QUIETISMO - RUUSBROEC GIOVANNI - DIZIONARIO DI MISTICA

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QUIETISMO - RUUSBROEC GIOVANNI

Q - R

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Q

R

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QUIETISMO. (inizio)

I. Il fenomeno si pone abitualmente in relazione con la mistica, benché senza molta precisione nella maggioranza degli autori. Fino a tempi recenti, l'esposizione o presentazione del q. in trattati e dizionari si faceva come elencazione di movimenti e fenomeni spirituali dai primi tempi del cristianesimo fino al sec. XVIII, anche se il nome proprio di q. non appare fino alla fine del sec. XVII. Due motivi, complementari tra loro, giustificavano questo procedimento: in primo luogo, il fatto che negli interventi ufficiali sul q. si ripeta spesso che esso coincide con l'insegnamento degli " Alumbrados ", come questi coincidono con i " Catari ", ed altri illuminismi fino ad arrivare perlomeno al sec. XIII. La comparazione dei movimenti suddetti conferma l'esattezza dei riferimenti. Parlando in genere della spiritualità cristiana, il q. è una tendenza spirituale che si manifesta in espressioni simili o molto somiglianti lungo la storia; coincide sostanzialmente con quella che si sviluppò nella seconda metà del sec. XVII ed è passata alla storia come il " Quietismo ". Nessuna di queste espressioni affini prima aveva ricevuto tale nome. Pertanto, è ambiguo se con esso si indicano tutti questi antecedenti, conosciuti abitualmente con altri nomi propri.

Attualmente sembrano superati l'equivoco o l'ambiguità se si adotta come denominazione generica quella di " illuminismo mistico o spirituale ", precisando subito la peculiarità di ciascuno dei gruppi e movimenti con la denominazione propria. Q. è il più moderno di tutti.

II. L'origine. Così inteso e designato, si circoscrive nella seconda parte del sec. XVII e prima parte del sec. XVIII. La sua vicinanza cronologica al movimento degli " Alumbrados " in Spagna (secc. XVI-XVII), e la sua parentela con il medesimo e altri anteriori, ci obbligano a formulare l'interrogativo iniziale della sua origine. E risaputo che, in proposito, circolano due tesi fondamentali: quella che sostiene una dipendenza diretta, come di causa ed effetto, tra le diverse manifestazioni storiche dell'" illuminismo mistico ", e quella che preferisce richiamarsi ad una costante storica, secondo la quale in identiche circostanze si producono i medesimi fenomeni, senza necessità di influenza diretta e immediata. In alcune delle opinioni, rimane il fatto che il q. non è un movimento primario ed originale che apporta qualcosa di radicalmente nuovo; è semplicemente una riedizione di formule e proposte precedenti, con le modifiche proprie del tempo e dei luoghi nei quali fiorì.

Più che a qualcuno degli " illuminismi " anteriori, il q. appare legato abitualmente, nella storiografia e nella credenza generale, alla corruzione morale; come se si trattasse di un sistema o proposta spirituale che conduce inevitabilmente alla degradazione nell'ambito della morale sessuale. La verifica di alcuni casi concreti, nei processi chiamati quietisti, ha portato a stabilire una correlazione necessaria tra pratica e dottrina, come se questa non fosse altra cosa che semplice copertura o simulazione di condotte immorali. Un'opinione molto diffusa, anche tra gli studiosi, riduce il q. a epifenomeni marginali e lo svuota totalmente di contenuto. La tragica storia del q. fu molto più che la miseria morale di una certa quantità di figure di secondo piano e di categoria inferiore. Molti libri e molti maestri condannati come quietisti nulla hanno a che vedere con questo cliché o stereotipo. Nessuno dei nomi di rilievo offrì il fianco alla condanna della vita personale. Basta ricordare Malaval ( 1719), Falconi ( 1638), Petrucci ( 1701), Fenelón, ecc. o tanti autori che circolarono con generale plauso prima che si scatenasse la battaglia quietista. Il fenomeno della condotta peccaminosa coperta da apparenze di alta spiritualità è di tutti i tempi e di tutti i luoghi; non è un q. sollecitato da particolari insegnamenti mistici.

Nemmeno è possibile rintracciare l'autentica fisionomia del q. sulla base delle condanne (libri, autori), anche se aiutano nel compito. Le tesi o proposizioni, duramente qualificate, rare volte appaiono alla lettera nei cosiddetti scritti quietisti; rispondono meglio ad un contesto e ad un clima generale e hanno un carattere di sintesi nelle cui dottrine ed opinioni si è saputo formulare in forma estrema per servire da norma nei processi o per evitare pericoli di contagio. L'immagine definitiva del q. emerge principalmente dai testi originali e non dagli scritti " antiquietisti ", in generale composti sulla base delle condanne.

III. Natura del q. Autori e scritti " quietisti " rivelano, come primo dato, che essi si muovono in un clima e in un ambiente tipicamente mistico e concentrano la loro attenzione o preoccupazione nella spiritualità personale di raccoglimento o interiorità; la chiave di riferimento è nel binomio meditazionecontemplazione sotto molteplici forme ed espressioni. La più caratteristica è la contemplazione di " quiete " da dove deriva immediatamente il tipico " quietismo ". Ha il suo equivalente nella preghiera di fede, di silenzio interiore, degli affetti, dell'attenzione amorosa e altre affini. In consonanza con questo basilare punto di partenza, il q. si presenta come un metodo o cammino sicuro e veloce per raggiungere la perfezione. Consiste fondamentalmente in un processo di interiorizzazione nel quale lo sforzo personale della meditazione e dell'attività personale deve andare diminuendo praticamente fino a scomparire, essendo sostituito dalla contemplazione ogni volta più pacifica e spontanea della quiete.

L'attenzione dell'anima e del direttore spirituale devono porsi in modo da non disturbare l'azione divina, lasciando che Dio faccia la sua opera in maniera più efficace di qualunque impegno umano. L'atteggiamento di quiete, ricettività e passività è fondamentale. Lo sforzo umano deve concentrarsi sulla pratica delle virtù e sulla purificazione delle passioni per non ostacolare l'opera divina nell'anima. Ad un determinato livello è opportuno ridurre l'attività delle opere esteriori, delle pratiche devozionali e degli esercizi ascetici, per quanto meno vantaggiosi, inclusi gli ostacoli per l'attenzione intima all'unione contemplativa.

Quando si vuole raggiungere la perfetta quiete, e l'attenzione dello spirito è concentrata in Dio, è segno che si è arrivati al totale abbandono in Dio con assoluta indifferenza rispetto ai propri interessi e ai successi della vita. Importante, allora, è non perdere questa passività dinanzi all'azione di Dio. Sarebbe fatale per il progresso spirituale tornare alla meditazione e all'esercizio delle potenze, se non in casi del tutto singolari. L'anima riceve da Dio direttamente ciò che essa vuole raggiungere con altri mezzi e per altre strade.

L'unione contemplativa con Dio può prolungarsi in maniera indefinita, almeno virtualmente. Non suppone un'alienazione della persona né un'eliminazione delle sue necessità ed espressioni vitali. Può coesistere con impulsi e sensazioni naturali o corporali non controllabili dallo spirito. La responsabilità degli atti in tali circostanze è praticamente nulla, per quanto non dipendente dalla volontà. In questa stessa linea si collocano l'insidia e la violenza diabolica, alla quale, a volte, risulta quasi impossibile resistere. E una versione estrema dello " spirito è pronto, la carne è debole ".

Non tutti i maestri considerati quietisti mantennero il medesimo equilibrio e seppero armonizzare i loro insegnamenti con la totalità della dottrina evangelica. Per tutti, il punto centrale e decisivo è quello del valore pedagogico fondamentale della via del raccoglimento interiore con la sua dinamica e dialettica meditazione-contemplazione. E nelle applicazioni e nelle spiegazioni dove ciascuno procede per proprio conto. Vi furono direttori incompetenti, e in alcuni casi indiscreti, che spinsero nella pratica le conclusioni alle quali si prestavano gli insegnamenti unilaterali dei grandi maestri. Presentavano il fianco facilmente all'esagerazione o a deformazione con insistenza nell'" attenzione interiore " senza preoccuparsi delle opere e devozioni esterne. Insistevano, poi, sulla passività nella contemplazione unitiva con lo sdoppiamento del senso e dello spirito e la conseguente indifferenza dinanzi agli assalti della carne e alle tentazioni diaboliche. Furono precisamente la banale interpretazione di alcuni e la cattiva applicazione, da parte di altri, di queste dottrine a condurre ai casi registrati di corruzione morale. Casi isolati non possono convertirsi in categoria universale. Servirono, in quel tempo, per scatenare la tragica crisi del q.

Quest'ultimo trovò terreno fertile nel clima religioso spirituale che si vuole designare come " prequietismo " ed esplose con la pubblicazione nel 1675 della Guía espiritual di M. Molinos. La condanna di questo autore e del suo amico, il card. P.M. Petrucci, nel 1687 indica il momento più drammatico di una lotta senza quartiere tra i " contemplativisti " (quietisti) e gli " orazionisti " o " meditazionisti ", specialmente gesuiti. Proseguì durante due decenni la caccia agli autori e agli scritti quietisti. Fu una vera ecatombe di libri spirituali, molti dei quali di uso comune per molto tempo.

Nell'ultimo decennio del sec. XVII si assistette, con turbamento, alle polemiche suscitate dalla spiritualità di M.me Guyon, i cui maggiori protagonisti furono Bossuet e Fénelon. E l'episodio conosciuto come il " semiquietismo francese ", concentrato sui problemi della contemplazione e dell'amore puro. Scomparsi dalla scena i maestri considerati i responsabili del q., un'abbondante letteratura poco originale si dedicò a combatterne gli errori o " eresie " lungo il sec. XVIII. Vincolato il q. alla mistica, o a fenomeni straordinari, questa rimase interdetta per molto tempo, più di un secolo.

Tranne casi isolati, il q. non giunse a sistema o credo dottrinale, né ad ampio movimento spirituale; fu fenomeno di gruppi ridotti; non superò i limiti di una tendenza o di un metodo. Andando alla radice del processo storico, si trattò di controbattere le due tendenze che dominavano il panorama della spiritualità cattolica nella metà del sec. XVI: la ignaziana e la teresiana. A questa conclusione è arrivata la storiografia più recente.

I contatti più diretti del q. con la mistica si devono individuare nella tendenza a favorire la fenomenologia straordinaria (visioni, estasi, ecc.), poco presenti negli scritti dei grandi protagonisti (anche se tra i detrattori malintenzionati), se non in altri punti più specifici come la concentrazione, quasi escludente, nella contemplazione e nei suoi effetti, cioè: conoscenza di Dio ogni volta più diretta, però meno distinta; amore di Dio, sempre più libero dal proprio sentimento; contatto con Dio ogni volta più profondo, però con atti meno percepibili; minore coscienza della propria vita virtuosa e maggiore indifferenza davanti alla ricompensa da parte di Dio.

Bibl.: M. Armogathe, Le quiétisme, Paris 1973; M. Bendisciolo, Der Quietismus zwischen Häresie und Ortodoxie, Wiesbaden 1964; P. Dudon, Le quiétiste espagnol Miguel de Molinos, Paris 1921; J. Grenier, Écrits sur le quiétisme, Quimper 1984; A. Huerga, Del Alumbradismo al Molinismo [sic], in Ang 67 (1990), 483-508; J. Orcibal, Documents pour une histoire doctrinale de la querelle du quiétisme..., Roma 1967; E. Pacho - J. Le Brun, s.v., in DSAM XII2, 2756-2842; E. Pacho, s.v., in DES III, 2111-2115; Id., De nuevo sobre el quietismo, in Monte Carmelo, 77 (1969), 191-199; Id., En torno al quietismo. Interrogantes y sugerencias, in Aa.Vv., Homenaje a Pedro Sainz Rodríguez, IV, Madrid 1986, 215-236; J. Paquier, Qu'est ce le quiétisme?, Paris 1910; M. Petrocchi, Il quietismo italiano del Seicento, Roma 1948; P. Pourrat, s.v., in DTC XIII2, 1537-1581; Y. Poutet, La querelle du " quietisme ". A propos de la " Correspondance de Fénelon ", in Divus Thomas, 90 (1987), 373-382; P. Zovatto, Intorno ad alcuni recenti studi sul quietismo, Venegono Inferiore (VA) 1968.

E. Pacho

QUOTIDIANO (MISTICA NEL). (inizio)

I. La situazione storica. La vita quotidiana, particolarmente nelle grandi città, è segnata spesso dall'ansia, dalla solitudine, dal rischio di alienazione. Lo sviluppo tecnico-scientifico che mette tanti mezzi a disposizione dell'uomo, ha tuttavia indebolito, in molti casi, il senso del mistero e impoverito i rapporti personali. L'uomo sente l'esigenza di ricuperare l'esperienza di Dio e un mondo più umano ed amichevole. Tuttavia, questa esigenza si esprime, non di rado, attraverso vie distorte quali le nuove forme di gnosi, di magia e l'insorgere di sempre più numerose sette.

L'esperienza mistica cristiana, e in particolare cattolica, non è esoterica, è sempre ancorata alla storia della salvezza, alla tradizione, alla fede della Chiesa. In questa prospettiva fare riferimento al q. implica mettere in luce il carattere ordinario dell'unione sempre più profonda dell'uomo con Dio quale sviluppo della grazia battesimale e la capacità che possiede il cristiano, proteso alla santità, di rapportarsi intimamente con Dio tramite le cose e le attività di ogni giorno, e di considerarle tutte, alla luce di Dio.

II. Alla presenza di Dio, secondo la Scrittura. Nella Bibbia già nei primi capitoli della Genesi appare la familiarità che Dio ha voluto stabilire con l'uomo. L'uomo vive alla presenza divina e Dio passeggia nel giardino alla brezza del giorno (cf Gn 3,8). Dopo il peccato, Dio viene sempre più incontro all'uomo e gli si rivela nella storia non solo come salvatore ma come guida, sostegno, amico (cf Es 33,7-11). In Mosè, la vicinanza di Dio giunge ad una singolare intimità (cf Nm 12,8; Dt 34,10) e Dio fa di lui il liberatore del suo popolo (cf Es 3,10-12) e il mediatore dell'alleanza (cf Es 20,2ss.). Il culto, l'adempimento della legge, il servizio reso ai poveri sono i mezzi dell'unione dell'uomo con Dio. Magia e divinazione si presentano come offesa e segni di sfiducia nei suoi confronti. Nel Cantico dei Cantici la profondità del rapporto fra Dio e l'uomo, simboleggiato dall'universale esperienza dell'amore umano, dona alla quotidianità dell'esistenza la pienezza della sua armonia e splendore. I profeti segnati dalla vicinanza del Dio che abita " nella nube " (cf 1 Re 8,12) richiamano Israele, malgrado i suoi tradimenti, all'intimità sponsale con Dio, vissuta nell'amore e nella fedeltà (cf Os 2,4) e svelano la sua misteriosa presenza nel cosmo e nella storia.

Nel NT l'unione dell'uomo con Dio raggiunge la sua massima espressione nel mistero dell'Incarnazione. In Cristo, Dio viene incontro all'uomo per attrarlo al " circolo vitale della Trinità " (J. Castellano) e trova in Maria colei che, lasciandosi inserire pienamente nel dinamismo trinitario, partecipa in ogni momento della sua esistenza all'opera redentrice del Figlio (cf Lc 1,41-45; 2,34-35 e 41-51; Gv 19,25). Il Vangelo di Matteo sottolinea che Dio è il Dio con noi (1,23) e rimane con noi fino alla fine dei tempi (28,20). Nella comunità riunita in nome di Cristo (18,20), nella frazione del pane e del vino (26,26), nei poveri e nei sofferenti (25,31) Dio si rende presente all'uomo. Per Luca, la sequela di Gesù si verifica nel q. e il cristiano deve prendere la sua croce ogni giorno (9,23). Giovanni mette in luce che i credenti in Cristo non sono tolti dal mondo (17,15) ma nel mondo sono chiamati a rimanere in lui come i tralci nella vite (15,1-8). La comunione dei cristiani con Cristo è talmente intima come quella che esiste fra lui e il Padre (17,21) e deve esprimersi attraverso la fede nel Figlio e l'amore fraterno (1 Gv 4,12.16). Chi osserva la parola di Gesù è amato dal Padre e Gesù promette la presenza di Dio in lui: " ...Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui " (Gv 14,23). Paolo sottolinea il rapporto di intima unione con Cristo attuata nel battesimo (cf Rm 6,3-5; Ef 2,5-6) e nell'Eucaristia (cf 1 Cor 10,6). La perfezione del cristiano non risiede in eventi o doni straordinari ma nella carità (cf 1 Cor 13) e nella partecipazione alla vita di Cristo, alle sue sofferenze, morte e risurrezione (cf Rm 8,17; Fil 3,10).

