FANTASIA - FUENTE MIGUEL DE LA - DIZIONARIO DI MISTICA

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FANTASIA - FUENTE MIGUEL DE LA

F

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  ................. FANTASIA

F

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FANTASIA. (inizio)

I. Il termine f. deriva dal verbo greco phantázo (far apparire). Si tratta della facoltà dell'uomo che conserva le immagini dell'esperienza dei sensi esterni nell'assenza degli oggetti; è in grado di combinarle tra di loro e di metterle al servizio dello spirito nelle operazioni conoscitive e volitive. Nella vita spirituale la f. ha un ruolo molto importante.

II. Il ruolo della f. nella conoscenza. A differenza di tutti gli altri animali, dice Aristotele ( 322 a.C.), l'uomo che nasce nudo, scalzo e senza difese, riceve le mani e l' intelletto, affinché possa conoscere tutto e costruire un mondo a sua misura.1 Tutti i sensi dell'uomo sono al servizio dell'intelligenza. La f. si trova tra i sensi interni, situati nel cervello, che possono operare nell'assenza degli oggetti esterni. Questo senso occupa un posto centrale, al di sopra dei sensi esterni, in connessione con essi, al di sotto dell'intelligenza.

III. Funzioni. La f. svolge una triplice funzione conoscitiva in consonanza con il suo ruolo di mediazione: a. in rapporto alla sensibilità esterna, dalla quale ricava la materia: riceve i dati della realtà percepita, immagazzina il contenuto e lo custodisce come in un armadio vivente in un certo ordine e disposizione. Mediante questo servizio, l'uomo ritiene il flusso delle sensazioni, acquista la ricchezza che da esse viene offerta e la fa sua; b. in rapporto ai dati della sensibilità, che crescono in continuità lungo tutto l'arco dell'esistenza, la f. svolge altre attività: può renderli presenti nell'evocazione ad libitum, li puó ricomporre ad placitum, può ricrearli ad usum. L'uomo della prassi, l'homo faber, l'artefice e l'artista si nutrono del potere della f.; c. in rapporto all'intelletto, la f. svolge un servizio di base: dispone il phantasma che diventa la materia dell'operazione illuminante e astraente. Non solo serve per il risveglio della vita dell'intelletto, ma è anche il sostegno della continuità dell'operazione intellettiva mediante la conversio ad phantasmata. La conoscenza intellettiva è in stretta dipendenza dalla funzione dispositiva della f.

IV. La f. e la vita mistica. Per queste funzioni la f. non soltanto entra in contatto con le altre facoltà conoscitive, ma anche con quelle della vita appetitiva e tendenziale, prestando così un triplice servizio allo svolgimento della vita mistica: a. mediante la connessione con la sensibilità, unifica la experientia mundi, la lettura molteplice del grande libro della natura, così importante per la conoscenza di Dio nelle sue opere. Il mondo risulta pieno di voci, di colori, di forme che parlano di Dio a colui che ha la sensibilità per ascoltare. I salmi sono pieni della risonanza di questo cantico delle creature che lodano a modo loro il Signore; b. con l'aiuto dell'immaginazione, si possono capire meglio i misteri del Cristo fatto uomo. S. Bernardo dice che Cristo è disceso fino all'inimmaginazione. Il mistero di Cristo si snoda nei misteri della vita, passione, morte e risurrezione. La f. è in grado di raffigurare questi misteri attraverso la contemplazione. Cosí anche Cristo si fa via dell'uomo contemplativo; c. la f. non oltrepassa la materia anche se arriva all'astrazione del secondo grado, come nelle figure astratte. Per questo motivo, occorre lasciare da parte la f. nella contemplazione dei misteri profondi di Dio perché essa non serve all'intelletto metafisico, anzi puó essere di disturbo nella pace della contemplazione mistica, nella quale l'anima entra nel profondo mistero di Dio, guidata dallo Spirito.

Note: 1 Aristotele, De anima, II, 431,20.

Bibl. C. Cornoldi, Memoria e immaginazione, Padova 1976; P. Fossi, Fantasia e onnipotenza, Torino 1981; G.G. Pesenti, s.v., in DES II, 988-990; V. Rodríguez, Los sentidos internos, Barcelona 1993; J.T. Shaffer, The Potential of Fantasy and Imagination, New York 1979; Tommaso d'Aquino, STh I, q. 78, a. 4; Id., De anima, art. 13.

A. Lobato

FAVRE PIERRE. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce il 13 aprile 1506 a Villaret, un paesino di montagna sulle pendici del Grand Bonnard da una famiglia di poveri contadini. A sette anni sperimenta sentimenti particolari di devozione. A dodici anni fa voto di castità. Si mostra interessato allo studio e riceve con interesse la prima formazione scolastica. Dopo nove anni passati nella scuola di Pierre Velliardi, maestro pio e intelligente, si reca a Parigi per gli studi superiori. Sono gli anni dell'effervescenza di un Rinascimento che s'impone al Medioevo, di un protestantesimo che vuole porre le sue basi e divulgare le sue idee a Parigi. F. ha diciannove anni. Siamo nel 1525 quando F. intraprende lo studio della filosofia nel collegio di S. Barbara, dove ha come compagni di camera Francesco Saverio ( 1552) e Ignazio di Loyola il quale lo aiuta a superare il suo temperamento scrupoloso. All'inizio del 1534, sotto la guida di s. Ignazio, fa il mese di esercizi spirituali durante i quali decide di seguire il suo maestro spirituale nel suo stile di vita apostolica. Primo sacerdote della futura Compagnia, il 15 agosto 1534 insieme con Ignazio e altri cinque compagni, emette il celebre voto di Montmartre, cioè vivere in povertà e recarsi a Gerusalemme come pellegrino. Svolge il suo apostolato da vero " contemplativo nell'azione ", sempre in lotta per superare, secondo uno dei suoi migliori studiosi,1 la sua trepidante sensibilità, la tendenza allo scoraggiamento e la sua eccessiva introversione, soprattutto in Germania e in Spagna, anche se percorre da un capo all'altro tutta l'Europa cattolica. Muore a Roma il 1 agosto 1546 mentre si prepara a partecipare al Concilio di Trento. Nel 1542 inizia a scrivere il suo Memoriale, una sorta di diario spirituale in cui registra le sue esperienze mistiche e le considerazioni sulla sua vita peregrinante. Di lui si conservano anche molte lettere in latino e in spagnolo.2

II. Dottrina mistica. Il Memoriale è una mescolanza di ascesi, superamento di sé insieme ad un abbandono fiducioso nel Signore. Di lui egli vive, per lui egli lavora nella vittoria su se stesso e si sforza di aiutare gli altri che incontra. Scrive nei suoi appunti: " Si deve porre impegno non solo nel procurare spirito per far bene e anche molto bene le cose spirituali, come l' orazione e la contemplazione mentale e affettiva, ma con tutte le forze si deve lavorare perché si abbia il medesimo spirito anche nelle operazioni miste ed esterne e nelle orazioni vocali, e persino nelle conversazioni particolari o in quelle che si rivolgono pubblicamente al popolo " (n. 128= ottobre 1542).

Cerca lo spirito e la devozione nella sua orazione di rapporto personale con Cristo. E solito pregare ogni giorno al mattino e contemplare la vita del Cristo, ma cerca l'incontro con lui in tutte le sue attività e per le strade. Si apre all'orazione nei modi più vari: rende grazie, loda costantemente, chiede grazie per se stesso e intercede costantemente per gli altri, sempre aperto all'orizzonte universale e profondo del regno di Dio. Per le strade, per le città dove passa, raccomanda le città e le persone ai loro angeli custodi. Il suo cuore va verso i tabernacoli delle chiese che scorge sul suo cammino. La sua sensibilità, sempre aperta al tocco dello Spirito, si commuove ispirata dagli altari, dalle immagini, dalla solennità del culto; tutto lo porta a Dio e gli fa trovare motivi di preghiera, ma soprattutto cerca di incontrare Dio e comunicarlo nelle sue conversazioni con gli uomini.

Si avverte un progresso spirituale anche negli anni dell'attività apostolica di F. All'inizio sentiva che il pensiero era distratto nella superficialità della vita. Più tardi, avverte un raccoglimento che lo attira dall'interno del cuore. La forza attrattiva del Creatore ha preso possesso della sua anima sino al fondo del proprio essere. E notevole la lucidità con cui F. distingue i diversi spiriti che agitano il suo intimo. Vive sempre attento e docile a seguire le mozioni divine.

Reagisce dinanzi al timore di chiudere la sua anima quando osserva i difetti delle persone e le situazioni più varie: " Ricevetti questa risposta che dentro di me mi diceva: ’Temi di più che il Signore, che ti sta dinanzi, non ti chiuda il cuore alla sua gioia e non ti si stringa il cuore nei rapporti con lui e con le cose sue, perché se ti manterrai aperto a Dio e Dio con te, sarà cosa facile che tutto il resto ti si mostri aperto rispetto a te e tu lo sia rispetto a tutto; pertanto, cerca di essere buon devoto di Dio e dei suoi santi e facilmente troverai ciò che fa al caso per il tuo prossimo chiunque egli sia, amico o nemico' " (n. 143= ottobre 1542). Era questo che denominava " Spirito principale " e che desiderava sempre come guida delle sue attività.

Il suo temperamento emotivo, delicato, profondo, riflessivo, aperto alla passività dello Spirito si sente toccato, a volte, da desideri immensi che lo portano a sciogliersi in lacrime, o si sente, sotto gli effetti di vive intuizioni di fede infusa, condotto a zelo intenso, irraggiante, che supera i suoi limiti temperamentali e gli permette di penetrare nelle profondità del prossimo.

Così percorse i cammini e le città dell'Europa del suo tempo durante i pochi anni della sua intensa attività apostolica. Esempio di contemplativo nell'azione, di soave e penetrante dolcezza nella sua cordialità.

Note: 1 Cf C.G. Plaza, Contemplando en todo a Dios, Madrid 1944; 2 Furono incluse nel suo Memoriale pubblicato in MHSI, Monumenta Petri Fabri, Madrid 1914.

Bibl. Opere: MHSI, 48= Monumenta Fabri (Madrid 1914); tr. it. del Memorial, di G. Mellinato, " Confessioni " di Pietro Favre (1506-1546), primo compagno di s. Ignazio, Roma 1980; Memorie spirituali, (cura di G. Mellinato), Roma 1994. Studi: M. de Certeau, L'experience du salut chez P. Fabre, in Chr 5 (1958), 75-92; Id., Politica e mistica, Milano 1975; P. Galtier, La confession et le renouveau chrétien, in RAM 25 (1949), 18-44; H. de Gensac, Le mystère de la croix dans la vie apostolique d'après le Bx. Favre, in RAM 36 (1960), 273302 e 409-428; G. Guitton, L'âme du Bienheureux Pierre Fabre, Paris 1934; I. Iparraguirre, Carácter teológico y litúrgico de la espiritualidad del B. Fabro, in Manresa, 19 (1947), 31-41; Ch. Morel, s.v., in DSAM XII, 1573-1582; B. O'Leary, The Discernment of Spirits in the Memorial of B. Peter Favre, Roma 1979; C.G. Plaza, Contemplando en todo a Dios, Madrid 1944; W.J. Read, The Industry in Prayer of B. Peter Favre, Rome 1950; J. Sola, El problema acción-contemplación en el B. Pedro Fabro, in Manresa, 18 (1946), 342-367.

M. Ruiz Jurado

FEDELTA. (inizio)

Premessa. La f. sembrerebbe non essere attinente al registro della mistica perché la sua recezione nel linguaggio corrente è quella negativa di un atteggiamento di salvaguardia dell'amore dal tradimento, piuttosto che quella attiva di una crescita e pienezza d'amore. Invece, è una componente essenziale dell'amore. Ne esprime la perennità, l'impegno, il dinamismo. L'amore vero comporta un'adesione costante e indistruttibile, perseverante nella durata malgrado la prova del tempo e le difficoltà che possono sorgere nel rapporto fra amici ed amanti. L'amore esige, inoltre, l'impegno sincero a mantenere fede alla verità del rapporto e alla promessa, anche se implicita, di totalitarietà ed esclusività. L'amore è, quindi, l'anima della f. e la f. la prova e l'espressione dell'amore.

I. La Scrittura addita la f. come una delle chiavi più espressive per la lettura del rapporto tra Dio e il suo popolo. Nel contesto dell' alleanza veterotestamentaria, essa indica l'atteggiamento di Dio che, liberamente e mosso solo dall'amore, si prende cura del suo popolo e lo chiama alla comunione con sé. L'immagine sponsale - evocata soprattutto dai profeti - approfondisce la comprensione del legame d'amore che Dio stringe con il suo popolo. Una volta che Dio ha dato il suo amore non lo ritira più indietro. Dio non cambia nelle sue scelte. Al suo popolo chiede la stessa qualità d'amore. Ma non è mai un patto alla pari perché anche quando il popolo gli è infedele e lo tradisce con altri amanti, Dio continua a conservare il suo amore, anzi l'infedeltà lo rende geloso e lo porta ad amare ancora di più.

La f. di Dio non dipende dalla f. dell'uomo, continuerà ad affermare il NT (cf Rm 3,3). Anzi, davanti all'incapacità dell'uomo di essere fedele, sarà Dio stesso, in Cristo, a portare la f. nel cuore dell'umanità. In Cristo, che subisce la prova per venire incontro a quanti sono provati (cf Eb 2,18), l'umanità intera è rivestita della f. di Dio e dice il suo " amen " (cf 2 Cor 1,19-21).

Da parte della persona la f. si esprime nell'adesione piena all'amore di Dio che si manifesta nella sua volontà: chi osserva i comandamenti di Gesù dimora nel suo amore, come lui, avendo osservato i comandamenti del Padre, dimora nel suo amore (cf Gv 15,10). La f. consiste nel seguire totalmente e costantemente ogni ispirazione interiore, in risposta agli inviti dello Spirito che parla al cuore dell'uomo. La f. alle " piccole cose " significate dalla volontà di Dio del momento presente dispone all'abbandono fiducioso e a lasciarsi condurre dallo Spirito: " Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto " (Lc 16,10).

II. Nella vita cristiana. Così la f. appare, nella sua realtà dinamica e creativa, come attaccamento ad un disegno d'amore che si dispiega di giorno in giorno in modalità inedite; un disegno perseguito con ostinazione, malgrado gli ostacoli e gli eventuali sbagli. La decisione di amare non è fatta mai una volta per tutte. Va continuamente rinnovata. E un'avventura nella quale si scopre la novità perenne dell'amore di Dio. Ci si accorge che è lui che guida, lavora, purifica, fa crescere. E lui che, con il suo Spirito, viene in noi per rispondere alle sempre nuove chiamate che segnano il cammino della vita. Di qui la dimensione attiva e insieme passiva della f.: la tensione nostra, sempre rinnovata, per rinnegare tutto ciò che non è Dio e per donargli completamente cuore, mente, forze; l'azione di Dio che viene incontro alla nostra debolezza e che prende l'iniziativa della nostra purificazione, della nostra donazione, dell' itinerario di vita spirituale.

La f. diventa una relazione viva e dinamica, un colloquio nel quale forse ci si dicono le cose di sempre, eppure fatte sempre nuove dall'amore. Come ogni rapporto anche questo ha una sua storia, un cammino, una crescita, con momenti belli, difficoltà, smarrimenti, notti, nuovi slanci, luce, pace, intimità... E un dialogo nel quale s'intesse un legame sempre più profondo, attraverso il quale l'uomo si realizza pienamente, in una crescita continua che lo porta a diventare quel capolavoro che Dio da sempre ha pensato quando ci ha pensati nel Verbo: non si finisce mai di conoscersi e di amarsi. L'amore è sempre nuovo: è il rinnovamento permanente.

L'eternità dell'amore di Dio, incontrandosi con la storia concreta di ogni uomo, in quell'ora e in quel luogo, suscita un'altra eternità: chiama a stare con lui stabilmente, per sempre. Da sempre, nel suo grande amore Dio ci ha scelti in Cristo per essere, per sempre, santi e immacolati al suo cospetto (cf Ef 1,4). Lui da sempre, noi per sempre. Il suo " da sempre " ci trascina in un per sempre. Raggiunta dall'amore di Dio, la persona è coinvolta in un processo d'amore che non ha fine e procede verso l' eternità, avvolta nell'infinito. Da parte di Dio la nostra storia non ha principio perché è " da tutta l'eternità ". Da parte nostra inizia con la chiamata personale di ognuno di noi, ma ha subito il sapore dell'eternità perché non avrà mai fine.

E chiaro allora che l'amore, per essere vero, non può avere limiti di tempo. L'amore, per andare in profondità, ha bisogno della durata. Ci vuole tempo per imparare a conoscersi pienamente. Solo con il tempo si raggiunge l'intimità vera. Un rapporto autentico e profondo è il frutto di una vita.

Bibl. P. Adnès, s.v., in DSAM V, 307-332; H.U. von Balthasar, Dove ha il suo nido la fedeltà, in Com 5 (1976)26, 5-20. A. De Sutter - M. Caprioli, s.v., in DES II, 998-1000; A. Gelin, Fidélité de Dieu fidélité à Dieu, in Bible et Vie chrétienne, 15 (1956), tutto il numero; C. Spicq, La fidelité dans la Bible, in VieSp 98 (1958), 311-327.

F. Ciardi

FÉNELON FRANCESCO. (inizio)

I. Vita e opere. Francesco de Salignac de la Mothe nasce nel 1651 nel castello di Fénelon da una famiglia nobile e muore nel 1715. Suo padre è cadetto di Salignac e signore di Ponz de Salignac. Educato nella giovinezza in maniera semplice, solida e cristiana, frequenta l'Università a Cahors ove porta a termine la formazione umanistica e gli studi filosofici. Al seminario di St. Sulpice di Parigi conosce l' Olier da cui riceve una benefica influenza; ordinato sacerdote nel 1676-77, inizia il suo ufficio di predicatore. L'arcivescovo di Parigi, conosciuta la sua fama di predicatore, lo nomina superiore delle " Nouvelles Catholiques ". Dopo l'Editto di Nantes, viene inviato in missione a Poitou e in Saintonge, su proposta di Bossuet. Nel 1688 F. conosce M.me Guyon, mistica che predica la preghiera interiore e professa un quietismo moderato. Gli scritti della Guyon vengono sottoposti a Godet de Marais ( 1709) e a Bossuet, che la costringono a ritirarsi. Per le sue insistenze, si costituisce una commissione con Tronson, Noailles e lo stesso Bossuet, nonché la partecipazione indiretta di F. Con gli Articles d'Issy si cerca di codificare in una summa tutta la dottrina mistica in trentaquattro articoli. Proprio con questi articoli la polemica, ben lungi dal chiudersi, si apriva. Mentre Bossuet scriveva una notevole Instruction sur les états d'oraison (1697), F. lo anticipava di qualche mese con le Maximes de Saints (1697).

In quest'opera si distinguono e sviluppano quattro punti fondamentali ai quali si possono rapportare tutte le " massime " dei santi, cioè il loro magistero circa la vita interiore. Le tesi qualificanti l' amore puro si concentrano in altrettanti punti: 1. tutte le vie interiori che portano alla perfezione tendono all'amore puro e disinteressato. 2. Le prove incontrate nella via alla santità sono finalizzate alla purificazione dell'amore. 3. La contemplazione, anche nella fase più elevata, non è altro che l'esercizio dolce di questo amore puro e disinteressato. 4. Lo stato più elevato della perfezione, quello che viene chiamato " via unitiva " o " stato passivo ", non è che la pienezza di questo amore o stato abituale di questo amore.

Con il Breve di condanna di ventiquattro proposizioni feneloniane (1699) delle Maximes des Saints, in cui si esclude la forma estrema di haeretica o haeresi proxima, si condanna lo stato del puro amore, non si entra in merito alla natura del puro amore o della carità disinteressata. Esse, quindi, possono essere considerate affette da semiquietismo. L'essenza del puro amore consiste in questo: che la carità è un amore di Dio per se stesso, indipendentemente dal motivo della beatitudine che si trova in lui. In tale situazione si ricerca il rapporto tra carità e speranza, poiché proprio con la virtù teologale della speranza si possiede la beatitudine di Dio, che sembra escludere il motivo del disinteresse.

Il vescovo Godet de Marais, teologo mistico di rara finezza, così si esprime nella lettera pastorale sulle Maximes des Saints: " Si tratta di sapere se c'è uno stato giusto sulla terra, indipendente dal motivo della speranza cristiana; se la vita beatificante di Dio non aumenti più in nulla l'amore puro nello stato di perfezione; se la speranza stessa può conservarsi senza essere esercitata a motivo della ricompensa eterna; se la vera purificazione delle anime consiste nel sacrificare il motivo di questo supremo interesse della nostra salvezza ".

Certo F. nelle Maximes si è lasciato prendere dalla fretta, ha adottato qualche posizione guyoniana, pur avversando apertamente il quietismo. Bossuet, polemizzando con lui, vede in quelle affermazioni solo oziose curiosità o sottigliezze spirituali e un affronto alla sua stessa persona. In realtà, la polemica scopre due differenti personalità: Bossuet è un dogmatico " cartesiano " che procede con l'a-priori teologico, propenso all' ascetica, si sente conseguentemente estraneo alla grande esperienza della mistica classica. F., invece, si destreggia con abilità nelle zone della contemplazione, che sa capire e comprendere anche con spirito umanista, qual è l'autore delle Aventures de Télémaque, il libro pedagogico più fortunato del Settecento.

Le conseguenze di tale polemica portano ad un discredito della mistica che l'Illuminismo settecentesco disattende ulteriormente. La condanna di F. storicamente segna una proscrizione preterintenzionale della mistica cristiana, che andrà sempre più eclissandosi lungo tutto il sec. XVIII, anche per l'emergere della nuova categoria: l'autonomia della ragione dei philosophes in antagonismo al dato rivelato, rompendo l'armonia tra fede e cultura.

Bibl. Opere: F. Varillon (cura di), Oeuvres spirituelles, Paris 1954; J. Le Brun (ed.), Oeuvres, Paris 1983; J. Orcibal (ed.), Correspondance, 6 voll., Paris 1972-1987. Studi: L. Cognet, s.v., in DSAM V, 151-170; Id., Crépuscule des mystiques, Toulouse 1958; A. Delplanque, La pensée de Fénelon d'après ses oeuvres morales et spirituelles, Paris 1930; B. Dupriez, Fénelon et la Bible. Les origines du mysticisme fénelonien, Paris 1961; J.L. Goré, L'itinéraire de Fénelon. Humanisme et spiritualité, Grenoble 1956; G. Joppin, Fénelon ou la mystique du pur amour, Paris 1938; R. Leuenberger, " Gott in der Hölle lieben ". Bedeutungswandel einer Metapher im Streit Fénelons mit Bossuet um den Begriff des " pur amour ", in ZThK 82 (1985), 153-172; P. Zovatto, Fénelon e il quietismo, Udine 1968; Id., Intorno ad alcuni recenti studi sul quietismo francese, in ScuCat 1 (1969) Suppl., 37-67; Id., s.v., in DES II, 1000-1002; J. Weismayer, s.v., in WMy, 157-160.

P. Zovatto

FENOMENI MISTICI. (inizio)

I. Definizione e tipologie. I f. possono essere definiti come eventi fuori della normale quotidianità che avvengono in talune anime che prendono coscienza dell'azione diretta di Dio nella loro vita spirituale.

Tali manifestazioni hanno la possibilità di esprimersi attraverso la fisicità del corpo come per esempio stimmate, levitazione o attraverso stati d'animo complessi come l' estasi.

Altre volte i f. si caratterizzano per le comunicazioni particolari che Dio trasmette in vari modi ad anime prescelte. Nel libro II (10,4) della Salita del Monte Carmelo Giovanni della Croce definisce quattro modi di percezioni particolari da lui chiamate " notizie spirituali ": le visioni, le locuzioni, le rivelazioni e i sentimenti spirituali. La tradizione ecclesiale non li ha mai considerati determinanti nei processi di canonizzazione, separando la santità e l' eroicità delle virtù dai fenomeni straordinari che in talune occasioni li accompagnano.

Già nell'AT le rivelazioni di Dio si sono manifestate spesso attraverso visioni, sogni, angeli e profeti. Nel NT, leggendo Giovanni (14,9), comprendiamo che Cristo stesso è la massima rivelazione di Dio Padre: " Chi ha visto me, ha visto il Padre ".

