974 (cf ibid., contributi del vol. IV); A. Blasucci, Bonaventura di Bagnoregio, in DES I, 375-389; J.G. Bougerol, Introduzione a S. Bonaventura, Vicenza 1988; H.D. Egan, s.v., in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 270-284; U. Köpf, s.v., in WMy, 68-69; E. Longpré, s.v., in DSAM I, 1768-1843; A. Pompei, Amore ed esperienza di Dio nella mistica bonaventuriana, in Doctor Seraphicus, 33 (1986), 5-27; Id. (cura di), S. Bonaventura maestro di vita francescana e di sapienza cristiana, 3 voll., Roma 1976; Id., Bonaventura. Il pensare francescano, Roma 1994; Id., L'amore nella mistica bonaventuriana, in Miscellanea francescana, 95 (1995), 157-163.

A. Pompei

BONHOEFFER DIETRICH. (inizio)

I. Vita e opere. Pastore luterano, teologo e mistico sui generis, nasce a Breslau il 4 febbraio 1906 da famiglia aristocratica, sesto di otto figli. Come tutti i suoi familiari e la " Chiesa confessante " (die Bekennede Kirche), ala profetica della Chiesa luterana tedesca, si oppone al nazismo e, arrestato nel 1943, è impiccato e bruciato nel Lager di Flossenburg il 9 aprile 1945. Poiché la vicenda di B. è molto complessa - tanto da farne ora l'inquietante teorico del cristianesimo areligioso, ora il precursore della secolarizzazione in teologia, ora il miglior teorico della resistenza al nazismo (fino a chiedersi se egli morì per il Vangelo oppure solo perché cospiratore politico) -, la corretta interpretazione del suo messaggio richiede anzitutto di collocare le sue intuizioni nelle seguenti due coordinate (riconducibili a due fasi ben caratterizzate della sua vita), che sfoceranno, infine, nella fase decisiva: quella contrassegnata dal " paradosso ", chiaramente mistico, del vivere con Dio e alla sua presenza, ma come se egli ci avesse abbandonati.

I. L'ambiente aristocratico delle sue origini e la fase del cristiano perbene. Nella " casa degli Accademici ", com'è detta, a Breslau, la casa dei B., lo stile è prestigioso e riservato insieme: semplicità e ordine morale si radicano in una fede conciliante l'anima pietista con la teologia liberale (da Schleiermacher a von Harnack) e neanche Barth oserà sottovalutare questo humus. Se il padre di B. è un grande medico, neurologo e psichiatra in quell'Università - nel 1912 otterrà la prestigiosa cattedra di Berlino e trasferirà la famiglia nel magnifico quartiere Grünewaldt dove abitano quasi tutti i professori universitari e A. von Harnack sarà un caro amico dei B. -, la madre è figlia di un predicatore di Corte e nipote di un famoso storico della Chiesa, Karl von Hase. Siamo negli ultimi anni della felice " età guglielmina " e ben presto B. viene introdotto nelle serate musicali, tanto care alla borghesia tedesca, in attesa di partecipare alle conversazioni dove si riunisce l'élite intellettuale berlinese (e, più tardi, il gruppo degli oppositori al regime). E in questo ambiente che matura il suo gusto per la " qualitànobiltà ", che in Resistenza e resa lucidamente oppone alla rozzezza nazista, dove la potenza del Capo richiede la stupidità dei gregari e l'impudenza di Hitler è direttamente proporzionale al servilismo di quasi tutta la nazione (alla quale vanno tuttavia concesse le attenuanti di un plagio scientificamente organizzato). Per B. la " stupidità " è un nemico più pericoloso della malvagità, perché " contro il male è possibile protestare e opporci anche con la forza ", mentre " contro la stupidità non abbiamo difese " (p. 64). La " plebeizzazione " d'ogni strato sociale, poi, la vede nel fatto del generale sottovalutare le qualità delle persone (fondanti le corrette distanze umane) e nel disgustoso " mercanteggiare " con i potenti da parte di quanti vogliono guadagnarne i favori. Un degrado a cui bisogna oppore " un nuovo stile di nobiltà " che, attingendo idee e valori da tutti gli strati sociali, rivaluti " il sacrificio, il coraggio e la chiara cognizione di ciò a cui uno è tenuto nei confronti di sé e degli altri; esigendo con naturalezza il rispetto dovuto a sé e con altrettanta naturalezza portandolo agli altri, sia in alto che in basso ". Perciò, se un tempo il cristianesimo ha reso testimonianza all'uguaglianza degli uomini, oggi esso deve " impegnarsi perché siano rispettate le distanze tra gli uomini e le qualità umane ". Concretamente - e anticipando la disputa sulla telecrazia odierna -, B. scrive che per recuperare la qualità bisogna " tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dal virtuosismo all'arte, dallo snobismo alla modestia, dall'esagerazione alla misura ", osservando che " le quantità si contendono lo spazio ", mentre " le qualità si completano a vicenda " (p. 69ss.). Non meraviglia perciò che in B. si notasse una forte " aristocrazia dello spirito, nel senso più alto della parola " - come ha scritto P. Lehmann, -, mentre la gemella Sabine lo ricorda come " un giovane dalla natura cavalleresca ". D'entrambi questi aspetti oggi troviamo conferma nell'eccezionale carteggio tra B. e la fidanzata, Maria von Wedemeyer, recentemente pubblicato.