III. Il q. come " luogo teologico ". Il Concilio Vaticano II afferma la vocazione universale alla santità, cioè alla perfetta unione con Cristo " secondo lo stato e condizione propria di ciascuno " (LG 50) la quale si attua e si accresce nei sacramenti (SC 6-7), particolarmente nella partecipazione al sacrificio eucaristico (SC 10) e nell'imitazione di Cristo (LG 7). Nelle condizioni, gli impegni e le circostanze della vita quotidiana, il cristiano è chiamato a camminare sulla strada della carità in unione con Dio Carità e sull'esempio di Cristo a cooperare alla fraternità degli uomini e alla trasformazione del mondo (LG 38). L'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità partecipa all'unione delle Persone divine (LG 24) e tutte le attività temporali vivificate dallo Spirito diventano sacrificio spirituale gradito a Dio (LG 34). Il CCC ribadisce gli stessi principi (nn. 519-521; 1212; 1877-1878; 2012-2014) e afferma: " Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, infine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa... " (n. 521).

La teologia contemporanea, in quanto ha sottolineato la dimensione storica della salvezza e ha promosso il rinnovamento liturgico, ha riproposto i misteri di Cristo quali misteri del cristiano vissuti nei sacramenti ed esplicati nelle diverse dimensioni della vita interiore ed esteriore, singola e comunitaria. L'Eucaristia, in modo particolare, radica il cristiano nel Corpo mistico, lo addentra " negli ampi spazi della vita di Cristo " e tempra il desiderio di inserire " la propria vita personale nella grande opera del Redentore " (E. Stein).

Inoltre, la riflessione teologica sulle realtà terrene ha messo sempre più in luce la traccia della Trinità in tutte le cose della natura e la partecipazione alla stessa vita divina di tutte le attività e istituzioni che il cristiano promuove in conformità con il disegno di Dio (cf Ef 1,10). In questa prospettiva, il mistico supera ogni solitudine e alienazione e la sua vita sfocia nell'intima comunione con Dio e nella fratellanza con tutti gli uomini. Sull'esempio di Maria, lungi dal distaccarsi dalla vita quotidiana, egli s'impegna con ardente carità in tutte le opere terrene - non soltanto in quelle sacre ma anche in quelle cosiddette profane - per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime. Il q. si fa, per così dire, " luogo teologico ", cioè condizione storica vitale, privilegiata per coglier e vivere in sé e nell'intera creazione la presenza del Dio vivente, conferma goduta qui ed ora della mistica comunione con Dio Trinità d'amore.

Bibl. A. Ammassari, La vita quotidiana nella Bibbia, Roma 1979; Ch.-A. Bernard, Conoscenza e amore nella vita mistica, in La Mistica II, 253-293; J. Castellano, La mistica dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, in Ibid., 77-111; Id., Unione con Dio, in DES III, 2582-2588; H.D. Egan, K. Rahner, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 664-676; C. Marmion, Cristo vita dell'anima, Milano 1967; T. Merton, Semi di contemplazione, Milano 1965; A. Queralt, Contemplatívus in actione, in La Mistica II, 331-361; L. Regnault, Vita quotidiana dei Padri del deserto, Casale Monferrato (AL) 1994.

E.C. Rava

RACCOGLIMENTO. (inizio)

Premessa. Il r. è un'attitudine fondamentale della vita cristiana (cf Mt 6,6). La spiritualità non è mai venuta meno alla tematizzazione di tale esperienza, pur assumendo forme e itinerari culturali differenti.

I. Orientamenti. Considerando l'insieme della riflessione elaborata lungo i secoli, emergono sostanzialmente due orientamenti che, a nostro avviso, seguono, rispettivamente, i vettori classici e nuovi della teologia. Ne proponiamo una breve sintesi.

1. La teologia spirituale classica, informata per lo più dall'antropologia dualista, descrive il r. come capacità di entrare in se stessi e di liberarsi da ogni influsso o condizionamento esterno, al fine di concentrare l'attenzione in Dio solo, di entrare in comunione intima e personale con lui, e in lui ritrovare l'unità perduta.1 Il francescano Francesco di Osuna giustifica il r. a motivo degli effetti che produce sui credenti: unisce gli uomini che lo praticano, unifica in sé la persona, invita a ritirarsi in luoghi segreti, aiuta nel r. dei sensi, raccoglie e modera le membra corporali, attrae a sé le virtù, porta i sensi all'interno del cuore, raccoglie le facoltà nella coscienza in cui è impressa l'immagine di Dio, fa sì che la chiarezza divina si comunichi all'anima.2 La spiritualità classica distingue il r. attivo da quello passivo: nel r. attivo è dominante l'esercizio ascetico; 3 nel r. passivo, invece, è dominante l'iniziativa gratuita di Dio.4 Poiché il r. non è finalizzato a se stesso bensì a riscoprire la presenza di Dio nel " fondo " dell'anima; per la maggior parte degli autori spirituali esso è considerato una delle vie privilegiate alla contemplazione del Mistero: " Si chiama "orazione di raccoglimento" perché l'anima raccoglie le sue potenze e si ritira in se stessa con il suo Dio. Lì il suo Maestro divino si fa sentire più presto, e la prepara più prontamente ad entrare nell'orazione di quiete ".5

2. La spiritualità contemporanea, pur attingendo ai capisaldi della teologia classica, modula la riflessione su paradigmi di pensiero differenti. Fondamentalmente considera il r. nell'alveo della dimensione dell'interiorità, assunta nell'orizzonte di una visione antropologica unitaria, dinamica e acculturata. Tenendo conto della situazione culturale della nostra epoca, dominata dal primato della tecnologia e della soggettività, e sollecitata da una forte domanda di senso, la spiritualità contemporanea dispone l'interiorità e il r. a discernere il rischio sempre soggiacente della " privatizzazione " della fede e, nel contempo, a favorire l'integrazione autentica della identità della persona come essere aperto all'irruzione del Mistero e come " essere-per-l'altro ", capace cioè di stabilire un rapporto vero con la storia, con il mondo e con le cose.

Di qui l'emergere di una nuova sensibilità. Se la visione classica del r. segue il movimento di " estraneazione verso l'introversione ",6 la visione odierna non la rifiuta totalmente, ma la completa con il movimento inverso di " interiorizzazione verso l'estroversione ", dove la storia e il mondo, in quanto veri luoghi teologici, divengono anch'essi oggetto di interiorità, ovvero di quello sguardo di fede che sa cogliere nell'ambiguità degli eventi i cammini imprevedibili dello Spirito: " Fondati nel centro del nostro essere incontriamo un mondo dove ogni cosa si fonda parimenti in se stessa. L'albero diviene un mistero, la nuvola una rivelazione, l'essere umano un universo di cui solo a sprazzi cogliamo la ricchezza ".7

II. Modalità. Dal punto di vista della prospettiva esperienziale, la tematizzazione del r. è intesa prevalentemente secondo due modalità: come dinamismo dell'esistenza e come via pedagogica alla preghiera.

Vediamone i passaggi sostanziali.

1. Dinamismo dell'esistenza. " Il viaggio più lungo è il viaggio verso l'interno ", scrisse D. Hammarskjöld nel suo diario.8 E, infatti, il viaggio verso il centro, là dove la persona riscopre la sorgente delle sue relazioni con l'altro, con il mondo e con le cose; ritrova la sua vita unificata e divinizzata - in quanto tempio dello Spirito - nella presenza silente di Dio Trinità, in Colui che è il " Centro del centro ", la sorgente, la radice, la pienezza dell'essere.9

Nell'incontro silente con Dio Trinità, il credente, che ha dilatato il suo animo all'accoglienza dell'azione trasformante dello Spirito,10 apre la via dell'interiorità al valore della recettività come dimensione costitutiva della sua persona e del suo essere nel mondo, alla realtà della comunione ecclesiale come esperienza di salvezza con i fratelli nella fede e al valore dell'universalità come dialogo costruttivo con ogni autentico itinerario sapienziale verso la contemplazione del Mistero.

2. Pedagogia della preghiera. Tutta la tradizione spirituale attesta che la preghiera è uno dei luoghi privilegiati per la riscoperta dell'interiorità. Per giungere ad essa si indicano alcuni strumenti pedagogici: la cura del silenzio, dell'ascolto e della posizione del corpo; la ripetizione del Nome di Gesù modulata sul ritmo del respiro; la contemplazione delle icone; la percezione della presenza di Dio nei fratelli e negli avvenimenti. Al fondo vi è la coscienza che " non si impara nulla senza un po' di fatica. (...) Il Signore, volendolo, potrà innalzarvi a grandi cose, giacché scoprirà in voi la disposizione adatta, trovandovi vicine a sé ".11

In tutti i tempi, l'appello all'interiorità e al r. risuona come un'esigenza vitale per l'interiorizzazione dei valori della fede e per un'autentica esperienza personale di Dio. " Il cristiano del futuro - affermava profeticamente K. Rahner - o sarà un mistico o non esisterà affatto ".

Note: 1 Cf Gregorio Magno, Moralia, XXXI, 19; XXII, 6; 2 Cf S. López Santidrián, Recueillement. II. Dans la spiritualité classique espagnole, in DSAM XIII, 256; Id., La nozione di raccoglimento in Osuna, in Ch.-A. Bernard (cura di), L'antropologia dei maestri spirituali, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 195; 3 Cf Teresa di Gesù, Cammino di perfezione 28-29; 4 Cf Ead., Castello interiore IV, 3,2; Cammino di perfezione 30-31; 5 Ibid., 28,4; 6 Cf Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 12; 7 D. Hammarskjöld, Tracce di cammino, Magnano (BI) 1992, 209; cf Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 1982, 380-381; 8 Tracce..., o.c., 86; 9 Cf. Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore I, 13; 10 Cf Teresa di Gesù, Castello interiore IV, 3,9; G. Taulero, Sermone, 26; 11 Teresa di Gesù, Cammino di perfezione, 29,8.

Bibl. Ch.-A. Bernard, Il Dio dei mistici. Le vie dell'interiorità, Cinisello Balsamo (MI) 1996, 342-349; S. Biolo, Interiorità. Principio della filosofia, Genova 1992; G. von Brockhusen, s.v., in WMy, 450; A. Gentili - A. Schnöller, Dio nel silenzio. La meditazione nella vita, Milano 19927; Giovanna della Croce, s.v., in DES II, 1559-1562; B. Griffiths, Return to the Centre, London 1976; A. Martínez Cuesta - J. Poulenc, Recollezione, in DIP VII, 1322-1348; J. Moltmann, Esperienze di Dio: speranza, angoscia, mistica, Brescia 1981; J.-C. Sagne, Il segreto del cuore. Trattato di teologia spirituale, Padova 1994, 154-159; H.J. Sieben - S. López Santidrián, s.v., in DSAM XIII, 247-267; V. Truhlar, Via all'interiorità, in Id., Lessico di spiritualità, Brescia 1973, 712-714.

E. Palumbo

RAHNER KARL. (inizio)

I. Vita e opere. R. nasce a Freiburg, in Germania, nel 1904 e muore nel 1984. La sua opera teologica è molto feconda e valida. Insegna teologia ad Innsbruck, Monaco e Münster e tiene conferenze in tutto il mondo. La sua bibliografia è composta da quattrocento scritti (sono state stampate più di un milione di copie dei suoi tascabili) e da tre volumi di interviste televisive e radiofoniche. Inoltre, s'impegna in un lavoro editoriale monumentale, com'è attestato dall'edizione di enciclopedie teologiche e di libri in collaborazione. L'influenza di R. sul Concilio Vaticano II e la sua incidenza teologica sono molto significative tanto da essere giustamente definito il " motore discreto della Chiesa cattolica romana " e il " padre della Chiesa cattolica del sec. XX ". Si comprende perché questo semplice sacerdote gesuita sia molto noto come teologo profondo e altamente speculativo. Altrettanto adatto a R. è il titolo di Doctor mysticus, poiché egli è il teologo mistico più importante del sec. XX.

II. Dottrina. R. sostiene che l'esperienza umana più profonda è nella relazione con Dio il cui mistero, luce ed amore, avvolgono totalmente la persona. " In ogni essere umano, scrive R., c'è qualcosa che assomiglia ad un'esperienza di base anonima, atematica, forse repressa, di orientamento verso Dio, un'esperienza che è costitutiva dell'uomo nella sua concreta composizione (di natura e grazia), che può essere repressa ma non distrutta, che è "mistica", (o se si preferisce un termine meno compromettente), che ha il suo ambiente in quello che gli antichi Padri chiamano contemplazione infusa ". In questo modo, R. concepisce la persona umana come homo mysticus, come un mistico nel mondo, un essere estatico creato per arrendersi volontariamente e amorevolmente al Mistero che dona interamente se stesso a tutti e abbraccia tutti. Per R. l'esperienza in Dio forma l'ambiente, la risacca o il metabolismo spirituale di base della vita quotidiana. Tutto ciò a causa dell'autocomunicazione universale di Dio, una comunicazione che la persona umana deve liberamente accettare o rifiutare. Chiunque - perfino lo gnostico o l'ateo - viva morigeratamente, altruisticamente, onestamente, coraggiosamente e si ponga al servizio del prossimo, sperimenta la mistica del quotidiano. Accettare coraggiosamente e totalmente la vita e noi stessi, persino quando tutto intorno sembra crollare, è forse la prima esperienza mistica della vita quotidiana. Chiunque accetti la vita e se stesso in questo modo, accetta implicitamente anche il Mistero che riempie il vuoto sia di noi stessi, sia della vita. E, poiché la grazia di Cristo sostiene questa speranza contro ogni speranza, l'esperienza è, almeno anonimamente, cristiana, cioè si è cristiani di fatto se non di nome. Per questo motivo, R. concepisce l'autentica mistica come arrendevolezza alla profondità dell'uomo, alla profondità della vita, al mistero stesso. Tale arrendevolezza è nutrita con o senza tecniche di introversione, meditazione o contemplazione. Per R., Cristo è la parola mistica perfettamente incarnata, l'esempio principale di tutta la mistica autentica, perché la sua umanità appartiene così perfettamente a Dio da essere essa stessa l'umanità di Dio nel mondo. La croce di Cristo simboleggia per l'uomo la necessità di morire a tutte le cose create per appartenere al mistero della creazione. La risurrezione di Cristo simboleggia, invece, che il Mistero accetta e conferma quella totale arrendevolezza e che morire a se stessi e a tutte le cose create non è, in ultima analisi, assurdo, ma l'inizio della vita eterna. Grazie al suo profondo cristocentrismo, R. apprezza la dimensione sacramentale e incarnazionale della mistica cristiana. Infatti, egli stesso afferma che " si deve comprendere che nell'uomo terreno questo vuoto di sé non sarà soddisfatto praticando la pura interiorità, ma attraverso concrete attività che vengono chiamate umiltà, sacrificio, amore per il prossimo, croce e morte. Bisogna, infatti, discendere agli inferi insieme a Cristo. Occorre perdere la propria anima non direttamente per il Dio che è al di sopra di ogni nome, ma al servizio di qualche confratello ". Per R. esiste una dimensione mistica dell'amore umano poiché l'amore per il prossimo è amore per Dio. Inoltre, poiché sottolinea l'aspetto sia sociale che individuale della persona umana, R. sostiene che l'amore umano contiene una dimensione socio-politica, perciò scrive in modo convincente non solo sulla relazione solitaria di una persona con Dio, ma anche sulla relazione dei mistici con la teologia della liberazione e la teologia politica. Stimolato dalla " mistica di s. Ignazio sulla gioia del mondo " e dal bisogno di trovare Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio, la teologia mistica di R. contiene un intento rivelatorio sul mistero della sofferenza di Dio e dell'amore vittorioso in Cristo in ogni dimensione della vita umana. Nessun altro grande teologo contemporaneo ha scritto una " teologia delle cose quotidiane ", una teologia del lavoro, dei continui spostamenti, del riposo, del guardare, del ridere e del mangiare. I suoi libri di preghiera e sulla preghiera - per i quali è stato chiamato il maestro della preghiera del sec. XX - sviluppano tutti questi temi. R. non considera tutte le mistiche uguali, ma distingue accuratamente la mistica genuina di Dio dai misticismi più ambigui, ossia dagli automisticismi, dalla mistica della natura e della psiche. Nella mistica di Dio, la sempre presente esperienza in Dio viene purificata, intensificata e condotta ad un livello più alto di esplicitazione. Nell'automisticismo, la persona s'immerge nelle profondità misteriose della qualità spirituale dell'Io senza sperimentare Dio totalmente. Il misticismo della natura favorisce l'esperienza della propria unità " pancosmica " con il creato. Infine, il misticismo psichico tende ad un'esperienza intensificata dell'Es, degli archetipi e simili. R. parla di misticismo carismatico come di " un misticismo delle masse ", " un misticismo in abiti rozzi ". Più entusiastico e concreto del misticismo della vita di tutti i giorni, il misticismo carismatico ricorre più frequentemente al misticismo straordinario dei santi. Per R., il parlare in lingue, il curare le infermità, il profetare, il godere dell'esperienza della conversione ed altri doni carismatici esercitano un potere straordinario nell'intensificare la sempre presente esperienza personale di Dio e nell'approfondire la vita cristiana di fede, speranza ed amore. Per R. il misticismo dei grandi santi cristiani si trova nelle manifestazioni, psicologiche o parapsicologiche straordinariamente emozionanti, sperimentate nella fede, nella speranza e nell'amore che sono presenti in ogni vita cristiana. Infatti, " l'esperienza mistica, scrive R., non è specificatamente diversa dallo stato di grazia, ordinario in quanto tale ".