1. Visioni. Nella Salita (II, 23,3), Giovanni della Croce definisce la visione come " tutto ciò che l' intelletto riceve a modo della vista: l' anima può percepire spiritualmente le cose come gli occhi le vedono corporalmente ". S. Tommaso, in accordo con quanto precedentemente espresso da s. Agostino,1 le distingue in visioni corporali, immaginarie ed intellettuali. Giovanni della Croce sconsiglia l'accoglimento delle visioni corporali, giudicando che " ...tali visioni e percezioni sensibili non possono essere mezzo per l' unione, perché non hanno alcuna proporzione con Dio ".2 Concorda in ciò s. Teresa d'Avila.3

D'altra parte, però, si devono sottolineare le apparizioni di Lourdes e di Fatima, riconosciute dalla Chiesa come dono di Dio per richiamare l'umanità alla preghiera ed alla penitenza.

2. Locuzioni. Con il termine " locuzioni " Giovanni della Croce intende " tutto ciò che l'intelletto riceve a guisa dell'udito ".4 Come per le visioni, il Dottore mistico distingue le locuzioni in " esteriori " o " auricolari ", dalle intellettuali e dalle " immaginarie o interne ". Di esse parla anche Teresa d'Avila.5

3. Rivelazioni. Con le " rivelazioni " l'anima riceve quasi apprendendo e intendendo cose nuove.6 S. Teresa spiega nel libro della Vita (27,6) che con esse " ...il Signore fa capire all'anima ciò che vuole, scoprendole grandi verità e misteri: questa maniera di conoscere è degna di molta considerazione... ".

4. Sentimenti spirituali. Altra comunicazione soprannaturale che l'anima può ricevere è quella dei " sentimenti spirituali ": " Da tali sentimenti... spesso ridonda nell'intelletto un'apprensione di notizia e di intelligenza, la quale consiste in una profondissima e saporosissima percezione di Dio, alla quale non si può dare un nome ".7

In ultima analisi, Giovanni della Croce non appare, come può sembrare a prima vista, così restio all'accoglienza di tali comunicazioni mistiche, consigliando d'altra parte, come tutta la Chiesa, un'attenta valutazione delle loro origini e dei loro effetti. Spiega che esse non sono indispensabili per la santità, anche se ammette che " ...Dio, servendosi di esse, spesso presenta all'anima molte verità e le comunica molta sapienza ".8

II. F. e spiritualità. Nonostante la dottrina della Chiesa insegni che i f. sono estranei alla vita spirituale la quale può raggiungere la sua completezza anche senza di essi,9 è bene aggiungere che la stessa Teresa di Gesù nel Castello interiore (IV Mansioni, 6) spiega che è raro trovare delle anime legate a Dio che, insieme all'unione mistica con Dio e all'esercizio eroico delle virtù, non abbiano sperimentato alcun fenomeno.10

Lo studio dei f. è argomento estremamente delicato. Proprio per siffatti motivi, vi è un atteggiamento di osservazione e attesa nei confronti degli episodi riportati, seguendo una linea di prudenza e saggezza.

In altri ambiti, non religiosi, d'altro canto vengono formulate asserzioni da parte di psichiatri, psicologi o psicanalisti che rifiutano aprioristicamente l'eventualità di fenomeni soprannaturali, partendo da presupposti privi in realtà di connotati scientifici.

Difatti, la scienza può soltanto cercare ciò che può essere ad arte " manipolato ", ma non pervenire in alcun modo al punto centrale, inaccessibile alla scienza.

La psicologia dovrebbe prendere atto del concetto (ciò che raramente avviene) secondo il quale l'attività scientifica non è includente ma inclusa, e compito della scienza è proprio distinguere, nei limiti del possibile, le regolazioni secondarie a questo inglobamento. L'errore più frequente degli scienziati è quello di avere una visione globale limitata al mondo della dimostrazione scientifica, negando l'esistenza di qualunque evento al di fuori di quelli comunemente dimostrabili. Tale ragionamento è viziato dal presupposto che nulla esiste al di là di ciò che è dimostrabile, laddove sarebbe certamente più scientifico affermare che determinati eventi, se realmente accaduti, " non sono scientificamente dimostrabili ", lasciando ad altri campi (per esempio alla teologia) il giudizio finale.

L'epistemologia contemporanea ha dimostrato che solamente " qualcosa di vero " può, per la forza della sua verità, modificare in maniera rilevante e duratura un procedimento razionale e che, quindi, in maniera inversa, al centro di una tale dimostrata modificazione, vi è per necessità " qualcosa di concreto ".

E evidente, d'altra parte, che la più ampia prudenza è indispensabile in questo settore alla luce di uno studio e di un'interpretazione teologica che dopo aver escluso manipolazioni o aspetti psicopatologici, come allucinazioni, isterie, o più semplicemente illusioni, deve considerare sintenticamente l'intero scenario della vita spirituale e psicologica del soggetto.

Ciò anche in considerazione del fatto, sottolineato da s. Teresa che, " ...molte volte ci s'inganna pur non volendolo...".11 La stessa affermazione è confermata dalla scienza, quando ammette che anche in autentici mistici si possono inserire inconsciamente nel fenomeno soprannatuale elementi patologici.12

Inoltre, non bisogna dimenticare, nel giudizio teologico, che " ...lo Spirito di Dio quando è lui che veramente agisce, apporta con sé umiltà " 13 e l'umiltà nelle anime di Dio si esprime come obbedienza e docilità alla Chiesa, unica interprete dello Spirito di Dio e del suo intervento sulle anime che a lui tendono, attraverso l'eroismo delle virtù.14

I f. vengono presi in considerazione solo dopo che si siano accertate le virtù eroiche del soggetto e solo dopo che la loro effettiva presenza sia dimostrata senza ombra di dubbio. Importante resta seguire con prontezza, costanza e gioia la volontà di Dio, lasciandosi guidare dal suo Spirito e donandosi come il Cristo nel quotidiano, tempestoso o felice che sia.

Note: 1 De Gen. ad litt. I, 12,7,16: PL 34,459; 2 Salita del Monte Carmelo II, 11-12; 3 Cf Vita 28,4; Relazione IV, 1; Castello interiore VI, 9,4; 4 Salita..., o.c., 23,3; 5 Castello..., o.c., VI, 3,4, 3,16; Fondazioni 8,5ss.; 6 Salita..., o.c., 23,3; 7 Ibid.; 8 Ibid. 16,3; 9 Cf P. Lambertini, De servorum Dei beatificatione..., III, c. 42; 10 Cf Fondazioni 8,10; Castello..., o.c., II, 1,8, I, 2,7; Filippo della Trinità, Summa theologiae mysticae, III, tr. II, intr., Bruxelles 1874, 131; 11 Fondazioni 4,2; 12 A. Brenninkmeyer, Traitement pastoral des nevrosés, Lyon-Paris 1947, 60; 13 Fondazioni 8,9; 14 Giovanni di Gesù Maria, Schola orationis, Roma 1611, tr. De oratione, dub. 58; 15 Cf P. Lambertini, o.c.

Bibl. Aa.Vv., Rausc, Ekstase, Mystik: Grenzformen religiöser Erfahrung, Düsseldorf 1979; P. Adnès, Revelations privées, in DSAM XIII, 482-492; E. Benz, Die Visionem. Erfahrungsformen und Bilderwelt, Stuttgart 1969; B. Callieri, Esperienza mistica e psichiatria: elementi per una riflessione, in La Mistica II, 449-471; J. Gagey, s.v., in DSAM XII1, 1259-1274 (con ampia bibl.); J. Galot, Le apparizioni private nella vita della Chiesa, in CivCat 136 (1985)2, 19-33; V. Macca - M. Caprioli, Fenomeni straordinari, in DES II, 1002-1022; Id., Comunicazioni mistiche, in DES I, 576-581; G. Ruggeri, Psicologia del profondo e vita mistica, in Aa.Vv., Mistica e scienze umane, Napoli 1983, 189-219; R. Zavalloni, Grazia e fenomeni mistici, in Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 159-182.

J. Malley

FERITA D'AMORE. (inizio)

I. Il termine. La f., secondo i mistici, assume il significato di grazie diverse ma speciali, con caratteristiche ed effetti propri, che portano ad una sofferenza, a grazie ordinarie o eminenti, a favori mistici, riservati solo alle anime giunte all' unione trasformante. Si tratta di un'esperienza intensa d'amore mistico, di tocchi divini d'amore che, per accelerare il cammino di perfezione, suscitano nell'anima un desiderio di Dio, con godimento o con dolore a seconda che si possieda o meno colui che si ama.

II. L'oggetto della f. è l' amore di Dio. Nella vita spirituale si verificano più f. e in diversi periodi. L'anima non è libera di cercarle, rifiutarle o stabilirne la durata, perché provengono dall'amore gratuito di Dio. Alcune provocano dolore essenzialmente spirituale, altre godimento e dolore insieme, come una freccia che penetra nel cuore, oppure solo " diletto ". Il dolore spirituale può essere accompagnato anche da dolore fisico, ma in questo caso non c'è godimento dell'anima.

III. Gli effetti della f. variano a seconda del momento che l'anima sta attraversando e del " tipo di ferita ".

Le ferite che avvengono nella notte passiva dello spirito (ferite in senso stretto), producono la purificazione dell'anima, prima dell'unione spirituale, mentre durante tale unione tendono ad accrescere l'amore.

Ne consegue un desiderio sempre più vivo di soffrire per Dio e di un distacco più radicale e universale.

Bibl. A. Cabassut, s.v., in DSAM I, 1724-1729; I. Rodríguez, Amore (ferite di), in DES I, 120-122; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 1965, 879-880.

S. Giungato

FERRINI CONTARDO. (inizio)

I. Vita. Nato a Milano il 4 aprile 1859 da una famiglia di modeste condizioni, ma profondamente cristiana e con una certa predisposizione e preparazione culturale, studia al collegio Borromeo di Pavia e si laurea in giurisprudenza nel 1880 con una tesi in latino sull'importanza della poesia omerica ed esiodea per la storia del diritto penale. Con una borsa di studio si perfeziona in Germania, a Berlino, seguito da studiosi di fama internazionale come il Zachariae e il Mommsen. Assume dapprima il ruolo di incaricato di storia del diritto penale romano ed in seguito di esegesi delle fonti del diritto romano a Pavia. Dopo aver vinto il concorso per la cattedra di diritto romano, insegna a Messina dal 1887, quindi a Modena nel 1890, poi, nel 1894, ritorna a Pavia.

Già nel 1881 aveva fatto il voto di castità come terziario francescano ed è uno dei primi esempi di consacrato secolare, impegnato pienamente nelle realtà temporali. Fu anche consigliere comunale di Milano e strenuo difensore dell'insegnamento religioso nelle scuole primarie. Convinto assertore del dialogo tra fede e cultura, fu tra i primi ad aderire al progetto di una Università Cattolica in Italia. Anche se non potette vederla realizzata, quando a Milano fu eretta dal padre Gemelli l'Università Cattolica del S. Cuore, venne riconosciuta la sua azione di precursore ed ispiratore, per questo motivo il suo corpo fu deposto in seguito nella cripta della cappella di quell'Università. Accanto alla sua attività di studioso e di politico, svolse sempre un'intensa opera caritativa, interessandosi ai problemi sociali del suo tempo: era infatti membro della Conferenza di San Vincenzo.

Nel pieno della sua attività, improvvisamente nell'estate del 1902, mentre era in vacanza a Suna sul Lago Maggiore, venne colpito da un violento tifo che lo condusse alla morte il 17 ottobre a quarantatrè anni.

Ben presto si diffuse la fama della sua santità ed il 4 luglio del 1924 veniva introdotta la causa per la sua beatificazione. L'iter si concluse il 14 aprile 1947, quando venne proclamato beato da Pio XII che lo definì " il modello dell'uomo cattolico dei nostri giorni ".

II. Attività ed opere scientifiche. Attraverso l'impegno di cattedratico, il F. realizzò un'intensa produzione scientifica. A circa duecento assommano i suoi scritti che vanno dalle opere maggiori di revisioni critiche di antichi testi giuridici, ai numerosi articoli per riviste specializzate, alle varie voci di enciclopedie soprattutto di diritto.

Questa sua attività e produzione di ricercatore fece dichiarare al famoso studioso T. Mommsen che " per merito del F. il primato degli studi romanisti passava dalla Germania all'Italia ".

III. Esperienza e scritti spirituali. Nell'ambiente culturale freddo e impregnato del culto della ragione proclamato dalla filosofia dell'Illuminismo e allo spuntare del Romanticismo in cui nacque un nuovo senso della storia e della sua ricerca in ogni campo, si situa la figura mite, dialogante, di uomo di fine cultura, di politica e di carità del F. Questi aveva compreso che l'uomo è un ens finitum, quod tendit ad infinitum, che ha un'anima immortale la quale varca l'abisso che divide il mondo materiale dallo spirituale e, separandosi dal corpo, vola sulle sponde dell'eternità davanti allo sguardo ed al giudizio di Dio. A quell'alta meta egli tenne sempre rivolto e fisso l'occhio ed il pensiero durante il suo terreno cammino, nutrendosi lungo la via con l'alimento del sapere e della scienza umana storica e giuridica, ma facendo cibo vitale e sostanziale del suo spirito la pietà e la virtù attinte dalla rivelazione divina, per immedesimarsi con Cristo nel fuoco della sua carità.

Per il F. il diritto, con la sua storia e il suo svolgimento, non era l'oggetto isolato di una ricerca scientifica che trova in se stessa il suo appagamento, ma piuttosto l'applicazione della legge eterna, della legge morale divina alla realtà della vita umana, come una delle potenti colonne che, fondate su Dio stesso, concorrono all'edificazione della società, al bene universale dei popoli.

In F., il lavoro professionale e la vita intima erano congiunti in un'indissolubile unità; perciò la sua figura di studioso divenne visibile in tutta la sua pienezza solamente nella luce della sua esperienza spirituale. La sua coscienza professionale, era fin nelle sue più profonde radici, illuminata e guidata da una pura fede e da un forte volere di servire la verità in tutte le sue manifestazioni, cercando Dio in ogni cosa.

Gli scritti religiosi e le sue lettere, meditazioni, pensieri, possono essere considerati dei piccoli trattati spirituali in cui si manifesta la sua costante unione con Dio. La radice della sua vita cristiana di consacrato secolare è fondata sulla Eucaristia e sull'esercizio del vangelo della carità, nella preoccupazione costante verso i poveri.

Di questi scritti ricordiamo soprattutto il Regolamento di vita (1888), il Programma di vita del giovane cristiano (1880), Un po' d'Infinito. La sua fisionomia spirituale si fonda sulla lettura assidua dei Padri della Chiesa e su una conoscenza particolare delle opere del gesuita L. du Pont.

F. fu il mistico dell'unione con Dio, in cui era immerso ed insieme, per così dire, il mistico del fatto e dell'azione, di quell'operosità che non viene considerata (nel misconoscimento dell'ordine divino) come fine a se stessa ed elevata a una sorta di surrogato della religione, ma che riceve stimolo e forza, dignità ed efficacia dal Creatore e Signore di ogni verità. La sua vita e la sua dottrina sono una sintesi di fede e cultura pienamente inculturate nel suo tempo. Egli è una voce quasi profetica di una presenza discreta del Vangelo operante nell'attività culturale, nella politica, nella prassi solidale come risposta alle povertà del suo mondo.

Bibl. Opere: Tutti gli studi giuridici del Ferrini sono stati raccolti in E. Albertario - V. Arancio-Ruiz - P. Ciapessoni (cura di), Opere di Contardo Ferrini, 5 voll., Milano 1929-1930. I suoi scritti spirituali si trovano raggruppati in alcune raccolte: A. Codaghengo, Pensée et Elévations, Paris 1930; Mgr. Minoretti (cura di), Scritti religiosi di Contardo Ferrini, Milano 1931, 1947; G. Pellegrini (cura di), Scritti religiosi di Contardo Ferrini, Torino 1924, 1926. Studi: Aa.Vv., Miscellanea Contardo Ferrini, Conferenze e studi nel fausto evento della sua beatificazione, Roma 1947; G. Anichini, Un astro di santità e di scienza, Roma 1947; C. Caminada, Vita di Contardo Ferrini, Roma 1947; C. Castiglioni, s.v., in DSAM V, 199-200; J. Cottino, s.v., in BS V, 656-658; I. Giordani, Contardo Ferrini. Un Santo tra noi, Milano 1949; H.R. Harraro, s.v., in NCE V, 896-897; B. Jarret, Contardo Ferrini, London 1933; C. Pellegrini, La vita del professor Contardo Ferrini, Torino 1928; A. Portaluppi, L'anima religiosa di Contardo Ferrini, Alba (CN) 1942; M. Vaussard, Le bienheureux Contardo Ferrini, in NRTh 70 (1948), 289-302.

V. Mosca

FERVORE. (inizio)

I. Definizione. G. Thils definisce il f. " stato d'animo tipico di chi vuole decisamente e ardentemente credere nella santità ". Tale definizione moderna raccoglie, in verità, concezioni di entusiasmo e zelo spirituale di lunga data. Il f., infatti, è una nozione antica. Risale sia alla mentalità e al linguaggio della Bibbia sia alla cultura greco-latina. Nel latino, cui il nostro temine si collega più da vicino, si trova l'idea di calore e ardore che è solitamente propria di esperienze fisiche (un fuoco che incendia) o di sensazioni psicologico-corporali (passioni che infondono ardore o calore: la gelosia, l'ira, l'amore, l'odio...). Ovunque, in ogni caso, si ha la nozione di una forza che è tanto appassionata e forte da portare a imprese straordinarie. Tutto ciò è ancor più significativo se si guarda al fervore che scatta nella storia di persone con particolari impegni di vita cristiana. Presso i Padri della Chiesa il f. è l'amore che s'accende nel cuore dei credenti vigilanti per opera dello Spirito Santo, secondo la preghiera che poi si delineerà meglio: " Tui amoris in eis ignem accende ", ossia " accendi in essi il fuoco del tuo amore ". Esso è un amore che spinge a gesti straordinari, suggerendo una vita più austera e insieme più serena del solito. E, dopotutto, il f. a promuovere la vita consacrata dei monaci e, via via nel tempo, quella dei migliori testimoni che il popolo ammira e spesso consulta. E il f. a rendere storicamente vero il desiderio di Cristo che i suoi discepoli siano come città sul monte e sale per il mondo.

II. F. vero e f. falso. Il f. può, in verità, non essere autentico e portare ad eccessi. Quello, per esempio, solo sensibile non è affatto attendibile. Sono frequenti in tutta la letteratura spirituale antica, moderna e contemporanea, ma soprattutto antica, i richiami a vegliare bene sulla qualità del f., perché dice un saggio certosino della fine del Medioevo che si può avere una discrezione che senza f. è solo fiacchezza; e si può avere un f. veemente che senza l'equilibrio della giusta misura manda tutto in rovina. Perciò, occorre che il f. solleciti la discrezione e la discrezione diriga il fervore. La Fiamma viva d'amore di Giovanni della Croce, in definitiva, allude a un f. che non fa calcoli umani, visto che lo Spirito Santo stesso rompe gli indugi e sospinge l'anima a mete ardite. Mete che non ci si può prefiggere con il semplice impulso umano o con le devozioncelle da femminucce, direbbe Teresa di Gesù. La maestra d'Avila è tra le più ardite e fervide, ma insieme tra le più concrete ed equilibrate di tutta la storia cristiana, lei che non accetta mezze misure, ma pone in guardia dai fervori fasulli. Altrettanto coraggioso e insieme saggio è Francesco di Sales, uomo che fa volentieri leva sul cuore, ma diffida dei sentimenti viscerali e passeggeri, cioè che non si radicano nella fede. Occorre notare che falso è il f. che si affida a ciò che è puramente esteriore e s'aspetta di essere premiato con consolazioni e continui gusti inebrianti. Falso è pure quello formalistico, affidato a mezzucci di devozionismo mediocre. Inaffidabile è il f. intermittente, con giorni di propositi magnanimi e giorni di fiacca.

III. F. corrisponde ad amore attivo. Per capire il f., è meno utile usare concetti astratti che considerare persone concrete. Per questo motivo, è ancora convincente s. Basilio quando dice che il cristiano fervente è quello che compie la volontà di Dio con una particolare alacrità d'animo, con un desiderio senza limiti e un'applicazione senza sosta, radicandosi nell'amore di Gesù Cristo nostro Signore. E il cristiano che fa una applicazione e amplificazione concreta delle famose parole di Paolo: " Io, non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù " (Fil 3,13).

Il f., pertanto, è una forma vibrante dell'amore; è la pazienza e insieme l'impazienza di chi si fa sempre più cosciente della presenza di Dio nella sua vita e da qui, con grande umiltà e insieme con slancio, non è mai contento di ciò che ha fatto, sapendo che resta da fare sempre più strada di quanta ne ha percorsa e vigila che niente nella vita vada sprecato tenendosi sempre pronto per il grande incontro. Il f., inoltre, è la consapevolezza umile e amorosa che, col tempo che s'è fatto breve, tutto richiede una santa fretta, non ansiosa e malata, ma certo premurosa e creativa. La fretta o vigilanza che aveva, per esempio, Teresa di G. B. Proprio questa santa, che prima si espone a sembrare petulante pur di entrare quanto prima nel Carmelo e poi, negli ultimi diciotto mesi della sua giovane vita, si ritrova in un tunnel oscuro (con la prova della fede, nell'assenza assoluta di gusto sensibile) è il tipo perfetto dell'anima fervorosa. Ella, che da ragazza ha mostrato molto f., ha saputo, poi, affrontare con straordinario equilibrio l' aridità più tremenda nell'ultimo periodo della sua breve vita. In tale stato ha conservato tanto f. da dire: " Se anche Dio mi uccidesse, l'amerei lo stesso... Se egli non vedesse il bene che faccio e mi mandasse pure all'inferno, non m'importerebbe, purché egli fosse amato anche là ".1

Note: 1 Ultime conversazioni 7,7,3.

Bibl. Aa.Vv., L'esistenza cristiana. Introduzione alla vita spirituale, Roma 1990; Alessandro di S. Giovanni, Il fervore, in RivVitSp 4 (1950), 71-86; C. Gennaro, s.v., in DES II, 1011; M.-M. Philipon, I doni dello Spirito Santo, Milano 1966; M.-D. Philippe, s.v., in DSAM V, 204-220; A. Royo Marin, Los grandes maestros de la vida espiritual, Madrid 1973; G. Thils, Existence et sainteté, Paris 1981.

R. Girardello

FESTA. (inizio)

I. La nozione. La f. è un aspetto della realtà umana, insieme personale e sociale, che dai tempi più remoti dell'umanità è stata sempre molto unita alla religione e all'esperienza religiosa. L'avvicinamento tra queste due realtà si spiega in parte perché ogni f. in se stessa dice relazione a gioia, felicità, abbondanza, pienezza, liberazione da pene e fatiche, ecc.: il che, per esperienza, un tempo, si considerava qualcosa di inconsueto tra gli uomini, patrimonio di superuomini o di dei e, in ogni caso, tipica di uno stadio anteriore dell'umanità, attualmente quasi totalmente perduta. Per tutto questo, la f. religiosa è stata considerata come il sacramento naturale della divinizzazione dell'uomo.

Negli ultimi secoli, nella cultura occidentale la f. è andata perdendo progressivamente il suo marcato carattere religioso a favore di un concetto più semplicemente sociale, secolare e intramondano. Questa impostazione, sebbene supponga una certa novità rispetto al passato, soprattutto per ciò che si riferisce alle grandi masse sociali, non si può considerare qualcosa di completamente nuovo.

Da diverse prospettive la f. antropologicamente considerata, e in particolare la f. cristiana, è stata oggetto di continui studi. E soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta e durante gli anni Settanta che, con maggior forza, si è fatto sentire un interesse per la stessa, non solo da un punto di vista teorico e analitico, ma anche nell'ambito di certi movimenti esistenziali socio-politici, culturali e religioso-mistici.

La f. non esiste per se stessa. Ad una prima osservazione risulta che è l'uomo che fa la f. In questo senso si potrebbe dire che la f. o il desiderio di f. esista prima di tutto nel cuore e nella mente dell'uomo. Questi ha innata in sé una sete di f., ne ha bisogno come di mangiare e di riposare. Occorre però dire anche che la f., a sua volta, fa l'uomo. A seconda di come siano la f. e la forma di viverla, così sarà l'uomo che si va costruendo interiormente ed esteriormente.