2. " La Chiesa confessante " o la fase della profezia che il Risorto, " vivente come e nella comunità redenta ", affida a ogni cristiano " responsabile " (cioè " abile nel rispondere ": tanto alla Parola di Dio, quanto ai " segni dei tempi "). Il 1 febbraio 1933, quando Hitler è appena nominato Cancelliere, B. osa affermare - in una conferenza radiofonica sul Führer e i giovani d'oggi - che " se il Führer (guida) diventa un idolo, allora la sua immagine degenera in quella del Verführer (seduttore), agendo delittuosamente nei confronti sia di chi guida, sia di se stesso ". La trasmissione è ovviamente interrotta e comincia per B. quel faticoso discernere se, come e fino a quando bisogna far " resistenza " e, all'opposto, quando e a quali condizioni sia doverosa la " resa ": non però agli uomini e per loro timore, bensì davanti a Dio e per il bene dei fratelli. E qui dobbiamo almeno evocare qualcosa circa la sua originale riflessione cristologica, imperniata su Gesù " l'uomo per gli altri ", e la conseguente sua etica della responsabilità che, anche nell'impegno socio-politico, va ben oltre la pur famosa conferenza di M. Weber sulla " politica come professione di virtù ": ossia a servizio del bene comune e non dei propri interessi. L'Etica di B. infatti - altro suo capolavoro rimasto incompiuto -, dopo aver contestato la pretesa laicista di conoscere autonomamente il bene e il male, " facendosi Dio " (cf Gn 3,22), constata i vari fallimenti dell'uomo " ragionevole ", del " fanatico ", dell'uomo di " coscienza " o della " virtù privata ", ecc. - tutti atteggiamenti che vede fondersi in quello tragicomico di don Chisciotte - e osserva che il mondo contemporaneo è ormai alle prese non tanto con uomini più o meno immorali, bensì con " scellerati " che hanno pervertito il " sì sì, no no " del Vangelo e hanno costruito un sistema dove i mentitori gestiscono la verità e insegnano la morale (p. 57ss.). Solo i " santi " - ossia quelli che svelano gli abissi sia divini sia infernali - possono contrapporsi a questa situazione, grazie all'occhio limpido, capace di vedere insieme Dio e gli uomini, mentre per i cristiani responsabili l'unico atteggiamento che salva (loro e il mondo) è quello dell'obbedienza ai " mandati ", che non solo danno consistenza " ultima " alle istanze umane " penultime " (famiglia, cultura, politica), ma che Dio stesso ha perfezionato nella sequela di Cristo: l'unico che riconcilia Dio con la realtà del mondo e la cui opera rinnova totalmente il nostro modo di affrontare i problemi della vita (p. 242ss.). Per B., infatti, la fondazione dell'etica cristiana non è la realtà del mio Io, né quella del mondo e neppure la realtà delle norme e dei valori, bensì la realtà di Dio nella sua rivelazione in Cristo. Da questo punto di vista, l'etica cristiana si pone al di là del bene e del male laicisticamente intesi, perché stabilisce le coordinate della morale all'interno di una visione della realtà che ne modifica radicalmente il significato. Perciò B. scrive: " Il fine dell'etica cristiana non è quello di uniformarsi a un principio kantiano universalmente riconoscibile, ma quello di agire, secondo il momento e le circostanze, alla maniera di Cristo, formatosi in noi (cf Gal 4,19), ossia riflettendo in noi come in uno specchio la gloria del Signore, così da essere trasformati in quella medesima immagine (cf 2 Cor 4,3ss.) e, come lui, anche noi " essere per gli altri " (p. 249ss.). Di qui il risvolto anche politico dell'udire correttamente la Parola, notando che B. - come pochi allora (tra questi, la carmelitana E. Stein) - non ha dubbi sulla natura pagana del regime nazista, benché Hitler avesse subdolamente paludato tutta l'operazione e col riscatto nazionale per i torti subiti a Versailles (1918) e col generoso fronteggiare l'ateismo prodotto dalla rivoluzione sovietica (1917), cui ben presto aggiunse la persecuzione degli ebrei. Nell'aprile 1933, infatti, la prima legge sui " non ariani " caccia gli ebrei dagli uffici pubblici e le Chiese protestanti, già favorevoli alla rivoluzione nazionalista hitleriana, si trovano intrappolate dal gruppo filonazista dei " Cristiano-tedeschi " (Deutschen Christen) in una " Chiesa unita del Reich " che adotta quella legge. E allora che B. riscopre la centralità della " questione ebraica " anche per i cristiani e ritiene che, di fronte allo Stato totalitario, la Chiesa non ha solo il compito di richiamarlo ai suoi doveri né di limitarsi a soccorrere le vittime, bensì deve " mettere i pali tra le ruote " se e nella misura in cui lo Stato viene meno al suo compito di tutelare la giustizia e i diritti fondamentali della persona (biblicamente " immagine di Dio "). B. entra così nel movimento di opposizione attiva e insieme al suo collega berlinese M. Niemoeller prepara l'incontro di Barmen (nella Ruhr: 29-31 maggio 1934), dove 138 pastori e laici rigettano il paragrafo ariano e, sulla base di quanto proposto dal teologo svizzero K. Barth, rompono i ponti sia con la Chiesa ufficiale sia col nazismo e fondano la " Chiesa confessante ", grazie alla quale l'onore non solo del protestantesimo, ma dei cristiani tout court è salvo in Germania. Ovviamente, deve abbandonare l'insegnamento universitario, cominciando a sperimentare " la Grazia a caro prezzo ". Nell'aprile 1935 fonda e dirige il seminario clandestino della neonata Bekennede Kirche, a Finkenwalde (sul Baltico), dove, insieme a venti candidati-pastori, realizza una sintesi di studio e vita fortemente centrata sulla radicalità evangelica: povertà, correzione fraterna, preghiera comune, liturgia e Santa Cena. Sono di questo periodo le opere bonhoefferiane più " spirituali " (Vita comune e Sequela), contrassegnate dall'obbedienza incondizionata alla Parola di Dio: altrimenti ogni predicazione risulterebbe vana (dice nel corso sull'omiletica, adesso raccolto in La Parola predicata). Per tre anni quella " casa fraterna " sul Baltico è pure una fucina ecumenica - altra dimensione bonhoefferiana cui possiamo solo accennare, -, ma quando la " Chiesa confessante " viene ufficialmente riconosciuta a Ginevra, l'inesorabile macchina della Gestapo giunge pure a Finkenwalde (chiuso il 28 settembre 1938) e, con l'introduzione generale del servizio militare, la maggior parte di quei seminaristi e pastori sono mandati al fronte. L'eventualità dell'arruolamento peggiora ulteriormente la tensione interiore di B. che, nell'impossibilità di conciliare violenza e Vangelo, rigetta la tradizione luterana cui appartiene e afferma che, al di sopra dell'obbedienza allo Stato, c'è quella a Dio e alla " giustizia maggiore " di Mt 5,20. Questa obbedienza lo spinge a prendere una decisione straziante e non approvata dalla sua Chiesa: entrare nella resistenza clandestina al nazismo. Per riflettere su tale grave passo, nell'estate 1939 accetta di andare in Inghilterra - dove s'incontra anche col Segretario generale del Consiglio ecumenico, Visser't Hooft (che rivedrà per l'ultima volta nel '41, in Svizzera, dove B. tesse le fila contro il regime) - e trascorre poi due mesi negli USA, dove gli amici (tra cui R. Niebhur) vorrebbero trattenerlo come visiting professor per evitargli le conseguenze del suo rifiuto al servizio militare. Ma la sua fedeltà a Dio e perciò alle sorti della terra in cui egli l'ha messo e ai fratelli che più sono nel bisogno - di nuovo " la responsabilità ", proprio come " abilità nel rispondere " a Dio, che lo fa " essere per gli altri " in Cristo (la " Grazia a caro prezzo ") - lo riporta in patria. E il 25 luglio 1939; il 23 agosto viene stipulato il patto russo-tedesco; il 1 settembre Hitler invade la Polonia; due giorni dopo l'Inghilterra e la Francia dichiarano guerra alla Germania.