Bibl. Opere: La principale raccolta degli scritti teologici di Rahner è Schriften zur Theologie, voll. 14, Einsiedeln 1954-1979; tr. it. a cura delle ed. S. Paolo in successivi volumi che riprendono quasi tutti i saggi dell'ed. tedesca. La bibl. più completa degli scritti di Rahner si ha in R. Bleistein - E. Klinger, Bibliographie Karl Rahner, Freiburg i. Br. 1969, continuata da R. Bleistein per gli anni 1969-1974, Freiburg i. Br. 1974. Studi: Aa.Vv., La teologia contemporanea, Torino 1980, 416-419; H.D. Egan, The Devout Christian of the Future... Will be a "Mystic", in Aa.Vv., Theology and Discovery: Essays in Honor of Karl Rahner, S.J., Milwaukee 1980, 139-58; Id., What Are They Saying about Mysticism?, Mahwah 1982, 98-108; Id., The Mysticism of Everyday Life, in Formative Spirituality, 10 (1989)1, 8-26; Id., Karl Rahner, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 664-673.

H.D. Egan

RANCE ARMAND-JEAN LE BOUTHILLIER DE. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Parigi il 9 gennaio 1626, secondo maschio dei sei figli di Denis e Charlotte Joly. La famiglia gode dei favori della corte e Richelieu ( 1642) è suo padrino di battesimo e gli dà il suo nome. Destinato alla carriera militare, la sua vita subisce un vero sconvolgimento quando, per la morte del fratello maggiore, il padre lo obbliga a intraprendere la carriera ecclesiastica contro la sua volontà. Si trova a undici anni canonico di Notre Dame di Parigi e commendatario di cinque benefici tra cui l'abbazia della Trappa. Viene ordinato sacerdote nel 1651. Compie studi brillanti e diviene dottore in teologia nel 1654 alla Sorbona. Lo zio, arcivescovo di Tours, lo vuole suo arcidiacono e nel 1656 viene nominato cappellano di Gaston d'Orléans. Nel 1657 la sua carriera viene interrotta dal rifiuto di Mazzarino ( 1661) di nominarlo coadiutore dello zio a Tours. Si rifugia, allora, nel suo castello di Veretz dove vive alcuni anni come eremita sotto la guida spirituale degli Oratoriani di Parigi. Si disfa dei suoi vari benefici e si ritira alla Trappa nel 1662, chiedendo l'abito cistercense. Nel settembre 1664 i suoi superiori lo inviano a Roma in missione per curare gli interessi della Stretta Osservanza. Da questo momento si consacra alla riforma della sua abbazia pur continuando, fino al 1675, a difendere la stretta osservanza. Numerose abbazie maschili (Sept-Fons, Orval, Tamié, Châtillon e Perseigne...) e femminili (Clairets, Maubuisson...) ne praticano la riforma. Muore nel 1700.

Fra la numerose opere riguardanti Costituzioni, Regolamenti, Commento alla Regola di s. Benedetto, ecc... ricordiamo il suo capolavoro: De la sainteté et des dévoirs de la vie monastique (2 voll., Paris 1683). Quest'opera rappresenta il lavoro di quasi vent'anni e, secondo quanto dice lo stesso R., la sintesi del suo insegnamento. Altrettanto importanti le sue numerosissime lettere: Lettres de piété (2 voll. Paris 1701 e 1702); Lettres, Paris 1846; Correspondence, 4 voll., Paris 1992. Di importanza particolare ancora: Relations de la mort de quelques religieux de l'Abbaye de la Trappe (Paris 1678, ultima edizione 1755 con l'aggiunta della morte di R.).

II. Dottrina spirituale. Dopo la sua conversione, R. si rifece ai Padri del deserto e in primo luogo a Giovanni Climaco ( 649 ca.). Per quanto possibile nel sec. XVII, fece della Trappa l'immagine fedele della vita monastica dell'età d'oro della Tebaide o del Sinai. La sua fu una spiritualità pratica, vissuta e non solo astratta o teorica. Il senso di colpa e il desiderio di penitenza che avevano segnato la sua conversione lo seguirono per il resto della sua vita, tuttavia questo costante desiderio di penitenza maturò nel tempo e via via che la grazia trasformava la sua vita ne spostò anche l'accento su aspetti spirituali più interiori. I monaci suoi ’fratelli', come egli li chiamava, ebbero un'importanza grandissima nel compimento della riforma e nella realizzazione di quel connubio felice fra spiritualità del deserto e Regola di s. Benedetto che fu la vita della Trappa. Umiltà, distacco, rinnegamento di sé, intensa penitenza e, per i monaci, vita fraterna comunitaria, furono considerati i mezzi più efficaci per giungere alla perfezione dell'amore di Dio e del prossimo. A questo punto è però importante sottolineare che l'amore inteso come carità fu la caratteristica dominante nella spiritualità di R., ciò che diede senso e valore a tutto il resto. Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno dall'eccessiva importanza data all'aspetto penitenziale della vita trappista, egli stesso affermò: " La penitenza non è altro che la conformità del nostro cuore a quello di Dio, essa richiede una totale abnegazione di noi stessi " riconducendo così l'ascesi all'interno della persona, soprattutto alla purificazione del cuore. Come abbiamo detto, la vita e la grazia maturarono molto l'entusiasmo dei primi tempi e condussero il riformatore a una grande serenità ed equilibrio, aspetti che la sua corrispondenza mette bene in evidenza. La preghiera divenne sempre più " nutrimento dell'anima " luogo in cui ognuno si esprime nel modo più vero. " Abbiate cura particolare di purificarvi con la preghiera. Fate che essa sia il grido e la voce del vostro cuore. Fate che lo Spirito Santo la formi lui stesso... " E ancora: " Dovete domandare a Dio quella santa infanzia che rende coloro ai quali egli la dona incapaci di dire, di pensare o di fare il male... "

Fortemente cristocentrica, la vita che si conduceva alla Trappa, sotto la guida di R., fu l'espressione luminosa di un cristianesimo forte nelle sue scelte e, aspetto molto importante in epoca di giansenismo, assolutamente fedele a Roma e alla gerarchia.

Bibl. A. Aubry, La conversion de Monsieur de Rancé, in Collectanea Cistercensia, 25 (1963), 192-205; Id., A la recherche du vrai portrait de Rancé, in Cîteaux, 23 (1972), 171-208; Id., Les Pères des déserts à la Trappe, in Cîteaux, 32 (1981), 167-214; G. de Bellaing, Le vrai visage de la Trappe, Paris 1982; H. Bremond, L'abbé Tempête, Paris 1929; A.M. Caneva, Il riformatore della Trappa, Roma 1996; F. van Haaren, s.v., in DES III, 2124-2126; A.J. Krailsheimer, s.v., in DSAM XIII, 81-90; Id., Rancé Abbot of la Trappe, Oxford 1974; Id. Rancé and the Trappist, Kalamazoo 1985; Ch. Waddel, La simplicité chez l'abbé de Rancé, in Collectanea Cistercensia, 41 (1979), 94-106.

A.M. Caneva

REDENZIONE. (inizio)

Premessa. Il tema della salvezza è il centro di ogni religione, ne specifica la forma e i contenuti, fino a definire lo scopo della stessa religione.1 Per questo motivo, nella proposta concreta della via o traguardo di salvezza per l'uomo, batte il cuore vivo di ogni religione. Infatti, " ciò che diversifica le religioni è il tipo di relazione che esse stabiliscono con l'Assoluto e l'uomo, il tipo di " salvezza " che offrono; mentre i riti e le pratiche presentano spesso un'analogia formale (preghiera, offerta, sacrificio, iniziazione, ecc.); l'analogia della forma acquista un " significato diverso secondo la concezione della salvezza ".2 Gli studiosi della fenomenologia religiosa distinguono tre grandi filoni di salvezza proposti dalle diverse religioni del mondo, antico o recente: " salvezza del cosmo " (antiche religioni mesopotamiche), " liberazione dal tempo ciclico " (religioni asiatiche), " partecipazione alla vita divina " (religioni monoteistiche).

I. Nella tradizione biblica e cristiana la salvezza è essenzialmente un dono di Dio all'uomo peccatore e mortale, separato da Dio, diviso in se stesso, alienato dal prossimo e dal mondo. Ma l'uomo moderno, soprattutto dell'Occidente, il quale vive in una cultura della crisi, segnata dal secolarismo, dal consumismo e persino dal nichilismo, sembra poco sensibile al tema pur centrale della salvezza nel tempo presente e nella dimensione escatologica. Più che attendere da altri, da Dio, il dono della salvezza, l'uomo spesso pretende di salvarsi da solo, con le sole sue forze, oppure facendo ricorso a mezzi di surrogato religioso (magia, superstizione, spiritismo, ecc.).

Alla crisi della cultura contemporanea e anche alle sfide delle altre religioni del mondo il cristianesimo risponde testimoniando che la salvezza definitiva viene solo da Dio, Creatore e Padre misericordioso il quale ci ha salvato una volta per tutte con il sacrificio del proprio Figlio Gesù Cristo, l'unico Redentore dell'uomo (Redemptor hominis), il Salvatore universale. Come testimonia l'apostolo Paolo, " uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti (antìlytron hyper pantôn) " (1 Tm 2,5-6). Ossia egli si è sacrificato e donato " per noi ", " in nostro favore ", " al nostro posto ", come il " buon pastore [che] offre la vita per le pecore " (Gv 10,15). Perciò, da quando " è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini ", il cristiano vive e soffre, opera e spera " nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore (sôter) Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi (hyper hemôn), per riscattarci (lytrôsêtai) da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga " (Tt 2,14). L'ambito negativo (terminus a quo), da cui il Cristo ci ha redento, è la condizione radicale di perdizione eterna, di separazione da Dio e di morte, dovuti al peccato (originale e attuale). Soddisfacendo per noi con la sua passione e col sacrificio della sua croce, Gesù ci ha trasferiti nella condizione di una nuova alleanza tra Dio e l'uomo, nella sfera (terminus ad quem) di figli eletti del Padre. Il perdono di Dio, ottenuto e concesso attraverso Gesù Cristo, è lo strumento di questo passaggio dell'uomo redento dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, dalla condizione di schiavitù a quella di figli di Dio. La r., pur dono gratuito di Dio offerto alla libertà dell'uomo, non è qualcosa di " estraneo " alla natura umana, ma ne costituisce il fondamento indispensabile per un pieno senso della vita, per una piena umanizzazione dell'uomo, fino alla sua santificazione in Dio, per mezzo di Dio.

Il termine " r. " (redemptio) viene dal latino redimere (re ed emere), che significa affrancare, liberare, quindi, riscattare qualcuno dalla schiavitù mediante il pagamento di denaro. La nozione di " r. " (lytrosis o apolytrosis) o di " riscatto " (lytrosis) è espressa nel NT con altri termini indicanti " acquisizione " (peripoiesis) o " compera " (agorazein).3 Di Gesù redentore, Agnello pasquale, che siede sul trono di Dio, è detto nell'Apocalisse: " Tu hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti " (Ap 5,9-10).

Il NT, parlando dell'opera della r. dell'uomo e del mondo, compiuta dal Cristo con la sua passione, morte e risurrezione, echeggia direttamente il vocabolario dell'AT sulla " liberazione " divina ed indica che la missione salvifica di Gesù, il Messia della croce, è in continuità con l'azione salvifica di Dio, iniziata soprattutto con la grande liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù in Egitto (Esodo), liberazione culminata nell'alleanza sinaitica. Attraverso l'uso frequente dei termini indicanti liberazione e riscatto, quindi r. (ga'al e padah), Dio entra nella storia della salvezza come il gô'êl, il Liberatore, cioè Colui che riscatta un popolo di schiavi per farne il popolo " eletto ", " santo ", " consacrato " a Dio (Es 6,6-7).4 Dio però salva gratuitamente e senza dover pagare alcun riscatto a nessuno (cf Is 52,3). Egli redime unicamente perché ama (cf Is 48,11; 49,15). A Dio, suo Liberatore o Vendicatore (gô'êl), Giobbe, pur duramente provato nel corpo e nell'anima, eleva il suo commosso atto di fede e di abbandono (cf Gb 19,25).

III. BLa nostra r. Dall'Incarnazione alla croce e risurrezione, Gesù Cristo ha compiuto l'opera della nostra r., liberandoci dal peccato e dalla morte, dominio di satana e schiavitù dell'uomo, per costituirci nuove creature, eredi del regno di Dio, partecipi della vita eterna e beatificante di Dio. Ma anche il Redentore Gesù, già come JHWH il Liberatore (gô'êl) - rilevava s. Tommaso d'Aquino - non ha realizzato la r. dell'uomo " pagando del denaro o qualcosa di simile, ma dando per noi ciò che aveva in sommo grado, ossia [offrendo] se stesso ". Il prezzo della nostra r. è il sangue di Cristo che egli ha offerto a Dio Padre. Per questo bisogna dire che " è proprio del Cristo in quanto uomo essere in modo immediato il Redentore, anche se la stessa r. può essere attribuita a tutta la Trinità come a causa prima ".5 L'atto definitivo della r. del Cristo, di valore universale ed eterno, è la sua oblazione libera, compiuta per amore del Padre e per amore nostro, nella sua passione e morte di croce. Perciò, la passione di Cristo, che è stata un " vero sacrificio ", " è detta la nostra r. "; e il sangue che Cristo ha versato sulla croce " è il prezzo della nostra r. ".6 Nel suo dono d'amore fino al sacrificio supremo di sé (cf Gv 13,1), il Cristo è stato nello stesso tempo sacerdote e vittima, offerente e offerta sacrificale.

Tutta la vita di Gesù è un cammino verso la croce e si snoda sotto il deî del Padre, la " necessità " di compiere - con amore e obbedienza filiale - il disegno del Padre, per la salvezza del mondo.7 Già il nome di Gesù significa " JHWH salva " (Jehoshû'a). La sua venuta nel mondo e la sua nascita sono annunciati come dono di salvezza: " Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati " (Mt 1,21). La morte di croce e la risurrezione di Gesù - come testimonia il più antico kerygma cristiano - sono state comprese e annunciate come l'evento salvifico fondamentale, " che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture " (1 Cor 15,2). Tutto il mistero di Gesù Cristo, quindi, in quanto è il Verbo di Dio divenuto uomo (cf Gv 1,14) - dall'Incarnazione appunto alla croce fino alla risurrezione gloriosa, - è stato evento di salvezza e di r. per tutti gli uomini. Mori missus, " mandato per morire ", scriveva Tertulliano.8 Anche tutta la patrologia greca, contrariamente a quanto viene spesso affermato superficialmente, è unanime nell'affermare che il Verbo di Dio si è fatto carne per morire sulla croce e così attuare la r. del mondo. " Ciò che non è stato assunto non è stato redento " (quod non assumpsit non redemit), è il ritornello dei Padri greci, significando, positivamente, che il Cristo ha redento con la sua croce tutta l'umanità fatta propria già con l'incarnazione del Verbo. Incarnazione e mistero pasquale costituiscono, perciò, un unico grande evento di rivelazione di Dio e di salvezza dell'uomo, realizzato dall'uomo Gesù, il Figlio di Dio.