D'altra parte, tuttavia, non si può parlare di f. senza una realtà oggettiva, esterna all'uomo, o che gli viene fornita dal di fuori, realtà che in se stessa è il motivo e l'origine della f.: ciò che, celebrato e festeggiato, è capace di produrre nell'uomo sentimenti festosi. A ciò occorre aggiungere anche l'importanza del senso comunitario di condividere con gli altri ciò che ha in sé la f.

II. La rivelazione biblica non solo ha e fissa le proprie feste, come è naturale, ma esprime anche una propria teologia della f.

Nell'AT, sulle celebrazioni degli avvenimenti o delle realtà cosmiche, agricole e sociali, a poco a poco, si va imponendo il primato della celebrazione dell'azione salvifica di Dio nella storia del popolo eletto. Linea che nel NT si conferma e amplia a favore di tutta l'umanità. Da questa prospettiva, la celebrazione o rito festivo acquista un senso tanto di partecipazione e di avvicinamento al mistero salvifico, quanto di lode e di ringraziamento per la salvezza ricevuta nel passato, che si desidera e si chiede che duri nel presente e nel futuro. La f. passa così ad essere non solo una necessità antropologica, ma anche un obbligo nel senso più ampio del termine.

Per il popolo dell'antica alleanza, tra tutte le feste che si celebrano nel corso dell'anno, la Pasqua, o celebrazione della liberazione salvatrice dalla schiavitù d'Egitto da parte di Dio, è la f. per eccellenza. Per il popolo della nuova alleanza la f. per eccellenza, la sua Pasqua, è il ricordo annuale della morte e risurrezione di Gesù. In virtù di questa relazione con tale mistero pasquale di Cristo, i cristiani hanno sempre considerato la domenica (dies domini) come la grande f. settimanale che, per tale motivo, raggiunge il suo momento culminante nella celebrazione festiva dell' Eucaristia (cf SC 102-104. 106. 111; CCC 1135-1209).

La visione biblica conferisce alla f., già dall'AT, uno stile che tende a porre limiti ad ogni identificazione di questa con l'idea del necessario eccesso o sfrenatezza di qualsiasi tipo, tanto sociale quanto morale o mistico-religioso e a porre limiti anche alla mancanza di coerenza tra f. religiosa e atteggiamento etico. Per questo, tanto per l'AT come per il NT, non tutte le feste, benché religiose, sono gradite a Dio (cf Es 32; Am 6,21; 8,10; Is 1,10-20; Ger 6,20; Tb 2,6; Gal 4, 8-11; Col 2,16-17). In questa stessa linea, Giovanni della Croce parla di coloro che nella f. religiosa cercano più se stessi che Dio.1

Fin dagli inizi, specialmente durante alcuni secoli, la comunità cristiana è stata incline alla sobrietà esterna e a una certa interiorizzazione della stessa idea di f.: identificata fondamentalmente con i sentimenti di gioia, allegria e felicità che nascono dall'esperienza della salvezza di Dio, partecipata e celebrata in diverse forme con i fratelli nella fede. Tutto ciò non ha impedito, nel corso dei secoli, che la f. religiosa cristiana si sia inculturata secondo stili e usi propri dei tempi e dei luoghi. Qualcosa di assolutamente necessario che tuttavia ha comportato, a volte, per la f. cristiana il rischio di una certa paganizzazione.

Il NT, d'altra parte, prende l'idea di f. dai puri limiti del culto per applicarla, da una prospettiva più globale ed esistenziale, al regno di Dio in se stesso, all'esperienza del regno di Dio da parte dell'uomo (cf Mt 22,1-14; Lc 14,15-24; Lc 15; Ap 21-22). In questa linea, il Vangelo di Luca va un po' più in là e afferma che Dio è colui che fa f. all'uomo che si converte a lui e invita tutti a fare la stessa cosa (cf Lc 15).

III. La mistica cristiana ha indagato con grande forza in questa prospettiva della f. Si pensi, ad esempio, ad opere come Le nozze spirituali di Ruusbroec o al Cantico Spirituale o alla Fiamma viva di amore di Giovanni della Croce. Quest'ultima, la Fiamma, è un appassionato e appassionante canto alla f. della pienezza dell' esperienza mistica di Dio Trinità da parte dell'uomo. In questo stato di trasformazione, si dice lì, l'anima vive una continua esperienza di f. che nasce dallo Spirito Santo di Dio.2 " L'anima, internamente ed esternamente, è come se fosse sempre in f. ed emette dalle sue labbra una squillante voce di giubilo divino, come un cantico sempre nuovo, permeato di letizia e di amore ".3

Note: 1 Cf le critiche nella Salita del Monte Carmelo III, 38,2-3; 2 Cf Fiamma viva d'amore 3,10; 3 Ibid. 2,36; cf Notte oscura II, 18,3; Cantico spirituale 30,1.

Bibl. Aa.Vv., La fiesta cristiana, Salamanca 1992; CEI, Il giorno del Signore, Bologna 1984; E. Costa, Celebrazione-festa, in DTI I, 516-527; H. Cox, La festa dei folli, Milano 1971; G. Hild, Fêtes, in DSAM V, 221-247; S. Maggiani, FestaFeste, in NDL, 555-581; L. Maldonado, Religiosidad popular. Nostalgia de lo mágico, Madrid 1975; J. Mateos, Cristiani in festa, Bologna 1981; J. Moltmann, Sul gioco. Saggi sulla gioia della libertà e del piacere del gioco, Brescia 1971; A. Nesti, Festivo e modernizzazione, in RasT 30 (1988), 166-190 e 265-280; V. Schultz (ed.), Das Feste: Eine Kulturgeschichte von der Antike bis zur Gegenwart, München 1992; J. Vanier, La comunità luogo del perdono e della festa, Milano 1980.

J.D. Gaitan

FIDANZAMENTO SPIRITUALE. (inizio)

I. F. e matrimonio nella Scrittura. Nella vita dello spirito l' unione profonda dell'anima con Dio viene espressa con i termini e i simboli usati, nel linguaggio comune, per designare l'unione tra l'uomo e la donna: f. e matrimonio. Confermati dalla testimonianza ed esperienza dei grandi mistici comprendono due fasi distinte e caratterizzate della vita mistica.

Sono certamente simboli molto audaci, tanto che la stessa s. Teresa, la quale ha beneficiato di queste dolcezze divine, mentre ringrazia Dio per la sua misericordia, si sente imbarazzata a usarli, sebbene li trovi appropriati, anche se inadeguati a esprimere perfettamente i rapporti che Dio stabilisce con la sua creatura: " Si tratta di un paragone grossolano; eppure non trovo nulla che faccia meglio intendere queste cose come il sacramento del matrimonio ".1

Tuttavia, l'uso dei due termini non è arbitrario o frutto di esaltazione dell'essere umano, ma è legittimato dalla divina rivelazione: nell'AT questi simboli vengono applicati all' alleanza tra Dio ed il popolo d'Israele; nel NT all'unione di Cristo con la Chiesa e con l'anima in grazia.

Dio si è rivelato al popolo d'Israele non soltanto con il proprio nome (cf Gn 3, 14), che lo distingue dagli dèi falsi e bugiardi, ma anche con altri nomi tratti dall'esperienza quotidiana della vita umana: pastore, padre, fidanzato (cf Ger 2,2), sposo (cf Is 54,5); tutti esprimono i rapporti costanti e l'amore personale tra Dio e la sua creatura.

Non si tratta di un mito, come nelle religioni pagane, ma di una realtà che può essere compresa solo se si tiene presente ciò che Dio ha fatto per il suo popolo: la liberazione, l'elezione e l'alleanza. Se Isaia, in considerazione della munificenza divina verso il suo popolo, può chiamare la terra d'Israele " sposata con lui " (Is 62,4), in realtà Dio non è lo sposo della terra promessa, ma del popolo che vi abita.

Dio ricorda con amarezza a Israele infedele l'affetto che gli ha dimostrato durante la sua giovinezza, al tempo del f. (cf Ger 2,2); e quando Israele giunse " all'età dell'amore ", strinse con lui un patto nuziale, simbolo dell'alleanza del Sinai (cf Ez 16, 6-8). Osea porrà in grande risalto l'amore mai smentito di Dio: " Ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore " (Os 2,20). Termine chiave qui è la conoscenza del Signore, che significa concretamente fedeltà all'alleanza, riconoscimento dell'amore divino e l'umile atteggiamento del pio israelita.

Nel NT, Paolo parla con chiarezza dei rapporti sponsali tra Cristo e i cristiani: " Io vi ho promessi a un unico sposo per presentarvi come vergine casta a Cristo " (2 Cor 11,2). E con particolare efficacia fa uso dell'immagine sposo-sposa per caratterizzare il rapporto Cristo-Chiesa (Ef 5,21ss.); rapporto sponsale che comprende mutua compenetrazione e conseguente unità.

II. Negli autori mistici. Le relazioni tra Cristo, la Chiesa e l'anima sono state sempre viste dai Padri e dagli scrittori spirituali sotto i simboli nuziali, sebbene sia stato messo maggiormente in evidenza il simbolo dello Sposo (Cristo) e della sposa (la Chiesa e l'anima cristiana). Enrico Baccetti scrive che dal sec. VI al XII prevale, nella letteratura monastica, la spiegazione ecclesiologica; dal sec. XII, specialmente con s. Bernardo, si sviluppa la spiegazione mistica, applicata alla comunità monastica e alle singole anime.2

Dopo quattro secoli s'imporrà la sintesi di s. Teresa e di s. Giovanni della Croce: " Ambedue gli autori, con una visione sostanzialmente omogenea, consacrarono definitivamente il simbolo nuziale, ne rivalorizzarono il contenuto reale di amore spirituale e ne fissarono la corrispondenza periodale con le ultime tappe dell' itinerario mistico ".3

S. Teresa, prima di descrivere queste altezze della vita mistica, tratta dell'unione dell'anima con Dio, unione che può essere detta imperfetta, perché non tutte le potenze dell'anima sono unite a lui.4 A mano a mano, però, che l'anima progredisce nell'amore, si concentra sempre più in Dio; ma ancora in essa l'amore è troppo debole. La santa lo paragona al tempo che suole precedere il f. di due giovani: essi vogliono conoscersi in profondità, per cui " si esamina se uno conviene all'altro e se desiderano unirsi, poi si permette che si vedano, affinché ne siano entrambi soddisfatti ".

In questa circostanza Dio manifesta all'anima le proprie perfezioni e " con semplice sguardo la fa più degna di andare a dargli la mano, mentre l'anima ne rimane talmente rapita da far tutto il possibile per realizzare il f. ".5 Ma questa meta dipende dall'iniziativa divina: " Il Signore viene a concludere questo f. con dei rapimenti che fanno uscire l'anima dai sensi ", poiché, " se conservasse l'uso dei sensi, nel vedersi vicina a così grande Maestà non le sarebbe possibile rimanere in vita ".6

Con parole più o meno simili si esprime anche s. Giovanni della Croce. Difatti, osserva che " l'anima viene elevata alla comunicazione con lo Spirito divino, che discende in essa "; ma non essendo ancora sufficientemente preparata, poiché si trova nella via dei proficienti e non dei perfetti, soffre grandemente e " vorrebbe riceverla non nella carne, ma fuori ". Al contrario, " i perfetti ricevono ogni comunicazione nella pace, con amore soave. Per meglio intendere il volo di cui si tratta è da notare che, in tale visita dello Spirito di Dio, quello umano è trascinato con grande forza fuori dal corpo per comunicare con quello di Dio; il corpo viene meno, cessando di sentire e avere in esso le sue azioni, poiché le ha in Dio ".7

Ambedue i santi dottori hanno premura di mettere in guardia dai falsi deliqui;8 Teresa precisa che si possono conoscere poiché sono spiritualmente sterili; invece, nei veri rapimenti l'anima già " intende qualche segreto " nei riguardi di Dio, il quale " rapisce a sé tutta l'anima e le mostra una qualche piccola porzione del regno che le ha acquistato come sua sposa e proprietà ".9

Nell'unione semplicemente piena delle Quinte Mansioni - del Castello interiore ove ne parla Teresa - è avvenuto un vero contatto con Dio; ma per quanto l'anima desideri unirsi a lui, non c'è ancora un impegno decisivo, come avverrà negli sponsali. Il f. spirituale avviene nell' estasi mistica, alla cui formazione concorrono due elementi: la contemplazione infusa e l'alienazione dai sensi. Se manca la prima, non si ha l'estasi mistica, ma un'imitazione puramente esteriore; l'alienazione dai sensi esterni avviene per la debolezza dell'anima, che non è ancora in grado di sostenere l'enorme peso della contemplazione infusa.10

In questa sospensione, l'anima sperimenta una profonda oscurità; ma al risveglio, dice Teresa, ha la certezza di essere stata in Dio e di avere acquistato ricchezze divine, poiché " mantiene l'uso delle sue facoltà interne, non essendo qui come in uno stato di svenimento e parossismo nel quale non si ha percezione di sorta, né interna né esterna; tuttavia, non sa dire nulla ".11

Ciò nondimento, neppure la santa sa dare una spiegazione di questi fenomeni straordinari: " Per quanto io ne capisca l'anima non è stata mai così sveglia per le cose di Dio, né con tanta luce e conoscenza di sua Maestà come in questo caso. Sembrerà una cosa impossibile... E un segreto che io non capisco, nascosto forse a qualsiasi creatura e noto solo al Creatore ".12

III. Natura del f. Sebbene il f. avvenga nell'ambito delle estasi, tuttavia consiste sostanzialmente nella qualità superiore dell'unione con Dio, unione non solo affettiva, ma quasi reale, che si verifica quando Cristo penetra nell' anima, non nel centro di essa, ma nella parte superiore, non come abito, ma come atto.13 " Nel rapimento degli sponsali non c'è solo un contatto che arricchisce, ma una vera penetrazione di Dio. Di più: l'oscurità dell'unione mistica viene sostituita da una luce abbagliante. L'anima entra in Dio con gli occhi aperti. Ha coscienza della sua unione e scopre profondi segreti divini ".14 La veemenza con la quale Dio trasporta l'anima è irresistibile; e la luce, che illumina questa forza, porta l'anima " per intero in una regione molto diversa dalla nostra dove, in una luce che non ha paragone con la nostra, le vengono mostrate cose così grandi che da sé non potrebbe immaginare, neppure lavorandovi intorno per tutta la vita ".15

In questo stato, l'anima riceve " grandi e numerose comunicazioni, molte visite, doni o gioielli dello Sposo, come una fidanzata, a mano a mano che si perfeziona nell'amore verso di lui ".16 Ma il dono più grande è Dio stesso, cioè " l'alto stato di unione d'amore in cui, dopo un lungo esercizio spirituale, Dio colloca l'anima ".17 Inoltre, Dio le dona " la conoscenza della sua grandezza..., l' umiltà e la conoscenza di noi stessi..., il disprezzo di tutte le cose della terra, eccetto di quelle che sono di aiuto nel servizio di così grande Signore ".18 L'anima, quindi, gode " pace e tranquillità, che va intesa solo secondo la parte superiore poiché la parte sensitiva fino al matrimonio spirituale non finisce mai di liberarsi dai suoi difetti ".19 Nel linguaggio simbolico le grazie sono designate come visite dell'Amato e, con terminologia più tecnica, come " tocchi di unione, unioni " e " comunicazioni ", considerate da Giovanni della Croce come soprannaturali o mistiche.20 La durata del f. spirituale non può essere determinata, ma è un passaggio obbligato per il matrimonio; tale passaggio avviene quando l'anima ha tutte le disposizioni all'unione perfetta. Secondo il dottore mistico, " sebbene l'anima sia molto purificata da ogni affetto di natura (poiché lo sposalizio non si effettua se non a questa condizione), tuttavia essa ha bisogno di altre disposizioni positive da parte di Dio, delle sue visite e dei suoi doni, mediante i quali viene resa più pura, più bella e più delicata, quindi convenientemente disposta a un'unione così sublime ".21 Per questo motivo, il santo ritiene che " si richieda del tempo, per alcuni di più per altri meno, poiché Dio compie il suo lavoro adattandosi alla natura dell'anima ". Fondandosi sull'esempio, che egli adduce, delle dodici ancelle di Assuero, sembra alludere a un anno.22 S. Teresa, esaminando il proprio cammino, parla di più anni,23 che il padre Maria Eugenio riduce a dodici, aggiungendo: " Non si può dire che il prolungamento sia dovuto all'infedeltà della santa, poiché siamo proprio negli anni comprendenti i lavori di fondazione dei suoi monasteri ".24 Per questo motivo, il detto padre conclude: " Il f. spirituale non è un incontro destinato a fissare le condizioni d'unione definitiva molto prossima. Esso inaugura un periodo di preparazione positiva che le esigenze del matrimonio renderanno d'ordinario piuttosto lungo; periodo non di semplice attesa, poiché i favori straordinari e la fecondità soprannaturale lo rendono già radioso per le rifrazioni dei fulgori delle vette ".25

Note: 1 Teresa di Gesù, Castello interiore V, 3,3; 2 E. Baccetti, Il Cantico dei Cantici nella tradizione monastica, in C. Vagaggini - G. Penco, Bibbia e spiritualità, Roma 1967, 391; 3 T. Alvarez, Matrimonio spirituale, in DES II, 1544; 4 Teresa di Gesù, Vita, 14-17; Id., Pensieri sull'amore di Dio, 3-5; cf J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Roma 1946, 415-416; 5 Teresa di Gesù, Castello interiore V, 4,4; Vita, 20-21; 6 Id., Castello interiore VI, 4,2, 5,8; Vita, 20,2-3; 7 Giovanni della Croce, Cantico spirituale B, 13,4-6; 8 Ibid. 8; 9 Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 4,9; 10 G. Brenninger, Dottrina spirituale del Carmelo, Città del Vaticano 1952, 797-798; cf A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma 1932, 1454-1456; 11 Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 4,3; 12 Ibid. 4,4; 13 G. Brenninger, Dottrina..., o.c., 800; 14 P. Maria Eugenio del B.G., Sono figlia della Chiesa, Milano 1959, 463; 15 Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 5,7; 16 Giovanni della Croce, Cantico..., o.c., 22,3; 17 Ibid. 14-15, 2; 18 Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 5,10; 19 Giovanni della Croce, Cantico..., o.c., 14-15,30; cf Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 5,10; 20 E. Pacho, Temi fondamentali in san Giovanni della Croce, Roma 1989, 303; 21 Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore B, 3,25; 22 Ibid.; 23 Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 11,1; 24 P. Maria Eugenio del B.G., Sono figlia..., o.c., 485; 25 Ibid.

Bibl. P. Adnès, Mariage spirituel, in DSAM X, 388-408; T. Alvarez, Matrimonio spirituale, in DES II, 1542-1547; E. Baccetti, Il Cantico dei Cantici nella tradizione monastica, in C. Vagaggini - G. Penco (cura di), Bibbia e spiritualità, Roma 1967, 379-415; G. Brenninger, Dottrina spirituale del Carmelo, Città del Vaticano 1952; J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Romae 1946; Maria Eugenio del B.G., Sono figlia della Chiesa, Milano 1959; E. Pacho, Temi fondamentali in san Giovanni della Croce, Roma 1989; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 1965, 891; A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma 1932.

S. Possanzini

FIGURA MISTICA. (inizio)

I. Vero e falso mistico. Qui si elencano le caratteristiche che contraddistinguono il vero dal falso mistico. Il mistico, in questo contesto, è colui che entra in immediato contatto con Dio, sia in quanto soggetto di visioni, di rivelazioni o altri favori straordinari sia in quanto persona santa dotata della classica contemplazione infusa, anche detta unione mistica. Nel primo caso, il contatto con Dio avviene attraverso la fede, tramite i fenomeni carismatici che appartengono alla sfera della sensibilità. L'unione mistica, d'altro canto, è una profonda trasformazione spirituale di tutto l'essere umano nella fede e nell'amore. Solo quest'ultima può dirsi mistica nel vero senso della parola.

I doni carismatici vengono percepiti come diretti interventi divini che vanno oltre i processi ordinari e naturali. Tali doni, comunque, non sono necessariamente miracolosi; di solito hanno ovvie relazioni con la storia personale e il contesto culturale del soggetto che li riceve. Sono atti di entusiasmo religioso e vengono reputati autentici se sono azioni moralmente buone, se vengono onestamente percepiti come doni di Dio, se non sono aberrazioni manifeste nell'ordine psicologico o spirituale, se portano frutti salutari nella persona e nella comunità. Questi carismi sono grazie esterne e sono, quindi, secondari ed accidentali nella vita spirituale. Il loro valore consiste interamente nella fede e nell'amore che essi stessi ispirano.

I falsi carismatici di solito mostrano segni di squilibrio, di delusione e perfino d'inganno; porgono un'attenzione smodata agli aspetti sensazionali o bizzarri delle loro esperienze perdendo così di vista il fine dei doni. Orgoglio e autoglorificazione, propensione al magico e carattere indomito sono segni del falso carismatico. L'unione mistica costituisce il mistico nel vero senso del termine. Un'esperienza isolata è possibile nella vita di chiunque, ma una condizione abituale indica la presenza di uno stato di grazia di alto livello.

L' esperienza mistica può essere accompagnata da doni carismatici come le visioni o poteri miracolosi, ma la sua essenza è precisamente l'esperienza ineffabile dell'amore travolgente di Dio, un'unione con il Dio Vivente oltre le immagini o i concetti e con la certezza personale della presenza divina. L'esperienza rimane entro i limiti della fede, quindi va oltre la verifica oggettiva.

II. Alcuni segni rendono autentico il diritto del mistico ad ottenere il riconoscimento dell'esperienza. Una persona matura ed equilibrata è il soggetto ideale, sebbene la nevrosi in quanto tale non venga eliminata fino a quando l'esercizio della libertà umana rimane integro. Una buona vita morale viene presupposta dal momento in cui lo stato mistico significa una relazione molto vicina a Dio. Il misticismo istantaneo senza preparazione ascetica non è possibile nella tradizione cattolica. Il vero mistico, infatti, sarà sottomesso alla Parola di Dio e ai sacramenti, al credo, alle regole della comunità e al servizio del prossimo e del mondo. Il mistico è perfettamente a conoscenza della qualità passiva o " data " dall'esperienza, un fatto che si traduce in profonda umiltà e gratitudine perenne.

Ai falsi mistici mancano uno o più dei fattori sopra elencati. Gravi problemi psicologici, che tolgano la libertà, sono incompatibili con l'unione mistica. Così sono le vite disordinate che contraddicono l'insegnamento del Vangelo. L'esperienza empirica dell'unione divina e altri fenomeni carismatici sono secondari per l'unione della volontà nell'amore e potrebbero essere assenti senza alcun pregiudizio per l'essenziale stato mistico. Il vero mistico è colui che sperimenta non solo uno stato della coscienza, che è variabile, alterato, ma anche una profonda conversione.

Bibl. R. Bastide, Les problemes de la vie mystique, Paris 1931; J. Lhermitte, Mistici e falsi mistici, Milano 1952; E. Underhill, Practical Mysticism, London 1991.

E.E. Larkin

FILIPPO DELLA TRINITA. (inizio)

I. Vita e opere. F. della SS.ma Trinità (Esprit), carmelitano scalzo, nasce a Malaucène (Vaucluse) nel 1603 ed è battezzato Luciano. Suo padre è il capitano Giovanni Luciano Esprit, un veterano della guerra ugonotta; sua madre, Gabriella Baldoni, appartiene alla nobile famiglia Baldoni di Cesena, in Romagna. F. studia presso i collegi gesuiti di Avignone e Carpentras, prima di entrare nell'Ordine dei carmelitani scalzi a Lione, ove professa nel 1621. Studia filosofia e teologia nel convento dell'Ordine a Parigi. All'inizio del 1626, segue i corsi nel seminario missionario dell'Ordine a Roma, successivamente, nel 1629, parte per il vicino Oriente. Dopo una breve sosta a Isphan e a Bassora, F. si reca a Goa, dove dal 1630 al 1639 ricopre la carica di lettore di filosofia e teologia.

Ritornato in Europa, nel 1639, F. ricopre nell'Ordine diversi incarichi importanti: priore e lettore in molti conventi della sua provincia religiosa, provinciale, definitore generale e, infine, nel 1665, Preposito generale della Congregazione italiana dei carmelitani scalzi. Muore a Napoli, nel 1671, durante una visita canonica nell'Italia meridionale.