II. La mistica bonhoefferiana. L'obiezione di coscienza fino al martirio e il " paradosso " mistico bonhoefferiano (compresa " la fede senza religione "), che hanno fatto scorrere fiumi d'inchiostro dopo la guerra). Dal 5 aprile 1943, quando viene arrestato dalla Gestapo insieme a vari cospiratori, per B. comincia l'ultima fase, quella " mistica sui generis ": con notti dello spirito popolate da visioni inquietanti e folgoranti luci e consolazioni. In una poesia quasi sinfonica del luglio '44, Tappe sul cammino della libertà, così riassume i quattro movimenti della sua vita in Cristo: disciplina, azione, dolore, morte (temi ripresi nella lettera del 28 luglio, scritta dopo il fallito attentato contro Hitler). E la fase in cui, nel carcere del Tegel, B. passa al vaglio della storia e della disciplina arcana non solo le categorie portanti della sua filosofia e teologia, ma anche e soprattutto la sua vita, compresi gli anni in cui è stato costretto, per amore della verità e della giustizia, a vivere nella menzogna e a ordire contro il regime. Né si pensi che questa revisione di vita sia sostenuta da intenti autogiustificazionisti; al contrario, la congiura mantiene sempre per B. tutta la sua drammaticità, compresa l'assunzione di colpa e rimettendo la propria vita e il giudizio su tutta questa vicenda nelle mani di Dio, il " mistero tutt'altro " (come ha imparato da Barth, peraltro superandolo). Quello su Dio è, infatti, l'ultimo e più radicale discorso bonhoefferiano né fa meraviglia se lo vediamo nel contesto fin qui detto. Infatti, da una parte " l'azione del cristiano nel mondo " induce lui, cospiratore politico, a riflettere sul come affrontare quel mondo " senza Dio " e " diventato adulto " che si propone di eliminare il cristianesimo e di ridurre al silenzio i suoi testimoni; d'altra parte, " l'etica cristiana " significa mettere in crisi ogni azione umana - fondata su usanze, culture e anche religioni - a partire dal giudizio e dal perdono di un Dio tutt'altro, che irrompe nelle realtà penultime salvandole dalla vanificazione proprio attraverso l'impotenza del Figlio crocifisso e la sequela responsabilmente " perdente " dei suoi " profeti disarmati ". Pertanto, nelle lettere dal carcere B. si oppone innanzitutto al Dio visto come " tappabuchi " o " ipotesi di lavoro ", come Deus ex machina o garante dello status quo, contestando tutte le interpretazioni che, per superare i limiti della conoscenza o delle forze umane - e insieme una sorta di metafisico horror vacui -, pongono Dio al di là dei nostri limiti, anziché nel centro dei valori. Ma con queste interpretazioni (tipicamente " religiose ", secondo B.), avviene che ogni qualvolta si dilatano le conoscenze umane, Dio viene ulteriormente emarginato finendo per trovarsi in continua ritirata (Resistenza e resa, p. 350). Per B. la trascendenza intesa come al di là della ragione umana o della morte, non è vera trascendenza, sicché egli vorrebbe " parlare di Dio non ai limiti, ma al centro; non nelle debolezze, ma nella forza; non in relazione alla morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell'uomo ". E ciò per la semplicissima ragione che il vero Dio - quello biblico, ossia tutt'altro rispetto a quello " religioso " -, il cui volto si è rivolto a noi in Cristo, afferra l'uomo nel centro della sua vita, e non ai margini, perché Cristo " non è venuto per rispondere a questioni irrisolte " (p. 383). Mentre elabora queste riflessioni, B. redige un breve poema, Cristiani e pagani, che traduce la stessa intuizione e prepara l'ultima conclusione: decisamente paradossale, ma " nella linea della grande mistica cristiana " (R. Marlé). Al capolinea ormai della sua vita, generosamente spesa nella testimonianza di una " Grazia a caro prezzo ", B. scrive: " Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo etsi Deus non daretur. Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento ". E così l'odierno, travagliato nostro " diventare adulti ", lasciando ogni sicurezza (compreso l'apriori religioso), sfocia nel paradosso, voluto proprio da Dio, di riconoscere " che dobbiamo vivere come uomini capaci di affrontare la vita senza Dio. Il Dio che è con noi, è il Dio che ci abbandona (Mc 15,34)! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza "l'ipotesi di lavoro" è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti (vor) e con (mit) Dio, noi viviamo senza Dio (ohne Gott leben wir). Dio si lascia cacciar fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo, e solo così egli ci sta accanto e ci aiuta. Qui sta la differenza rispetto a qualsiasi religione " (p. 440). Insomma, se la religiosità umana orienta l'uomo, nelle sue limitatezze e tribolazioni, verso l'onnipotenza di Dio nel mondo - è il deus ex machina, che sembra tornare per la via dell'attuale risacralizzazione -, la Bibbia invece lo rinvia alla sconfitta del Dio crocifisso per amore. Ma, ecco il paradosso, quella morte dà vita e, nonostante tutto, cominciano la Pasqua e il canto della liberazione integrale. Questo vertice dell'esperienza mistica bonhoefferiana - anche per la frammentarietà della sua redazione e la confessata oscurità di qualche passo (che sperava chiarire alla fine della guerra, ritrovandosi con Bethge) - è stato purtroppo variamente frainteso da epigoni che mistici non sono.

Bibl. Opere: L'editrice Queriniana ha in corso la riveduta e aggiornata traduzione dei primi 8 voll. della coll. " Opere di D. Bonhoeffer " (ODB): 1. Sanctorum communio, Brescia 1994; 2. Atto ed essere, 1993; 3. Creazione e caduta, 1992; 4. Sequela (ancora nell'ed. del 1969); 5. Vita comune. Il libro di preghiera della Bibbia, 1991; 6. Etica (ancora nell'ed. Bompiani, 1982); 7. Frammenti da Tegel (ancora nell'ed. 1981); 8. Resistenza e resa (ancora nell'ed. S. Paolo 1988: bibl. alle pp. 546-550). Per altra bibl. e, fuori coll., Lettere alla fidanzata cella 92. D.B.-M. von Wedemeyer (1943-45), Brescia 1994. Studi: su Bonhoeffer cf Aa.Vv., Rileggere Bonhoeffer, quaderno monografico di Hermeneutica, Brescia 1996; E. Bethge, D. Bonhoeffer teologo cristiano contemporaneo. Una biografia, Brescia 1991; A. Gallas, Anthropos téleios. L'itinerario di Bonhoeffer nel conflitto tra cristianesimo e modernità, Brescia 1995; R. Gibellini (ed.), Dossier Bonhoeffer, Brescia 1971, 233-258; R. Marlé, D. Bonhoeffer, Brescia 1968; E. Robertson, La forza del debole, Roma 1995; P. Vanzan e H.J. Schultz (edd.), Lessico dei teologi del sec. XX, Brescia 1978, 585 (opere principali e traduzioni).

P. Vanzan

BOSCO GIOVANNI (santo). (inizio)

I. Cenni biografici. B. nasce in una borgata presso Castelnuovo Asti, ora Castelnuovo Don Bosco, il 16 agosto 1815 da una famiglia di povera gente, dedita al lavoro dei campi. A due anni rimane orfano di padre; cresce, pertanto, sotto le premurose cure della madre Margherita Occhiena, illetterata, ma donna di fede, vera educatrice dei figli nella pietà e nel lavoro. Giovanni inizia gli studi piuttosto tardi, ma riesce, grazie alla vivacità dell'ingegno e ad una prodigiosa memoria, a guadagnare il tempo perduto. Entrato nel seminario di Chieri nel 1835, è ordinato sacerdote nel giugno del 1841. Perfeziona i corsi di teologia morale per un triennio al convitto ecclesiastico di Torino, sotto la guida del Cafasso ( 1860).

La sua vocazione è orientata decisamente verso l'educazione dei giovani: l'esperienza iniziale, a contatto con la gioventù reclusa nelle carceri della Generala di Torino, lo stimola ad adoperarsi per prevenire tali devianze sociali. Crea, così, l'Oratorio domenicale (1841-1844) a Valdocco. Tra gli stessi giovani trova l'elemento adatto per attuare il suo programma di risanamento morale della città, avviata già a forma di industrializzazione accentuata. Dà origine alla Congregazione che prende il nome, come l'oratorio, di s. Francesco di Sales. Tra mille difficoltà, riesce ad incrementare il complesso delle opere, soprattutto con la protezione del Pontefice Pio IX ( 1878), estendendo il suo raggio d'attività anche alle missioni (1875).

Con la collaborazione di s. Maria Domenica Mazzarello ( 1881) fonda l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872) per estendere l'opera di educazione morale e religiosa anche in campo femminile. Crea, poi, l'associazione dei Cooperatori salesiani (1875) usufruendo, in tal modo, delle forze di un incipiente laicato cattolico. Devoto a Maria SS.ma e al S. Cuore, con immenso dispendio di energie fisiche e morali, riesce a costruire la basilica di Maria Ausiliatrice in Torino (1868) e il Tempio del S. Cuore al Castro Pretorio in Roma (1887).

Chiude la laboriosa giornata al servizio della Chiesa il 31 gennaio 1888.

II. L'esperienza mistica nella vita e negli scritti. 1. Nella vita. Il primo art. delle Costituzioni salesiane ha un incipit emblematico: definisce la Congregazione, ideata da B., un'opera più divina che umana, nata non tanto da progetto di uomo, quanto piuttosto per iniziativa di Dio. E questa una premessa d'intonazione mistica: l'ispirazione e l'aiuto provengono dall'alto. Don B. con la creazione della Congregazione si colloca nell'ambito della Chiesa come uno strumento della Provvidenza nell'intento di contribuire alla salvezza dei giovani. Ne è un chiaro indizio quel sogno premonitore avuto a nove o dieci anni, da lui stesso raccontato anche nelle Memorie dell'Oratorio di San Francesco di Sales (1875), su invito del Pontefice Pio IX (cf Memorie Biografiche (= MB), I, 123-4).

Nella visione gli viene assegnato dal personaggio misterioso - rivelatosi come il divin Salvatore - il suo campo d'azione: impresa difficile, ma realizzabile mediante l'aiuto della Vergine Maria. Da quel giorno, la Madonna diventa per lui la guida e la maestra: la presenza di Maria si manifesta nei modi più singolari e strepitosi nell'ambito della sua vita e del suo operato. Solo e sempre a lei don B. attribuisce ogni opera, l'esito felice di ogni tentativo: grande la fiducia nel potente e tempestivo suo intervento. La Madonna gli è accanto in ogni situazione: è chiamata la Madonna di don Bosco. All'Oratorio si cresce sotto la sua protezione, come si vive all'ombra del Santuario a lei dedicato.