Quest'ordinamento salvifico del mistero di Cristo, dall'Incarnazione alla croce, è messo ben in luce fin dall'inizio del quarto Vangelo, dove si afferma: " Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare [sottinteso: alla morte di croce] il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui " (Gv 3,16-17). La croce sarà anche " giudizio " tra credenti e non credenti, tra chi, nella fede, accetta il dono della r. e chi, non credendo, lo rifiuta e perciò si autocondanna.

Ma lo stesso Gesù storico, anteriormente all'istituzione dell'Eucaristia, spiegazione anticipata del significato oblativo della sua prossima morte sulla croce, ha compreso la sua persona, la sua vita e la sua missione come " riscatto " o r. Già all'inizio della sua vita pubblica, presentandosi come Messia ai concittadini di Nazaret, Gesù specifica il senso redentore e liberatorio della sua opera messianica: " Lo Spirito del Signore... mi ha mandato... ad annunciare ai prigionieri la liberazione... a rimandare in libertà gli oppressi " (Lc 4,18-l9). Questa coscienza della finalità redentrice di tutta la sua vita Gesù la manifesta visibilmente al centro della sua missione: " Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto [con l'incarnazione] per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto (eis lytron) per molti " (Mc 10,45; Mt 20,28), ossia per tutta l'umanità; " Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto " (Lc 19,10). Il perdono ai peccatori, la guarigione di ogni sorta di malati, la risurrezione dei morti - tutti doni e " segni " compiuti dal Cristo nella sua storia concreta - sono già nella scia della r. positiva che egli avrebbe compiuto sulla croce a beneficio dell'umanità intera: " Io, quando [sulla croce] sarò elevato da terra, attirerò tutti a me " (Gv 12,32).

Il significato sacrificale, quindi redentore e " vicario " della propria morte di croce, Gesù lo anticipa già nell'istituzione dell'ultima cena, offrendo agli apostoli il proprio corpo e il proprio sangue sotto le specie del pane e del vino - con le parole che accompagnano e spiegano il dono: " Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me... Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi "; " fate questo ogni volta che bevete, in memoria di me " (Lc 22, 19 e par.; 1 Cor 11,24-25). Il " corpo spezzato " e il " sangue versato " sulla croce sono stati l'offerta definitiva di Gesù, il Figlio di Dio, per amore del Padre e per la r. dell'uomo. Il perdono, che il Crocifisso offre ai suoi stessi crocifissori, è il sigillo definitivo della r. interiore e radicale che Gesù ha voluto portare a compimento (Lc 23,34). Soprattutto ai credenti in Cristo è affidato il compito di fare realmente " memoria " della sua r., sia con la celebrazione dell'Eucaristia, rinnovazione sacramentale del sacrificio della croce, sia testimoniando con la fede e con la effettiva solidarietà universale il Vangelo della r., unica strada per entrare in intimo contatto con il Padre di ogni misericordia per la forza dello Spirito.

Note: 1 Cf M. Dhavamony, Phenomenology of Religion, Rome 1973, 291; 2 H. Rousseau, Les religions, Paris 1971, 69; 3 Cf Lyo-lytron, in GLNT VI, 883-942; 4 Cf Q'l redimere, in E. Jenni - C. Westermann, DTA I, 332-341; pdh redimere, liberare, in Ibid., II, 350-366; 5 STh III, q. 48, aa. 4 e 5; 6 Ibid., q. 48, a. 4 ad 3; 7 H.U. von Balthasar, Mysterium paschale, in J. Feiner e M. Löhrer (cura di), Mysterium salutis, VI, Brescia 1971, 236-288; 8 De Carne Christi, VI, 6: PL 2, 764.

Bibl. E. Beaucamp, Alle origini della parola " redenzione ". Il " riscatto " nell'Antico Testamento, in Bibbia e Oriente, 21 (1979), 3-11; F. Bourassa, Redenzione e sacrificio, Città del Vaticano 1989; F.X. Durwell, La résurrection de Jésus, mystère de salut, Le Puy 1955; G. Iammarrone, Redenzione, Cinisello Balsamo (MI) 1995; J.H. Nicolas, Guéris par le plaies du Christ resuscité, in VieSp 133 (1979), 711-726; Philippe de la Trinité, s.v., in DES III, 2134-2137; Id., La redenzione con il sangue, Catania 1961; L. Richard, Le mystére de la rédemption, Tournai 1955; L. Sabourin, Il sacrificio di Gesù, in Bibbia e Oriente, 10 (1968), 25-37; B. Sesboué, s.v., in DSAM XIV, 215-283.

G. Marchesi

REDI MARGHERITA (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Teresa Margherita del S. Cuore di Gesù (Anna Maria Redi), nasce ad Arezzo dalla nobile famiglia Redi il 15 luglio 1747. Formata ad un profondo spirito di pietà, fin da bambina manifesta una singolare inclinazione al raccoglimento e alla preghiera che si accentua negli anni trascorsi nell'educandato benedettino di S. Apollonia in Firenze, dove riceve una discreta istruzione liturgica, mentre la sua vita spirituale si approfondisce nella pietà eucaristica e mariana e nella devozione al S. Cuore di Gesù, cui la va formando suo padre, uomo di profonda vita spirituale. Il 1 settembre 1764 entra nel Carmelo di Firenze, dove in soli cinque anni di vita religiosa raggiunge i più alti gradi della contemplazione, manifestando di aver saputo assimilare in pienezza la spiritualità del Carmelo. Muore il 7 marzo 1770.

II. Dottrina mistica. Una domenica dopo l'epifania del 1767, quando durante l'ufficiatura di Terza, R. sente scandire dall'ebdomadaria il versetto paolino: " Deus charitas est et qui manet in charitate in Deo manet et Deus in eo ", segna l'inizio della sua esperienza mistica. Per più giorni la santa va ripetendo tra sé queste parole ed anche il suo atteggiamento esterno manifesta come l'azione dello Spirito Santo abbia, da quel momento, preso il sopravvento in lei. Non va dimenticato che il periodo mistico di Teresa è stato preceduto da intensi anni di lavoro ascetico, inziato fin dal primo momento in cui ella ha una distinta conoscenza di Dio, maturato negli anni di educandato e sbocciato in pienezza nel Carmelo teresiano, soprattutto nei primi due anni e mezzo di vita religiosa. Il suo sforzo è quello di realizzare nella vita quotidiana un'altra parola dell'Apostolo: " Vita vestra est abscondita cum Christo in Deo " e nell'umile servizio di infermiera alle consorelle anziane e malate, ella ha concretizzato questo nascondimento. L'amore a Gesù Eucaristia e la devozione al S. Cuore intesi " come un riamare... il principio di chi tanto ci ha amato ", mentre si inseriscono perfettamente nell'atmosfera di vita carmelitana, rendono R. sempre più aderente alla sua vocazione contemplativa, trasportandola dalla meditazione della vita interiore dell'anima umana di Gesù all'esperienza del mistero del Verbo nel seno della Trinità.

La R., sotto il tocco dello Spirito Santo, avverte sperimentalmente cosa significhi " essere amati divinamente, amare divinamente Dio ". Ai momenti sublimi in cui ella sente di amare Dio con il suo stesso amore, subentra ben presto una fase di grande aridità: il tormento di non sapere più amare nel modo in cui ha intuito di potere e dovere amare il Signore, in quegli istanti. Brevi sono i sollievi che le arrecano le parole del suo direttore spirituale; " la pena mortale di amare ", come la definisce lo stesso padre spirituale: " amare senza credere di amare " 1 diventa, sulla fine della sua vita, un vero martirio che trasformerà ogni sua giornata in eroismo di carità con cui ella cerca di rispondere all'amore del suo Dio.

Gli ultimi tre anni della sua vita, a partire dagli esercizi privati del 1768, sono tutti appassionatamente tesi a corrispondere fedelmente alla volontà di Dio che, infiammandole passivamente l'anima, l'attira a sé in modo intimo e nascosto. Ella appare " indifferente a tutto ", anche al dover tralasciare gli esercizi di pietà per servire le ammalate, mentre " prima si vedeva che le serviva di pena ".2 Ella non vive che della volontà divina; non le resta che andare incontro al Maestro interiore predisponendosi alla sua azione, come scrive nei propositi di quegli esercizi del 1768: andare a Dio con quanto più amore le è possibile, " devo rendere amore per amore "; in un abbandono totale, " in Voi mi rilascio acciò solo Voi operiate in me "; e, arrivata al sommo dello slancio, prendere coscienza della propria piccoleza e invocare l'aiuto divino, " Mio Dio, Voi bene sapete che mi trovo in uno stato in cui ho gran bisogno del vostro speciale aiuto " e offrirsi di nuovo tutta e senza condizioni all'azione dell'amore, " solo Voi da qui avanti avete da essere il dominatore di questo mio cuore... desidero amarvi con amore paziente, con amore morto, cioè tutto rilassato in Voi, con amore operativo... amore perseverante ".

A questa divina consumazione ella si abbandona togliendo ogni ostacolo che possa impedire l'invasione dell'amore nell'anima sua e cioè ricopiando in sé le virtù del Cuore di Cristo e offrendosi senza riserve al suo amore consumante: " Altro non bramo che essere una vittima del S. Cuore vostro, consumata tutta in olocausto col fuoco del Vostro santo amore ". Sa bene che " il centro e la vita sostanziale di quel santo amore di cui divampa e desidera ardere sempre di più " 3 è lo Spirito Santo; per questo lo invoca incessantemente, perché non sia " mai ozioso nel suo cuore ", ma vi accenda e vi dilati sempre più la sua carità.4

La sua intima unione con Dio amore è ormai ininterrotta; giunta allo stato di perfetta pacificazione interiore anche le cose più penose e la stessa sofferenza interiore di non sapere amare, non intaccano la sua pace, mentre la sua carità verso le consorelle, specialmente le ammalate, diventa sempre più eroica. Il martirio d'amore, è, come dice il suo padre spirituale, la più autentica causa della sua morte,5 poiché è giunta allo stato perfetto di vittima di carità immolata dal Fuoco consumante a cui ha abbandonato, nel silenzio e nel nascondimento, tutta la sua vita. Si può, dunque, parlare per lei di una vera e propria mistica d'amore vissuta " nascosta con Cristo in Dio " (Col 3,3), raggiunta al vertice dell'unione contemplativa ove fiorisce la vita trinitaria nel segno di una fede pura attraverso il pieno sviluppo delle virtù teologali.

Note: 1 Processo Ordinario, 1210, 1211; 2 Ibid., 1749; 3 Ibid., 1408; 4 Ibid.; 5 Ibid., 1211.

Bibl. Aa.Vv., S. Teresa Margherita del Cuore di Gesù (Redi), formazione, spirito, scritti, in RivVitSp 24 (1970), tutto il numero; E. Ancilli, Teresa Margherita del S. Cuore, in BS XII, 423-427; G. von Brockhusen, s.v., in WMy, 434-435; Ermanno del SS. Sacramento, Ricerche bibliografiche su S. Teresa Margherita del S. Cuore di Gesù, in EphCarm 10 (1959), 408-412; Gabriel de sainte Marie-Madeleine, Du Sacré-Coeur à la Trinité. Itinéraire spirituel de la S. Thérèse Marguerite du Coeur de Jésus, in EphCarm 3 (1949), 227-296; Id., La vocazione straordinaria della santa, in EphCarm 4 (1950), 568-623; Id., La spiritualità di s. Teresa Margherita Redi. " Abscondita cum Christo in Deo ", Firenze 1950; Ildefonso di S. Luigi, Relazione sulla vita e le virtù di s. Teresa Margherita Redi del 1773, in EphCarm 4 (1950), 519-568; G. Papasogli, S. Teresa Margherita Redi, Milano 1958; Redento del Preziosissimo Sangue, Servire e testimoniare, in RivVitSp 24 (1970), 35-48; E. Zambruno, s.v., in DSAM XV, 674-678.

F. Consolini

RELIGIOSITÀ POPOLARE. (inizio)

I. I termini. La ricerca moderna sul fenomeno religioso ha ampiamente identificato, nella realtà delle grandi religioni istituzionalizzate, l'esistenza di una modalità particolare dell'esperienza religiosa, che viene comunemente indicata con l'espressione: religiosità popolare. Nell'ambito più specifico della ricerca socio-religiosa si analizza con crescente interesse una vasta gamma di " agenzie " di socializzazione, presenti nell'universo cristiano-cattolico, che appaiono direttamente legate a questa espressione particolare del comportamento religioso. Sono associazioni e confraternite di devozione, sono costumi e tradizioni religiose, credenze e pratiche rituali. Un insieme di realtà e di attività di gruppo che si colloca, a pieno titolo, nell'ambito della fenomenologia del comportamento religioso umano, ma che non costituisce una religione a parte, contrapposta o estranea alla religione ufficialmente stabilita. Si tratta piuttosto di una modalità di comportamento religioso e di uno spazio socio-ecclesiale distinto e complementare a quello istituzionale. In esso i contenuti di fede (mito e dottrina) e le attività rituali assumono una fisionomia e una dinamica differente.

Il termine " popolare " si riferisce esplicitamente ai soggetti propri di questa esperienza religiosa. Esso non implica necessariamente una designazione " classista ", come se r. fosse propria ed esclusiva delle classi subalterne, religione dei poveri, degli oppressi, di coloro che occupano gli ultimi gradini della scala sociale. Si tratta piuttosto di una designazione di contenuto socio-ecclesiale: r. perché propria, anche se non esclusiva, della " base ecclesiale ", cioè di coloro che nella comunitàChiesa non sono né gerarchia né " professionisti del sacro ". E si tratta anche di una designazione di valore cultural-religioso: r. come universo di espressioni religiose estensive ed applicative dello schema dei contenuti mitico-dottrinali, dei comportamenti rituali e dei ruoli sacri propri della religione istituzionale. La r. si pone, quindi, normalmente come una dimensione distinta, per certi aspetti più ampia e culturalmente più ricca, di quella stessa esperienza religiosa che si trova veicolata nella religione istituzionale.

Nell'ambito della tradizione religiosa plurisecolare del cattolicesimo, la r. si rivela, inoltre, come uno spazio privilegiato di fioritura della dimensione mistica dell'esperienza religiosa cristiana. Ed è questo aspetto che ci interessa qui mettere in luce.

II. Significato e caratteristiche della r. Il fenomeno r., pur riconosciuto nella sua esistenza e diversità sin dall'inizio della ricerca moderna sulla religione, solo di recente è fatto oggetto di attenzione esplicita da parte degli studiosi del fenomeno religioso. Nell'ambito della ricerca socio-religiosa si è rilevata così l'alterità della r. rispetto alla religione " ufficiale ", a partire da una serie di caratteristiche e di dinamiche che le sono proprie.

Per quel che riguarda le caratteristiche in rapporto a mito religioso e dottrina, nella r. si registra la tendenza ad ampliare lo spazio ed il ruolo del mito come " storia sacra fondante ", trasmesso e celebrato nell'ambito della religione istituzionale. Questo, come espressione dell'esigenza di accrescere ed approfondire l'esperienza della realtà trascendente (esperienza del sacro), che costituisce l'oggetto proprio di quella determinata fede religiosa. Nella r. si rilevano anche una relativa libertà ed estraneità in rapporto ai contenuti della dottrina religiosa stabilita, che di solito rimangono nella sfera di competenza e di controllo dei rappresentanti della religione istituzionale. Essa si sviluppa, quindi, di preferenza attorno alla evocazione del mito religioso e rimane relativamente estranea in rapporto alla dimensione più razionale del sistema dottrinale stabilito.