E molto stimato per la sua cultura e virtù, la sua instancabile capacità lavorativa, il suo spirito di preghiera e di raccoglimento.

Tra le sue opere ricordiamo: Summa philosophiae, Lyon 1648; Köln 1654, 1665; Disputationes theologicae, 4 voll., Lyon 1650-1653; Lyon 1664, 4 voll.; Köln 1670; Summa theologiae mysticae, Lyon 1656; Freiburg i.B. 1874, 3 voll.; Tractatus de sacramento poenitentiae, Lyon 1663. Anche contenuto nel vol. 4 delle Disputationes theologicae, Lyon 1664; Maria sicut aurora consurgens, seu de Immaculata conceptione, Lyon 1667; Instructiones eremi Fratrum Discalceatorum Congregationis Sancti Eliae Ordinis B.M.V. de Monte Carmelo, Romae 1669.

Le Disputationes theologicae sono un commento alla Summa di Tommaso d'Aquino in osservanza all'adesione alla dottrina tomistica dell'Ordine.

II. Dottrina mistica. Il lavoro più significativo di F. è la Summa theologiae mysticae, la quale occupa un posto tra gli scritti classici della spiritualità del secolo XVII, in particolar modo della scuola della spiritualità carmelitana, che presenta l'insegnamento di Giovanni della Croce e di Teresa d'Avila in modo tomistico. Tale lavoro è, in realtà, un manuale che tratta in modo completo la materia, il primo nel suo genere, almeno all'interno dell'Ordine, e riguarda tutti gli stadi della vita spirituale, visti specialmente sotto l'aspetto della preghiera o contemplazione. Esso presenta, dunque, la triplice struttura della spiritualità o mistica: la via purgativa, quella illuminativa e unitiva, culminanti nel matrimonio mistico. Nel cammino illuminativo, inoltre, F. ammette l'acquisizione della contemplazione infusa, come fa generalmente la scuola carmelitana. Nonostante il suo solido valore e la sua estesa autorità, la Summa è stata stampata una sola volta e non ha suscitato tutta l'attenzione che meritava tra gli studiosi.

Bibl. Anastase de St. Paul, s.v., in DTC XII, 1412-1413; N.G. Geisbauer, Die Gemeinschaft des Menschen mit Gott in der Tugend der Charitas bei Philippus a SS. Trinitate, Kamp-Lintfort 1972; B. Honings, La contemplazione secondo F. della SS. Trinità, in EphCarm 13 (1962), 691-713; H. Kümmet, Die Gotteserfahrung in der " Summa theologiae mysticae " des Karmeliten Philippus a SS. Trinitate, Würzburg 1938; Martial de Saint Jean Baptiste, Bibliotheca scriptorum utriusque Congregationis et sexus Carmelitarum Excalceatorum, Bordeaux 1730; Melchior a Sancta Maria, Pour une biographie du P. Philippe de la Trinité (1603-1671), in EphCarm 2 (1948), 343-403; Id., Le vénérable Père Philippe de la Très Sainte Trinité, in Chroniques du Carmel, 64 (1952)2, 12-18, ecc.; R. Moretti, s.v., in DSAM XII1, 1325-1328; Simeone della Sacra Famiglia, s.v., in DES II, 1011-1013; A. Thouvenin, s.v., in DTC VIII, 1925-1926.

J. Smet

FILIPPO NERI (santo). (inizio)

I. Cenni biografici. Nasce a Firenze il 21 luglio 1515. Della sua infanzia e adolescenza si hanno scarse notizie. Frequenta i Padri domenicani, dove riceve i primi esempi dell' ascesi cristiana. Nel 153132 lascia Firenze e si reca presso uno zio, mercante, a San Germano, nei pressi dell'abbazia di Montecassino. Da qui ama recarsi spesso alla ’montagna spaccata' di Gaeta, dove trascorre ore di intensa preghiera e contemplazione. Nel 1535 si stabilisce a Roma, ove segue un corso di filosofia e teologia che presto lascia per dedicarsi ad opere di carità.

Il 16 agosto 1548 fonda, con il suo confessore Persiano Rosa, l'Arciconfraternita dei Pellegrini e dei Convalescenti per l'assistenza e l'ospitalità ai romei nei Giubilei e, dopo, ai dimessi dagli ospedali non completamente guariti. Nel 1551 viene ordinato sacerdote e da quel momento si dedica all'apostolato della confessione e della direzione spirituale. Dà inizio agli " Esercizi dell'Oratorio ": preghiera, meditazione, predicazione familiare della Parola di Dio, canti, rappresentazioni sacre. Visita spesso i luoghi sacri, i monasteri e istituisce la " Visita alle Sette Chiese " durante le feste " carnascialesche ". Organizza passeggiate allegre. Nella sua attività sacerdotale istituisce " l'Oratorio Secolare ". Con alcuni discepoli, che si uniscono a lui, fonda la Congregazione dei Padri dell'Oratorio, approvata canonicamente da Gregorio XIII nel 1575.

Dopo la morte del santo, nel 1595 l'Istituto si estende in varie parti del mondo, diffondendo il suo singolare carisma di apostolato.

II. Insegnamento spirituale. F. sperimenta eccezionali fenomeni mistici, ma è convinto che la vita spirituale possa essere seguita da persone di qualsiasi stato e condizione, purché non ci si accontenti di una bontà mediocre. F. sottovaluta le penitenze esteriori, mentre insegna a tutti il distacco dal mondo, ma a non disprezzare nessuna persona, perché tutti sono chiamati alla santità. L'essenziale per F. è l' amore di Dio che scaturisce dall' abnegazione di sé, perciò la carità è la virtù emblematica della Congregazione dell'Oratorio e si traduce nell'accoglienza amorevole di tutti: malati, poveri, sventurati... L'esercizio della carità è potenziato dalla pratica religiosa: santa messa, confessione e comunione frequente, devozione alla Vergine Maria. Pratica ascetica, frequentazione dei sacramenti, culto, preghiera sono intimamente pervasi da una costante nota di gioia. " Il servo di Dio dovrebbe stare sempre allegro ". " State allegri, purché non facciate peccati ", suole ripetere il santo dell'allegria. La gioia sana è purificatrice, quindi, costruttiva e va assecondata, perciò bisogna lottare contro la tristezza: " Scrupoli e maliconie fuori di casa mia ".

Come non ama penitenze eccezionali, così non ama fenomeni mistici straordinari, invece incita sempre all' abbandono in Dio.

L' unione sempre più confidente, amorosa, intima con Dio si raggiunge non per vie particolari e devozioni speciali, ma attraverso la via della pura spiritualità, offerta dalla teologia e dalla liturgia.

Come i grandi mistici, anch'egli parla dei gradi dell'amore: il primo è quello del servo nei confronti del padrone; il secondo dell'infermo nei rapporti con il medico; il terzo di un amico con il suo amico; il quarto quello del figlio con il padre; il quinto quello dello sposo per la sposa. I primi due appartegono ai principianti; il terzo e il quarto ai proficienti; il quinto ai perfetti. La sublimità della sua mistica è radicata sull' umiltà, carità, preghiera e gioia.

Bibl. Scritti: Lettere e rime di san Filippo Neri, a cura di R. Netti, Napoli 1895. Alcune Lettere si trovano in Lettere di Santi e Beati fiorentini, a cura di A.M. Biscioni, Firenze 1737. Studi: L. Bouyer, La musica di Dio. S. Filippo Neri, Milano 19912; A. Cistellini, s.v., in DSAM XI, 853-876; Id., s.v., in DIP IV, 18-24; Id., San Filippo Neri, l'Oratorio e la Congregazione dell'Oratorio, Brescia 1989; Id., Gli scritti e le massime, Brescia 1994; Id., Memorie oratoriane, Brescia 1995; G. Finotti, Il carisma della Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri tra memoria e profezia, Bologna 1989; C. Gasbarri, s.v., in BS V, 760-789; Id., Filippo Neri nella testimonianza dei contemporanei, Roma 1974; J.H. Newman, La missione di san Filippo Neri, Bologna 1994; G. Papasogli, Filippo Neri, Cinisello Balsamo (MI) 1889; P. Türks, Filippo Neri una gioia contagiosa, Roma 1991; A. Venturoli, San Filippo Neri. Vita, contesto storico e dimensione mariana, Casale Monferrato (AL) 1988.

A. Venturoli

FILONE D'ALESSANDRIA. (inizio)

I. Vita e opere. F. conosciuto anche come Philo Hebraeus, F. l'ebreo, è il più grande rappresentante del giudaismo ellenista e della cultura alessandrina del suo tempo.

Nonostante l'influsso che F. ha esercitato su diversissime correnti, dal cristianesimo alla gnosi, di questo contemporaneo di Gesù quasi nulla si sa di certo. Abbondano invece le congetture: la ricostruzione del suo ambiente familiare, proposta da J. Schwartz, accettata da J. Daniélou, è stata invece respinta da S. Stephen Foster. F. scrisse esclusivamente in greco, e non sembra che conoscesse molto l'ebraico. Probabilmente nasce ad Alessandria nel 20-13 a.C. da una famiglia benestante e illustre. Poco prima di morire, attorno al 39 d.C., F. viene inviato a Roma (dov'è imperatore Caio Caligola) per protestare contro l'introduzione delle statue dell'imperatore nelle sinagoge alessandrine. Questo è l'unico evento certo della sua vita. Muore nel 45 ca.

L'ultima vicenda che abbiamo menzionato è il tema di Legatio ad Caium (= L'ambasceria a Caio), scritta dallo stesso F. Oltre a questioni filosofiche e attuali, gli scritti di F. si distinguono in commentari correnti ed esegetici al Pentateuco (M. Mach), ma C. Mondésert divide diversamente: a. scritti apologetici e storici; b. trattati filosofici; c. commenti al Pentateuco; d. commentari allegorici. Essendo l'opera di F. risultato di un lavoro esegetico pubblico, la si può considerare come commento unico tripartitico alla Scrittura: esegesi letterale come il De vita Mosis; esegesi allegorica come il De sobrietate; e opere filosofiche, nell'intento di ottenere la saggezza o l'intelligenza più penetrante, frutto dell'esperienza spirituale, come il De vita contemplativa. In effetti, molti dei suoi scritti sono commenti allegorici ad episodi tratti dal Pentateuco, e più esattamente dalla Genesi e dall'Esodo. Prevale l'idea che il Pentateuco sia la vera filosofia, che la legge di Mosè sia in perfetta armonia con la legge della natura. Per F., Dio è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nonché il Dio dei filosofi. Filosofo fra i greci e teologo fra gli ebrei, F. cerca di armonizzare, con intento apologetico le apparenti incongruenze per fare emergere invece la bellezza, la profondità e la ragione della stessa Scrittura, che, in caso di conflitto irrisolubile, ha l'ultima parola. Alcuni di questi scritti ci sono pervenuti solo in traduzione aramaica, come il piccolo ma importante scritto esegetico Quaestiones et solutiones in Genesim et Exodum. Il De Providentia mette in rilievo un Dio sovranamente libero che si prende cura di un uomo dotato di libertà, mentre il De vita Mosis è apologetico. Il gruppo di cui informa il De vita contemplativa è stato identificato da Fozio ( 895 ca.) come la comunità di asceti giudei egiziani, chiamato therapeutae, che F. oppone agli Esseni. Intanto, i suoi numerosi scritti ripropongono la questione dell'unità del corpus filoniano, a causa del suo eclettismo. Perseguendo un metodo che non è né strettamente sistematico né mera compilazione di elementi eterogenei, F. s'interessa più all'episodico sicché l'unità raggiunta resta frammentaria.

II. Dottrina. La contemplazione porta alla mistica? La sua spiritualità prende lo spunto dalla fede ebraica e da ciò che questa insegna sull'immagine di Dio nell'uomo. Questa è identificata con il suo nous, o intelletto, una sorta di dio dentro lo stesso uomo, che contempla le idee. Queste si ritrovano in un mondo intelligibile, esistente prima nella mente di Dio. F. chiama questo mondo intelligibile Logos, il Nous (mente). Significando " ragione " e " parola ", il Logos esisterà come la parola immanente di Dio, prima ancora di esistere come ente indipendente. L'archetipo dell'uomo perfetto è lo stesso Logos che, contemplando le idee, le crea. Questa antropologia spirituale seguiva un'ermeneutica formata in parte sul modello di quella in uso nelle scuole greche per Omero ed altre opere letterarie. Anche se, in questa esegesi spirituale, fu preceduto da Aristobulo (II sec. a.C.), F. ne divenne il massimo rappresentante. In questa maniera, concetti platonici e stoici entrarono a far parte del pensiero giudaico. Ad apparire a Mosè nel roveto ardente era stato il Logos, mediatore tra Dio e il mondo visibile, e di cui il sommo sacerdote è immagine. Questa ermeneutica privilegia il senso spirituale, esegesi praticata dai rabbini palestinesi, da cui d'altronde si discosta. Interpreta di fatto il messianesimo escatologico in termini di un' ascetica che, sul modello dell'emigrazione di Abramo da Ur dei Caldei e del primo esodo dall'Egitto, libera lo spirito dalla materia. Questa ascesa culmina in un' estasi, descritta come stato di ebbrezza sobria, sobria ebrietas (methe nephalios); ma, per A. Louth, più che l'estasi, essa descrive lo stato di chi fa il bene come seconda natura, senza dover lottare per arrivarci. Intanto, l'espressione sobria ebrietas, coniata da F., è un'oxymoron, cioè un'esasperazione di termini apparentemente opposti. E, infatti, frequente presso F., per esempio, in Opificium mundi (70-71), dove significa l'entusiasmo di chi contempla le idee eterne dietro invito della sapienza divina, l'intelligenza, o il nous, che, senza bevande intossicanti, ma spinto dall'amore di Dio, esce da se stesso. Per questo, l'estasi viene chiamata conoscenza o amore. Fra gli interpreti recenti, c'è chi (A.J. Festugière, M. Mach) nega che ci sia unione mistica con Dio, altri (J.E. Ménard) invece l'ammettono. Comunque, l'essenza di Dio rimane strettamente inaccessibile, senza nome, ineffabile e incomprensibile; di Dio l'uomo può positivamente sapere solo che egli esiste; F. chiama le qualità di Dio dynameis (potenze). Per questo motivo, F. è stato chiamato il padre della teologia negativa; le idee ricorderanno la distinzione tra l'essenza e le energie di Dio nei Cappadoci (fine IV sec.), distinzione che, anche se non deriva da lui, nell' esicasmo, o mistica palamita (XIV sec.) farà fortuna. Tecnicamente, F. sembra aver avuto una forma di mistica medioplatonica (B. McGinn, E. Goodenough, D. Winston). Forse si può dire che, in F., l'ideale mistico, raggiunto da Mosè sul Sinai, e da alcuni patriarchi, è in pratica raggiungibile solo fino ad un certo punto. Un'altra riserva viene alla spiritualità filoniana dall'ideale platonico di liberazione dalla carne, una separazione così netta tra spirito e materia da valergli l'accusa di dualismo.

H.A. Wolfson vede in F. la matrice filosofica comune al giudaismo, al cristianesimo e all' Islam. Date le circostanze, F. non ebbe grande fortuna tra gli ebrei. Sono ovvie invece le affinità di F. con i Padri, per esempio, il discorso del Logos, che appare a Mosè, seme di ogni rivelazione presso i preniceni (s. Giustino, s. Teofilo d'Antiochia, s. Ireneo di Lione), come anche la teologia negativa dei Cappadoci. Ma, concludere che ci siano dipendenze dirette è più difficile: c'è la possibilità di fonti comuni. J. Pollard pensa che il Prologo di Giovanni sarebbe stato lo stesso anche senza F.; mentre J. Laporte considera l'influsso di F. su Origene maggiore di quanto si pensi abitualmente. Le differenze tra F. e il Prologo del Vangelo di Giovanni da una parte e F. e i Padri dall'altra sono evidenti. Il primo dei santi Padri a citarlo spesso e con il suo nome è Clemente di Alessandria, il cui il Quis dives salvetur? ricorda il Quis Rerum Divinarum Haeres sit di F. Diretto è l'influsso di F. su Ambrogio, diretto oppure indiretto su s. Agostino. Con s. Gregorio di Nissa, che scrive anche una Vita Moysis sulla mistica, si vede che F. per lo meno già fa parte del repertorio dell'intellettuale cristiano. L'influsso mistico di F. si può seguire meglio fino ai nostri tempi per mezzo della espressione coniata dallo stesso F., sobria ebrietas. In Origene, presso il quale si riscontra l'idea di ebbrezza spirituale, è la persona del Logos, non la saggezza impersonale, che fa uscire da se stesso l'uomo nel contesto dell' Eucaristia. Il primo autore cristiano ad usare l'espressione sobria ebrietas è Eusebio di Cesarea ( 340). Altri invece, come s. Atanasio, mostrano qualche riserva in più verso la stessa idea. L'idea si trova anche presso i Padri siriaci.

Bibl. Opere: L. Cohn - P. Wendland - S. Reiter (edd.) Philonis opera quae supersunt I-VII, Berlin 1896-1930 = 1962-1963; R. Arnaldez - C. Mondésert - J. Poiulloux (edd.), Les oeuvres de Philon d'Alexandrie, Paris 1961. Studi: J. Daniélou, Philon d'Alexandrie, Paris 1958; Id., La teologia del giudeo-cristianesimo, Bologna 1974; J. Laporte, Théologie liturgique et Philon d'Alexandrie et d'Origene, Paris 1995; A. Louth, The Origins of the Christian Mystical Tradition, Oxford 1981, 18-35; B. McGinn, The Foundations of Mysticism: Origins to the Fifth Century, New York 1991, 35-41; J. Ménard, La gnose de Philon d'Alexandrie, Paris 1987; V. Nikiprowetzky - A. Solignac, s.v., in DSAM XII, 1352-1374; H.G. Schönfeld, Zum Begriff " Therapeutai " bei Philo von Alexandrien, in Revue de Qumran, 3 (1961-2), 219-240; H.-J. Sieben, Ivresse spirituelle. 1. Les Pères de l'Eglise, in DSAM VII2, 2312-2322; F. Siegert, Philon von Alexandrien, Tübingen 1988; H.A. Wolfson, Philo: Foundations of Religious Philosophy in Judaism, Christianity and Islam, I-II, Cambridge 1962.

E.G. Farrugia

FILOSOFIA. (inizio)

I. I termini. Per stabilire una correlazione tra f. e mistica è necessario analizzare ex novo il significato dei due termini al fine di individuare gli ambiti problematici ai quali essi si riferiscono. Non è agevole rintracciare in modo univoco il loro significato all'interno di una pluralità di prospettive che si delineano, spesso scontrandosi, sia nella determinazione della " filosofia " che della " mistica ". Poiché è impossibile fornire un panorama completo di tali prospettive, si indicano solo le tendenze prevalenti.

L'esame della riflessione della f. su se stessa, in particolare nella cultura occidentale e in riferimento alle proposte più recenti, consente di indicare l'emergenza di due momenti. Uno è caratterizzato da una maggiore adesione alla tradizione, secondo la quale la f. è indagine razionale, presa di coscienza consapevole dei problemi, soluzione degli stessi e raggiungimento di risultati non effimeri, di punti di riferimento validi, l'altro motivo, presente nella storia della f., anche se in una posizione subalterna, si è manifestato con insistenza nel nostro secolo, in particolare nella seconda metà del Novecento, quando si è attribuita sempre minore validità alla capacità umana di ricercare e si è sottolineata, quindi, l'impossibilità di conseguire punti stabili e criteri univoci e si è giunti alla teorizzazione del relativismo sia dal punto di vista conoscitivo che pratico.

In relazione a questi due modi di intendere la ricerca filosofica si prospettano anche due modi diversi di stabilire il rapporto con la mistica. A questo punto, però, è necessario affrontare la questione relativa al significato della mistica stessa. Se è vero che ad un primo approccio è possibile indicare genericamente in che cosa essa consiste, si vedrà che per una delucidazione più approfondita è indispensabile che intervenga un'indagine teoretica e in tale direzione s'intravede già quale possa essere il legame fra i due tipi di conoscenza, quella filosofica e quella mistica, usando il termine conoscenza nella sua accezione più ampia.

II. La mistica. Per capire che cosa sia la mistica nella sua generalità bisogna, in primo luogo, muovere dalla constatazione secondo la quale questa " esperienza " è rintracciabile all'interno di aree culturali anche lontane tra loro e in concomitanza con credenze religiose differenti. Ci si può chiedere, allora, in prima istanza, quale sia l'elemento minimo che le accomuna; esso è rintracciabile nella consapevolezza di una " unione " profonda dell'essere umano o con la radice ultima del proprio sé o con un Assoluto che la trascende; la modalità di questa " unione " differenzia l' esperienza mistica da altri tipi di conoscenza, in quanto si tratta di una coincidenza, di un rapimento, quindi di un'adesione a qualche cosa di " ultimo " - identificabile di volta in volta secondo le diverse prospettive religiose -, adesione non realizzabile in altre condizioni, come nel caso dell'atteggiamento speculativo, perché, anche se si giungesse a cogliere una realtà assoluta, ciò avverrebbe attraverso un iter che non può essere assimilato a quello della mistica. E questa osservazione consente di avviare il confronto con la f.; infatti, se si tengono presenti i due modi sopra indicati di intenderla si constata che nel primo caso è più agevole rendersi conto che esperienza mistica e speculazione filosofica sono vie conoscitive " diverse "; il secondo caso è apparentemente più semplice, in realtà più complesso, perché ci si può trovare o di fronte al rifiuto di attribuire validità alla dimensione mistica, la quale è, in qualche caso, addirittura ricondotta ad una patologia dell'essere umano, oppure di fronte ad un tentativo, magari implicito, di sostituire l'indagine razionale con l'esperienza mistica all'interno della ricerca filosofica, come accade nelle osservazioni sul sacro che balenano, secondo alcuni interpreti, nella riflessione di F.W. Nietzsche oppure di M. Heidegger. Nell'ultimo caso è difficile stabilire i confini fra f. e mistica perché la stessa f. sembra assumere i caratteri della mistica; tuttavia i sostenitori di questa posizione dovranno ammettere che, se si vuole procedere ad un'analisi teoretica per cogliere il significato del tipo di conoscenza caratterizzante la mistica, si deve constatare che si parla di " mistica " quando il pensiero abbandona la rigorosità della coerenza logica per affidarsi ad una rivelazione che consente un'unione specialissima. Allora, se colui che compie questa ricerca lo fa consapevolmente e con onestà intellettuale, deve concedere che inevitabilmente distingue il suo modo di procedere nel cogliere il momento assoluto dalla riflessione o teorizzazione del procedimento stesso; è per lo meno in questo secondo senso che la f., come momento di consapevolezza razionale, rimane il luogo in cui avviene la presa di coscienza.

III. Ruolo della f. rispetto alla mistica. Tutto ciò dimostra la funzione che la f. può svolgere, deve svolgere e di fatto svolge nei confronti della mistica. Se con il termine f. indichiamo una consapevolezza " riflessa ", dobbiamo giungere alla conclusione che questo è il terreno su cui si vaglia il significato di ogni esperienza e, in particolare dell'esperienza mistica. E necessario guardarsi, però, da un rischio implicito in questa impresa. Infatti, il ruolo che gioca la f. come momento critico può essere sopravvalutato ed assolutizzato, correndo il pericolo di cadere nella posizione opposta, consistente nel ritenere che tutto, e una volta per tutte, sia comprensibile sul piano della f. stessa; in questo caso essa tende ad assorbire in sé tutto il sapere, senza lasciare spazio e autonomia ad altre esperienze. Per vagliare la legittimità di tale posizione siamo risospinti a compiere un'analisi delle potenzialità e possibilità dell'essere umano che riflette, e ci imbattiamo, come ha messo in evidenza efficacemente Edith Stein nel suo libro Essere finito e Essere eterno, nella finitezza dell'essere umano stesso che deve riconoscere i limiti della propria capacità di riflessione, soprattutto in riferimento alla chiarificazione ultima della realtà, e deve ammettere contemporaneamente che la sua costituzione è tale che il suo desiderio di conoscenza può essere " riempito " in modi diversi, attraverso l'adesione di fede alla rivelazione o attraverso l'" unione " specialissima che alcuni dichiarano di aver sperimentato e che chiamiamo mistica.