All'educatore, ritenuto l'uomo di Dio per eccellenza, il Signore - quasi a convalida della sua missione intrapresa - vorrà affidare un buon numero di ragazzetti santi: piccoli veggenti che si costituiscono messaggeri della Vergine Santa, anime eucaristiche che rimangono estasiate dinanzi al tabernacolo, come Domenico Savio ( 1857), il quale resterà per sette ore in estasi, in rendimento di grazie per la Comunione del mattino. All'oratorio si vive in un clima di pietà e di grazia attraverso la frequenza dei sacramenti e il fervore delle pratiche religiose. La spiegazione di tutto questo apporto di serenità viene facilmente indicata e riscoperta in don B. stesso, fedele interprete della volontà di Dio, docile all'azione dello Spirito del Signore. Tra i doni e i frutti dello Spirito emergono in lui quelli del consiglio e dell'amorevolezza: dotato del carisma del discernimento degli spiriti, penetra i cuori e le coscienze; facilmente interpreta il futuro a favore di quanti richiedono la sua opera di ministro del Signore.

In un'attività così instancabile tutto in don B. si trasforma in preghiera: il soprannaturale traspare da ogni sua parola e da tutta la sua persona.1

2. Negli scritti. Don B., più che uno scrittore nel senso pieno della parola, è stato un intelligente divulgatore: " un bravo servo della penna " (A. Auffray). Una tendenza, quindi, più pragmatica che teorica, protesa a cogliere il dato concreto più che a preoccuparsi di strutture o di stesura di programmi in modo sistematico. Mediante le Letture Cattoliche e le Vite o cenni biografici di giovinetti santi, egli pensa di presentare la pratica cristiana nel modo più semplice e realizzabile. Nessuna trattazione specifica ascetico-mistica, ma, ispirandosi alla dottrina di s. Francesco di Sales, ritiene la santità condizione per tutti, a qualsiasi età essi appartengano.

Ripete: " Fermiamoci alle cose facili, ma queste siano fatte con perseveranza " (MB VI, 9); " Vi voglio insegnare a farvi santi e beato chi incomincia a donarsi al Signore sin dalla sua fanciullezza " (Ibid. VIII, 941). Detta consigli per tutti i giovani in forma chiara nelle " Buone notti ": " E volontà di Dio che ci facciamo santi, è facile farsi santi e un gran premio è riservato a chi si fa santo " (Ibid. V, 209).

Sul piano ascetico-mistico, questa è la tattica insegnata e usata da don B.: essere allegri (in grazia di Dio) per compiere il proprio dovere con costanza. Sempre alla scuola del santo vescovo di Ginevra, don B. traduce in forma concreta il concetto di " estasi della vita o orazione vitale " nella pratica dell'unione con Dio, anche lavorando: tutto per la maggior gloria di Dio nella retta intenzione e mediante l'uso continuato delle giaculatorie. Ne deriva il cosiddetto " lavoro santificato " che otterrà, in seguito, oltre l'approvazione, anche la formula indulgenziata da parte di Pio XI.

Negli scritti don B. ricorre di frequente alle pie esortazioni; emblematicamente egli considera se stesso il sarto, il giovane la stoffa: l'intento è quello di poter fare un bell'abito da regalare al Signore (cf Ibid. V, 122-124). Don B. è, in effetti, il creatore della santità giovanile: una mistica la sua a misura di giovane. Ripete: " Tutto io darei per guadagnare il cuore dei giovani, e così poterli regalare al Signore " (Ibid. VII, 250). Ed ancora umilmente riconosce: " Se io mettessi tanta sollecitudine per il bene dell'anima mia come ne metto per il bene delle anime altrui, potrei essere sicuro di salvarmi " (Ibid. VII, 250). Negli ultimi anni, questi richiami o insegnamenti sembravano assumere delle connotazioni singolari di fedele testimonianza, fortemente assorto in Dio, come risulta dal suo Testamento spirituale (1875): " Gesù Cristo è il nostro vero superiore: egli sarà sempre nostro Maestro, nostra guida, nostro modello ". " Quando, per le forze affrante, la vivezza dei sentimenti prende il sopravvento, egli celebrando ora si intenerisce visibilmente in tutto il suo essere, ora appare come pervaso da un sacro tremito, soprattutto nell'istante dell'elevazione ".2 Parla con la vita: talora può essere sorpreso " seduto allo scrittoio, con la persona eretta, con le mani giunte in atteggiamento di grande dolcezza, tutto assorto nella considerazione delle cose celesti ". " Una vita mistica, noi diremo sull'autorità di insigni maestri, da percezione immediata, amorosa del mondo della fede, in particolare della presenza eminentemente attiva di Dio nell'anima "3

Don B. appare sempre invaso dal mistero di Dio: teoria e pratica sono fuse, poiché i veri mistici sono persone di pratica e di azione: le opere da essi fondate sono vitali e durevoli, sfidano i secoli.

Note: 1 Mons. Tasso in Positio super virtutibus, 417 par. 384; 2 Ibid., 972, par. 1; 3 E. Ceria, Don Bosco con Dio, Colle Don Bosco (AT) 1952, 281-283.

Bibl. Opere: G. Bosco, Memorie dell'oratorio di s. Francesco di Sales dal 1815 al 1875 (cura di E. Ceria), Torino 1946; G.B. Lemoyne - A. Amadei - E. Ceria, Memorie biografiche di don Bosco, 19 voll., S. Benigno Canavese (TO) 1898-1939; E. Ceria (cura di), Epistolario di Don Bosco, 4 voll., Torino 1955-1959; Opere edite (ristampa anastatica), 37 voll., Roma 1976. Studi: Aa.Vv., Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino 1987; Aa.Vv., Don Bosco a servizio dell'umanità. Studi e testimonianze, Roma 1989; A. Ballestrero, Prete per i giovani, Torino 1987; G. von Brockhusen, s.v. in WMy, 69; F. Desramaut, s.v., in DSAM VIII, 291-303; A. Pedrini, s.v., in DES II, 1132-1144; Id., San Francesco di Sales e don Bosco, Roma 1986; Id., Don Bosco guida spirituale dei giovani. In margine al I volume dell'Epistolario (in edizione critica), in RivAM 61 (1992), 190-208; Id., La " scientia crucis " nel pensiero e nella prassi pastorale di s. Giovanni Bosco, in Aa.Vv., La croce di Cristo unica speranza, Roma 1996, 551-563.

A. Pedrini

BOUSSET JACQUES. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Digione nel 1627 da ricca famiglia borghese. Nel paese natale inizia gli studi umanistici presso i gesuiti e li termina nel collegio di Parigi, ove brilla nello studio della filosofia e della teologia. Ha come compagno Rancé, il futuro riformatore dei Trappisti, e diventa amico di s. Vincenzo de' Paoli. Frutto di questo incontro è, per B., l'avvicinamento al popolo e l'acquisizione di un linguaggio sobrio. Sacerdote nel 1652 e canonico di Metz, comincia a predicare e a combattere il protestantesimo. Si dedica con entusiasmo allo studio della teologia, della Sacra Scrittura, dei Padri, in particolare di G. Crisostomo, Origene, Tertulliano ( 222 ca.), s. Bernardo. Si trasferisce, poi, a Parigi dedicandosi totalmente alla predicazione. Nel 1669 viene nominato vescovo di Condom e precettore del Delfino, il figlio di Luigi XIV ( 1715), per il quale redige il suo Discours sur l'histoire universelle (1681). Membro dell'Accademia francese dal 1671, diventa vescovo di Meaux dal 1681 alla morte avvenuta nel 1704, a Parigi. Consigliere di stato, fondandosi su argomenti biblico-teologici, favorisce la sacralizzazione della monarchia e sostiene la dottrina dell'assolutismo di diritto divino di Luigi XIV.