La r. si caratterizza in modo tutto speciale nell'ambito della dimensione rituale del fenomeno religioso. La ritualità della r. si concretizza, infatti, come esperienza religiosa fortemente coinvolgente e partecipativa dell'individuo e del gruppo. Un'attività rituale che si concepisce come reiterazione della presenza del sacro, attraverso la riproduzione dell'evento " mitico ". Essa determina così per il credente e per il gruppo religioso un'esperienza forte di contatto unitivo con la realtà trascendente e anche la possibilità di un intervento attivo su tale realtà. Nella r., quindi, il rito non è mai semplice approccio conoscitivo o azione evocativa di un evento sacro del passato. Esso è sempre esperienza rinnovata della presenza trasformante e benefica del sacro. Tutta la dinamica dell'evento cultuale della r. (pellegrinaggio, impetrazione, rievocazione, offerta, ecc.) tende a favorire questa esperienza religiosa forte, sia a livello individuale che di gruppo. Nella r. si riscontra l'esistenza di una vasta gamma di celebrazioni rituali che si svolgono in genere come estensione, e in parte anche come sostituzione, delle attività rituali fissate nella religione ufficiale. È questo fatto oggettivo che induce a distinguere la r. come tipo di esperienza religiosa differente rispetto a quella che è normalmente veicolata attraverso le espressioni e strutture della religione istituzionale.

Tale " alterità " della r. si rende, infine, particolarmente evidente nell'ambito della dimensione organizzativa propria di ogni esperienza religiosa. Attorno ed in funzione della r. si stabilisce normalmente una ricca tipologia di raggruppamenti umani e di espressioni cultuali: è la variopinta realtà di confraternite e movimenti di devozione popolare, di feste, pellegrinaggi, tradizioni, leggende e segni simbolici, espressioni linguistiche, proverbi popolari, ecc., che tanta parte hanno nella configurazione culturale propria dei nostri paesi di tradizione cattolica. Un universo, ad un tempo culturale e religioso, che si colloca accanto all'universo istituzionale della religione ufficiale. Una specie di religione e di chiesa " parallela ", con un suo tipo di " gerarchia " e di organizzazione di carattere eminentemente " laicale ".

È nell'ambito di queste modalità e contenuti propri della r. che sono fioriti i " casi " e le " tipologie " più significative dell'esperienza mistica, nella tradizione cattolica.

III. La r. come spazio privilegiato della esperienza mistica. Gli elementi di analisi sulle caratteristiche peculiari della r. che ci vengono offerti dalle scienze umane in genere e dalla sociologia e psicologia della religione, in particolare, offrono elementi di conferma per la tesi della r. come terreno privilegiato di fioritura della ricca tipologia delle esperienze della mistica cristiana e cattolica, quale ci è dato conoscere dall'agiografia e dalla storia della spiritualità.

Anzitutto a livello dei contenuti o " oggetti " propri della r. e dell'esperienza mistica. Si può constatare facilmente come gli " oggetti del sacro " attorno a cui si sviluppa la r. coincidano con gli oggetti del sacro tradizionali nella tipologia dell'esperienza mistica cattolica.

Tra di essi appaiono centrali l'evento e l'esperienza cristica: la persona di Cristo, come manifestazione piena della presenza e del progetto salvifico divino (manifestazione del sacro) e come spazio " sacrale " in cui si realizza l'incontro dell'uomo con la realtà trascendente (comunione con il sacro). Tanto la r. come l'esperienza mistica si articolano concretamente attorno al mistero di Cristo e nell'esperienza unitiva con Cristo, quale oggetto centrale, costitutivo del rapporto con il sacro. Ed i diversi momenti dell'evento cristico divengono oggetto molteplice proprio di ambedue queste espressioni dell'esperienza religiosa. Il Bambino Gesù di Betlemme, il Cristo della passione, il Cristo dell'Eucaristia: tre momenti dell'evento cristico che nella tradizione sono oggetto privilegiato tanto della r. come dell'esperienza mistica. La r. ha fatto di questi momenti del mistero cristiano uno spazio concreto, singolarmente creativo, per la propria oggettivazione. Pensiamo alle innumerevoli e ricchissime manifestazioni con cui il folclore religioso popolare celebra la festa del Natale, la Settimana Santa, la festa del Corpus Domini e tante altre ricorrenze eucaristiche del calendario liturgico. Pensiamo alla ricca tipologia di esperienze mistiche aventi come oggetto di " incontro unitivo " sacrale il Cristo di Betlemme, il Cristo della croce, il Cristo dell'Eucaristia. Lo spazio, qui, non permette di esemplificare la complessa casistica registrabile nella tradizione agiografica cattolica e si rimanda per questo ad altre voci e ad altre fonti. Esiste in sostanza una coincidenza di oggetto, per quello che è proprio di ambedue queste dimensioni dell'esperienza religiosa cristiana. Tale coincidenza di oggetto si allarga poi ad altri aspetti e contenuti del mistero cristiano, come il culto mariano e la devozione ai santi. Le espressioni di culto e di devozione a Maria ed ai santi, proprie della r., si fanno per il mistico esperienza unitiva nella realtà del Corpo mistico di Cristo. Anche per questo aspetto la casistica offerta dalla tradizione agiografica è particolarmente eloquente.

Oltre alla coincidenza di " oggetti " del sacro, tra r. e mistica esiste un'affinità tipologica per quel che riguarda la dinamica dell'esperienza del sacro. Abbiamo già visto che l'esperienza del sacro propria della r. si caratterizza per un forte coinvolgimento emotivo dell'individuo e del gruppo in rapporto alla realtà sacrale evocata e fatta presente nel rito religioso. Un coinvolgimento emotivo che nasce da un'esperienza intensa di presenza e di contatto con questa realtà sacra. Ed anche da un'esperienza di azione dell'individuo e del gruppo su questa realtà. La grazia ottenuta, per esempio, è in ultima analisi esperienza di contatto e di azione sulla realtà sacrale evocata e fatta presente nella sfera dell'esistenziale profano del fedele. Questo tipo di esperienza religiosa che è proprio, anche se non esclusivo, della r. presenta caratteristiche di singolare affinità con l'esperienza religiosa registrabile nel misticismo. Si tratta naturalmente di affinità e non di identità.

L'esperienza mistica è, infatti, accoglienza radicale in rapporto al mistero trascendente, che invade e possiede l'essere umano. Essa è esperienza di totalità, accesso alla pienezza dell'essere. È conoscenza non solo intellettuale, ma intuitiva e unitiva, essenzialmente esperienziale, del mistero trascendente che trasforma tutto l'essere. Essa è, in sostanza, estensione in profondità e totalità di quello stesso contatto unitivo con il sacro che il fedele comune normalmente sperimenta nelle diverse forme della r. Esiste, quindi, tra queste due distinte esperienze del sacro un rapporto di continuità, in cui una (la r.) rappresenta come il primo gradino, il punto di partenza per la pienezza dell'incontro unitivo che si dà nella dimensione mistica. La tradizione agiografica e la storia della mistica cristiana insegnano, infatti, che tutti i grandi mistici erano anche grandi " devoti ", nella linea delle esperienze e pratiche di r., che erano proprie del loro contesto ecclesiale.

Bibl. Aa.Vv., Mystique, in DSAM X, 1899ss.; Aa.Vv., La religiosità popolare, valore spirituale permanente, Roma 1978; Aa.Vv., Religiosidade popular e misticismo no Brasil, Sâo Paulo 1984; R. Bastide, Sociologia e psicologia del misticismo, Roma 1975; V. Bo, La religiosità popolare, Assisi (PG) 1979; L. Bordet, Religion et mysticism, Paris 1959; M.M. Labourdette, Religion populaire et sainteté, in RevThom 82 (1982), 120-149; L. Maldonado, Religiosità popolare: dimensioni, piani, tipi, in Con 22 (1986), 493-503; G. Mattai, Religiosità popolare, in NDS, 1316-1331; Id. Sociologie et spiritualité, in DVSp, 1044-1053; D. Pizzuti, La spiritualità e le prospettive del sociologo, in Aa.Vv., L'esistenza cristiana, introduzione alla vita spirituale, Roma 1990, 77-104; B. Plongeron (ed.), La religion populaire dans l'occident chrétien. Approches historiques, Paris 1976; M. Weber, Ascetism, Mysticism and Salvation Religion, in Aa.Vv., Religion, Culture and Society, New York 1964, 192-203; J.H.M. Whiteman, The Mystical Life. An Outline of its Nature and Teaching, London 1961.

M. Foralosso

RICCARDO DI SAN VITTORE. (inizio)

I. Vita e opere. R. nasce nelle isole britanniche, probabilmente in Scozia. Potrebbe aver raggiunto l'abbazia parigina dei canonici regolari a San Vittore prima della morte di Ugo di San Vittore, la cui teologia mistica influenza profondamente R. Questi definisce Ugo: " Un grande teologo dei nostri tempi " (De praeparatione 1, 4: PL 196. 67D). Nel 1159 R. è sottopriore a San Vittore e priore dal 1162 fino alla sua morte avvenuta nel 1173. Insegna, predica e scrive molto. I suoi scritti includono un buon numero di lettere teologiche, che contengono risposte a domande e richieste da parte dei suoi corrispondenti; brevi trattati devozionali; un'importantissima opera, De Trinitate, che come nel suo De quattuor gradibus violentae caritatis, sviluppa le sue idee sull'amore divino e umano; commenti biblici; sermoni e un commento alla Regola di s. Agostino. E uno dei primi teologi a scrivere uno studio sistematico sulla contemplazione e sull'esperienza mistica, particolarmente in due sue opere: De preparatione animi ad contemplationem (Beniamino minore: PL 196. 1-64) e De gratia contemplationis (o De arca mystica o Beniamino maggiore: PL 196. 63-192).

II. Esperienza e dottrina mistica. R. ha un dono magistrale per l'immagine vivida e i vari tipi di schemi e diagrammi. E convinto che l'esperienza sia la migliore maestra. E dotato di uno stile latino e di maestria per tutte le interpretazioni allegoriche della Bibbia. Nei suoi scritti più raffinati, tali doni gli sono di grande aiuto. Ad esempio, La preparazione dell'anima alla contemplazione (Beniamino minore) costituisce un'elaborata allegoria basata sui figli di Giacobbe. I figli e la figlia di Giacobbe hanno come fine lo sviluppo delle virtù tramite le quali l'anima si prepara alla contemplazione. Il processo di preparazione è uno sforzo per recuperare l'immagine (razionalità) e la somiglianza (affettività) di Dio, con le quali l'umanità fu originariamente creata, ma che il peccato ha corrotto. Il processo inizia con la conversione, utilizza la lettura e la meditazione, la preghiera e le opere buone per purificare l'anima e portarla alla soglia della contemplazione. Sebbene alcune volte neghi qualsiasi esperienza particolare nella contemplazione o nella preghiera mistica (ad es. Serm. cent. 72: PL 177. 1131B; De preparatione 1. 10: PL 196. 75B), R. sembra trascrivere una ricchezza di esperienze contemplative. Egli definisce la contemplazione " libero e penetrante sguardo della mente, rapito nello splendore, sulle manifestazioni della sapienza " (De gratia cont. 1. 4: PL 196, 67D). La definizione è molto generica. Qui, seguendo Ugo di San Vittore, R. distingue la contemplatio dal " pensare " (cogitatio: che è ugualmente spontaneo, ma non focalizzato su nulla) e la " meditazione " (che è focalizzata, ma richiede uno sforzo di concentrazione, dunque, non " libero "). L'interesse di R. è, in primo luogo, per la grazia cristiana della contemplazione, " che è una specie di promessa di amore data dal Signore a coloro che lo amano " (Nonnullae allegoriae tab. foed.: PL 196. 193B). Nel De gratia cont. (Libri I-IV), R. distingue sei tipi di contemplazione. Li dispone gerarchicamente secondo le potenze dell'anima coinvolte (da eo nell'immaginazione, ragione, comprensione) e gli oggetti: 1. gli oggetti sensibili, 2. le cause ed il significato degli oggetti sensibili, 3. le immagini dell'immaginazione di cose invisibili, 4. realtà create invisibili come immagini di Dio, 5. le cose di Dio che superano il possesso della ragione, ma non sembrano contraddirla, 6. le cose di Dio (Trinità, Eucaristia) che entrambe superano la ragione e sembrano contraddirla. Tale schema è sia un lavoro di dettaglio, visto alla luce di un'analisi superficiale, sia una celebrazione dell'immaginazione, ragione e comprensione, non come semplici vettori della creatività umana e della conoscenza, ma come specchi dell'infinito potere del Creatore.

Nel Libro V del De gratia cont., R. rivolge la sua attenzione ai generi della contemplazione. In questi, R. parla delle tre cause dell'estasi (excessus mentis): la dilatazione dello Spirito (un ampliamento della visione mentale, che probabilmente ha affinità con lo scopo della rappresentazione dell'arca di Noè di Ugo di San Vittore), l'elevazione dello spirito oltre le sue ordinarie capacità ed, in ultimo, l'alienazione dello Spirito (excessus mentis), che è il risultato di un'intensa devozione, stupore o gioia. I quattro gradi della violenta carità, descrivono le cause dell'excessus mentis negli stessi termini. Nei quattro gradi, l'anima conformata nell'amore a Cristo, riserva se stessa al servizio del prossimo. Questa conquista delle più alte forme della contemplazione con la trasformazione da e nell'amore donato da Cristo è una caratteristica significativa della scuola di san Vittore del sec. XII.

Gli scritti di R. di San Vittore, esercitarono una forte influenza lungo tutto il Medioevo. Tale influenza raggiunge persino l'autore della Nube della non-conoscenza, sebbene quest'ultimo sviluppi gli aspetti della non-conoscenza e dell'oscurità più di quanto faccia R.

Bibl. Opere: contenute in PL 196; alcune si trovano in moderne edizioni di: J. Ribaillier, Richard de Saint-Victor. Opuscules théologiques, Paris 1967; Id., Richard de Saint-Victor. " De statu interioris hominis ", in Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age, 35 (19671968), 7-128; Riccardo di S. Vittore, La Trinità, tr., intr., note e indici di M. Spinelli, Roma 1990; C. Nardini (cura di), La preparazione dell'anima alla contemplazione. Beniamino minore, Firenze 1991. Studi: J. Châtillon, Les trois modes de la contemplation selon Richard de SaintVictor, in Bulletin de littérature eccl., 41 (1940), 3-26; Id., s.v. in DSAM XIII, 593-654; G. Dumeige, s.v., in DES III, 2167-2171; Id., Richard de Saint-Victor et l'idée chrétienne de l'amour, Paris 1952 (con bibliografia); J. Ebner, Die Erkenntnisslehre Richards von Sankt Viktor, Münster 1917; H.D. Egan, Riccardo di san Vittore, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 217-228; G. Fritz, s.v., in DTC XIII2, 2676-2695; E. Kulesza, La doctrine mystique de Richard de Saint-Victor, Saint Maximin 1924; J. Lanczkowoski, s.v., in WMy, 437-438; C. Ottaviano, Riccardo di S. Vittore: la vita, le opere, il pensiero, Roma 1933, 409-544; J.A. Robilliard, Le six genres de contemplation chez Richard de Saint-Victor et leur origine platonicienne, in RSPT 28 (1939), 229-233.

R. Feiss

RIPARAZIONE. (inizio)

I. Il concetto. L'uso del termine in contesto cristiano è vario: Dio ha riparato il peccato in Cristo; Gesù Cristo è il riparatore della salvezza umana; la Chiesa e il credente in Cristo hanno la missione e il dovere di contribuire alla r. del peccato del mondo.

II. Visione biblica. Nell'AT il Dio della creazione e dell'alleanza ripara, ristabilisce e rinnova il rapporto di amicizia e di amore infranto dall'infedeltà del popolo (cf Os 11-14; Ger 31; Ez 36-37). Nel NT il Padre, attraverso Gesù Cristo nella potenza dello Spirito, affranca, redime, libera l'umanità dalla situazione di alienazione in cui vive a causa del peccato e delle potenze del male, offrendole gratuitamente e sovranamente il dono della riconciliazione (cf 2 Cor 5,17), una " nuova alleanza ", una " nuova nascita " (Gv 3,7-8; 1,13, ecc.).

Il messaggio biblico, tuttavia, contempla che anche l'uomo porti il suo contributo a tale r. Nei cantici deuteroisaiani del Servo, questi (un individuo o il popolo d'Israele) riceve da Dio la missione di riparare l'alleanza mediante la sofferenza e la morte volontarie. S. Paolo afferma che l'uomo Gesù è il riconciliatore (cf 2 Cor 5,18-21; Col 1,20), il redentore (cf 1 Cor 1,30), il mediatore che riporta l'umanità a Dio (cf 2Tim 2,5). La Chiesa e il cristiano sono coinvolti attivamente nella concretizzazione di tale missione riparatrice onerosa di Cristo (cf Fil 3,24: " Porto a compimento quanto manca alla passione di Cristo ").