La f., allora, come momento di riflessione può domandarsi quale sia il proprio tipo di conoscenza, con quali strumenti esso si attui e di quale tipo sia la conoscenza mistica, se si tratti solo di una conoscenza o se non coinvolga altre dimensioni dell'essere umano, la sfera affettiva ad esempio. Questo è il primo grande compito di indagine largamente gnoseologica sulla esperienza mistica che ha compiuto E. Stein nell'analizzare le opere di s. Giovanni della Croce nel suo libro Scientia Crucis. In tal modo, un'indagine teoretica condotta correttamente può dare i suoi frutti nell'individuare quali capacità, potenzialità dell'essere umano siano attivate e riconoscere come avvenga il riempimento di alcune aspettative umane per opera di un intervento soprannaturale e distinguere, quindi, una mistica che nasce su basi cristiane, mediata da un'adesione di fede, da altri tipi di conoscenza che tendono verso un ritorno a sé e, attraverso sé, al Tutto, come accade per le mistiche orientali.

IV. Metafisica e mistica. L'esame filosofico della mistica consente di porre in discussione oltre che questioni gnoseologiche, anche indirettamente questioni metafisiche. Infatti, nelle due prospettive ora indicate si constata una distinzione fra trascendenza e immanenza: o il sé coincide con il Tutto, oppure il sé, rimanendo nella sua finitezza, " sente " di essere pervaso da una fiamma d'Amore, secondo l'immagine proposta da s. Giovanni della Croce, di cui non conosce l'origine. In questo senso la mistica può fornire materiale alla stessa indagine filosofica che, a sua volta, dev'essere rispettosa della fonte da cui tale materiale viene offerto e che può eventualmente utilizzare per un cosciente completamento della sua ricerca della verità, sia in funzione della chiarificazione della complessità dell'essere umano che in relazione al suo rapportarsi all'Assoluto. Nel primo caso, può essere fornito un aiuto al completamento dell'analisi condotta dall'antropologia filosofica, la quale non deve ignorare la dimensione mistica, anzi indagando sulle fonti di questa esperienza può approfondire la costituzione stessa dell'essere umano. Nel secondo caso, è possibile stabilire la pluralità di approcci alla dimensione del sacro e distinguere, quindi, i diversi modi in cui può essere detto dal punto di vista filosofico, teologico e mistico ed essere soggettivamente confermati nella consapevolezza della inesauribilità di questo compito, ma anche nella opportunità, anzi necessità di svolgerlo.

Il sussidio che le due discipline possono reciprocamente fornire consiste, pertanto, nel fatto che la mistica può suggerire tematiche utili ad indagini filosofiche di tipo gnoseologico, antropologico, metafisico e che la f. può chiarire la peculiarità dell'esperienza mistica sia per quanto riguarda il soggetto che la sperimenta che l'oggetto al quale si tende.

Bibl. Aa.Vv., L'esperienza mistica, Roma 1984; Aa.Vv., La Mistica, II 1; A. Ales Bello, La mistica: Edith Stein e Gerda Walther, in Aa.Vv., Fenomenologia dell'essere umano, Roma 1992, c.5, § 3; Ead., Esperienza mistica ed esperienza filosofica nel pensiero di Edith Stein, in I. Sanna (cura di), Il sapere teologico e il suo metodo, Bologna 1993, 103-111; H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, Milano 1962; A. Caracciolo, Pensiero contemporaneo e nichilismo, Napoli 1967; L. Gardet - O. Lacombe, L'esperienza del Sé - Studio di mistica comparata, Milano 1988; L. Gardet, Esperienze mistiche in terre non cristiane?, Alba (CN) 1960; R. Garrigou-Lagrange, Le Sauveur et son amour pour nous, Paris 1933; M. Heidegger, Hoelderlin und das Wesen der Dichtung, München 1936; Id., Identität und Differenz, Pfullingen 1957; J. Ladrière, Approccio filosofico alla mistica, in J.-M. van Cangh (cura di), La mistica, Bologna 1991, 83-107; J. Leschi, Expérience mystique et métaphysique, Paris 1987; J.H. Leuba, La psicologia del misticismo religioso, Milano 1960; H. de Lubac, Nietzsche mistico, in Id., Mistica e mistero cristiano, in 2, Milano 1979; J. Marèchal, Études sur la psychologie des mystiques, Louvain 1924; J. Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere, Brescia 1974; Id., Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione dell'incarnazione, Brescia 1978; A. Molinaro - E. Salmann (cura di), Filosofia e mistica. Itinerari di un progetto di ricerca, Roma 1997; A. Neher, L'essence du prophétisme, Paris 1955; R. Ohashi, Ekstase und Gelassenheit. Zu Schelling und Heidegger, München 1975; E. Stein, Scientia Crucis. Studio su s. Giovanni della Croce, Roma 1982; Id., Essere finito e Essere eterno, Roma 1988; C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988; M. Vannini, Mistica e filosofia, Casale Monferrato (AL) 1996; W. Weischedel, Il dio dei filosofi - Fondamenti di una teologia filosofica nell'epoca del nichilismo, Genova 1988; B. Welte, Dio nel pensiero di Heidegger, in Archivio di Filosofia, 56 (1987), 1-3, 80-95.

A. Ales Bello

FOLLI IN CRISTO. (inizio)

I. Il termine. Le parole dell'apostolo: " Noi siamo stolti a causa di Cristo " (1 Cor 4,10) sono servite da fondamento e giustificazione a questo tipo di santità. La versione siriaca del greco moros in questo testo dice sakla e di qui viene la denominazione salos, riservata in greco a tali asceti. In russo si usa jurodivyj, letteralmente un abortivo. Ma l'origine filologica fu dimenticata.

L'enciclopedia russa di Brochaus 1 definisce questa maniera di vivere come l'atteggiamento di coloro che, spinti dall'amore di Dio e del prossimo, hanno adottato una forma ascetica di pietà cristiana che si chiama " follia " per amore di Cristo. Essi rinunciavano volontariamenete non soltanto alle comodità e ai beni familiari, ma accettavano di essere considerati pazzi, gente che non ammette le leggi della convivenza e del pudore e si permette azioni scandalose. Tali asceti non avevano paura di dire la verità ai potenti di questo mondo e di accusare quanti avevano dimenticato la giustizia di Dio. Al contrario, consolavano quelli la cui pietà era basata sul timore di Dio.

II. Un fenomeno diffuso, ma non tipicamente russo. Tipi di questo genere appaiono già fra i primi monaci di Egitto.2 S. Simeone di Emesa ( 550 ca.) divenne famoso a causa della biografia scritta da Leonzio di Cipro ( 543).3 Nel sec. X venne dalla Siria a Costantinopoli s. Andrea Salos ( sec. X). Con la sua visione è collegata la festa bizantina della Protezione della Vergine (in slavo Pokrov, 1 ottobre).

Ma in Russia furono numerosi. Si enumerano più di trentasei jurodivye venerati come santi, anche se il numero dev'essere maggiore, dato che quasi ogni città ne venera qualcuno fra i suoi patroni locali. Mosca conserva le reliquie del suo patrono locale Basilio il Beato ( 1550) e la cattedrale sulla Piazza Rossa, dov'è sepolto, porta oggi il suo nome. Fra i santi canonizzati durante il recente millennio della Chiesa russa (1988) figura anche Xenia che visse a Pietroburgo nel sec. XVIII.

III. Chi erano i f. L'apparenza esteriore di pazzia copre il desiderio ardente della libertà di spirito. Quando le leggi scritte ebbero il predominio nella società ecclesiastico-statale, quando tutto ciò che Dio aveva da dire all'anima fu come monopolio dell'autorità esterna, vi furono quelli che si resero conto che la prima base di un'azione veramente buona è la coscienza illuminata da Dio. Gli jurodivye condannavano senza pietà tutte le ipocrisie della gente considerata onesta. Non ne facevano eccezione i monaci e le persone ecclesiastiche, soprattutto a causa dell' attaccamento ai beni terreni, della sensibilità agli onori e alla venerazione.

Seguendo la voce della coscienza, rifiutavano ogni altra istruzione, specialmente l'erudizione dei libri. E per provare che questa strada fu a loro indicata dalla grazia, Dio spesso ricompensava la loro rinuncia alla saggezza del mondo con una scienza superiore infusa nel cuore. Predicevano eventi futuri o lontani, e quasi normalmente leggevano nei cuori umani.

Su questa conoscenza intima della grazia si fondava il loro apostolato che consisteva soprattutto nel coraggio di rivelare pubblicamente la verità alle persone influenti. E da qui che deriva la loro grande popolarità presso la gente semplice.

Infine, la finta pazzia è un eccellente metodo per salvaguardare la solitudine in mezzo alla folla. Ai numerosi visitatori, uno jurodivyj continuò a rispondere parole sconclusionate così che tutti si stancarono di inquietarlo e di disturbare la sua preghiera. E se questo non bastava, se ne andavano volentieri in un luogo dove non li conosceva nessuno e dove spesso non si capiva neanche la loro lingua. In Grecia si chiamano " sciti ", in Russia, all'inizio, " tedeschi ", pellegrini che vanno verso " l'Oriente " in cerca della vera patria.

Santi di questo tipo non mancano in Occidente. I Fioretti di s. Francesco d'Assisi li presentano in modo pittoresco e nei tempi più recenti si conosce s. Benedetto-Giuseppe Labre ( 1783). Inoltre, l'atteggiamento fondamentale di questa spiritualità è posto in rilievo dai grandi maestri spirituali. La VII Regola di s. Benedetto 4 enumera i gradi di umiltà. Il settimo, più perfetto, consiste nel sentirsi " obbrobrio fra gli uomini e disprezzo della gente " (cf Sal 7). Analogicamente, s. Ignazio di Loyola, negli Esercizi spirituali definisce l'ultimo (questa volta terzo) grado di umiltà così: " Preferisco essere considerato come stolto per Gesù Cristo... piuttosto che saggio e prudente in questo mondo ".5 Notiamo ancora l'espressione poetica di questa umiltà nei Cantici spirituali di Jean-Joseph Surin: " Non voglio altro che imitare la follia di quel Gesù che un giorno sulla croce, per la sua gioia, perdette onore e vita, abbandonando tutto per salvare il suo Amore ".

Note: 1 Enciclopedia russa, XLI, Pietroburgo 1904, 421; 2 Cf Storia lausiaca, 34: De Domin. Sala; 3 Cf PG 93,1169-1748; 4 PL 66,374; 5 Monumenta ignatiana, serie III, t. 3, 167, Roma 1938.

Bibl. R. Albrecht, s.v., in WMy, 371-372; M. Evdokimov, Pellegrini russi e vagabondi mistici, Cinisello Balsamo (MI) 1990; P. Hauptmann, Die " Narren um Christi Willen " in der Ostkirche, in Aa.Vv., Kirche im Osten, Stuttgart 1959, 27-49; I. Kologrivof, I santi russi, Milano 1977, 273-285; T. Spidlík, " Fous pour le Christ " en Orient, in DSAM V, 752-761; F. Vandenbroucke, II. En Occident, in Ibid., 761-770; T. Spidlík, I grandi mistici russi, Roma 1977, 139-156; T. Spidlík - M. Garzaniti, s.v., in DES II, 1017-1020.

T. Spidlík

FORMAZIONE MISTICA. (inizio)

Premessa. In tanti luoghi vengono oggi organizzati dei corsi di mistica. Potrebbe essere un corso sulla storia della letteratura mistica o su un autore famoso. Spesso sono pure dei corsi in cui i partecipanti imparano ad interpretare dei testi, non di rado enigmatici e in un linguaggio ormai antiquato e inintelligibile. Così, si potrebbe parlare di una scuola di mistica oppure di una facoltà o di una Università di mistica, che curino questo tipo d'istruzione di storia e di letteratura. L'insegnamento intellettuale dello sviluppo storico delle idee, della lingua e della dottrina teologico-mistica è richiesto come condizione per una " ermeneutica spirituale " adeguata dei testi. Una tale ermeneutica deve permettere la comprensione chiara delle espressioni e del discorso del mistico.

I. Comprensione intellettuale. Si pone la questione: una comprensione intellettuale corrisponde allo scopo intrinseco del testo? Il lettore ha raggiunto il senso del testo quando, intellettualmente e con dei mezzi accademici, potrà ricostruire il significato di questo testo? A volte qualcuno comprende il testo a livello intellettuale e tecnicamente corretto senza però veramente comprendere il processo mistico articolato nel testo attraverso il linguaggio e le idee, senza personalmente essere implicato nell'incontro con Dio che il testo vuole promuovere nel lettore. Leggendo superficialmente il testo, si tiene a distanza dall'effetto interiore che il testo vuole produrre in lui. A volte accade anche che un lettore, quasi intuitivamente e in base alla propria esperienza dell'incontro intimo con Dio, comprenda profondamente ciò che il testo vuole esprimere con parole necessariamente imperfette, senza però poterlo ricostruire ed interpretare a livello intellettuale per mancanza di una preparazione intellettuale e accademica adeguata.

II. Formazione intellettuale. La f. nel senso intellettuale è semplicemente d'ordine accademico e appartiene al campo delle facoltà di spiritualità, teologia, lettere, storia, filosofia, psicologia, arte, ecc. Tale formazione comprende l'insegnamento di conoscenze necessarie per la costituzione e la lettura del testo nonché l'interpretazione cognitiva del medesimo. Come tale, questa formazione è la preparazione alla lettura vera, prevista dagli autori mistici, cioè la lettura dei testi come modelli d'iniziazione e di trasformazione della vita del lettore. Questa lettura è impegnativa perché non permette soltanto una presa di conoscenza esteriore e superficiale, ma mira, al contrario, ad una profonda trasformazione delle modalità di vita del lettore. La lettura e la comprensione dei testi mistici sono di per sé rivolti all'incontro personale e trasformante con Dio Amore, che si esprime e si coglie a livello orante e contemplativo della lettura.

III. Superamento della preparazione intellettuale. La f. che supera la preparazione intellettuale si definisce come iniziazione personale nel processo " misticamente " descritto dai testi. Allora, tale formazione parte del presupposto che il lettore autentico inevitabilmente viene implicato nel processo descritto nel testo. Non signifìca che egli dovrebbe credersi un mistico, riconoscendo nel testo la descrizione " letteraria " della propria esperienza. Al contrario, egli scopre nel testo un modello di vita spirituale e mistica e un linguaggio adatto che lo aiutano a comprendere il significato della propria esperienza d'incontro d'amore che trasforma in Dio. Il testo mistico " rivela " ciò che da tempo sta vivendo, offrendogli delle parole per comprendersi. Senza aggiungere la conoscenza di una nuova realtà " più profonda " o di una grazia straordinaria, il testo gli dà semplicemente accesso alla propria realtà, vissuta intensamente nel rapporto esistenziale con Dio, dunque gli fa sapere ciò che già sapeva. Di fatto, la mancanza di un linguaggio adeguato gli impedisce di comprendere l'esperienza travolgente che sta vivendo, mentre la scoperta di questo linguaggio, attraverso la lettura di testi che esprimono una tradizione esperienziale e autorizzata, lo rende capace di strutturare e rendere intelligibile ciò che di per sé è incomprensibile: l'Amore incondizionato che crea e ama gratuitamente.

IV. Funzione della formazione. Questi testi e la formazione alla lettura proficua possono avere la funzione della direzione spirituale, aiutando sia l'iniziazione all'esperienza estatica del mistero dell'amore incondizionato di Dio, sia la ormai crescente consapevolezza dei processi di discernimento, legati al progresso dell'esperienza susseguente. Avendo parole e strumenti di discernimento per l'esperienza vissuta al buio dell'immediatezza, la persona diventa capace d'interiorizzare, di articolare e sviluppare progressivamente le conseguenze profonde dell'incontro con Dio, dandosi completamente in preda all'amore strapotente di Dio. La f. può aiutare a sopportare l'ansia causata dal processo travolgente di decentramento totale di se stesso e di concentrazione su Dio Amore. I testi possono condurre per mano il lettore nell'esperienza di Dio, mostrandogli la strada a partire dalle esperienze vissute da altri. Spesso, i testi mirano a questa direzione spirituale di colui che è inesperto nella via mistica e che facilmente potrebbe smarrirsi o confondersi in questa strada non battuta, perché fuori corso e al di là delle capacità umane. In questo campo della f., comunque, occorrerebbe porsi la questione fondamentale, se i mistici possano essere formati e se una scuola di mistici possa esistere. Nessuno può scegliere né decidere d'intraprendere l' itinerario mistico. Chi lo pretendesse, certamente non sarebbe un mistico!

V. L'iniziativa resta di Dio. Di fatto, sembra impossibile che un testo letterario o un maestro mistico vivente, dunque mezzi o strumenti creati, possano indurre il lettore o il discepolo all'incontro con Dio. L'iniziativa dell'incontro non potrà venire che da Dio, che come Creatore non può essere ridotto alla realtà creata. Non possiamo incontrare Dio per conto nostro, perché quel dio incontrato non sarebbe nient'altro che noi stessi, un progetto nostro e fatto a nostra immagine. Visto che soltanto Dio sarà il vero direttore spirituale che potrà condurre l'uomo nel cammino spirituale, non esiste altro formatore mistico che Dio stesso. Egli prende la persona umana liberamente e gratuitamente per mano per introdurla nella sua intimità, irraggiungibile con le forze umane, ineffabile col linguaggio umano, irreale secondo la logica razionale. Nessun mezzo umano potrà provocare od insegnare esperienze di tipo mistico, perché l'Altro - in senso assoluto - è per definizione al di là. Dio non appartiene alla realtà creata dell'uomo, perché Egli è il Reale per eccellenza, l'Essere del nostro essere.

VI. Preparazione all'incontro. L'uomo potrà soltanto prepararsi all'incontro con Dio, lasciando indietro proiezioni, trascendendo i propri desideri e bisogni in un'apertura totale, entrando nella solitudine, nel silenzio, nel deserto, o nella povertà totale, in cui Dio potrà essere accolto nella sua alterità totale ed irriducibile. Ma quando avrà fatto tutto ciò che sarà possibile per prepararsi, l'uomo non incontrerà nessun altro che se stesso e non contemplerà che le tracce del suo proprio volto. L'uomo rimane per forza imprigionato nel mondo chiuso del creato, in cui non incontrerà nient'altro che il riflesso di se stesso. Nell'ambito della natura umana, la formazione - anche la cosiddetta " mistica " - sarà sempre il passaggio da forma in forma, da realtà creata a realtà creata. Anche la formazione migliore non sopprime questa legge fondamentale della natura.

VII. L'intimità con Dio. Pertanto, soltanto l'intimità amorosa con Dio Amore è veramente formativa nell'itinerario mistico. Potremmo parlare di f. nella misura in cui la forma umana diventa invisibile per l'uomo stesso, perdendosi completamente nella " forma " senza forma dell'Amore incondizionato di Dio, che sopprime totalmente la logica della forma condizionata e ristretta dell'esistenza umana. Quando l'uomo è trasformato dalla forma divina, le modalità della vita divina s'incarnano nella realtà umana, gratuitamente, perché la grazia divina e l'autocomunicazione di Dio lo rendono partecipe immediatamente della vita divina. La trasformazione mistica provoca all'improvviso, e superando ogni mescolanza intenzionale, l'oblio totale di se stessi e della " forma " della propria vita umana, perdendosi sempre più profondamente nell'abisso smisurato dell'Amore divino. La f., essendo veramente la trasformazione inevitabile in Dio, non è altro che il pellegrinaggio nel deserto della divinità, senza strada praticabile e certa. La f. toglie la deformazione umana, risultato dell'avversione a Dio, e instaura nell'uomo la contemplazione immediata dell'Amore che Dio sta operando in lui, senza di lui. Nell'annientamento della forma " autonoma " del proprio essere, la f. introduce l'uomo - solo per l'opera di Dio - alla contemplazione della sua forma sostanziale: l'Essere divino, l'Amore incondizionato e l'Atto creativo. I testi mistici promuovono questa f. da parte di Dio, smascherando e disfacendo tutte le resistenze umane, aprendo gli occhi del contemplativo alla realtà divina, dando slancio alla dinamica dell'amore mistico.

Bibl. H. Blommestijn, In der Schule der Mystik, in Mystik I: Ihre Struktur und Dynamik, Düsseldorf 1983, 168-175; Id., Progrès - Progressants, in DSAM XII, 2383-2405; Id., Spiritualiteit als omvormingsproces, in Ruimte om op adem te komen, bezinning over spiritualiteit (red. Auke Jelsma en Harry Juch), Kampen 1987, 92-100; Id., Geestelijke volwassenheid vraagt om vorming - Wilem van Saint-Thierry, in Speling, 39 (1987)3, 108-114; Id., Mystiek lezen, in H. Blommestijn - F. Maas, Kruispunten in de mystieke traditie, L'Aya 1990, 9-20; Id., Initiation into Love: The Mystical Process according to John Ruusbroec (1293-1381), in Studíes in Spirituality, 2 (1992), 99-126; Id., Learning to See the Other with the Eyes of God in St. John of the Cross, in H. Alphonso (cura di), Esperienza e spiritualità. Miscellanea in onore del R. P. Charles André Bernard, S.J., Roma 1995, 195-208; H. Blommestijn - K. Waaijman, L'homme spirituel à l'image de Dieu selon Jean de la Croix, in Aa.Vv., Juan de la Cruz, Espiritu de Llama, Estudios con ocasión del cuarto centenario de su muerte (1591-1991), Roma-Kampen 1991, 623-656; H. Blommestijn - K. Waaijman, The Carmelite Rule as a Model of Mystical Transformation, in Aa.Vv., The Land of Carmel, Essays in Honor of Joachim Smet O.Carm., Rome 1991, 61-90; J. Dan, The Language of Mystical Prayer, in Studies in Spirituality, 5 (1995), 40-60; K. Waaijman, A Hermeneutic of Spirituality, in Studies in Spirituality, 5 (1995), 5-39.

H. Blommestijn

FOUCAULD CHARLES DE. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Strasburgo il 15 settembre 1858. A cinque anni rimane orfano di padre e madre. Trascorre una giovinezza molto dissoluta, perdendo la fede. Diventato maggiorenne, entra in possesso della sua eredità che presto dilapida. Inizia la carriera militare e partecipa ad una spedizione in Algeria. Nel 1872 si ritira dall'esercito per dedicarsi all'esplorazione del Marocco. Entra così in contatto con l'islamismo ed avverte il fascino della solitudine del deserto. Nel 1886 ritorna in Francia e, grazie all'esempio ed agli insegnamenti della cugina Maria de Bondy, riacquista la fede. Si reca, quindi, come pellegrino a Nazaret, ove scopre il mistero della vita nascosta del Cristo. Nel 1890 entra nella trappa di Notre Dame des Neiges. Poco dopo viene inviato al priorato di Akbés in Siria. La vita della Trappa non lo soddisfa, ragion per cui sceglie di vivere i voti privati di castità e povertà assoluti. Si trasferisce, poi, a Nazaret presso il monastero delle clarisse ed accarezza il progetto di vivere come eremita sul Monte Tabor. Fallito questo progetto, si trasferisce a Béni-Abbès in Algeria, con l'intento di ritornare in Marocco. Nel 1905 si porta a Tamanrasset dove vive fino alla sua morte, il 1 dicembre del 1916, realizzando il suo ideale evangelico di vita nascosta e povera al servizio degli uomini.

I suoi scritti spirituali sono il frutto delle sue meditazioni sul Vangelo e, talvolta, lo strumento della stessa sua preghiera e della ricerca appassionata di imitazione del Cristo. Alcune meditazioni hanno un andamento quotidiano, o tematico, o seguono i vari momenti della vita di Gesù o i vari tempi liturgici della Chiesa. Scrive vari progetti di fondazione e lascia un abbondante e ricca corrispondenza.

II. Il messaggio spirituale che egli lascia in eredità a quanti vorranno essere come lui imitatori del " Modello unico ", si articola: 1. sull'esperienza di una vita tesa alla conformità al Cristo, centrata specialmente sulla povertà (con qualche tratto che lo avvicina a s. Francesco), sulla spogliazione interiore (appresa e suffragata dalle opere di Teresa d'Avila e di Giovanni della Croce) e sull'abiezione della croce, quale forma di totale abbandono alla volontà del Padre; 2. sull'esperienza di una vita nascosta con Cristo in Dio nella casa di Nazaret, dove il nascondimento è costituito da una quotidianità umile e semplice, laboriosa e orante, obbediente e accogliente, e dal sentimento della propria piccolezza di fronte a Dio e alla propria missione. E come la vita di Nazaret è illuminata dalla presenza del Figlio di Dio, così nello stile di Nazaret praticato a Béni Abbès, all'Asekrem, a Tamanrasset, sarà la presenza eucaristica a dar significato, direzione e vigore alla sua preghiera contemplativa; 3. sull'esperienza di una vita posta sotto il segno della fraternità universale, verso tutti, soprattutto verso i più poveri. In questa rispettosa apertura e in questa condivisione fraterna egli vede l'attuarsi dell'incontro con Gesù povero. Questa esperienza gli consente, inoltre, di farsi solidale con la condizione di chi lavora, lavorando e cercando di promuovere condizioni più umane di vita, sempre in una prospettiva che resta evangelica, al di là delle implicazioni sociali che comporta.