Difensore intransigente della fede, le sue opere hanno grande diffusione. Ricordiamo le più note: Discours sur la vie cachée en Dieu (1692); Instruction sur les états d'oraison (1697); La relation sur le quiétisme (1698).

BII. Insegnamento spirituale. Il suo pensiero spirituale più che da opere specifiche è ricavabile dalla sua corrispondenza (Correspondance, ed. critica di Urbain-Levesque in 15 voll., Paris 1909-1925). Pur impegnato ideologicamente in tutti i problemi del tempo - " uomo di tutti i talenti e di tutte le scienze ", - non manca mai di dedicarsi alla direzione spirituale, che considera uno dei doveri principali del vescovo.

La sua dottrina spirituale poggia su una intelaiatura teologica molto solida: sul dogma della sovranità universale di Dio nei riguardi di tutte le creature e sull'altro principio del governo della Provvidenza divina. Dalla prima certezza dogmatica deriva nell'uomo l'adesione alla volontà di Dio, e dalla seconda un abbandono confidente nelle mani della Provvidenza. Dall'uomo, che pur è un niente, si esige, con un volontarismo a tutta prova, buttato nel dinamismo della vita spirituale, di percorrere il binario della voluntas Dei. Consiglia la frequenza ai sacramenti ed egli stesso con Vincenzo de' Paoli trascorre molte ore ad ascoltare le confessioni, esortando i fedeli alla Comunione frequente contro le rigidità del giansenismo. Nella direzione spirituale, che considera il dovere primo connesso alla cura animarum, desidera che la sua persona sia oltrepassata e, con un salto qualitativo di sublimazione, venga considerata quella stessa di Cristo, in modo da vedere Dio in lui.

Attento alla verità dogmatica, da cui deduce come da un teorema la concezione della vita spirituale, quando passa alla prassi trova quasi sempre la mediazione della misura e del buon senso. Per l'orazione, ad esempio, più che fissarla su punti metodologici, preferisce lo slancio, come appare nelle Elevations e nelle Méditations sur l'Evangile. Questo tipo di orazione ammirativa offre uno spaccato in cui l'orante contempla le verità divine, gli occhi dello spirito le guardano assorti e se ne inteneriscono; a questo atteggiamento seguono gli atti di adorazione, di amore e di tutti gli altri sentimenti cristiani nei riguardi di Dio. In queste opere si sente affiorare, sotto l'eloquenza travolgente, l'umile anima che mormora la preghiera nel dialogo personale con Dio.

Per quanto concerne le orazioni straordinarie - quelle che si svolgono nelle fasi mistiche avanzate (cf l'Introduction sur les états d'oraison) - egli mantiene sempre un atteggiamento di ostilità derivante dal suo dogmatismo applicato all'esperienza mistica, volendo rinvenire una misura di coincidenza tra esperienza vissuta e dogma, senza tener presente che il vissuto possiede uno scarto psicologico non facilmente riconducibile alla consapevolezza della verità speculativa.

La dottrina di B., sotto il profilo ideologico, è graniticamente solida perché fondata sui principi dogmatici senza badare troppo a mediazioni o impatti psicologici del diretto a cui del resto lascia libero campo nelle precisazioni pratiche. E anche tradizionale, perché per B. la tradizione è la verità. Sua è la massima Nova, pulchra, falsa, scritta contro i protestanti, massima che può rappresentare la sintesi del suo libro Histoire des variations des Eglises protestantes (1688), in cui la variazione dottrinale dalla tradizione costituisce una sorta di autoconfutazione. Se la verità è nella tradizione, l'errore è nella variazione. Il cristianesimo viene concepito come un deposito oggettivo di verità, un tesoro divino " esteriore " lasciato da Dio all'uomo che lo deve conservare nell'assoluta integrità pur nell'evoluzione dei tempi.

Si ispira soprattutto al NT, a s. Paolo in particolare, a s. Agostino, a s. Tommaso, caso piuttosto raro nel XVII secolo in cui si " agostinizzava " (Sainte-Beuve). La sua spiritualità è anche pratica perché tende all'azione operativa seguendo la duplice direttiva dell'amore a Dio e dell'amore al prossimo.

Per quanto concerne la polemica sul quietismo che coinvolge non solo M.me Guyon e il suo direttore-diretto Fénelon, B. non pare possieda tutta la finezza spirituale di un Fénelon che si pone dal punto di vista dell'esperienza mistica per penetrare i sottili equilibri della dottrina del puro amore. Anche se sotto il profilo pratico il puro amore è accettato da B., quando si tratta di conferire una giustificazione dottrinale, egli non riesce a rintracciare le prove nella tradizione e, poggiandosi su s. Agostino, considerato criterio ortodosso di giudizio, polemizza con violenza con il più mite Fénelon, vescovo di Cambrai.

Questa polemica non manca di influenzare negativamente le esperienze spirituali elevate gettando il discredito sui mistici, i quali sono, inoltre, nel corso del Settecento notevolmente danneggiati dalla ragione illuministica proclamatasi autonoma di fronte al dato rivelato. La Sorbona, con il suo prestigio, facendo di B. una specie di " religione della Francia " (Sainte-Beuve) infligge alla mistica l'ultimo colpo mortale che si protrarrà per tutto l'Ottocento, in cui predominano l'esercizio ascetico e il dinamismo apostolico.

Bibl. Opere: J.B. Bossuet, Opere complete, tr. it. a cura di G.B. Albrizzi, 10 voll., Venezia 1736-1757; Istruzione sugli stati d'orazione, a cura di A.M. Bozzone, Torino 1947. Studi: C. Boyer, Bossuet, Jacques-Bénigne, in EC II, 1948-1951; H. Bremond, Bossuet maître d'oraison, in VSpS 25 (1930), 49-78; Id., Bossuet maître d'oraison, Paris 1931; P. Dudon, s.v., in DSAM I, 1874-1883; J. Le Brun, La spiritualité de Bossuet, Paris 1972; Id., Quiétisme, in DSAM XII2, 2756-2842; P. Pourrat, La spiritualité chrétienne, III, Paris 1930, 513-514, 548 e passim; M. Tietz, s.v., in WMy, 69-70; P. Zovatto, La polemica Bossuet-Fénelon. Introduzione critico-bibliografica, Padova 1968; Id., s.v., in DES I, 389-391.

P. Zovatto

BRANDSMA TITO. (inizio)

I. Vita e opere. Brandsma Tito (al secolo: Anno Sjoerd), beato, nasce a Oegeklooster, presso Bolsward nella Frisia (Olanda) il 22 febbraio 1881 e muore martire a Dachau (Germania) il 26 luglio 1942. Diviene carmelitano nel 1898 e, terminati gli studi filosofici e teologici, viene ordinato sacerdote il 17 giugno 1905. Dal 1906 al 1909 studia filosofia alla Gregoriana di Roma, ove ottiene il dottorato. Tornato in patria, s'impegna a fondo nella sua vita religiosa e nell'insegnamento nei collegi carmelitani di Oss e Oldenzaal. Nella cittadina di Oss, ove in una pubblica piazza fa erigere un monumento al S. Cuore, svolge un intenso apostolato: fonda una rivista di devozione mariana, è caporedattore di un giornale locale, fonda una biblioteca pubblica cattolica ed un liceo scientifico, organizza varie esposizioni e un congresso missionario. Dal 1923 alla morte mantiene la cattedra di storia della spiritualità olandese e di storia della filosofia nell'Università Cattolica di Nimega, di cui diventa rettore magnifico.