III. La tradizione cristiana ha messo a fuoco altre due prospettive: l'uomol'umanità in Cristo deve riparare a Dio in modo adeguato per il suo peccato (cf la dottrina anselmiana della soddisfazione redentrice); il credente devoto deve avvertire e coltivare il dovere di nutrire sentimenti di r. verso Cristo redentore per la noncuranza e il disprezzo degli uomini da lui salvati (a quest'idea si sono date diverse forme ed essa ha trovato la sua espressione più ardente ed alta nella devozione riparatrice al S. Cuore diffusa da s. Margherita M. Alacoque).

Il magistero più volte parla della r. offerta da Cristo al Padre per l'umanità con il suo sacrificio satisfattorio ed espiatorio sulla croce (cf DS 1743; 1753; 3891). Pio XI afferma che la Chiesa ha " il dovere di una degna riparazione verso il Cuore SS.mo di Gesù " e i cristiani possono contribuire alla concretizzazione della portata salvifica della passione redentrice di Cristo a favore della Chiesa e del mondo con proprie lodi e soddisfazioni.

IV. Per un'attualizzazione. Per evitare equivoci teologici e distorsioni spirituali, è opportuno collocare la riparazione nell'ottica biblica dell'amore. Così possiamo dire che l'amore del Padre per il Figlio nello Spirito ripara la caduta dell'umanità; l'amore di Gesù, primogenito della creazione, riporta al Padre, in modo oneroso, un mondo decaduto e pervaso dal peccato; la Chiesa e il credente con la loro risposta di amore all'amore di Cristo redentore (redamatio) s'inseriscono attivamente nel movimento di riconduzione del mondo peccatore al Padre messo in atto da Gesù. In questa linea si situano soprattutto le anime mistiche per le quali riparare significa assumere su di sé il peccato del mondo, in un atteggiamento di profonda comunione e di solidarietà con il Riparatore trascurato e oltraggiato da coloro che ha beneficato e con una generosa e onerosa disposizione a trasformare il mondo nel regno del Padre, per la cui venuta e affermazione il Cuore del Salvatore bruciò e brucia ancora (in altra forma) ardentemente (cf Lc 12,49; 22,15, ecc.). Basti, per tutte le esemplificazioni possibili, ricordare qui la missione di Faustina Kowalska, il cui messaggio di r. si radica nell'amore misericordioso del Cristo Salvatore del mondo.

Bibl. Aa.Vv., Spiritualità oblativa riparatrice, Bologna 1989; A. Chapelle, L'adoration eucharistique et la réparation, in Vie Consacrée, 46 (1974), 338-354; G. Costa, La riparazione, fantasia o realtà, Roma 1981; R. Flores, Spiritualità riparatrice, in Dehoniana, 68 (1968), 95-130; E. Glotin, s.v., in DSAM XIII, 369-413; G. Manzoni, Riparazione: mistero di espiazione e di riconciliazione, Bologna 1978; Id., La nostra riparazione in Cristo, in Aa.Vv., La spiritualità del Cuore di Cristo, Bologna 1990, 151-163; A. Pellin, Vida de reparación, Madrid 1966; L.Ph. Ricard, Réparation et logique de l'amour, in Prière et vie, 142 (1967), 213-224; F. Segara, Consolar a Cristo, Madrid 1970; A. Tessarolo, s.v., in DES III, 2175-2177.

G. Iammarrone

RIPOSO NELLO SPIRITO. (inizio)

I. Il fenomeno e il suo contesto. Il fenomeno, chiamato anche, nell'esperienza di alcuni gruppi in aree di lingua anglosassone, " slaying in the Spirit ", " falling in the Spirit " o " being overcome in the Spirit " si è reso manifesto, in questi ultimi decenni, in diversi gruppi del Rinnovamento carismatico cattolico.

Già presente nei gruppi del Pentecostalismo protestante, il fenomeno era, in quell'esperienza, accolto come manifestazione dello Spirito Santo nell'ambito di presenza dei vari carismi.

Il fenomeno si produce nel clima di preghiera di un gruppo carismatico durante l'annuncio della Parola di Dio, spesso nell'atmosfera di fervore della celebrazione eucaristica. Quasi sempre, la persona che fa questa esperienza sta ricevendo una preghiera personale con l'" imposizione delle mani " dei fratelli ai quali si è rivolta per qualche sua necessità. Si tratta di quella preghiera fraterna, semplice, che non ha alcuna dimensione sacramentale, ma soltanto di comunione fraterna nel richiamo di un'antica tradizione della Chiesa, partendo dagli Atti degli Apostoli. Il fenomeno, non legato all'" imposizione delle mani ", si manifesta anche indipendentemente in persone che magari partecipano per la prima volta alla preghiera del gruppo e nulla o poco conoscono dell'esperienza carismatica, per questo, anonime tra la folla che prega.

Il fenomeno consiste nella " caduta ", in genere dolce, di una persona, all'indietro fino a toccare il pavimento e a stendervisi in una posizione di riposo, come se dormisse. In realtà, però, non si tratta di sonno e neppure di stato di trance: il corpo non ha alcuna rigidità e appare chiaramente in uno stato di profondo riposo. Questo stato può durare un minuto, dieci minuti o anche di più; in rari casi anche un'ora e più. Il " risveglio " avviene dolcemente, come la caduta, in forma del tutto naturale e la persona si dimostra contenta, talvolta è raggiante in viso e dice di " stare bene ", di essere in una grande pace.

L'esperienza più comune è questo stato di pace, ma talvolta si tratta di una vera e propria " guarigione interiore " da disturbi psicologici o turbamenti morali e spirituali profondi, o anche di guarigione fisica. Accade che una persona, capitata per caso nel gruppo di preghiera, riceva nel r. la luce della fede e la propria " conversione ".

Nei gruppi di preghiera maturi il fenomeno non desta scalpore, spesso è avvertito soltanto dalle persone che sono immediatamente vicine, che sanno di dover rispettare l'esperienza, del tutto personale e intima, del soggetto.

Quando accade in assemblee di preghiera di molte centinaia o migliaia di partecipanti, la persona, che è scivolata a terra, se prolunga lo stato di " riposo " in cui è, viene posta al riparo dagli sguardi indiscreti, adagiata in uno dei luoghi per il pronto-soccorso dei malati. In quei luoghi il soggetto può essere " controllato " dai medici e dagli psicologi che sono a disposizione per ogni genere di malore.

Tale fenomeno è stato descritto e studiato da alcuni autori che, nei loro scritti, si sono posti il problema della sua autenticità spirituale, sia partendo da nutrite casistiche riferite a luoghi e contesti diversi di preghiera, sia ricercando analogie nella tradizione biblica, teologica e mistica.

I numerosi e vari casi raccolti e passati al vaglio da F. MacNutt e da R. De Grandis dimostrerebbero che si tratta di un fenomeno simile ad un " rapimento in Dio ", per l'intervento improvviso e forte dello Spirito Santo. Le testimonianze raccolte da persone che hanno fatto tale esperienza parlano di uno stato di pace mai provato prima e di carattere " straordinario "; riferiscono in merito a guarigioni sia interiori che fisiche. Queste ultime sono state, in diversi casi, oggettivamente accertate.

II. Analogie nella Bibbia. Tutti gli autori che hanno studiato il fenomeno hanno ricercato nella Bibbia delle possibili analogie; particolarmente chiaro e completo il quadro di riferimento offerto dal testo del card. L.-J. Suenens in A Controversial Phenomenon. Resting in the Spirit, presentato come " Documento n. 6 ", all'incontro di Malines nel 1974 da una commissione teologico-pastorale sul Rinnovamento carismatico.

Sia nell'AT (Ez 1,28; Dn 10,7-9; Gs 5,14) che nel NT (Mt 17,6 e 28,1-4; Gv 18,6; At 9,4; Ap 1,17) troviamo l'improvvisa potenza di Dio che prostra e atterra uomini che ne sono afferrati. La Bibbia, tuttavia, osserva il card. Suenens, descrive un cadere adorante, la faccia a terra, diverso dal cadere che si riscontra nel r.

III. Analogie nel pensiero teologico e mistico. Il fenomeno del r. è stato assimilato al " rapimento " che, nella concezione di Tommaso d'Aquino è " l'elevazione di un uomo, prodotta dallo spirito di Dio, a cose soprannaturali con astrazione dai sensi ".1 Tale elevazione è, secondo l'Aquinate, caratterizzata da una certa " violenza " e produce anche degli effetti nelle potenze appetitive, cioè " il piacere che si prova, in ciò che rapisce ".2 Si tratta di una forma " violenta ", in qualche modo " accidentale " dell'estasi.3 S. Tommaso parla di " rapimento " nel contesto dei carismi.

La descrizione che gli autori mistici fanno sia dell'estasi che del rapimento ha somiglianze con l'esperienza del r., ma in generale si tratta di fenomeni che toccano l'anima e si ripercuotono con effetti particolari sul corpo in un cammino ascetico, voluto dalla persona che si avvia alla contemplazione. La tradizione mistica sta ad indicare le diverse possibilità di intervento della potenza di Dio e le ripercussioni di dolcezza e di estraniamento da sé nella fragilità della persona umana che, mentre è assorta nel divino, mal resiste nel proprio naturale equilibrio psicofisico.4

Conclusione. Il testo citato dal card. Suenens nella sua ultima parte espone importanti considerazioni critiche del fenomeno che costituiscono anche una prudente linea pastorale.

Il fenomeno è presente ed ha innegabili risvolti spirituali positivi che sono in consonanza con tutto il contesto del Rinnovamento carismatico; occorre, però, la massima prudenza per distinguere ciò che viene da Dio e ciò che può essere prodotto da altre cause.

Tutti i fenomeni " carismatici " della Chiesa contemporanea segnano, d'altra parte, una " novità " che occorre considerare nella libera gratuità dello Spirito di Dio che distribuisce, lungo la storia, la sua misericordia secondo i bisogni degli uomini, suoi figli, nel loro divenire concreto legato al tempo e allo spazio.

Note: 1 STh II-II, q. 175, a. 1; 2 Ibid. a. 2; 3 Ibid.; 3 Cf Teresa di Gesù, Vita 18,1ss.; Ead., Castello interiore VI, 2,1ss.; Relazioni spirituali 6ss. e Giovanni della Croce, Cantico spirituale B 13,4-14; 19; Cantico Spirituale A 12, 3; 17,12.

Bibl. R. De Grandis, Il riposo nello Spirito, Laureana Cilento (SA) 1995; F. Macnutt, Overcome by the Spirit, Guildford 1991; Ph. Madre - F.M. Ephraim, Il riposo nello spirito, Roma 1987; J. Richards - L.J. Suenens - D. Double, Resting in the Spirit, Weybridge 1989; L.J. Suenens, A Controversial Phenomenon - Resting in the Spirit, Dublin 1987.

M. Tiraboschi

RISVEGLIO DIVINO. (inizio)

I. Il fenomeno. Il Vangelo riferisce i diversi inviti del Signore alla vigilanza, soprattutto in vista dell'ora incerta della nostra morte e del divino giudizio (Cf Mt 24,17; 25,13; ecc.). Anche s. Paolo ammonisce: " Non dormiamo dunque come gli altri ma restiamo svegli " (1 Ts 5,6); e più espressamente esorta: " Svegliati, o tu che dormi " (Ef 5,14). C'è, dunque, da svegliarsi o dal letargo della notte o dal torpore di una vita senza fervore. Quest'ultimo caso è propriamente un r. Tale fenomeno si può verificare molte volte, e in vari modi, in qualsiasi momento della vita spirituale. Più che la veglia dal sonno fisico, che è un esercizio ascetico, si può avere il risveglio ad una vita migliore della precedente, provocata dalla lettura o un momento di grazia più o meno passeggero.

II. L'esperienza mistica. Il r., invece, è un fenomeno essenzialmente mistico dello stato di unione che s. Giovanni della Croce, a suo parere, ha identificato e descritto al termine della Fiamma viva d'amore (str. IV). Si tratta di un movimento interiore prodotto dal Verbo inabitante nella sostanza dell'anima, ormai sulla soglia del cielo. L'anima è " svegliata dal sonno della vista naturale alla vista soprannaturale " del mistero divino. E come se, aprendosi la porta del palazzo divino, molti veli cadessero dai suoi occhi e la luce celeste le svelasse, sia pure in modo ancora imperfetto, il volto di Dio come egli è. Allora l'anima percepisce come l'essere divino sia eminentemente in tutte le cose, cioè conosce le creature " meglio nell'essere divino che in se stesse ". Si tratta, dunque, di una " vista dell'anima ", che le permette di " conoscere le creature per mezzo di Dio e non Dio per mezzo delle creature, ossia conoscere gli effetti per la loro causa e non la causa per gli effetti ". Sembra a noi che Dio si risvegli in noi, perciò si chiama " risveglio di Dio ", ma effettivamente è Dio che risveglia l'anima a questa nuova vista soavissima, che è quasi un'immediata anticipazione della visione beatifica. Il r. è una grazia connessa con lo stato unitivo e, sebbene il Dottore carmelitano non lo dica, si può riconoscere nelle descrizioni di questo stato. Garrigou-Lagrange, lo considera frutto della terza conversione, la quale è permanente ed è il preludio della vita del cielo.

Bibl. R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, 4 voll., Roma 1994; Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore IV, 1-14; Scenuda III, Il risveglio spirituale Cinisello Balsamo (MI) 1990.

G. D'Urso

LA RIVELAZIONE NELLA BIBBIA. (inizio)

Premessa. La mistica cristiana è fondata sulla Bibbia come mezzo principale della r. pubblica ed è fondata anche sulle esperienze personali dei mistici cristiani che, con i loro scritti, hanno ispirato gli altri. I più ampi aspetti della r. possono essere studiati nelle opere di R. Latourelle, di A. Dulles e nei vari commenti della Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (DV). Questa voce tratterà in modo specifico della r. nella Bibbia.

Secondo la Dei Verbum 2, la r. biblica può essere descritta come il piano divino che " avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa r. risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la r. ".

I. Nell'AT. Lo studio dei termini biblici galah e apokalyptein non ci fornisce quella grande informazione che invece offre l'esperienza dei personaggi biblici. La Bibbia stessa è descritta nella tradizione cristiana come la " Parola di Dio ", ma la frase dev'essere considerata attentamente. Dio non pronuncia parole: gli esseri umani pronunciano parole. Gli autori ispirati misero per iscritto le parole che noi troviamo in entrambi i testamenti e queste sono un richiamo alla r. di Dio ed una testimonianza ad essa. La Dei Verbum, al cap. 11, specifica ulteriormente che " si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore, la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre lettere ". La realtà che Dio non può essere rinchiuso nelle parole degli uomini, è implicita in tutto questo (cf Is 55,8-9). Il mistero divino è al di là della possibilità di espressione umana, perciò, avendo come punto di partenza questo, le parole umane della Bibbia sono limitate nel tempo. Infatti, danno solo una visione parziale della pienezza di Dio espressa nella persona di Gesù Cristo. La prima e principale r. fatta nelle Sacre Scritture è anche mediata tramite la liturgia come indicato al n. 33 della Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano II: " Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo: Cristo annunzia ancora il Vangelo ". In questo modo, l'originale r. biblica è trasmessa da generazione a generazione sotto la guida della Chiesa. Bibbia e tradizione non possono essere separate. La Bibbia stessa si formò sulle tradizioni che riguardavano la legge ed i profeti e sulla trasmissione per tradizione del mistero di Cristo: dietro a tutto questo c'era la tradizione. Questa non ha cessato di essere operante dopo Cristo, poiché la Chiesa ha trasmesso la r. di Dio che è la sua autentica vita. La r. della quale abbiamo parlato è la r. pubblica, contrapposta alle rivelazioni private che sono state fatte a molti mistici ed a persone di profonda spiritualità. La r. privata non richiede un consenso umano da parte dei credenti, come invece richiede la r. pubblica. Chiama alla fede colui che ha ricevuto una vera comunicazione da Dio, ma ogni r. privata dev'essere accettata con cautela e dopo prova. Ci sono segni che devono essere ricercati e questi dovrebbero essere in un rapporto generale di consenso con la r. pubblica che è in accordo con la Chiesa. Questa " pubblica r., si chiuse con la fine della testimonianza apostolica, ma essa è subordinata ad una sempre più profonda indagine conoscitiva da parte dei cristiani ".