F., inoltre, sottolinea il primato di Gesù Cristo su tutto, annunciato con la vita, comunicato nel mistero segreto e forte di una vicinanza fedele, come Maria nella visitazione: il silenzio, la piccolezza, la povertà, l'universalità fraterna.

Dopo diciassette anni di quasi totale oblio, nel 1933 nascono i Piccoli Fratelli di Gesù con il p. R. Voillaume a El Abiod Sidi Scheik; a Montpellier, nello stesso anno, le Piccole Sorelle del S. Cuore di Gesù; nel 1959, le Piccole Sorelle di Gesù con la piccola sorella Magdeleine; nel 1950 le fraternità sacerdotali e secolari.

Bibl. Opere: l'intera opera letteraria di de Foucauld è in corso di stampa presso Città Nuova, Roma 1972ss.; Opere spirituali, a cura di D. Barrat, Roma 1984. Opere spirituali, a cura di L. Borriello, Cinisello Balsamo (MI) 1997. Studi: D.-R. Barrat, Charles de Foucauld e la fraternità, Milano 1991; L. Borriello, Charles de Foucauld contemplativo nel mondo al seguito di Gesù di Nazaret, in EphCarm 30 (1979), 98-146; Id., Il messaggio spirituale di Carlo de Foucauld, Bologna 1979; Id., Fratel Carlo di Gesù, pellegrino dell'assoluto, Città del Vaticano 1996; J. Castellano, s.v., in DES I, 718-720; M. Castillon du Perron, Charles de Foucauld, Milano 1986; A. Furioli, L'amicizia con Cristo in Carlo de Foucauld, Brescia 1980; B. Jacqueline, s.v., in DIP IV, 162-165; C. Lepetit, Sempre imprevedibile Carlo de Foucauld, Roma 1989; J.-F. Six, s.v., in DSAM V, 729-741; Id., Carlo de Foucauld, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi mistici II, Bologna 1987, 231-252; Id., Itinerario spirituale di Carlo de Foucauld, Brescia 1961; D. Volpi - A. Micheluzzi, Charles de Foucauld, Padova 1987.

C. Massa

FRANCESCA ROMANA (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Francesca nasce a Roma, nel 1384, dalla nobile famiglia di Paolo Bussa e Iacobella de' Roffredeschi. Desidera una vita di castità e solitudine, ma a dodici anni il padre la dà in sposa, contro la sua volontà, a Lorenzo Ponziani, figlio di ricchi bovattieri del rione Trastevere. Il matrimonio, deciso per ragioni di opportunità politica e sociale, si celebra nel 1395 o nel 1396.

Nonostante la posizione di privilegio, la vita coniugale di F. è segnata da molti dolori e gravi difficoltà familiari. Perde due figli in tenerissima età, a causa di un'epidemia. Nel 1408-09 o nel 1413-14, durante una delle due occupazioni armate di Roma da parte delle truppe napoletane, i Ponziani pagano molto cara la loro fedeltà alla Chiesa e agli Orsini contro il re di Napoli e i Colonna: Lorenzo, il marito di F., è ferito tanto gravemente da rimanerne invalido per tutta la vita, il cognato Pauluzzo esiliato, il figlio Battista, ancora fanciullo, preso in ostaggio.

Nel 1424-25, l'iter perfectionis di F., già esemplare per la dedizione alla carità e alle pratiche devozionali, conosce una svolta. Di comune accordo con il marito, decide di vivere nel matrimonio la castità perfetta e il 15 agosto dello stesso 1425, insieme a nove compagne, si offre oblata della Vergine nella basilica di S. Maria Nova sul Palatino, officiata dai monaci benedettini olivetani. Nel 1433, le oblate, acquistata una casa nel rione Campitelli, fra il Teatro Marcello e il Campidoglio, vi si ritirano per condurvi vita in comune, con l'impegno semplice di osservare in perpetuo " la castità, la povertà e l'obbedienza ". E questo il primo nucleo della grande fondazione romana di Tor de' Specchi, legata spiritualmente al monachesimo olivetano, ma con caratteristiche sue proprie che danno alla comunità larghe garanzie di autonomia e libertà.

F. esclude decisamente, per le sue oblate, il vincolo della clausura, che impedirebbe loro di continuare l'apostolato nella città. Non si unisce subito alle sorelle, ma le raggiunge nel 1436, dopo la morte di Lorenzo, assumendo, per volere delle compagne, la guida della comunità. A Tor de' Specchi rimane quattro anni, fino a che, stremata dal lavoro, dalle penitenze continue, ma confortata da grazie spirituali altissime, muore, nel palazzo Ponziani, la sera del 9 marzo 1440. Tre giorni dopo, accompagnata dalla devozione di tutti i romani, è sepolta presso l'altare maggiore della basilica di S. Maria Nova, e nello stesso anno viene avviato il processo per la canonizzazione. E proclamata ufficialmente santa il 29 maggio 1608.

Il corpus delle opere di F., redatto dal suo confessore in volgare romanesco e in latino fra il 1440 e il 1447, comprende: 1. Vita; 2. Tractatus de visionibus ac revelationibus (109 visioni); 3. Tractatus de conflictibus cum malignis spiritibus (quarantasette battaglie con il demonio); 4. Tractatus de inferno; 5. Tractatus de purgatorio, Epilogus. Il libro copre un periodo di undici anni, dal 1430 al 1440. Sono gli ultimi della vita della santa, anni cruciali, caratterizzati da frequenti esperienze e manifestazioni estatiche e fortemente segnati dai problemi di disciplina e regolamentazione spirituale di Tor de' Specchi, oltre che dalle preoccupazioni per le sorti di Roma e della Chiesa, attraversata dalle drammatiche vicende del Concilio di Basilea. Testimone privilegiato della vita interiore di F., il confessore raccoglie note, appunti, messaggi fedelmente trascritti nel decennio della sua mistica conversatio con la beata, offrendone pertanto un vero e proprio testamento spirituale.

Durante i momenti di preghiera nella sua cella, ma più spesso in chiesa, dopo aver ricevuto la Comunione, F. cade in estasi che durano qualche ora, ma anche diversi giorni. Rimane come impietrita, del tutto indifferente a qualsiasi sollecitazione di ordine fisico (estasi immobili), oppure, sempre in estasi, si muove, danza, canta, parla con un invisibile interlocutore divino (estasi mobili). Ritornata in naturalibus, il confessore la interroga e F. risponde, ma con grande riluttanza e sofferenza, solo per obbedienza all'autorità del padre spirituale. A differenza di molte visionarie dei suoi tempi, F. coltiva, infatti, una mistica dell'occultamento, del nascondimento, non solo per umiltà, ma anche perché avverte con disagio che il linguaggio umano è povero ed impotente ad esprimere la ricchezza di quanto ha visto e udito durante le estasi, e non è in grado di tradurre l'ineffabilità dell' esperienza mistica in categorie umanamente intelligibili.

II. Insegnamento mistico. Una chiave di lettura essenziale per penetrare il misticismo di F. è dato dalla sua fortissima devozione eucaristica, che ispira alcune delle pagine più belle delle visioni: vede l'Ostia come grande quantità di neve candidissima, ma calda come il fuoco (cf Visio XIII, 4); il tabernacolo eucaristico le appare come il cuore luminoso e ardente di una creatura celeste che scende dal cielo sulla terra (cf Visio VII, 3).

Delle due strade intrinseche all'esperienza mistica, quella liturgica e sacramentale, e quella di ordine psicologico, la contemplazione, F. privilegia infatti la prima. L'unione con Cristo nell' Eucaristia è, infatti, per F. l'accesso privilegiato ai misteri della fede (cf Visiones III, V-VII, IX-XI, XIII, XXXVI, LVIII, LXII, LXXXIII, LXXXVI). Le celebrazioni liturgiche scandiscono, così, le tappe di una esperienza che si concentra sul tema dell' Incarnazione, della realtà di un Dio-uomo, che è nato da una donna, è vissuto ed è morto nel dolore. Questo fatto unico, centrale e risolutivo nella storia dell'umanità opera la redenzione dell'uomo. Il Cristo, il Filius Dei, Verbo fatto carne, è quindi il Salvator, ed il cristianesimo è la religione della salvezza. Ma prima di ogni altra cosa, egli è il Rex coelestis, il Signore del mondo. Dinanzi a questo fatto, ogni altro appellativo a lui attribuito sembra passare in secondo piano. L'idea vivissima della regalità di Cristo, in una mistica, laica e di cultura non elevata come F. - è certo infatti che sapesse leggere, mentre non lo è altrettanto che sapesse anche scrivere -, è un dato abbastanza singolare. Il culto di Cristo-Re non ha, infatti, una matrice popolare e alla fine del Medioevo esso è vivo essenzialmente in ambienti teologici qualificati, che ne approfondiscono il senso e il significato soprattutto in relazione alla crisi del Grande Scisma. Ma questa idea, come quella di Maria regina, ha radici profonde nella peculiare tradizione cultuale e religiosa di Roma antica e medievale, cui F. è intensamente legata. La mariologia di F. è in rapporto speculare con la sua cristologia, ne è anzi una precisa emanazione. Ella insiste, infatti, sulla missione soteriologica della Vergine, che chiama divina Dei Genitrix, Regina coelestis. Maria è la peccatorum advocata, colei che intercede continuamente presso il Padre in favore dell'umanità minacciata. Per questo i due misteri che meglio esprimono per F. il ruolo della Vergine nella economia della salvezza sono l'annunciazione e l'incoronazione in cielo. Manca, nelle visioni, una immagine molto diffusa nella pietà femminile bassomedievale, quella di Maria mater dolorosa. Maria è la mater misericordiae, vista e pensata come luce e vittoria, gloria del mondo.

L'immagine di Cristo si situa in F. al punto di confluenza di vari percorsi. Essa accoglie la pietà cristocentrica del francescanesimo, ma al tempo stesso l'essenza della lezione monastica di Dio come luce, bellezza, gloria della trascendenza. Della mistica femminile trecentesca di eredità francescana, F. ha assimilato profondamente la pratica ascetica della recordatio peccatorum et continua memoria passionis Christi, che conduce alla compunctio cordis e al dono delle lacrime, ed infine ad una completa immedesimazione mentale e corporale con i dolori patiti da Cristo. Accoglie e rielabora molti dei motivi cari al florilegio trecentesco, corollario indispensabile alla mistica della croce: la devozione al sangue, agli emblemi della passione, alla corona di spine, in particolare, ma soprattutto alle piaghe. Ella stessa è una stigmatizzata, perché porta sul costato una piaga dolorosa, segno visibile della piena conformità corporale e spirituale con le sofferenze patite da Gesù (cf Visio XVI, 100-10). Tuttavia, per quanto autentica e rigorosa sul piano della concentrazione spirituale, questa esperienza non è così essenziale e caratteristica della mistica di F. quanto quella della maternità spirituale, che vive con grande intensità. Colpita dolorosamente negli affetti umani, F. sublima misticamente la sua sofferenza di madre nella condizione spirituale di " madre di Gesù ". Il suo amore speciale per il Bambino si esprime in numerose ed importanti visioni relative al Natale (cf Visiones XVI, XVII, XIX, XX), ma non solo. L'immagine che più di ogni altra rivela la sua intimità dolce e gioiosa con Gesù è quella di F. che stringe tra le sue braccia il Bambino, lo culla e lo riscalda avvolgendolo nel suo manto, oppure gioca con lui (cf Visiones XII, XIII, XVI, ecc.). Raramente, il tema della maternità spirituale, che pure ha radici antiche negli esordi stessi della tradizione beghina, ha trovato un'intensità di accenti, un'espressione più compiuta e toccante che nelle visioni di F.

E, inoltre, notevole nella santa la capacità di penetrare in profondità la mistica del mondo angelico, di cui ella sa cogliere molteplici dimensioni e funzioni. Nelle visioni paradisiache vede gli angeli nel contesto della maiestas divina in cielo, come ministri della liturgia celeste. Nei duelli demoniaci, l'angelo è colui che, in quanto nemico del diavolo, combatte per la salvezza dell'anima, e in purgatorio, in particolare, il compito degli angeli è assimilabile a quello di infermieri spirituali, preposti all'itinerario di purificazione ed espiazione delle anime. F. ha segnato, quindi, una tappa importante nella storia dell'angelologia, non tanto da un punto di vista dottrinale e teologico - la struttura e organizzazione del mondo angelico ricalcano, tra l'altro in termini molto semplificati l'architettura celeste di Dionigi Areopagita, di cui peraltro non viene colta l'eccezionale complessità speculativa -, quanto piuttosto dal punto di vista della capacità di valorizzare un rapporto concreto e singolare di amicizia spirituale con l'angelo custode.

Nel libro del suo confessore emerge, comunque, un'altra dimensione del misticismo di F., quella profetica. Donna di silenzio e di nascondimento, ella non rinuncia ad intervenire anche su alcuni problemi decisivi della Chiesa del proprio tempo, inviando messaggi pressanti ad Eugenio IV ( 1447) affinché ritrovi in occasione della crisi di Basilea una comunione di intenti con i cardinali e i vescovi. Le suppliche e le preghiere di F. nascono dal timore che l'intransigenza del pontefice possa in qualche modo creare ulteriori fratture nella compagine ecclesiale, provocando un nuovo scisma che potrebbe avere conseguenze drammatiche (cf Visiones I, VIII, XXVII, XXXIX, XLII, LXI, LXIII, LXXII, LXXIII). Fedelissima ed obbediente alla Chiesa e al pontefice, di cui non mette in discussione l'autorità, il suo attaccamento alla Chiesa non esclude che ella, nella grande tradizione della mistica ortodossa, si rivolga al papa con energia e con severità, meditando sugli errori della Chiesa del proprio tempo ed anelando ad un'autentica riforma spirituale e morale della Chiesa. Se Brigida di Svezia e Caterina da Siena furono le profetesse di Avignone, F. fu la profetessa del Concilio di Basilea.

Bibl. Fonti: M. Armellini, Vita di S. Francesca Romana scritta nell'idioma volgare di Roma del secolo XV, con appendice di tre laudi nello stesso idioma da un codice inedito degli archivi della Santa Sede, Roma 1882; A. Bartolomei Romagnoli, Santa Francesca Romana. Edizione critica dei trattati latini di Giovanni Mattiotti, Città del Vaticano 1994; P. Lugano, I processi inediti per Francesca Bussa de' Ponziani (santa Francesca Romana 1440-1443-1451), Città del Vaticano 1945; D. Mazzuconi, Pauca quedam de vita et miraculis beate Francisce de Pontianis. Tre biografie quattrocentesche di santa Francesca Romana, in G. Picasso (cura di), Una santa tutta romana. Saggi e ricerche nel VI centenario della nascita di Francesca Bussa dei Ponziani (1384-1984), Monte Oliveto Maggiore (SI) 1984, 95-197; M. Pelaez, Le visioni di santa Francesca Romana, in Archivio della Regia Società Romana di Storia Patria, 14 (1891), 365-409; 15 (1892), 255-273. Studi: P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 167-168; G. Picasso (cura di), Una santa tutta romana..., o.c., dove si segnalano: M. Tagliabue, Francesca Romana nella storiografia. Fonti studi biografie, 199-263 (con repertorio agiografico) e G. Brizzi, Contributo all'iconografia di Francesca Romana, 265-357 (con repertorio iconografico).

A. Bartolomei Romagnoli

FRANCESCO D'ASSISI (santo). (inizio)

I. La vita. Giovanni di Pietro Bernardone, che il padre vuole subito chiamare Francesco, nasce ad Assisi nel 1181.

F. ha diciotto o diciannove anni quando Assisi soffre la guerra civile (1199-1200) durante la quale, molto probabilmente, il santo si schiera con i minori contro la nobiltà in gran parte rifugiata a Perugia. Poco più che ventenne, la guerra tra Perugia ed Assisi lo vede combattente, con i suoi sconfitto a Collestrada e prigioniero a Perugia. In carcere per un anno, e poi liberato perché malato di una malattia che si protrae fino al 1204, F. approfondisce il rapporto figlio-madre. Ritornato ad Assisi, inizia un processo di conversione che la lunga malattia ha favorito.

L'anno seguente, nel 1205, F. partecipa, per l'ultima volta, con gli amici a quelle feste così a lui care nella prima giovinezza. Quest'ultima festa vede F. con loro, ma arriva il momento in cui gli amici lo sentono assente mentre guarda il cielo: " A che pensi F., a prendere moglie? " " Sì - risponde - ed è la donna più bella del mondo ". Il Dio della povertà, il Dio del dono infinito, il Dio dello svuotarsi per amore lo sta incantando. Poco dopo avviene l'incontro con un lebbroso nella piana di S. Maria degli Angeli. E lui, vincendo il ribrezzo di sempre, avvicina il cavallo al malato, gli mette in mano un'elemosina e lo bacia sul viso.

Quel moto impulsivo di Dio nella sua anima si fa più esplicito in San Damiano. Mentre guarda il volto del Crocifisso glorioso e sanguinante, ode queste parole: " Va' F., ripara la mia casa che va in rovina " e lui subito risponde: " Volentieri ". Ha inizio da quel momento il conflitto con il padre.

F. diffidato, quasi posto agli arresti familiari, citato in giudizio davanti alle autorità comunali, si appella al giudizio religioso davanti al vescovo, dichiarandosi ormai uomo dedito a Dio: nel clamore e nel silenzio di quella riunione, rinuncia all'eredità paterna e rende al padre anche i vestiti che indossa; ergendosi regalmente nel suo cammino interiore, esclama: " Ora posso dire davvero ’Padre nostro che sei nei cieli' ".

Appena rivestito dalla pietà del vescovo, vaga nella solitudine che non è senza meta, soffrendo il freddo di quell'inverno: ora è ascoltato mentre canta tra la neve da alcuni briganti che gli chiedono il perché del suo esprimersi e si sentono rispondere: " Io sono l'araldo del gran re ". E, irridendolo, lo gettano nella fossa di neve dicendogli: " Giaci costì, villano, pensa alle tue bestie, futuro pastor gregis ". Soffre in quell'inverno fame e freddo, sguattero in un monastero. A Gubbio, dall'amico Spadalonga riceve abito e alloggio e si allena assistendo i lebbrosi.

Con l'estate, il suo rientro ad Assisi, ormai in abito di eremita è l'inizio di quel restauro che Cristo gli ha chiesto: restaura San Damiano, elemosinando pietre in città, predicendo in quel luogo la vita delle povere donne seguaci di Chiara; restaura San Pietro; restaura la Porziuncola, e proprio qui ormai nel 1208, un anno e mezzo dopo circa, ascoltando nella festa di S. Mattia il Vangelo del giorno, vede, interiormente, con dono d'intelletto, che si tratta di quella vita che Dio gli sta facendo intuire: decide di vestirsi di una tonaca rozza da contadino, di avere come cintura una fune, di camminare a piedi nudi, andando così ad annunciare la penitenza.

Poche settimane dopo, in quel 1208, un amico del cuore, dotto e ricco, Bernardo di Quintavalle, lo invita a casa e gli offre cena e letto. Ascoltandolo durante quella notte dire senza tregua e gemendo: " Iddio mio! Iddio mio! ", al mattino dichiara a F. di voler condividere la sua vita. E anche l'altro autorevole amico Pietro Cattani decide come Bernardo di lasciare tutto per trovare tutto, come sta facendo F. C'è quell'immediatezza della forza d'amore che si apre in un destino di fraternità. Si chiama vocazione ed è cammino ascetico e mistico dove Dio, rivelandosi, attira a sé, come faceva con Cristo quando " pernottava nella preghiera al Padre ". In tre si rifugiano alla Porziuncola intorno alla chiesina restaurata, poi, aggiungendo per lui una capanna di frasche, accolgono il semplice Egidio 1 colui che poi, grande contemplativo, illuminerà il mondo con i suoi Detti. Sono appena in quattro e già li aspetta il mondo. E la prima missione. Arriva l'estate. Filippo Longo e altri due si aggiungono. Con il tardo autunno la seconda missione a Poggio Bustone.

Si aggiunge a loro Angelo, il cavaliere. Sono ora in otto e, partendo da quella intimità quaresimale, sempre a due a due, vanno in missione con F. nelle quattro direzioni del mondo.

Ritornando all'inizio dell'anno seguente alla Porziuncola, F. riceve altri quattro fratelli ed, essendo ormai dodici, decide di proporre al papa per l'approvazione la sua nuova forma di vita: orante, penitente e itinerante, cioè povera e piena di Dio, obbediente al mandato di restauro avuto da Cristo. F. scrive una breve Regola e con i suoi va da Innocenzo III ( 1216). Il papa ascolta, approva e manda a predicare quella penitenza che viene vissuta da loro e che è ritorno e precisa obbedienza al Vangelo. Ritornano a Santa Maria degli Angeli,2 ma l'andare a predicare la penitenza porta F. ad imbarcarsi per la Siria. Costretto dai venti a ritornare in Italia, accoglie sorella Chiara.

Nel 1219-20, F. è in Oriente, predica ai crociati, incontra il sultano presentando Cristo, ottenendo da lui un rescritto che permette a lui e ai suoi di predicare Cristo. Rientrato in Italia, chiede un cardinale protettore dell'Ordine, che ottiene nella persona del card. Ugolino ( 1241) da papa Onorio ( 1227), perché vegli sulla crescita veramente evangelica di questa famiglia in impressionante espansione.

Nel 1223, F. prepara a Greccio il presepe per " vedere con gli occhi del corpo come pativa il Cristo posato sul fieno e scaldato dall'asino e dal bue ", per poter festeggiare la sua venuta, perché nulla gli è più caro della umiltà dell' Incarnazione e della carità della passione.

Nella quaresima di San Michele del 1224, sale alla Verna, donatagli dal conte Orlando nel 1213, per l'ultima volta.

Nell'estate del 1224, sente particolarmente l'ispirazione e il desiderio di chiedere due grazie: " Che possa patire nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile ad un corpo umano, i dolori che patisti nella tua acerbissima passione " e l'altra: " Che io possa ricevere da te, quanto è possibile ad un essere umano, quell'amore che ti sosteneva a patire tanto per noi peccatori ". Subito percepisce dentro di sé che il Signore lo ha ascoltato.

Difatti, mentre prega, frate Leone vede che F. dal grembo tira fuori un globo d'oro, poi un secondo, poi un terzo: sono i doni da dare al Cristo in cambio dell'amore e del dolore. Sono l'altissima povertà, la splendidisssima castità e la perfettissima obbedienza. Frate Leone sente queste parole: " Chi sei tu dolcissimo Iddio mio... " e dopo tanto tempo: " Chi sono io vilissimo verme, disutile servo tuo... ".

Una notte, intorno alla festa della Esaltazione della croce, frate Leone vede scendere dall'alto con un volo rapidissimo un serafino che va a posarsi su F. con un'espressione dolcissima. La visione scompare e con essa la luce solare. F. si accorge di avere nelle mani i chiodi... conforme al Cristo.

Dall'intimità con Dio F. si sente spinto alla missione concreta di " andare " nel mondo. Da quel momento Dio gli è talmente presente da non avvertire ciò che gli accade intorno, perfino il tagliare l'abito; da quel momento non interroga più Dio " Chi sei? ", ma afferma " Tu sei ".