Nell'ampia attività scientifica i suoi interessi si volgono prevalentemente alla metafisica moderna, alla filosofia precartesiana e alla scuola scoto-eurigena; mentre nel campo della spiritualità e della mistica le sue preferenze si esprimono con studi su Ruusbroec, Groote, Tommaso da Kempis ( 1471) ed altri autori del Nord Europa. Fonda l'Istituto per la mistica medievale olandese e organizza tre congressi sulla spiritualità olandese. Inoltre, dal 1918 avvia, in collaborazione con alcuni studiosi, la pubblicazione in olandese di tutte le opere di s. Teresa di Gesù e, allo scopo, effettua nel 1929 un viaggio di studi e ricerche in Spagna. Nel 1935 è in Irlanda e negli Stati Uniti d'America per una serie di conferenze sulla mistica carmelitana.

A cominciare dal 1934 si oppone fermamente alla ideologia nazionalsocialista. Per questo motivo viene arrestato il 19 gennaio 1942 dalla Gestapo e, dopo un calvario di carceri e lager, è internato a Dachau, ove infonde serenità e conforto agli altri deportati e benefica gli stessi aguzzini. E ucciso fra sofferenze e umiliazioni. Il suo corpo scompare in un forno crematorio. Il 3 novembre 1985 è beatificato come martire da Giovanni Paolo II.

Gli scritti editi dal padre B. comprendono 796 titoli, tra libri e articoli. Si tratta di una vasta produzione che spazia in vari campi, dalla sociologia alla cronaca, dalla spiritualità e mistica alla mariologia. Nel campo della spiritualità e della mistica, oltre all'accennata edizione delle opere di s. Teresa di Gesù, si devono segnalare le voci da lui curate per il DSAM, per la De Katholieke Encyclopedie (di cui è redattore) e il famoso discorso sul concetto di Dio (Godsbegrip, Nijmegen 1932) da lui tenuto nel 1932 per l'anniversario della fondazione dell'Università di Nimega. Notevole anche la serie di studi, dopo il 1930, sulla mistica della passione e sui relativi fenomeni mistici con esame non solo del caso di Teresa Neumann ( 1962) e di altri stigmatizzati, ma anche di figure come s. Lidvina di Schiedam ( 1433) e soprattutto Giovanni Brugmann ( 1473). L'attività scientifica non gli impedisce anzi lo spinge ad un'ampia opera di divulgazione per un recupero storico e attuale delle radici della mistica e della spiritualità cristiana. Tra l'altro, cura per un giornale (De Gelderlander) una rubrica settimanale dedicata alla conoscenza della spiritualità, mentre dal 1938 al 1941 pubblica sullo stesso giornale una serie di 153 articoli affrontando numerose tematiche e divulgando conoscenze ed esperienze della vita spirituale e mistica.

II. Dottrina mistica. Dall'insieme dei suoi studi ed articoli è possibile cogliere la concezione che B. ha della vita mistica. In quanto vocazione di tutti i cristiani e non ristretta ad una piccola e scelta élite, la mistica si presenta come profonda e trasformante esperienza vitale di cui egli sottolinea il " carattere bilaterale ", ossia l'incontro dell'azione di Dio e l'accoglienza e collaborazione dell'uomo. Per questo egli parla di due momenti nell'esperienza mistica: il primo teologico, quando Dio prende l'iniziativa dell'incontro; e il secondo psicologico quando tale azione di Dio s'inserisce e si adatta alla condizione umana concreta, naturale, fisica e culturale. La spiritualità e la mistica sono, quindi, necessariamente un'esperienza dell'Incarnazione di Dio nella storia dell'uomo, sia individuo sia comunità. Quanto più l'uomo comprende e si apre all'azione divina nella sua realtà, tanto più avviene la sua trasformazione nell'amore.

La conoscenza filosofica e metafisica di se stesso è posta da B. alla base della vita mistica. L'uomo, che scopre la sua dipendenza totale da Dio e la gratuità della divina azione nei suoi confronti, viene condotto " al fondo dell'esistenza ", " al centro più intimo del suo essere ". Reso così capace di vedere Dio, lo adora " non soltanto nel proprio essere, ma altresì in tutto ciò che esiste, prima di tutto nel prossimo, ma anche nella natura, nel cosmo ". La inabitazione e penetrazione di Dio non solo sono oggetto dell'intuizione dell'uomo, ma devono manifestarsi e irradiarsi in tutte le circostanze della sua vita. La visione che B. ha dell'unione tra l'uomo e Dio, lo porta quindi a svilupparla unendo intimamente al rapporto uomo-Dio la relazione con gli altri nella realtà concreta storica. L'impegno sociale, politico e culturale diventa così parte integrante e indispensabile della vita mistica. Aspetto, quest'ultimo, molto originale e nuovo: l'impegno socio-politico non è avulso dall'essere cristiani, ma espressione concreta della maturità nella fede e dell'intima comunione con Dio.

Altre idee sviluppate da B. sono il superamento della visione dualista nella vita spirituale, con un reale ottimismo attento alla bellezza fondamentale della creazione; gli aspetti femminili e storici del concetto di Dio e la possibilità di una filosofia cristiana.

Bibl. I principali scritti spirituali sono indicati in DSAM XV, 1008-1009. Una raccolta antologica di testi è: Mystiek Leven-Een Bloemlezing, a cura di B. Borchert, Nijmegen 1985. Per biografie, articoli e opuscoli su Brandsma si rimanda a: A. Staring, Bibliografia di Tito Brandsma (1942-1984), in Carm 31 (1984), 209-233; Bibliografia in occasione della beatificazione di Titus Brandsma, in Ibid., 33 (1986), 308-332. Inoltre per studi dopo il 1984: H. Blommestijn, s.v., in DSAM XV, 1006-1011 (con bibl. scelta fino al 1986); E. Boaga, Tito Brandsma testimone di Dio nei luoghi della sua assenza, in RivVitSp 39 (1985), 159-185; Id., Dio, silenzio e lager: Titus Brandsma e Edith Stein, in Ibid., 47 (1993), 520-541.

E. Boaga

BRIGIDA DI SVEZIA (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce verso il 1303 a Finsta (provincia di Uppland), sposa Ulf Gudmarsson e diventa madre di otto figli. Da parte della madre è imparentata con la casa reale, perciò riceve un'educazione conforme al suo ceto. Dal 1349 si trasferisce a Roma dove muore il 23 luglio del 1373. E canonizzata il 7 ottobre del 1391. B. ha la sua prima esperienza mistica a dieci anni con una visione del Crocifisso. Questo avvenimento domina tutta la sua vita religiosa, tanto che alla fine della sua vita si sente presente alla morte di Cristo.

La svolta decisiva della sua vocazione religiosa avviene dopo la morte del marito. Da quel momento riceve regolarmente le cosiddette apparizioni di Cristo (in rari casi quelle di Dio Padre), della Vergine Maria o di qualche angelo o santo. B. fa trascrivere queste rivelazioni da un segretario e poi le fa tradurre in latino. In seguito, esse sono redatte, per la canonizzazione, dal vescovo spagnolo Alfonso di Jaen ( 1389) in otto libri, Revelaciones celestes. B. ricevette inoltre la Regula Salvatoris, la Regola su cui si fonda l'Ordine delle brigidine, e anche il Sermo Angelicus, ventuno letture per l'Ufficio mariano, che ella fa comporre e redigere per le suore e che pare le siano state dettate da un angelo. Un numero imprecisato di rivelazioni, non riportate nel processo di santificazione, è raccolto in un libro particolare, Revelaciones extravagantes.