Ci si può chiedere, le rivelazioni concesse ai profeti ed ai capi di Israele, non erano forse rivelazioni personali e vere? La risposta giusta è che bisogna considerare di quale capo o profeta si parli. Per esempio, l'esistenza in Israele di quelli che vengono chiamati falsi profeti è un fatto storico ed i criteri che li riguardano sono tramandati in Dt 13,2ss.

Ma il pericolo della falsa profezia esiste sempre. Forse l'esempio che colpisce di più è l'alterco tra Geremia e Anania in Ger 28. Durante il regno dell'ultimo re di Giuda (Sedecia), Anania annuncia che Babilonia sarà respinta. Geremia protesta (28,6-9), ma Anania strappa il giogo di legno che Geremia porta sul collo (che simboleggia il giogo di Babilonia su Israele). Il profeta non trova nulla da replicare e se ne va per la sua strada. Ma la parola del Signore giunge a Geremia per annullare le false affermazioni di Anania. Il giogo di legno sarà sostituito dal brutale giogo di ferro. Tutti saranno soggetti a Nabucodonosor e Anania morirà in quello stesso anno. Quando si esaminano le molte " confessioni " di Geremia (cf Ger 11,18-12,6; 15,10-21; 17,14-18; 18,18-23; 20,14-18), si vedono le incertezze che impregnavano anche il profeta vero e mediatore della r. di Dio. Sembrerebbe che la ragione più convincente della credibilità (oltre l'ortodossia) di un vero mediatore, fosse la sua santità o la fedeltà a Dio, e gli stessi criteri sembrano ancora oggi in vigore per il mistico cristiano. Per fortuna, Isaia pare aver raccolto un certo numero di seguaci (Is 8,16-18). Ezechiele, comunque, fu messo in ridicolo come " un creatore di allegorie. Non deve meravigliare il fatto che Mosè abbia presentato Aronne al posto suo (cf Es 4,16) e che Geremia abbia sostenuto di essere troppo giovane (cf Ger 1,6-7).

II. Nel NT. Gesù fece parte di questo modello profetico e lo conobbe bene, (" Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati... " (Mt 23,37)), ed il suo messaggio fu sigillato dalla sua morte e dalla sua risurrezione. La r. biblica avviene in molteplici modi: con i sogni, le visioni, l'ascolto della parola divina o con l'esperienza di Dio comunicata attraverso un messaggio. Possiamo osservare la r. nella creazione e nella storia. Le pagine di entrambi i testamenti attestano molti di questi mezzi, dai sogni di Giacobbe all'esperienza di Paolo a Damasco. Per tutto il popolo di Dio la r. si cristallizzò secondo la formazione biblica ed offrì testimonianza delle azioni di Dio in mezzo a loro. Il prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-8) riassume la r. per la comunità cristiana: la vita divina, la luce, la gloria, la grazia e la verità, si manifestano nell'Incarnazione della Parola in Cristo. L'affermazione di Giovanni che Dio è amore (cf 1 Gv 4,8,16), ha dato un'enorme spinta ai mistici a cercare di comprendere e rispondere a questo amore. La risposta alla r. è la fede nelle parole di Gesù: " ...Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato;... " (Gv 6,44; cf anche Mt 11,27). E la risposta vera dipende dall'azione del Dio che si rivela!

Gli scritti dei mistici comunicano soltanto ciò che riguarda sostanzialmente la r. della quale la Bibbia dà testimonianza. Ma questi scritti sono molto importanti per il fatto che intendono questa r. in modo accessibile agli altri. Il loro scandagliare a fondo le parole bibliche, ha arricchito l'essenza della r. Per esempio, se esaminiamo il Cantico dei Cantici secondo un punto di vista rigorosamente storico, il senso " originale " sembra essere una descrizione dell'amore reciproco tra il sesso maschile e quello femminile. Ma questa unione, in Osea e negli altri profeti (cf Is 62,51), diviene il mezzo di propagazione ed il simbolo fondamentale dell'amore che esiste tra Dio ed il suo popolo. Il patto dell'alleanza non era un'espressione completa ed adeguata dell'" Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo ". Ciò era un rapporto di amore profondo. Gli scrittori patristici, Origene e Gregorio Magno estendono questo, e le esperienze mistiche di s. Bernardo (Sermoni) e di s. Giovanni della Croce (Cantico Spirituale) rispecchiano il mistero dell'amore divino e la risposta umana sotto l'immagine di amore nunziale.

Bibl. D. Barsotti, Il mistero cristiano e la Parola di Dio, Firenze 1954; P. Benoit, Révélation et inspiration, in Revue Biblique, 70 (1963), 321-370; G. Colombo, Rivelazione, in EC X, 1018-1025; E. Dhamis, Révélation explicite et implicite, in Greg 34 (1953), 187-238; A. Dulles, Models of Revelation, New York 1983; M.M. Féret, Connaissance biblique de Dieu, Paris 1955; H. Haag - J. Guillet, s.v., in Dict. de la Bible. Supplement X, Paris 1985, 586-618; C.F.H. Henry (ed.), Revelation and the Bible, London 1959, 11-105; H. Holstein, La Révélation du Dieu vivant, in NRTh 81 (1959), 157-168; N. Jung, s.v., in DTC XIII, 2580-2618; R. Latourelle, Révélation, histoire et incarnation, in Greg 44 (1963), 225-262; Id., Teologia della Rivelazione, Assisi (PG) 1968; J.L. Mckenzie, The Word of God in the Old Testament, in Theological Studies, 21 (1960), 183-206; K. Rahner, Rivelazione. II. Mediazione teologica, in Id. (cura di), Sacramentum mundi VII, 203-216; N. Schiffers, Rivelazione. II. La definizione teologica fondamentale del concetto di Rivelazione, in Ibid., 191-203.

R.E. Murphy

RIVELAZIONI. (inizio)

Premessa. La tradizione cattolica distingue la rivelazione pubblica da quella privata. La prima è vista come una auto-rivelazione di Dio all'intera comunità umana (rivelazione generale o naturale) o ad un popolo in particolare (rivelazione storicacategorica) come la comunità d'Israele legata da un patto o il popolo di Dio nell'economia della salvezza. La Sacra Scrittura e la tradizione servono da fonte primaria della rivelazione pubblica in Gesù Cristo e permettono di comprendere meglio le verità della fede in ogni periodo storico-culturale. La rivelazione (o le r.) privata, invece, può essere data ad uno o più individui come edificazione della vita della Chiesa.

I. Nella tradizione ecclesiale. Il riconoscimento di Paolo del carisma, (cf 1 Cor 12,4-10; Rm 12,6-8), fissa la rivelazione privata entro il mistero della grazia di Dio. I profeti ispirati del cristianesimo primitivo come i mistici nel Medioevo, quali Brigida di Svezia, Caterina da Siena, hanno testimoniato la vitalità della fede. La tradizione mistica della rivelazione privata svela modelli di unione con Dio nelle concrete circostanze della vita quotidiana, come ad esempio s. Giovanni della Croce e s. Teresa d'Avila. Molte apparizioni di Maria Vergine (La Salette nel 1846, Lourdes 1858, Fatima nel 1917 ed altre) vengono riconosciute come autentiche r. private. Nessuna neo-dottrina emerge dalle r. private, piuttosto viene offerto un messaggio pratico al fedele come modo di approfondimento della dottrina cristiana. E responsabilità dell'autorità della Chiesa verificare l'autenticità delle r. private. L'illusione e la frode, così come gli illuministi e i movimenti settari (il montanismo e gli Alumbrados), hanno reso oscuro il carattere delle r. private. A volte è apparso un falso contrasto fra il carisma e l'autorità legittima. Il dono dello Spirito Santo, comunque, è sempre volto all'unione, alla riconciliazione, alla pace e alla gioia (cf 1 Cor 12; Rm 5,5).

Bibl. A. Dulles, Models of Revelation, New York 1983; Gabriele di S.M.M., Visioni e rivelazioni nella vita spirituale, Firenze 1941; J. Galot, s.v., in DSAM XIII, 482-492; Id., Le apparizioni private nella vita della Chiesa, in CivCat 136 (1985)2, 19-33; V. Macca - M. Caprioli, s.v., in DES I, 579-581; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 1074-1078; F.A. Sullivan, Magisterium: Teaching Authority in the Catholic Church, New York 1983.

J. Russell

ROGER (Fratel). (inizio)

I. Vita e opere. Nato nel 1915, di padre svizzero e di madre francese, R., fondatore della comunità di Taizé, è segnato fin dalla sua infanzia dall'apertura e dal coraggio di sua nonna che accoglie in casa, (in Francia), sotto i bombardamenti, alcuni rifugiati della Prima Guerra mondiale. Dopo la guerra, pensando che una riconciliazione dei cristiani potesse impedire nuovi conflitti in Europa, questa donna anziana, di antica radice evangelica, comincia a frequentare la Chiesa cattolica.

Nel 1940, seguendo l'esempio della nonna, suo nipote rifiuta di rimanere passivo dinanzi alle distruzioni della Seconda Guerra mondiale. Si prepara a creare una comunità che sia una " parabola di comunione ", un segno concreto di riconciliazione. Vuole realizzare questo progetto là dove infieriscono la guerra e l'angoscia. Lascia la Svizzera e si stabilisce nel villaggio di Taizé, in Borgogna, vicino alla linea di demarcazione che taglia in due la Francia. Nasconde dei rifugiati, soprattutto ebrei.

A poco a poco, lo raggiungono dei fratelli. Nel 1949, essi si impegnano nel celibato e nella vita in comune. Se all'inizio i fratelli sono di origine evangelica, dei cattolici non tardano ad unirsi alla comunità, che conta ormai più di cento fratelli provenienti da tutti i continenti.

A partire dal 1950, alcuni vanno a vivere in piccole fraternità in luoghi miseri del mondo per condividere le condizioni di vita di coloro che soffrono. Fin dal 1962, con grande discrezione, alcuni fratelli si recano nei paesi dell'Europa dell'est.

Dal 1957-58, la comunità accoglie un numero sempre crescente di giovani provenienti da tutte le parti del mondo, fino a diverse migliaia ogni settimana, alla ricerca di un senso da dare alla vita e per approfondire la fede. Taizé non organizza questi giovani in un movimento, ma li prepara ad essere creatori di pace, portatori di riconciliazione nei loro paesi.

Come altri fondatori nella storia, l'intenzione profonda di R. è quella di rispondere, attraverso la creazione di una comunità, ai grandi interrogativi del mondo, nonché di aprire vie di riconciliazione tra cristiani e di fiducia tra i popoli.

Attraverso la parola, la testimonianza, la preghiera e la vita comune, R. e i suoi fratelli aprono la via della mistica a giovani e adulti, talvolta senza radici e senza riferimenti nel mondo moderno. In una società dei consumi che crea un'inquietudine fin nella vita spirituale R., con un infinito rispetto e una grande pazienza, mostra che la fede è una realtà molto semplice, un'umile fiducia in Dio, " così semplice da poter essere offerta a tutti senza eccezione ".

Fiducia è una delle parole chiavi del pensiero del fondatore di Taizé. La fiducia in Dio, che " può solo dare il suo amore ", che " non vuole né la sofferenza né l'angoscia umana ", rende possibile una fiducia tra gli uomini: " Senza perdono non c'è futuro per la nostra persona, non c'è futuro per i cristiani, non c'è futuro per un popolo ". Questa fiducia è la sorgente della pace del cuore. Essa permette di guardare ad ogni giorno come un oggi di Dio e di andare, lungo tutta la vita, " da nuovo inizio ad un nuovo inizio ".

Come la fede, anche la preghiera è semplice. R. invita a non inquietarsi se la preghiera personale è talvolta povera: " Non siamo tutti dei poveri di Cristo? " Ma la preghiera comune è un sostegno incomparabile per la preghiera personale.

Tra i libri di R. ricordiamo innanzitutto la Regola di Taizé e poi il suo diario, edito in Italia dalla Morcelliana di Brescia con i seguenti titoli: La tua festa non abbia fine, Lotta e contemplazione, Vivere l'insperato, Stupore di un amore, I tuoi deserti fioriranno, Passione di un'attesa. Il suo amore è un fuoco (LDC), In te la pace del cuore (LDC).

II. La spiritualità di Taizé. Attingendo alle ricchezze dell'Oriente e dell'Occidente, Taizé celebra una preghiera gioiosa, semplice, radicata nella tradizione viva della Chiesa. L'ascolto della Parola di Dio è seguito da un lunghissimo silenzio. I canti di Taizé, brevi frasi cantate a lungo, sono conosciuti in tutto il mondo.

Il Vangelo chiama i cristiani ad essere uomini e donne di comunione e di impegno: " Hai forse paura della tua paura? La comunione con il Cristo ti dà il coraggio dell'impegno per rendere la terra abitabile: perché il più misero, il più schiacciato dall'ingiustizia non venga dimenticato ". Per R. l'amore degli altri passa in particolare attraverso l'amore per i piccoli, soprattutto quelli che sono stati segnati da abbandoni umani, da rotture di affetti.

Per R. il Cristo non è venuto a creare una religione in più, ma ad offrire a tutti una comunione in lui, quella " comunione d'amore che è il Corpo del Cristo, la sua Chiesa ", una Chiesa terra di semplicità, di partecipazione e di comunione, fermento di riconciliazione nell'umanità.

Bibl. R. Brico, Frère Roger e Taizé, Brescia 1982; J.L. Gonzalez-Balado, La sfida di Taizé, Roma 1980; E. Marchant, Taizé, in DSAM XV, 9-12; K. Spink, Frére Roger, fondatore di Taizé, Bologna 1987.

L. Claret

ROLLE RICCARDO. (inizio)

I. Vita e opere. R. nasce probabilmente a Thornton-le-Dale, nella contea dello Yorkshire in Inghilterra, intorno al 1300 e muore ad Hampole, vicino Doncaster nella stessa contea, quasi certamente il 29 settembre 1349.

E uno dei maggiori mistici inglesi del sec. XIV. Benché probabilmente proveniente da un'umile famiglia, inizia un lungo corso di studi all'università di Oxford, grazie al patrocinio di Thomas Neville, arcidiacono di Durham.

Tuttavia, a diciannove anni, non soddisfatto dai corsi di studio e dal mondo universitario, sente una pressante chiamata alla vita religiosa e lascia l'Università. Tornato a casa, desta, a causa del suo comportamento immaturo, preoccupazione per la sua salute mentale. Per evitare restrizioni, abbandona la famiglia e, dopo un breve vagabondaggio, si stabilisce come eremita nella tenuta di un certo John Dalton a Pickering. Sembra che due o tre anni più tardi rinunci alla vita eremitica per un certo periodo di tempo, proseguendo gli studi a Parigi tra il 1322 e il 1326 prima di ritornare a Richmond e in seguito ad Hampole intorno al 1345, dove, per tutta la vita, assolve al compito di direttore spirituale presso il convento delle monache cistercensi, nonostante pare non abbia mai ricevuto l'ordinazione sacerdotale. La maggior parte della sua vita, da eremita, sembra sia spesa in vagabondaggi che gli danno popolarità e ammirazione, ma suscitano anche l'opposizione di molti. La principale fonte della sua scarna biografia, è nei testi della Liturgia delle Ore, preparati nel tardo sec. XIV, in vista della sua attesa canonizzazione, mai di fatto avvenuta a Roma, anche se sembra abbia goduto di un culto liturgico a York, prima della comparsa del protestantesimo.

R. fu seppellito davanti all'altare maggiore della chiesa del convento di Hampole e, per un certo periodo di tempo, la sua tomba divenne meta di pellegrinaggi e luogo di pubblico culto.

R. scrive sia in latino che in inglese, in versi e in prosa. La sua produzione abbraccia sia scritti devozionali e pastorali, che parafrasi e commenti di testi della Scrittura.

I primi scritti, tutti in latino, sono segnati, a volte, dalla polemica contro quanti l'accusano di essere un vagabondo. R. in molti suoi scritti cita altri autori come Riccardo di San Vittore, ma la realtà del suo approccio resta quella dei primi giorni quando cerca fortemente sostegno sui testi biblici, in particolare nelle lettere di s. Paolo e nei salmi. Tali scritti rispecchiano un tono di volontarismo pelagiano.

La sua persistente fiducia nella esperienza soggettiva e il noto attaccamento da parte di alcuni dei suoi seguaci a questo sforzo soggettivo, portano i mistici inglesi successivi a denigrarlo poiché vedono in R. una guida inaffidabile. Questa disaffezione cresce con la deliberata contaminazione da parte degli eterodossi lollardi e con la circolazione di copie contaminate dei suoi manoscritti.