Dopo le stimmate, F. si ammala sempre di più. Siamo nel 1225, e a San Damiano in una capannuccia addossata al monastero, con i topi e il male delle stimmate, il santo dice: " Signore prendimi " e il Signore: " Se il mondo fosse oro invece che pietre... non sarebbe un gran tesoro? Sto per darti una cosa che sorpassa tutti i brillanti e l'oro e questa è la vita eterna ". Allora egli chiama frate Leone e gli detta il Cantico delle Creature. Sentendosi vicino alla fine si fa portare alla Porziuncola. E il 3 ottobre 1226 quando F. muore sulla nuda terra.3

II. L'esperienza mistica può sintetizzarsi in tre punti: ciò che vede, ciò che fa, ciò che patisce.

1. Ciò che F. vede. E il Crocifisso a presentarglisi straziato e povero, a guardarlo, chiedendogli amore, a mandarlo a continuare la sua stessa missione. Proprio da San Damiano, da quella piccola chiesa così amata e mal ridotta. Lì, dal dipinto non ancora antico, Cristo si mostra, parla e comanda. In quel nero del dipinto, non è la croce a inquadrare il Cristo, ma è il suo corpo di risorto a determinare, come allargandola, la cornice che è croce, ma che contiene ora a malapena tutte le figure umane e angeliche che festeggiano estatiche lui risorto e che prende l'avvio per il cielo. La croce che circonda il Cristo, nascente anch'essa dagli inferi, è ornata da una collana di conchiglie che, germogliando intorno intorno, si aprono a ventaglio nell'infinito. F., dunque, sente e vede il crudo della crocifissione; la sente permanere per descrivere gli effetti della risurrezione: il Crocifisso sanguina ora per esprimere la gloria di quel sangue versato per tutti e per sempre.

Certamente, da quando F. vede e ascolta il Crocifisso, continua a guardarlo e ad ascoltarlo, ponendo in cuore quello che viene facendo per obbedire alle sue parole. E, con F., i suoi frati, Chiara e le sue " sorelle povere ".

Al Cristo che egli vede si riconduce per tutta la vita. La gloria di quella povertà insanguinata lo stimola ed egli continua a sentirsi dire: " Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va' dunque a restaurarmela ".

Lavorando con le proprie mani attorno alle chiese con le pietre, attorno ai luoghi con materiale povero, F. approfondisce la lettura delle parole di Cristo e comprende che la casa che gli viene indicata è il luogo, sempre da preparare, per quei primi gruppi di fratelli e di sorelle che Cristo gli dona. Egli continua così a guardare quel sangue grondante dal Cristo glorioso come il cammino scelto da Cristo per la sua Chiesa affidata anche a lui.

2. Ciò che fa, ciò che dice. F. si trova dopo quella liberazione dal padre che gli fa incontrare il Padre che sta nei cieli, ad avere per casa il mondo e per veste quella povera tonaca tenuta da una corda. E subito a seguirlo sono ricchi e potenti. La loro nuova forma di vita è lo specchio preciso del programma di vita evangelica nella povertà totale. Sentendosi dire questo una mattina alla messa dalla lettura del Vangelo, egli ha intuito con chiarezza ciò che Cristo chiede a lui e ai suoi, mandandoli: la novità di una vita evangelica vissuta nella povertà totale. F., che è ormai così chiaramente in cammino, coinvolge nella sua novità i più attenti di quelli che lo seguono per ascoltarlo eo che magari si burlano di lui. La sua parola è spesso preceduta dal motivo del canto. Nello sviluppo del pensiero ritorna spesso e con foga naturale il canto, e magari il pianto. Ha così i suoi seguaci fedeli. Tra coloro che, sul suo suggerimento, riprendono in mano la propria vita, ci sono quelli che poi si chiameranno i penitenti di San Francesco detti in seguito Terz'Ordine francescano. Ci sono anche, forse dall'alto in quelle piazze attente, le donne.

La missione di predicazione penitenziale, avuta dal papa, porta dunque dei frutti; ma F. ha in animo, ed attua, il tentativo di raggiungere gli infedeli, perché il sangue del Cristo di San Damiano bagni anche loro.

Ma deve rientrare di urgenza, per gli scontenti e le rimostranze di una parte dell'Ordine, che egli rinuncia a governare, nominando suo vicario Pietro Cattani.

Il rapporto con i frati lo impegna a scrivere e a rifare il testo della Regola che rimane, anche così adattato, un modello di amore e di precisione. E scrive ancora quella Lettera ad un Ministro in cui si dichiara preoccupato per lui, che cresca il suo amore a Dio, tanto che quelle cose che gli sono d'impedimento nell'amarlo e ogni persona che gli sia di ostacolo " siano frati o altro, anche se ti coprissero di battiture ", tutto questo debba ritenere come una grazia. E gli dice: " Amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore " (FF 234-235).

E poi le Lettere e i suoi Saluti, così visualizzanti: quel Saluto alle virtù e il Saluto alla beata Vergine Maria. E come quei finali delle Lodi e del Cantico.

Il suo parlare è sempre più soprattutto con Dio e il dettare è più che altro preghiera. Come le sue missioni continue, che si realizzano sempre più spesso in modo verticale: cioè missioni come quaresime. Le varie quaresime in cui ogni anno si inoltra con la penitenza solitaria e che lo innalzano nel suo realismo mistico.

3. Ciò che F. patisce. L'averlo attirato per alcune quaresime sul Monte della Verna serve al Signore per familiarizzare F. con quel luogo, come gli è successo più lungamente a San Damiano, e per fargli gustare la bellezza di rapporto tra lui, che continua ad andare, e quella montagna che andando sul fondo marino è finalmente arrivata a sostare e a innalzarsi fino a quella quota in cui la sostiene la sua base argillosa.

Ora l'individuazione del luogo coincide con la preparazione di sé che F. ha compiuto instancabilmente, macerandosi nel corpo trattato sempre da frate asino e liberandosi nello spirito, sempre più echeggiante il canto delle parole di Dio e sempre più intento al muoversi della brezza dello Spirito. Sono le due quaresime abbinate, quella di Santa Maria e quella di San Michele.

Festeggiata la mamma, l'acqua delle scogliere e il poco pane che frate Leone gli porta alla grotta, il rombo e il silenzio di solitudine della foresta nutrono lui, che sente come un presentimento finale; il suo lungo desiderio è ora prevenuto dal desiderio divino. E ancora Cristo a fargli sentire che lo avrebbe guardato. Quel corpo già si perde in questi desideri e a volte vola: il suo perenne andare diventa ora un traboccare insieme di corpo e anima in quella solitudine tutta sua che frate Leone rispetta.

I giorni si accumulano così senza che egli avverta se non quel sentirsi preso da Dio che gli rende il succedersi dei giorni stessi come un crescente palpito di contemplazione.

Egli avverte che sta per ricevere un dono supremo che lo avrebbe assimilato alla glorificazione del Crocifisso.

E in quella festa dell'Esaltazione della Santa Croce, F. perduto nell'amore " volgendo la faccia inverso oriente, prega " e si ritrova col Serafino splendente che volando verso di lui gli sorride. Ha la gioia di quella bellezza e di quel sorriso, e insieme il dolore del vederlo in croce. Sente che si è fatta vivente, rendendo solare quella notte, l'icona che da San Damiano egli porta nell'anima.

E tutto in Cristo e tutto al di sopra di sé. La notte abbagliante lo avvolge (cf FF 1920).

In questa notte fatta di luce solare, F. ode Cristo dirgli tante segrete cose tra cui quella di metterlo a parte della sua qualità redentiva, e quando la visione dispare sente nel corpo i segni meravigliosi della passione di Cristo: sente e ancora vede i segnali dei chiodi, " in quel modo ch'egli avea allora veduto nel corpo di Gesù Cristo crocifisso ".

Chiodi che hanno nelle mani e nei piedi da una parte le capocchie rilevate, dall'altra le punte ribadite e ritorte ad anello e sono del colore del ferro.

Questa che fu la notte del primo stigmatizzato della storia, porta, dunque, in F. come già era avvenuto per la fusione d'amore, anche l'integrità del dolore dal riprodursi della condizione di Cristo in croce. I chiodi rimasero neri di dolore come era stato per Cristo, il sangue del costato continuò e continua a stillare sempre vivo e recente.

Questo F., dal corpo insanguinato e straziato dai chiodi e dalle malattie, che dopo la stigmatizzazione trascina infaticabile i suoi giorni verso la gloria, vede, nei successivi due anni di vita, crescere in modo grandioso il flusso di coloro che per mezzo dei mirabili segni si convertono a Cristo.

Negli ultimi due anni unifica tutte quelle espressioni vitali che fino allora, gli erano state donate: vede, ascolta, attua, scrive, patisce, gode, canta, sempre amando la meraviglia dell'essere crocifisso con Cristo, del conoscere davvero Cristo povero e crocifisso. Due anni di vita per poter portare il suo amore nel mondo.

I luoghi di F. si riflettono ora gli uni negli altri; San Damiano, dove Cristo inchioda a sé gli inferi e li redime con il suo sangue, la Verna dove riappare ancora crocifisso, ma luminoso come il sole che irradia monti e valli.

Solo che a La Verna il nero si concentra nei chiodi ferrigni che trapassano sporgendo le mani e i piedi di F. che, così inabilitato, si sente mandato al mondo intero. Con quelle insegne di gonfaloniere di Cristo e traboccando anche lui di sangue dal petto, sosta a lungo ancora a San Damiano: quasi cieco scavato dai mali del corpo, gusta la vera letizia.

Ora lì è Chiara a vedere mentalmente l'icona del Crocifisso in F., e ad emularlo nella penitenza lieta e contemplante. Lì F. si sente consolato da Dio con i ritorni paradisiaci della vita eterna di cui gli è data certezza, rivedendo nella nascente poesia italiana gli elementi fraterni della creazione, vedendo la beatitudine della tribolazione sostenuta in pace, e per le sorelle povere " adfatigate " dal male la beatitudine della vita vissuta " en veritate ", preludio alla morte " en obbedientia ". Chiara, già quasi incielata nella penitenza, si è ammalata dal tempo delle stimmate di F. E la sua povertà è la sua verità di amore. F. lascia le povere dame camminare nella loro intensità contemplativa. Una volta parla loro con una manciata di cenere, di cui si è cosparso. Continua così il mandato del papa, di andare predicando la penitenza, anche se ora più con l'anima che con la presenza. E il mandato di Cristo, quello di San Damiano, di riparare la sua casa; e quello di La Verna, di portare il suo amore nel mondo. Anche da fermo, con un cerchio di cenere intorno.

Quando poco dopo muore, viene alla Porziuncola da Roma frate Jacopa, avvertita da Dio, portandogli i dolci con il miele. E vengono le allodole, contro il loro costume, a volare cantando intorno a lui sotto le prime stelle. Gli dicono che il suo lungo cammino è stato un canto d'amore.

Di quanto l'amore di compassione con Cristo lo portò a patire, e di quanto l'amore di compiacenza per lui risorto lo portò a godere, non è dato valutare l'intensità, che s'inoltra nella qualità misteriosa di quell'amore mistico.

Certo, gli effetti presenti nella moltitudine dei suoi seguaci, portano a benedire Dio per il suo pianto e per il suo canto. Quella sua dichiarazione fra la neve del Subasio, appena dopo aver lasciato tutto, " ...Io sono l'araldo del gran Re... ", dà ancora la misura del suo spirito di infanzia e di maturità feconda.

Così, da F., è una civiltà, quella francescana, che con il suo sussistere e con il suo espandersi continua ad esprimere la sua universalità di servizio, dovuta all'aver F. veduto e ascoltato il Crocifisso nel buio di San Damiano, e all'aver accolto i suoi chiodi e il suo sangue nel sole di La Verna.

Il modo di fare storia, di F. e dei suoi consiste nel voler abbracciare per tutti, con pazienza, il buio di ogni povertà che Cristo patisce in loro: e anche nel godere con tutti il sole di ogni carezza che Cristo concede.

Note: 1 Cf Aa.Vv., Dizionario Francescano. I Mistici, Secolo XIII, I, Assisi (PG) 1995, 65-169; H.D. Egan, Egidio d'Assisi, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 256-259; 2 E il tempo in cui prende avvio il Terz'Ordine, quello istituito da F. per una vita evangelica di coloro che rimangono nel secolo e nello stato matrimoniale; 3 Esistenza, quella di Francesco, che, come si è visto dai cenni biografici, ha avuto le caratteristiche di agio familiare; agio e ricchezza che stimolarono il suo temperamento ridondante a prevedere un futuro di qualità successive che già formavano i suoi sogni: il divenire cavaliere, preparandosi ad imprese anche guerriere che andassero ben al di là dei primi scontri cittadini... Su questo suo sognare, stimolato da letture e da leggende, intervenne Dio, offrendogli quelle previsioni precise che iniziarono, più che i sogni, alti colloqui con l'Infinito: quando, per esempio, si vide offerte le armi crociate per lui e i suoi soldati (cf FF 326). Francesco prese ancora come prospettiva immediata e limitata alle Puglie il suggerimento divino; nello stesso tempo sentiva quella trasformazione interiore che lo portava a rendersi conto che, per lui, Dio non stava parlandogli di un futuro di gloria e di ricchezza, ma di una crescita di doni straordinari tutti interiori - " un tesoro grande e prezioso ", come si era sentito suggerire dentro e manifestò ad un giovane amico (cf FF 399).

Bibl. Fonti: Fontes Franciscanae (=FF), Assisi (PG) 1995; Fonti Francescane, ed. major, Assisi (PG) 1978; Fonti Francescane, ed. minor, Assisi (PG) 1980; Liturgia di s. Francesco d'Assisi, La Verna (AR) 1963. Studi: H.U. von Balthasar, Gloria - Stili ecclesiastici, Milano 1971, 237-257; C. Bobin, Francesco e l'infinitamente Piccolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994; F. Cardini, Francesco d'Assisi, Milano 1989; D. Fienga, Francesco il povero di Dio, Cinisello Balsamo (MI) 1995; C. Frugoni, Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini, Torino 1993; Id., Vita di un uomo: Francesco d'Assisi, Torino 1995; A. Gemelli, Il francescanesimo, Milano 1979; J. Green, Frère François, Paris 1983; H.D. Egan, Francesco d'Assisi, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 249-255; U. Köpf, s.v., in WMy, 164-165; L. Lavelle, Quattro santi, Brescia 1953; E. Léclerq, Francesco d'Assisi. Il ritorno al Vangelo, Milano 1982; E. Longpré, Frères mineurs, in DSAM V, 1268-1308; Id., Francesco d'Assisi e la sua esperienza spirituale, Milano 1970; R. Manselli, San Francesco, Roma 1980; G. Miccoli, Francesco d'Assisi. Realtà e memoria di un'esperienza cristiana, Torino 1991; A. Pompei, Francesco d'Assisi, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi mistici I, Bologna 1987, 177-199; P. Stéphane - J. Piat, Con Cristo povero e crocifisso, Milano 1971.

V. Battaglioli

FRANCESCO DI SALES (santo). (inizio)

I. Vita e opere. F. nasce a Thorens (Alta Savoia) nel 1567, primo di ben tredici figli, da genitori dalla tradizione e pratica cristiana. Compiuti gli studi a Parigi nel Collegio Clermont dei gesuiti e poi a Padova per il diritto, si laurea in utroque iure nel 1591. Ordinato sacerdote, spontaneamente si dedica alla missione nel Chiablese per un quadriennio 1594-1598. Divenuto vescovo di Ginevra (1602), s'impegna nella predicazione e nella composizione di opere ascetiche e mistiche (Filotea e Teotimo). Nel 1610, insieme con G. Frémyot de Chantal fonda l'Ordine della Visitazione e per un ventennio di apostolato episcopale dispensa i tesori della sua dottrina in diversi scritti (la raccolta completa è di ventisei volumi). Muore a Lione nel dicembre 1622. Beatificato e canonizzato da Alessandro VII nel 1661-1665, è dichiarato Dottore della Chiesa da Pio IX nel 1877 e Patrono dei giornalisti da Pio XI nel 1923.

II. Esperienza mistica. Emblematica e rivelatrice la parola della piissima madre, Francesca de Sionnaz, nei riguardi del suo primogenito: " Se non fossi la mamma di un figlio come questo, confidava a M.me de Chantal, rivelerei molte delle meraviglie della sua infanzia. Ho spesso osservato che fin da quando era molto piccolo era predisposto alle benedizioni del cielo e non respirava che l'Amor di Dio ".1 Prevenuto dalla grazia, esclamava quasi inconsciamente: " Dio e mamma mi vogliono bene ". Riscoprirà poi in maniera più avvertita, con il tocco della divina grazia, il desiderio di darsi tutto a Dio in modo irrevocabile: " Fin dal mio dodicesimo anno d'età avevo risoluto con tutta la forza di essere uomo di Chiesa e che non avrei cambiato risoluzione per un regno di questo mondo ".2

La stessa crisi intellettuale e spirituale, subita da studente a Parigi, è vittoriosamente risolta con un atto totale di abbandono alla misericordia di Dio, sotto la protezione della Vergine Maria, nella chiesetta di S. Stefano de Grès (1587). E una tipica esperienza di purificazione del cuore attraverso la notte oscura, come lui stesso assicurerà: " Da quando ebbi la grazia di conoscere un po' il frutto della croce, questo sentimento di amare Dio entrò nella mia anima e non ne è mai più uscito ".3

Momenti mistici avvertiti e debitamente contrassegnati si rinnoveranno di frequente: sperimenta, nella notte della solennità del Corpus Domini del 1595, la presenza viva del SS.mo Sacramento, " rapito da una così grande abbondanza di soavità "; fenomeno che si ripeterà il 25 marzo 1599 durante la celebrazione del divin sacrificio da parte di Clemente VIII ( 1605). " L'anima - scriverà - fu molto consolata, e Dio mi fece la grazia di darmi dei lumi sul mistero dell' Incarnazione e della Transustanziazione " (cf Oeuvres XXII, 110); ed ancora godrà intensamente del mistero della SS.ma Trinità nell'istante della sua consacrazione episcopale (8 dicembre 1602): " In un'estasi dolcissima gli si mostravano distintamente le tre Persone divine operanti nell'anima i mistici effetti significati dai riti esternamente " (Année Sainte XII, 429). Quanto alla passione del Signore, il Venerdì santo del 1606 nella Chiesa di San Domenico a Chambéry, mentre predicava sulla passione, il grande Crocifisso si illuminò, gettando raggi luminosi sopra il volto del predicatore (cf Année Sainte II, 145-6). In questi, come in altri momenti, sembrava che Dio volesse mostrare che il soprannaturale veniva a confermare quanto del santo vescovo fosse nella linea della verità e della testimonianza: mirabili gli effetti che in lui si producevano; grandi conversioni delle anime con la pratica sincera dei sacramenti e della vita cristiana.

Come vescovo, F. vive secondo il programma dettato dal motto episcopale: " Preso da Dio e dato al suo popolo ", e come " uomo di Dio " muore consumato dall'amore, dopo aver salito la sommità del Monte Calvario, da lui chiamato " accademia degli amanti ": una morte d'amore, come era stata descritta in elevatissime pagine del suo capolavoro: il Trattato dell'Amor di Dio.

III. La dottrina mistica negli scritti. Se il fenomeno di esperienza mistica aveva interessato di fatto la persona di F. - quindi a livello tipicamente storico-biografico - non poteva mancare una sua sicura e forte incidenza anche sotto l'aspetto teoretico (cf Oeuvres, Mistique, t. XXVII, 69-70). Anche se non sussiste una trattazione specifica da lui appositamente concepita, il tema della mistica viene evidenziato in pratica e in forma quasi esclusiva nel Teotimo (cf Oeuvres IV, V), di indubbia ispirata concezione. Infatti, parziali sono gli accenni negli altri scritti, ad esempio nei Trattenimenti spirituali (cf Oeuvres VI, 25-26; Sermoni IX, 59); nelle Epistole, invece, in modo più rimarcato (cf XIII, 81.99.200; XV, 320; XXI, 160.174).

Innanzitutto, il Dottore dell'Amore intende dare la definizione di " mistica "; chiarisce in che cosa consista: coincide o s'identifica con la perfezione evangelica; praticamente è da lui in via generale intravista nella santità della stessa vita del cristiano praticante (cf Oeuvres V, 25). Di qui le varie denominazioni che rientrano o si avvicinano al concetto di fondo e, per la precisione, egli chiama la mistica " quiete " o " acquietamento dell'anima " (cf Ibid. IV, 68. 330); in quanto essa si situa nel suo stato più passivo che attivo, è quasi un lasciarsi condurre dolcemente da Dio e dal suo Spirito (cf Rm 5,5). In relazione poi alla preghiera, essa ancora si evidenzia, o meglio si snoda inavvertitamente, in graduali passaggi: raccoglimento, contemplazione, riposo spirituale (cf Ibid. IV, 312.326). Nel dolce prolungarsi di questo stato di quiete e di contemplazione amorosa si ha l' unione con Dio, quasi il possesso di Dio, che è presente nell'anima ed è gustato nella sapida sua donazione di amore, sempre più coscientemente avvertita e compartecipata.

Secondo F. si possono avere in questi stati unitivi (contrassegnati da una stasi purificante prima e illuminante poi) delle forme elevate, come fossero slanci acuti o folgoranti di ebbrezza, ivresse (cf Ibid. IV, 325). Di qui fenomeni estatici di più o meno intensa durata: comunque in forma eccezionale si ha un lieu mental de la mystique, come la chiama F. (cf Ibid. IV, 67). A determinare tale stato, e soprattutto a chiarirlo, intervengono o servono i remarques o segni (cf Ibid. V, 31): per delimitarli nell'area loro sicura si richiede, però, un serio e continuato " discernimento degli spiriti ". Per questo F. non si stancherà di asserire che punto di partenza è, in modo ineludibile, " il compimento della volontà di Dio ", oltre che la fedeltà alle mozioni interiori: ad ulteriore purificazione dell'anima potrà intervenire la " notte oscura dei sensi ", in modo che sia quasi preludio alla vita gloriosa futura. Punto supremo o vertice di tale mistica è " la ferita dell'anima ": " la divine blessure " o ferita d'amore (cf Ibid. IV, 347. 352): è il martirio supremo, quello del cuore. Un pagina del Teotimo è quasi un testamento della vita del santo: " Il supremo effetto dell'amore effettivo è la morte degli amanti: di quelle anime che muoiono d'amore (VII, 9); " Così, o Teotimo, quando l'ardore del santo amore è intenso, dà tanti assalti al cuore che lo ferisce così spesso, causandogli molti languori; lo trasporta ad estasi e rapimenti così frequenti che tutta l'anima, rapita in Dio, trascura il corpo (...), le energie vitali cominciano a venir meno: si abbassa la vita e viene la morte. Che morte felice è questa, o Teotimo! " (VII, 10).

A conclusione ci si può domandare se tutta la concezione della mistica di F. sia originale o non abbia una derivazione o dipendenza qualsiasi. Certo più originale che di dipendenza: comunque non si possono negare degli influssi parziali, derivati dalla spiritualità ignaziana (vedi direzione spirituale del tempo giovanile), dall'influsso della mistica e devozione di importo italiano (si vedano Francesca Romana, Lorenzo Scupoli, ecc.) e soprattutto di derivazione carmelitana (conoscenza delle opere di s. Teresa). Lo stesso santo non ha esitato ad ammetterlo; ma al di là dell'esemplarità emerge il suo stile, che si concentra nell'Amore, perché di amore puro è vissuto e di amore puro è morto!

Note: 1 Deposizione di Madre de Chantal ai Processi; 2 Dichiarazione fatta dal santo a Madre Angelica Arnauld di Port-Royal; 3 A. Ravier, Francesco di Sales, Torino 1967, 7.

Bibl. Opere: Oeuvres de S. François de Sales évéque et Prince de Genève et Docteur de l'Église, éd. complète d'après les autographes et les éditions originales enrichie de nombreuses pièces inédites publiées par les soins des Religieuses de la Visitation du premier Monastère d'Annecy, Impr. J. Nierat, Annecy 1892-1932; Année Sainte des Religieuses de la Visitation-Sainte Marie, voll. I-XII, Lyon 1867-1871; E-M. Lajeunie, S. François de Sales: l'homme, la pensée, l'action, 2 voll., Paris 1966, 529-486 (bibliografia: I, 25-83). Studi: P.L. Boracco, Francesco di Sales, in La Mistica I, 599-620; H.D. Egan, Francesco di Sales, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 517-533; A. Liujma, S. François de Sales et les Mystiques, in RAM 24 (1948), 220-239, 376-385; H. Paules, Die Mystik des Heileges Franz von Sales in ihrer Grundhaltung und Zielsetzung, Eichstätt 1963; A. Pedrini s.v., in DES II, 1047-1058; Id., L'azione dello Spirito Santo nell'anima secondo il pensiero di San Francesco di Sales, Roma 1978; Id., Francesco di Sales e la scienza " ottavo sacramento del prete ", in Palestra del Clero, 74 (1995), 801-811; Id., Francesco di Sales e la Bibbia. L'apostolo della Parola nella Dottrina e nella prassi pastorale, in Ibid., 75 (1996), 237-245; A. Sandreau, La doctrina mistica de S. Francisco de Sales comparada con la doctrina de obras de vida espiritual, in Vida sobrenatural, 14 (1927), 86-96, 217-223. Id., L'oraison mystique d'après S. François de Sales, in VieSp 40 (1928), 1-31.