II. Esperienza mistica. La ricettività di B. va da un'intensa meditazione sulla Sacra Scrittura e l'identificazione con i suoi personaggi fino ad una vera e propria estasi. Parecchie rivelazioni sembrano essere giunte a B. senza alcun segno di esaltazione esteriore, ma come un intenso grado di concentrazione e ispirazione (cf Extravagantes, 25-26), dove il contenuto del pensiero le viene trasmesso lasciandole il compito di rivestirlo di parole. Quando cade in estasi, interpreta questo stato come un alto grado di lucidità e di presenza (IV, 7,1), una specie di riposo spirituale (IV, 77,3), in cui " le sue forze fisiche si indeboliscono, il cuore si accende e gioisce di un ardore d'amore, l'anima si sente consolata, lo spirito fortificato da una specie di forza divina, tutto il suo intelletto si riempie di una conoscenza spirituale ed ella avverte una dolce voce melodiosa " (IV, 139,1-2; cf VII, 13,8; VII, 19,1). Le rivelazioni comprendono, quindi, sia visioni che audizioni. Cristo spiega che le visioni sono immagini fisiche, non la realtà stessa. Le visioni sono intellettive: le parole dello spirito vengono trasmesse attraverso immagini (II, 18). Le audizioni sono " probabilmente " un processo interiore di B. nonostante vengano percepite come un appello che viene dal di fuori (II, 13,6). Lo stato visionario viene, talvolta, sentito come un piacevole assopimento e le parole ricevute sono sentite come un dolce cibo che sazia e che rende chi lo riceve desideroso di averne di più (IV, 77,3-6; IV, 129,88-89; VI, 52,3-5). In un'occasione, mentre si trova concentrata in preghiera a Santa Maria Maggiore, afferma di essere caduta in estasi; il corpo, infatti, diviene pesante, ma non della pesantezza tipica del sonno (cf IV, 78,3). Secondo la Regula S. Salvatoris, B. riceve tutto il testo della Regola in un solo istante, in modo che " si sono sentite le parole tutte in una volta, ma nello stesso tempo possono essere distinte tra di loro ". La visione (o piuttosto l'audizione) si protrae fino a che possa ricordare tutto il testo. Dopo di che le rimane " un dolce sentimento che sembra voler fa esplodere il cuore " (Regula S. Salvatoris, 283-285).

B. si percepisce come " Sposa e canale " di Cristo (Sponsa et canale III, 30,7). Questi appellativi significano che B. è mediatrice tra cielo e terra, identificandosi strettamente con la Vergine. Maria appare più spesso di ogni altro interlocutore nelle Rivelazioni, le spiega la natura delle apparizioni (VIII, 56,97-102) e la consola personalmente nei dubbi e nelle difficoltà. La concezione che B. ha di Maria come Madre della misericordia la spinge a vedere anche se stessa come strumento della misericordia di Cristo, come Maria. L'immedesimazione nel ruolo di Maria è così profonda che B. una notte di Natale si sente gravida di " un bambino vivo che si muove di qua e di là ", una sensazione fisica seguita da una forte euforia. Poiché Cristo prima ha scelto B. come sua sposa, in quest'occasione ella viene chiamata " nuora " di Maria (nurus) attraverso lo sposalizio con Cristo; difatti, Maria e Cristo vogliono servirsi di lei per rivelare la loro volontà ai propri amici e al mondo intero (cf VI, 88). B. ha sentito questi movimenti somiglianti a quelli di un feto anche più tardi nella vita (cf II, 18,1-8; Acta et processus canonizationis, 81,414, 500). La stessa Parola divina che, attraverso Maria si è fatta carne, si manifesta ora al mondo ancora una volta tramite B. (cf I, 17,1; II, 13,1-3; II, 17,2-3).

Le esperienze mistiche di B. non mirano alla sua santità personale, ma hanno uno scopo profetico, per non dire politico. Le visioni sono indirizzate alla Chiesa e al mondo e contengono, come le profezie della Bibbia, insegnamenti, ammonimenti e grida di conversione. Un'analisi delle Rivelazioni mostra che esse hanno un'evidente somiglianza sia nella struttura che nel vocabolario con i grandi profeti. E evidente che al momento dell'ispirazione, il testo biblico che B. ha completamente assimilato, fornisce le parole per esprimere quello che solo con difficoltà avrebbe potuto dire.

Bibl. Opere: Revelationes Santae Birgittæ, Stoccolma 1956 (pubblicazione non ancora ultimata); Regula Salvatoris, ed. S. Eklund 1975; Sermo Angelicus, ed. S. Eklund 1972; Quattuor oraciones, ed S. Eklund 1991; Acta et processus canonizationis beatae Birgittae, a cura di I. Collÿn, Uppsala Colliÿn 1924-1931. Studi: J. Berdonces - T. Nyberg, s.v., in DIP I, 1572-1578; I. Cecchetti, s.v., in BS III, 440-530; P. Chiminelli, La mistica del Nord. Santa Brigida di Svezia, Roma 1948; P. Damiani, La spiritualità di S. Brigida di Svezia, Firenze 1964; P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 63-65; Giovanna della Croce, s.v., in DES I, 393-394; Ead., I mistici del Nord, Roma 1981, 29ss.; G.M. Roschini, La Madonna nella " Rivelazioni di S. Brigida " nel VI centenario della sua morte, Roma 1973; A. Vauchez, Sainte Brigitte de Suède et Sainte Catherine de Sienne, in Aa.Vv., Temi e problemi della mistica femminile trecentesca, Todi (PG) 1983, 227-248; F. Vernet, s.v., in DSAM I, 1943-1948.

A. Piltz

BROECKOVEN EGIDE VAN. (inizio)

I. Vita e opere. Gesuita olandese, nasce il 22 dicembre 1933 ad Anversa e muore per incidente sul lavoro in un'officina metallurgica di Anderlecht (Bruxelles) il 28 dicembre 1967. Di questo prete operaio avremmo ormai dimenticato tutto se non ci avesse lasciato un Diario, cominciato nell'aprile 1958 e portato avanti fino alla vigilia della tragica morte. Infatti, nel periodo dello studentato, come nei pochi anni di sacerdozio, esteriormente in B. nulla appare straordinario. Tranne forse al direttore spirituale e al superiore religioso, con i quali B. mantiene sempre un regolare discernimento nello Spirito, a nessun confratello sono note le meraviglie che Dio va operando in lui, pur colpendo il fatto ch'egli legga, fin dal noviziato, non solo i consueti autori spirituali, ma anche Giovanni della Croce, i mistici fiamminghi Hadewych e Ruusbroec, nonché Teilhard de Chardin.

Il Diario consta di ventisei quaderni su cui, dopo la morte, ha posto le mani il padre G. Neefs, direttore spirituale e confidente di B. nel periodo in cui questi matura la scelta apostolica come prete operaio. Leggendo quelle pagine, il Neefs scopre un prezioso tesoro spirituale, che va salvato dall'oblio. Nell'impossibilità di pubblicarlo tutto - per le buone ragioni addotte nella Prefazione, - egli cura una selezione dei tratti più illuminanti e di questa sintesi, in tempi record, appaiono le edizioni fiamminga, francese, tedesca, italiana, spagnola, portoghese, inglese: la maggior parte col titolo Diario dell'amicizia.

II. Esperienza mistica. Così l'oscuro prete operaio gesuita diviene il " caso B. ", subito analizzato tanto dai pastoralisti, alle prese con la nuova evangelizzazione del mondo scristianizzato, quanto dagli esperti in teologia spirituale, risultando chiaro a tutti l'importanza del suo messaggio, riconducibile a questi due fuochi dell'ellisse: la mistica dell'amore e quella del servizio. Ossia: l'amore trinitario come fondamento dell'amicizia umana non vana - che, reciprocamente, ne diventa la visibilità o trasparenza - e, da questa reciprocità lo sgorgare dell'unica via efficace per la testimonianza e l'annuncio di Cristo nel mondo postcristiano: il servizio. Vediamo brevemente questi due aspetti, cominciando dalla reciprocità tra mistica e amicizia.