Gli ultimi scritti di R. risentono, senza alcun dubbio, della responsabilità della direzione spirituale che pratica. Questi scritti sono meno indulgenti, più semplici e più organizzati nel loro desiderio di istruire gli altri. Essi rivelano la parte migliore dell'uomo, appassionato nella sincerità del suo amore per Dio e nella dedizione alla vita contemplativa. Questo aspetto emerge soprattutto nelle sue composizioni liriche inglesi, che cantano la lode della creatura e che sono state ampiamente apprezzate sia da un punto di vista religioso che letterario.

Tra le sue opere più note ricordiamo: Incendium amoris, Model of Perfect Living, Melos o Melum amoris, Emendatio vitae, Canticum amoris de beata Virgine.

II. Esperienza mistica. Malgrado le iniziali difficoltà, R. persevera nel condurre una vita solitaria e contemplativa ed è in grado di apportare originalità alle analisi delle sue esperienze che culminano in un rapimento mistico dopo quattro anni circa di ardente preghiera. R. parla di queste esperienze in termini di canor, la celeste e melodiosa lode che ascolta cantata intorno al trono dell'Onnipotente, di calor, l'ardore che sente nel cuore, apparentemente consumato d'amore e di dulcor, la dolcezza in cui sente il suo essere effondersi.

Per R., la conoscenza perfetta è raggiungibile solo in paradiso, anche se sulla terra l'amore è possibile e porterà gli uomini alla perfezione e all'apice della preghiera contemplativa, prima di condurli ad una gioia celeste oltre questa vita.

La sua mistica d'amore si concentra su Dio Trinità, su Cristo ed è sperimentata dai contemplativi al pari dei serafini che ardono d'amore divino per tutta l'eternità.

Per quanto riguarda il rapimento, R. distingue due tipi di rapimenti, il primo con l'alienazione dei sensi, il secondo senza. Quest'ultimo è più perfetto perché consiste nell'elevare lo spirito in Dio attraverso la contemplazione.

Bibl. Opere: H.E. Allen, Writings Ascribed to Richard Rolle. Hermit of Hampole, New York-London 1927. Studi: E. Amann, s.v., in DTC XIII2, 2844-2846; J.P.H. Clark, Richard R.: A Theological Re-Assessment, in Downside Review, 101 (1983), 108-139; B. Edwards, s.v., in DES III, 2183-2184; H.D. Egan, Riccardo Rolle, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 339-346; M. Glasscoe, The English Medieval Mystics, London-New York 1993 (con ampia bibl.); D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Torino 1976, 57-72; N. Marzac, Richard Rolle de Hampole (1300-1349): vie et oeuvres, Paris 1968; K.C. Russel, Reading Richard Rolle, in Spirituality Today, 30 (1978), 153-163; M. Sargent, s.v., in DSAM XIII, 572-590; Id., Contemporary Criticism of Richard Rolle, in Analecta Cartusiana, 55 (1981)1, 160-205; M.F. Wakelin, Richard Rolle and the Language of Mystical Experience in the Fourteenth Century, in Downside Review, 97 (1979), 192-203; F. Wöhrer, s.v., in WMy, 439-440.

A. Ward

ROSMINI ANTONIO. (inizio)

I. Cenni biografici e opere. R. Serbati Antonio nasce il 25 marzo 1797 e muore il 1 luglio 1855. Pensatore tra i più profondi e propositivi del secolo passato, scrive numerosi saggi di filosofia, di teologia e di spiritualità. E anche il fondatore dell'Istituto della Carità (Rosminiani). Uomo dall'intelligenza sistematica e vigorosa con i suoi scritti spirituali, che riflettono certamente anche il suo vissuto, propone una spiritualità che ha una stretta e naturale dipendenza dalla teologia e, nello stesso tempo, un innegabile fondamento mistico.

Tra gli scritti di ascetica e mistica ricordiamo soprattutto i seguenti: Massime di perfezione cristiana (Roma 1830); La dottrina della carità (Domodossola 1931); Epistolario ascetico (Roma 1911-1913).

II. Insegnamento mistico. Nella dottrina teologica proposta dal R. sembra che l'uomo viva per aspettare Dio: parte dalla coscienza di essere abitati dalla presenza di Dio in Cristo e punta a fare spazio sempre più al mistero di Cristo e a tutte le sue operazioni.

R. sottolinea che " tutti i cristiani in qualunque stato si trovino sono chiamati alla perfezione " (Massime di perfezione cristiana, p. 39), cioè alla " piena esecuzione dei due precetti della carità di Dio e del prossimo " (Ibid.). Evidenzia, altresì, che chi coltiva tale aspirazione non fa qualcosa di superfluo, ma rende a Dio ciò che gli è dovuto, cioè fa opera di giustizia. R. rileva, inoltre, che la vocazione alla santità non è principalmente oggetto di un impegno e di una convergenza sofferta e fedele a Dio, ma è una necessità che affiora dall'interno, da una presenza intima, infinita, che seduce, assorbe, possiede e rende nuova la vita.

E la presenza di Cristo, carità di Dio, nella vita dell'uomo, che coinvolge chiunque si fa cavità ricettiva alla sua azione, in un progetto nuovo, rendendolo capace di amare. " Quando questa Carità eterna... pone se stessa nelle create intelligenze - scrive R. - allora incontanente s'accende la nuova vita " (Dottrina della carità, p. 329).

Il centro vitale, quindi, del cammino spirituale è il Verbo incarnato, carità del Padre, " il grande Amante in tutti noi " (Ibid., p. 316). E lui che, prendendo posto nella vita dell'uomo, lo abilita a vivere " in un'altra maniera " e fa in modo che " gli atti di questa vita nuova, prodotta dalla carità, siano anch'essi atti di carità " (Ibid., p. 330).

Questa carità, che il credente è chiamato a vivere, deve avere una connotazione storica. Ora, nella scelta dell'impegno concreto, il credente non stabilirà a priori il dove e il come dovrà vivere la carità. Egli sarà indifferente e docile al cammino che Dio ogni giorno gli traccerà. Tale indifferenza, però, non è immobilismo, bensì motivo di ricerca: guidato dallo spirito d'intelligenza e sollecitato dai segni dei tempi, il fedele dovrà discernere e comprendere quale volto storico dare al suo impegno nell'amore.

Questo cammino nell'amore non è un'esperienza intimistica, ma va vissuto assieme a tutti gli uomini radunati dalla carità di Cristo, con i quali si rimane in comunione e si fa Chiesa. Non c'è santità, di conseguenza, senza un amore profondo a questa Chiesa, un amore che si fa desiderio " di spargere per essa i sudori ed il sangue " (Massime di perfezione, p. 46).

Frutto, ma anche segno di un cammino serio verso la santità è la pace del cuore, cioè un " godere una perfetta tranquillità e conservare un gaudio pieno, riposando pienamente nel suo Signore " (Ibid., p. 48). Tale pace R., uomo consumato dalla carità di Dio, testimonia come frutto della sua serenità interiore, malgrado le incomprensioni e la condanna di alcuni suoi scritti, sul letto di morte, quando a Manzoni che gli chiede: " Che faremo noi? ", egli lucidamente risponde: " Adorare, tacere e godere ".

Bibl. Opere: Epistolario ascetico, 4 voll., Roma 1911-1913; La perfezione cristiana, a cura di M.F. Sciacca, Torino 1955; L'introduzione del Vangelo secondo Giovanni commentata, Libri tre, a cura di R. Bessero Belti, Padova 1966; Storia dell'Amore, a cura di M.M. Riva, Reggio Emilia 1977; Antropologia soprannaturale, a cura di U. Muratore, 2 voll., Roma 1983; Scritti ascetici, a cura di A. Valle, Cinisello Balsamo (MI) 1987; Delle cinque piaghe della santa Chiesa, a cura di A. Valle, Milano 1997. Studi: M. Antonelli, L'ascesi cristiana in A. Rosmini, Domodossola (NO) 1955; R. Bessero Belti - U. Muratore - A. Valle, Ascetica e pietà rosminiana, Stresa (NO) 1985; R. Bessero Belti, s.v., in DES III, 2185-2190; Id., s.v., in DIP VII, 2033-2036; G. von Brockhusen, s.v., in WMy, 443-444; F. Evain, s.v., in DSAM XIII, 987-991; U. Muratore, Rosmini profeta obbediente, Milano 1995; C. Rebora, Antonio Rosmini asceta e mistico, Vicenza 1980; G. Velocci, L'esperienza religiosa di Antonio Rosmini, Milano 1971.

A. Neglia

RUUSBROEC GIOVANNI. (inizio)

I. Vita e opere. Giovanni di R. nasce nel 1293 nell'omonimo sobborgo di Bruxelles oppure nel villaggio Ruisbroeck. E sacerdote nel 1317 e cappellano a santa Gudula di Bruxelles, dove, nel 1338, inizia un esperimento di vita sacerdotale in comune con lo zio Hinckaert e con l'amico Coudenberg continuato nel 1343 a Groenendael (Val verde). Nel 1350 il gruppo viene trasformato in un Ordine religioso, i canonici regolari, che segue la Regola di s. Agostino. R. è priore del monastero di Groenendal fino alla morte, avvenuta il 2 dicembre 1381.

Le prime cinque opere spirituali di R.: Il regno degli amanti (1330 ca.), L'ornamento delle nozze spirituali (1340 ca.), La pietra scintillante (prima del 1343), Le quattro tentazioni e La fede cristiana (1343), risalgono al periodo di Bruxelles. Tutte rivelano preoccupazioni pastorali: decadenza del clero, rilassamento della vita religiosa, ignoranza del popolo. A Groenendael, R. termina l'opera Il tabernacolo spirituale, iniziata a Bruxelles, e compone Le sette clausure (1346), Lo specchio dell'eterna beatitudine (1359), I sette gradini della scala d'amore spirituale (1360 ca.), Il libro delle spiegazioni (1363), in parte contro tendenze quietiste e, infine, Le dodici beghine (1381). Del periodo groenendaeliano si conservono sette Lettere, mentre il libro Le dodici virtù è attribuito a Godefredo van Wevel ( 1396).

II. Dottrina mistica. R. scrive in volgare, in medio olandese (dietse), per meglio raggiungere i lettori che non conoscono il latino. In questo modo contribuisce ad una svolta decisiva della letteratura fiamminga, di cui è il più grande prosatore. Alla base della sua dottrina c'è l'uomo chiamato all'intima comunione con Dio. Tale comunione viene spiegata alla luce di tre incontri che " siamo invitati a sperimentare interiormente, all'inizio del cammino verso Dio, lungo la strada e all'arrivo. Ogni incontro consiste nel trovarsi insieme di due persone provenienti da luoghi diversi: Cristo viene dall'alto come Signore che dona con liberalità e può tutto. Noi veniamo dal basso come poveri servi che nulla possono fare da se stessi. Cristo viene in noi dall'interno all'esterno, noi andiamo verso di lui dall'esterno all'interno " (Nozze II, 4). Poiché avviene in tre modi: mediato, immediato, senza differenza, ciascuno di questi incontri produce l'unione con Dio: il primo per mezzo dei sacramenti e della vita virtuosa, il secondo, nel quale subentra una dimensione passiva, diventa, con l'aiuto della grazia, un " incontro amoroso ", sperimentato come unione immediata. Se tale incontro si trasforma in partecipazione mistica alla vita trinitaria di Dio e la comunicazione dell'amore di Dio all'anima assume una tale forza trasformante da consentire alle potenze superiori di raggiungere l'essenza di Dio, l'incontro diventa unione senza differenza.

Ciascuno di questi incontri - in R. concetto quasi identico a unione - fa parte dell'esistenza cristiana. E qualcosa che l'uomo possiede fin dall'inizio, ma è nascosto e va liberato per mezzo di una radicale conversione, nella quale egli è sostenuto dai " tocchi divini " che in lui bruciano ogni imperfezione, rendendolo una sola fiamma con Dio, " un solo spirito ". In R. una tale esperienza mistica, fondata su Gv 17,9-19, non comporta l'identificazione panteistica con l'essenza di Dio. R. ribadisce che l'uomo non diventa mai Dio. Si avvera, invece, che l'uomo viene creato a " immagine e somiglianza di Dio " (Gn 1,26). Con i termini dell'esemplarismo neoplatonico, R. sviluppa una mistica trinitaria che consente all'anima di partecipare alla vita divina delle tre Persone. Nell'amore (Minne) l'anima possiede Dio ed è inserita nell'abbraccio della Trinità. Ma ciò significa per R. che la stessa esperienza della mistica introduzione dell'uomo " nell'unità superessenziale di riposo e di fruizione " di Dio uno e in quella " unità di fecondità " di Dio trino, lo investe sempre più nella sua totalità: egli non si chiude passivamente nella ricchezza ricevuta, ma si dona a tutti: è aperto a una carità senza limiti.

Questa realtà è la " vita comune " (ghemeyne leven), concetto chiave dell'insegnamento teologico di R., che dev'essere considerato nella sintesi vissuta dei due aspetti: passivo e attivo. L'uomo che ha raggiunto le vette della contemplazione e trasformazione mistica giunge a una nuova comprensione della sua esistenza, orientata anche verso la comunione umana. " Rimaniamo eternamente in Dio e, al tempo stesso, ci effondiamo e incessantemente ritorniamo in Dio " (Ibid.). Rimanendo in Dio, l'uomo è spinto al servizio dell'umanità, al dono di se stesso a tutti. In tale donazione si realizza la sua vocazione, che da R. è vista alla luce della grazia, attuata in Cristo (cf 2 Tm 1,9), nel quale siamo figli adottivi (cf Ef 1,4-5), destinati ad essere trasformati nella sua immagine (cf Rm 8,29; 2 Cor 3,18). In Cristo l'uomo ascende a Dio, percorrendo le tre vie, descritte come una scala con sette gradini. Quando si perviene ai gradini più alti intervengono i sette doni dello Spirito Santo.

La dottrina di R. si esprime in categorie concettuali originali, fondate sulla Scrittura, in parte riprese dalla tradizione. Tale dottrina sottolinea la prospettiva antropologica e si distingue per un'acuta speculazione mistica che non consente affatto di divenire " uno " con Dio nel senso fisico, di scomparire totalmente nell'essenza divina. R. stesso combatte, ripetutamente, simili idee eterodosse, ma per affermare con assolutezza l'unione mistica, per partecipare alla vita di Dio Trinità.

Bibl. Opere: J. van Ruusbroec, Werken. Naar de standaardhandschrift van Groenendael, a cura della Ruusbroecgenootschap di Anversa, 4 voll., Tielt 1944-19482; L. Surius, D. Joannis Rusbrochii... Opera omnia, Colonia 1552; facsimile Farnborought 1967; Ruysbroeck l'Admirable, Oeuvres, tr. fr. a cura dei benedettini di Wisques, 6 voll., Bruxelles 1917-19382; Jan van Ruusbroec, Écrits, Bégrolles-en-Mauges, 1990; G. Ruusbroec, Lo splendore delle nozze spirituali, a cura di Giovanna della Croce, Roma 1992; Id., Lo specchio dell'eterna beatitudine, a cura di Giovanna della Croce, Milano 1994; J. van Ruusbroec, Opera omnia, si prevedono 10 voll.; sono stati pubblicati i voll. 101, 102, 103, 110, Tielt 1989-1991. Studi: A. Ampe, s.v., in DSAM VIII, 659-697; Id., Kernproblemen uit de leer van Ruusbroec, 4 voll. Antwerpen 1950-1957; Id., Ruusbroec, Traditie en werkelijkheid, Antwerpen 1975; G. de Baere, s.v., in WMy, 447-448; L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (Mi) 1991; O. Davies, Nell'incontro con Dio. La mistica nella tradizione nord-europea, Roma 1991; B. Fraling, Mystik und Geschichte. Das " ghemeyne leven " in der Lehre des Jan van Ruusbroec, Regensburg 1974; Giovanna della Croce, Ruusbroec, in La Mistica I, 461-493; P. Mommaers - N. De Pape, Jan van Ruusbroec. The Sources Content and Sequels of His Mysticism, Louvain 1984; L. Reypens, Le sommet de la contemplation mystique chez le bienheureux Ruysbroeck, in RAM 3 (1922), 249-271; 4 (1923), 256-271; 5 (1924), 33-59; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 4B, Bologna 1991, 297-311; P. Verdeyen, Introduzione a Ruysbroeck, Firenze 1991.

Giovanna della Croce

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