" La mia spiritualità può essere definita in questi termini ", scrive B. il 29 gennaio 1966: " Vivere Dio nel momento presente, eternamente nuovo, in cui il Padre rivolge la sua Parola a me, al mondo attuale, qui, ora, in questa situazione esistenziale concreta. Lasciare che la vita divina fluisca attraverso me verso gli altri e attraverso gli altri verso di me. Diventare io stesso messaggio d'amore di Dio: inserirmi nella storia della sua salvezza ora, in questo mondo, e con la forza dello Spirito ". Né meraviglia che il buon Dio, cui B. aderisce tanto generosamente, sia ancor più generoso con lui, anche partecipandogli esperienze squisitamente ignaziane: " Grande consolazione nel celebrare la Messa: attirato nell'intimità del Signore in maniera semplice e vera. Dopo la consacrazione: lacrime ". E prosegue registrando altre due forti esperienze del Signore, nello spazio di cinque giorni. La prima, mentre va " verso X, per risolvere ogni cosa nella carità ", ecco venirgli incontro Cristo stesso, " in maniera invadente e tuttavia semplice ", che gli parla e lo accompagna per tutto il cammino. L'altra, mentre va all'ospedale, per farsi medicare un pollice schiacciato in fabbrica, avverte " grande consolazione: esperienza mistica completa ". L'esperienza non solo del come, " dall'Oceano di Dio, dalla sua infinita potenza, il Figlio è venuto a me; come in un incontro personale sono stato posto in questo mondo nel Figlio, dal Figlio (...) e come vado verso il mondo per andare al Padre col mondo nel Figlio ", ma anche del come " la sofferenza che passa attraverso me è redentrice. Ho sentito la Pienezza della vita fluire in me, perciò una grande forza vivere in me, in una grande pace, sapendo di trovarmi là dove mi vuole l'Amore " (Diario, p. 101).

Quando poi questa esperienza dell'Amore divino investe e transustanzia l'amicizia umana, allora - con impeto quasi lirico, non raro presso i mistici -, B. così si esprime: " L'amicizia viva e vera è una ricerca dell'amico fino alla ricerca di quella terra inesplorata che è Dio in lui, e che giunge quindi alla scoperta di Dio come terra inesplorata dell'altro. E questo l'unico mezzo per conservare costantemente all'amicizia il suo fascino ". E, dopo aver parlato del Volto che trapela in ogni volto e dell'amore totalmente altro che sostanzia ogni amore non vano, B. tratta della caratteristica principale dell'amicizia, che pure in humanis è la trasparenza divina, quale si manifesta nella reciprocità interpersonale trinitaria: " La fonte della trasparenza dell'amicizia sta nella Trinità. Mi sono rallegrato per la trasparenza delle tre Persone divine, per la reciproca loro intimità. E questa trasparenza che più d'ogni altra cosa è fonte di gioia: essa è la presenza dell'Amato in tutta l'intensità della sua irradiazione ". E dopo aver notato che " occorre un'amicizia molto profonda per gioire della trasparenza agli altri del proprio amico ", ritiene d'essere chiamato a " insegnare agli uomini le profondità mistiche dell'amicizia ", benché conosca la tensione del " già e non ancora ": ossia, " l'amore cristiano qui sulla terra è l'amore trinitario... benché in maniera ancora velata " (Diario, pp. 21-34).

E tuttavia, come nei veri mistici, anche in B. le esperienze luminose si frammischiano a tenebre e passaggi oscuri, come quando scrive (un po' enigmaticamente): " Avevo una perla preziosa e Dio mi disse: Gettala nell'abisso del mio cuore. Io lo feci e mi sentii un miserabile, perché non conoscevo la profondità dell'abisso di quel cuore. Questa esperienza e il mio incontro con Nostro Signore devono ispirare tutto il mio apostolato con quanti hanno perduto ogni traccia di Dio ". Ma, nonostante le prove tipiche di chi ha vissuto in quegli " ambienti dannati " - come i padri Godin e Daniel, che avevano presentato al card. Suhard il manoscritto France terre de mission (da cui nacque, a Lisieux, il seminario della Mission de France) o S. Weil, la più citata nel Diario - B. confessa: " Riposo nel bel mezzo della tempesta, su una ricaduta nel furore divino [è la traduzione di termini propri ai mistici fiamminghi]. E in questo ambiente scristianizzato e duro fino a rendervi inebetiti, che io trovo il mio clima di vita contemplativa. L'immersione in questo ambiente è per me l'immersione nella vita della Certosa e della Trappa: abbandonare tutto, rischiare tutto, vendere ogni cosa per Dio " (Diario, p. 117). E veniamo così al secondo fuoco dell'ellisse, la mistica del servizio: e non solo lavorando per gli ultimi o con i poveri, ma facendosi egli stesso uno di loro, come il Signore Gesù " che, da ricco che era... " (2 Cor 8,9).

Ma anzitutto dobbiamo chiederci perché questo gesuita, fra i tanti ministeri possibili che gli si aprivano davanti, abbia scelto di fare il prete operaio. Ecco cosa ne dice lui stesso: " Quando cerco di ricordare come mi è venuta l'idea di andare a lavorare in fabbrica, devo confessare che ciò che mi ha attirato, in un primo tempo, è stata la realtà degli scristianizzati nelle grandi città. Solamente dopo ho scoperto, tramite il padre Bellens e l'apostolato di quartiere, l'attrattiva dei poveri, della gente umile, come una preferenza squisitamente evangelica ". E la via kenotica dell'amore cristico, perché solo l'immersione divina nelle umane tenebre può salvarle dalla vanificazione. Perciò, domandandosi ulteriormente " cosa andiamo a fare laggiù ", B. risponde: " Costruire il regno di Dio, portare la Buona Novella ", ma non tanto col " proclamare la storia della salvezza inviata da Dio, ma essere prima di tutto noi stessi un brano di quella storia. La Chiesa deve diventare in noi realtà tangibile dell'Amore di Dio per il mondo d'oggi ". Sennonché l'unica maniera di raggiungere veramente " questa massa di povera gente, diventata estranea alla Chiesa, e la sola maniera di amarla, è diventare come uno di loro: come ha fatto Cristo che ha voluto diventare l'ultimo di tutti; altrimenti i piccoli non sarebbero mai pervenuti ad amarlo veramente. Colui che si eleva al di sopra degli altri non può essere amato veramente " (Diario, p. 123). Solo in quest'ottica possiamo non fraintendere quanto B. scrive il 6 gennaio 1960, mentre discerne tra le forme di apostolato che gli vengono proposte: " Pecca contro l'amore colui che ritiene che l'apostolato intellettuale sia l'apostolato specifico della Compagnia di Gesù. Infatti, anche un operaio (...) può benissimo esercitare l'apostolato della Compagnia " se ne ha colto la dimensione mistica profonda. Infatti, " ciò che esso ha di specifico è di essere mistico: portare Cristo agli uomini cercando, a partire dall'intimità della nostra persona, l'intimità profonda degli altri, e farlo in maniera attiva (cioè in una maniera che non sia puramente contemplativa) " (Diario, p. 24).

Quindi, " mistica del servizio " tipicamente ignaziana e possibile a quanti - vivendo generosamente l'accennata tensione ellittica - diventano contemplativi nell'azione: non come lacerante attrazione verso poli opposti (immanenza-trascendenza, umano-divino, incarnazione-escatologia), bensì come forte integrazione dell'umano nel divino e viceversa, in una reciprocità dinamica tra l'attrattiva celeste del regno e la spinta incarnazionista a realizzarne fin d'ora la prefigurazione in terra. Messo di fronte alla scelta impropriamente dilemmatica tra la Certosa o le vie del mondo, l'apostolato intellettuale o la scelta degli ultimi, B. ha trovato la pace - e la grazia a caro prezzo - scegliendo la clausura nel mondo e realizzando la più intima unione con la vita trinitaria nella più amorevole e dolorosa unione col prossimo meno amabile.

Bibl. Opere: E. van Broeckoven, Diario dell'amicizia, a cura di G. Neefs, Milano 1973. Studi: Ch. Meroz, La vie des amants de Dieu. Un témoin de notre temps, in Vie consacrée, 54 (1982), 43-49; D. Mondrone, " E. van Broeckoven. Lungo il diario di un gesuita operaio ", in Id., I santi ci sono ancora, IV, Roma 1979, 237-256; G. Neefs, Portrait d'un contemplatif dans l'action: E. van Broeckoven, in Vie consacrée, 45 (1973), 193-221; Id., E. van Broeckoven: l'unification de la prière et de l'apostolat, Roma 1977, quaderni CIS, n. 25, 99-112.

P. Vanzan

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