A. Pedrini

FRANCIA. (inizio)

Premessa. Di mistica propriamente detta si può cominciare a parlare in Francia a partire dal XII secolo. Essa affonda, però, le sue radici nella spiritualità gallo-romana, che nasce nei territori dell'attuale Francia già a partire dalla fine del I secolo, con Ireneo: " Dio si è fatto uomo perché l'uomo possa divenire Dio " 1 Quella di Ireneo, discepolo di Policarpo ( 167 ca.) e grande avversario del docetismo gnostico, è una spiritualità cristocentrica, che vive sotto l'influsso dello Spirito Santo, ricevuto con il battesimo, piena del fervore mistico delle prime generazioni cristiane, fondata sull'intelligenza spirituale delle Scritture e tesa alla testimonianza fino al martirio, come, ad esempio, nel caso dei martiri di Lione.

Dopo la pace (313) e il favore accordati da Costantino alla Chiesa, Ilario, con il suo: " Credendus est, intelligendus est, adorandus est " 2 appunta la sua contemplazione sul mistero trinitario, spalancando la strada alla prima comparsa dell' ascetismo in Gallia, con Martino, suo discepolo, e con Vittore, rispettivamente vescovi a Tours nel 371 e a Rouen verso il 380. Entrambi adottarono uno stile di vita ascetica di estrema austerità e fecero della " militia Christi " una scelta di stile pastorale, impegnandosi in una lotta infatigabile contro il paganesimo, l'ingiustizia, il male. L'influsso da loro esercitato sui contemporanei fu notevole ed influenzò la successiva opera di Sulpicio Severo ( 406 ca.) e di Paolino da Nola ( 431), originari di Bordeaux, ugualmente intransigenti contro la mondanizzazione della Chiesa, cui opponevano una vita di rinuncia e di preghiera. Ecco allora fiorire, fin dalla seconda metà del IV secolo, l' eremitismo, la reclusione volontaria, le laure. L'esperienza spirituale della Gallia fino al V secolo, se non è molto differente da quella vissuta nel resto dell'Occidente e dell'Oriente cristiano, comincia però a caratterizzarsi di uno specifico proprio, legato alla liturgia e alla meditazione dei misteri del Signore.

I. Agli inizi del V secolo, però, varie popolazioni barbariche si impadroniscono di ciò che resta dell'Impero romano d'Occidente e della Gallia; la prova per la Chiesa è grande e grandi sono pure lo sconcerto e il dubbio sulla provvidenza di Dio, che permette le guerre e le devastazioni proprie di questo periodo. Resistono alcuni focolai di spiritualità monastica, come Lérins e Marsiglia, e nasce una vera e propria " spiritualità provenzale ", che privilegia l'aggregazione collettiva dei credenti. I laici, per realizzare l'ideale di santità, debbono così assumere il paradigma della vita monastica. Perché ciò si realizzi non è sempre necessario entrare in monastero: ecco allora svilupparsi la direzione spirituale personale (per lo più epistolare), in una sorta di regola monastica individuale. Si diffondono la preghiera personale continuata e la lectio divina; la liturgia fornisce l'apporto centrale allo sviluppo della vita spirituale dei fedeli; si ricostruiscono le basiliche distrutte e si sviluppa il culto dei martiri, modelli e maestri nel combattimento che porta alla santità.

II. Nei secoli VI-XII, si vive in Europa un periodo di ricostruzione, in cui il vecchio mondo romano si fonde con la novità delle culture barbariche verso la costituzione di nuove unità sociali e politiche. La Chiesa, dopo la conversione del mondo romano, vive nuovamente l'avventura di un'altra grande evangelizzazione, quella cristiana medievale. La Francia assume in questo contesto una funzione di rilievo, in quanto è luogo di incontro e di passaggio di uomini e idee. La vita spirituale del sud della Gallia del VI secolo è influenzata dal pericolo costituito dalla diffusione dell'arianesimo, dalle nuove esigenze della pastorale, che deve riprendere l'evangelizzazione delle masse rurali e urbane, e dallo sviluppo del monachesimo. Tale sviluppo non riguarda solo la nascita dei nuovi monasteri, ma soprattutto l'influenza sempre più diffusa che la regola dei monaci esercita sul clero secolare e sul laicato, come se la via monastica fosse la sola da seguire per la propria santificazione.3 Tale influsso provoca buoni risultati: il clero ridimensiona le abitudini mondane, vive con minore lusso, cresce nell'obbedienza agli obblighi del celibato, dedica maggior tempo alla preghiera pubblica e privata, viene istruito nelle scienze religiose e nella Scrittura; i laici partecipano alla liturgia festiva e celebrano i sacramenti con regolarità, fanno pubblica penitenza, sono invitati a rispettare nella vita di ogni giorno i comandamenti e a evitare una condotta scandalosa e riprovevole. Meno buona la situazione della Chiesa nel nord merovingio: la vita spirituale è in decadenza, l'organizzazione ecclesiastica è in dissesto, la preparazione del clero e dei laici si presenta assai scarsa. Occorrerà attendere l'opera di Colombano per veder rifiorire la vita spirituale anche nelle regioni del nord. Colombano è uomo di penitenza e di mortificazione, che mette al primo posto la meditazione della Bibbia, per arrivare alla " scienza suprema " che è Dio. Egli, figlio dell'umanesimo monastico celtico, rafforza quel movimento di purificazione della cultura che tende ad epurare dalle scienze cristiane tutto ciò che appartiene all'antico mondo pagano. Per Colombano, la vita terrena non è la vera vita, ma solo la preparazione di quella eterna. Ciò si riflette anche sulla spiritualità e sulla mistica dell'epoca, che si radicano sempre più nella meditazione della Scrittura, nella preghiera, nella mortificazione e nella penitenza, nello studio dei Padri. La diffusione degli insegnamenti di Colombano e quella della Regola benedettina, che nell'VIII secolo soppianta, nel governo dei monasteri, tutte le altre, compresa quella colombana, forniscono a Carlo Magno ( 814) un ulteriore mezzo di unificazione della Francia, favorendo la nascita di una mistica, cosiddetta carolingia, caratterizzata da tre elementi fondamentali: la Scrittura, la liturgia e la tradizione patristica. Ecco allora alcune figure di spicco, quali, per citarne solo alcune, Crodegango di Metz ( 766), Alcuino ( 804), Amalario di Metz ( 850 ca.), Floro di Lione ( 860 ca.), Usuardo ( 877 ca.), che rinnovano interamente la liturgia in uso, Teodolfo d'Orléans ( 821), Alcuino, Angelomo di Luxeuil ( 885 ca.), che rivedono il testo latino della Bibbia, Ilduino ( 840), Giovanni Scoto Eriugena, che traducono e rendono accessibili le opere dei Padri latini e greci. A questi elementi fondamentali se ne aggiungono altri: il progresso della teologia, l'armonizzazione della religione personale con la preghiera comunitaria, l'orientamento dell'ascesi personale verso l'esercizio della carità nei riguardi del prossimo.

Alla caduta dell'Impero carolingio segue però un periodo di anarchia, che porta con sé una notevole decadenza dei costumi e della vita cristiana. La Chiesa tenta di riprendere spazi più consistenti di autonomia dal potere civile. Gli sforzi di riforma e di rinnovamento spirituale sono simboleggiati bene dal movimento che, ispirato da Oddone ( 942), prende il nome da Cluny: esso tende, nell'attesa ardente della seconda venuta del Signore, a recuperare, in una forma di ascesi personale e comunitaria, le caratteristiche della Chiesa primitiva, che è carità, comunione, preghiera, gioia di vivere alla presenza del Signore, libertà di vita di grazia. Si diffonde così anche nel laicato una nuova forma di spiritualità, che intende la vita come uno specifico cammino di salvezza: si diffondono i pellegrinaggi, l'eremitismo temporaneo o perpetuo come logico prolungamento della vocazione come solitudine con Dio. Tutta questa complessa esperienza religiosa e spirituale, che è dominata dall'influenza del monachesimo, è ben riassunta negli scritti e negli insegnamenti di Anselmo.

Nel 1098 viene fondata l'abbazia di Citeuax. Nel 1107 vi entra Bernardo, poi abate di Clairvaux. E la nascita di un monachesimo nuovo. " Dio-Trinità, che è amore, per amore crea l'uomo, il quale porta indistruttibile nel suo libero arbitrio l'immagine del suo Creatore e in più anche una speciale somiglianza per la grazia, che di fatto l'uomo ha perduto, quando, negandosi all'amore e alla verità, scende i gradini della superbia... Ma come farà l'uomo decaduto a ritornare nella regione dove rifulgeva nel suo volto la somiglianza con Dio? Da sé non è capace; Dio gli viene in soccorso con la sua grazia. Il Verbo incarnato, fattosi concretamente accanto all'uomo, gli fa conoscere la miseria in cui è caduto: è la luce della verità, è la scintilla della carità, che porta l'uomo alla conoscenza di sé e alla compunzione, facendogli salire il primo grado di umiltà; così l'uomo... riacquista la libertà dal peccato, ossia la libertà della grazia, che lo toglie dalla schiavitù del peccato. Interviene allora lo Spirito Santo che suscita nel cuore contrito la compassione verso le miserie del prossimo e porta alle opere di misericordia, facendo salire il secondo grado di umiltà. E una luce più abbondante di verità, è una forza più viva di carità, e in tal modo si restaura nell'uomo la somiglianza con Dio, per cui ogni atto che egli compie è simultaneamente opera della grazia e del suo arbitrio. Il contatto con gli esempi e i sentimenti di Cristo, le consolazioni dello Spirito Santo, nell'esercizio vivo della carità, portano l'uomo al terzo grado di umiltà, dove il Padre celeste stringe a sé l'anima, che ormai purificata può essere introdotta nella contemplazione più piena della verità e messa a parte di più intime comunicazioni con Dio. In questa felice condizione l'uomo, benché a intervalli e di passaggio, sperimenta la libertà dalla miseria della vita attuale e, fatto più somigliante a Dio, pregusta la libertà della vita gloriosa del cielo ".4 Con Bernardo (ma occorre ricordare almeno anche Guglielmo di Champeaux, Guglielmo di S. Teodorico, Ugo e Riccardo di S. Vittore) si diffonde così una spiritualità (e una mistica) fatta di conoscenza e meditazione del mistero di Gesù Cristo (perché l'ascesi è conoscenza e purificazione di sé, che non sono possibili al di fuori del suo mistero; egli prende possesso di noi e ci riempie dei doni del suo amore fino alla contemplazione) e della Vergine Maria (la Madonna è talmente legata al mistero del Figlio che non si può fare a meno di lei nell'ascesa d'amore che ci riporta a Dio), di adorazione dell' Eucaristia (è Gesù presente), di carità fraterna.

III. Il XIII e il XIV secolo segnano una profonda trasformazione nella vita cristiana della Francia. Si afferma il desiderio di imitazione di Gesù, che vede nella scelta della povertà un elemento decisivo. Tale accentuazione è ulteriormente facilitata dalla necessità di reagire all'eccessiva ricchezza della Chiesa e alla sua lenta mondanizzazione. Nascono e si diffondono gli Ordini mendicanti di Domenico ( 1221) e di Francesco, che a loro modo anticipano la risposta all'urgenza di riforma della Chiesa, da tante parti auspicata. Ma nascono anche forti movimenti ereticali, che rigettano, assieme ai costumi scandalosi del clero, pure la disciplina ecclesiastica e il dogma cattolico (amauriani, catari, valdesi). Contro le eresie, ad opera dei predicatori, si sviluppa il principio: parlare di Dio è parlare con Dio. La vita spirituale ne assume la lezione: predicare la conversione significa sperimentare, prima, la penitenza, lo studio, la contemplazione. Perché gli altri possano seguire Gesù Cristo è indispensabile che i discepoli lo seguano per primi, e seguire Cristo vuol dire associarsi alla sua povertà. Si stabilisce, perciò, un nesso profondo fra la testimonianza personale e l'annuncio evangelico. Tale annuncio necessita, d'altra parte, di solidità di studio; assumono una funzione nuova le Università (si veda l'importanza per i due Ordini di Alberto e Tommaso e di Bonaventura e Duns Scoto). In questo periodo si assiste ad una grandiosa fioritura di scritti religiosi, ascetici e mistici: scrivono Ugo di Balma, autore di una Teologia mistica che ne descrive la triplice via (purgativa, illuminativa e unitiva), Bernardo Aygler ( 1282), Martino di Laon ( 1270 ca.), Guigo du Pont ( 1297), autore della Contemplazione, della quale descrive fino a dodici gradi che portano all'unione mistica, Gerardo di Liegi (XIII sec.), Adamo di Perseigne ( 1221), Giovanni di Limoges (XIII sec.), Tommaso Gallo ( 1246), Bernardo di Besse ( 13304), Guglielmo di Tournai (XIII sec.), Umberto di Romans ( 1277), Guglielmo Peyraut ( 1271 ca.), Vincenzo di Beauvais ( 1264), Guglielmo d'Auvergne ( 1249), Enrico di Gand ( 1293). Accanto alla mistica più intellettuale e conventuale, che non disdegna l'attenzione alla classe nobile e che è interpretata dagli autori sopra citati, si diffonde però in Francia anche una mistica dei laici, umile e femminile, soprattutto ad opera di Lamberto il Bègue ( 1177) e delle beghine, prese sotto la sua protezione dal re Luigi IX ( 1270). La mistica del movimento delle beghine, donne di oltre trent'anni, vergini o vedove, desiderose di perfezione cristiana, dedite alla povertà, alla vita interiore, all'insegnamento dei bambini e all'assistenza dei malati, pone un forte accento sulla contemplazione dei misteri della vita di Gesù, contemplazione che sfocia in un riviverne la vita: ecco allora le esperienze mistiche di Maria d'Oignies ( 1213), Lutgarda di Tongres ( 1246), Doucelina di Digne ( 1274), Delfina di Sabran ( 1360), Giuliana di Mont-Cornillon ( 1258), la santa dell'Eucaristia. Si diffondono il culto eucaristico, l'attenzione all'umanità di Gesù, con particolare accento ai misteri dell'infanzia e della passione,5 la pietà mariana.

IV. Il XV secolo è dominato dal doloroso problema della riforma della Chiesa. Il grande scisma d'Occidente, la guerra dei Cent'anni, la generalizzata decadenza della vita religiosa fanno crescere la nostalgia di recuperare la bellezza primitiva della fede. Poi, la pace riconquistata e la ricostruzione materiale della società portano anche ad una forte restaurazione religiosa. Ne sono artefici, fra gli altri, Giovanni Standonck ( 1504) e l'Università di Parigi con Pietro d'Ailly ( 1420), Roberto Ciboule ( 1458) e, soprattutto, Giovanni Gersone; egli parte dalla certezza che con il battesimo è infusa nell'anima una vita spirituale propriamente detta, che ha un suo germe, un suo movimento, un suo riposo: ’in ipso vivimus, movemur et sumus' (At 17,28). La migliore conoscenza di Dio è quella affettiva, che non consiste in una elaborazione di concetti, ma in una unione di tipo estatico. Nell'unione dello spirito a Dio e del corpo allo spirito consiste tutta la mistica, che è dunque percezione sperimentale di Dio stesso.6 Gersone riveste un'importanza capitale per la mistica francese, nella quale fece entrare, anche tramite la critica delle opere di Ruusbroec, di Eckhart e di Taulero, alcuni elementi della mistica tedesca (o renano-fiamminga). In più, l'introduzione della stampa assicurò a Gersone, cui fu erroneamente attribuito il fortunato libro l'Imitazione di Cristo una diffusione mai avuta prima da qualsivoglia autore di opere ascetiche o mistiche.

L'affermazione della Devotio moderna, unita all'opera riformatrice di Gersone, connota il XV secolo come il secolo del rinnovamento filosofico-teologico, che attualizza, modernizzandola e aggiornandola, la grande eredità spirituale medievale, la quale ne risulta così purificata dagli elementi metafisici e intellettualistici e arricchita da metodi più agili, funzionali e ascetici. Ne scaturiscono una vita spirituale e una mistica incentrate sulla pratica della preghiera, sull'orazione mentale, sulle forme devozionali, sulla metodica della meditazione, sul controllo rigoroso di se stessi, sul cristocentrismo (caratteristiche peraltro comuni anche alla pietà medievale). La caratteristica più cospicua e innovativa consiste però nel porre un metodo agli esercizi, all'esame di coscienza, alla meditazione.7

V. Il XVI secolo vede la nascita della seconda fase della mistica francese, quando il cattolicesimo, finite le guerre di religione, riprende vigore, opponendosi efficacemente alla riforma protestante di Lutero ( 1546) e di Calvino ( 1564). Certo l'umanesimo ha travolto la scolastica allora imperante, rivendicando una spiritualità pratica e affettiva della teologia, la quale deve: " Sapienter enarrare divinas litteras, de pietate graviter atque efficaciter disserere, lacrymas excutere, ad coelestia inflammare animos ".8 Ma la teologia è rinata alla sua funzione di nutrire di Cristo la vita spirituale, per trascinare a lui gli affetti degli uomini; deve essere una " theologia vivificans ". E lo spirito della riforma cattolica che promana da Trento e si diffonde in Europa. A Parigi opera il circolo di M.me Acarie (Maria dell'Incarnazione) ( 1618), di cui fanno parte Beaucousin ( 1610), Benedetto da Canfield, autore del Exercice de la volonté de Dieu, Duval ( 1638), Gallemant ( 1630), Pacifico di Souzy (inizio XVII sec.) e Pietro Bérulle, fondatore dell'Oratorio di Gesù. Bérulle ebbe grande parte nell'introduzione delle carmelitane scalze in Francia e nella diffusione della Riforma di Teresa d'Avila. Tutto sommato, però, il circolo di M.me Acarie non perde mai la sua connotazione astratta e resta dominato dalla mistica renano-fiamminga, da quella italiana e da quella di Ignazio di Loyola.

VI. Il secolo XVII è il grande secolo della vita cristiana. Le esperienze spirituali dei secoli precedenti si trasformano, sotto l'influsso di forti personalità (Francesco di Sales, Vincenzo de' Paoli, Giovanni Eudes, Pietro Bérulle), in correnti spirituali. Come fondo comune: la Bibbia, interpretata dalla tradizione della Chiesa; Dionigi l'Areopagita, molto diffuso in questo periodo, considerato alla base di ogni ragionamento teologico e mistico; la mistica renano-fiamminga, che influenza in larga parte la riflessione e l'esperienza spirituale del periodo; l'influenza carmelitana (Teresa e Giovanni della Croce), che si diffonde rapidamente, soppiantando le altre forme di vita contemplativa. Tutto ciò nutre un " umanesimo devoto ",9 che trova nella Summa theologiae mysticae di Filippo della Trinità l'espressione più alta: nel trattato si studia lo sviluppo della vita spirituale secondo le tre vie classiche, si parla della purificazione dell' intelletto e della volontà per mezzo delle notti oscure, dell'illuminazione dell'intelletto per la contemplazione e della volontà per l'esercizio delle virtù, dell' unione dell'anima con Dio, del matrimonio spirituale. Da tanto fervore di pensiero e di esperienza nascono in questo secolo le opere di carità e un rinnovato spirito educativo e missionario, si moltiplicano le forme di preghiera e le devozioni, nasce una vera e propia spiritualità legata agli stati di vita. Ma nasce anche una certa opposizione alla mistica e alla pluralità delle sue indicazioni, dovuta soprattutto ai problemi legati al quietismo e alla disputa tra Fénelon e Bossuet. La condanna di Fénelon da parte del Papa nel 1699 si trasforma in un duro colpo a tutta la mistica francese, che viene confinata nei secoli successivi a esperienza religiosa secondaria, anche se non mancano apprezzabili scritti di mistica, quali quelli di Andrea Michele Ramsay ( 1743), Pietro Poiret ( 1719), Francesco Claudio Milley ( 1720), Maddalena di Siry ( 1738) e altri.

VII. I secoli XVIII e XIX sono dominati dalle teorie illuministe e positiviste e dal clamore delle rivoluzioni e delle guerre, che si aggiungono alla marginalità cui è stata costretta l' esperienza mistica; così neppure Teresa di Lisieux riesce a trarre la mistica fuori dei confini delle biblioteche e degli archivi. E neppure riescono a restituire centralità alla fede i molti santi che costellano questi ultimi secoli di storia (Giovanni Maria Vianney, Benedetto Giuseppe Labre, Bernadetta Soubirous). D'altra parte, la mistica pare esperienza di pochi, in quanto pochi pervengono ai vertici della vita cristiana; e questo crea una frattura tra teologia e mistica, nel senso di esperienza vissuta.10 L'umanesimo ateo e antireligioso, l'industrializzazione selvaggia, l'esperienza drammatica del colonialismo e delle guerre ad esso connesse, la delusione delle scienze e del progresso, la guerra mondiale risolta con mezzi atomici favoriscono la rinascita religiosa che precede e accompagna il Concilio Vaticano II, rinascita che è da legarsi in primo luogo alla riscoperta del laicato e dei suoi compiti nel mondo. La mistica attende quelle esperienze fondamentali, sulla scia di Simone Weil e di Madeleine Delbrêl, che il grande fiorire di maestri e di aggregazioni nuove lascia presagire. Tutti infatti sono convinti dell'estremo valore dell'esperienza interiore.

Note: 1 Adversus haereses, III, 19,1; dello stesso parere saranno Agostino e Clemente Alessandrino, per citare i più conosciuti; 2 De Trinitate, 2,7; 3 Si veda in proposito il tentativo di Cesario di Arles di estendere alla sua Chiesa gli usi monastici; 4 E. Baccetti, Bernardo di Chiaravalle, in DES I, 241-242; 5 Si veda la particolare cura di Luigi IX per la " Sainte Chapelle "; 6 Cf A. Combes, La théologie mystique de Gerson: profil de son évolution, Roma 1963-1965; 7 Cf A. Huerga, Devotio moderna, in DES I, 547-548; 8 Erasmo di Rotterdam, Ratio seu methodus..., in Opera omnia, t. 5, Leyde 1704, col. 84; 9 La definizione è in H. Bremond, Histoire littéraire du sentiment religieux en France depuis la fin des guerres de religion jusqu'à nos jours, Paris 1929-1933; 10 Cf F. Vandenbroucke, Le divorce entre théologie et mystique. Ses origines, in NRTh 82 (1950).

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM V, 785-997; A. Adam, Du mysticisme à la révolte. Le janséniste du XVIIe siècle, Paris 1968; M. de Certeau, Fabula mistica. La spiritualità religiosa tra il XVI e il XVII secolo, 1987; L. Cognet, Crépuscule des mystiques. Le conflit Fénelon-Bossuet, Paris 1958; Id., Spiritualità moderna. La scuola francese (1500-1650), 62, Bologna 1974; L. Kolakowski, Chrétiens sans Eglise, Paris 1969; J. Leclercq, La spiritualità del Medioevo, 4A, Bologna 1986; M. Olphe-Galliard, La théologie mystique en France au XVIIIe siècle, Paris 1984; J. Orcibal, La rencontre du Carmel thérésien avec les mystiques du Nord, Paris 1959; M. Tietz, s.v., in WMy, 172-175; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 4B, Bologna 1991.

D. Micheletti

FRATELLI DEL LIBERO SPIRITO. (inizio)

I. Movimento eretico del tardo Medioevo, nel quale si possono distinguere gruppi (iniziali) con tendenze spirituali e mistiche al di là dell'equilibrata dottrina della Chiesa, e gruppi estremi che nel sec. XIV costituiranno una setta pericolosa, condannata dall'Inquisizione.

L'origine del movimento risale in un certo senso ai catari, condannati a Parigi nel 1210, e indirettamente al " gioachimismo ". In Italia s'incontrano aderenti al " libero spirito " nei gruppi degli " umiliati ", nei " poveri cattolici " di Lombardia e in altri movimenti pauperistici e penitenziali di orientamento francescano. Già Angela da Foligno e Chiara Montefalco individuano le aberrazioni dottrinali del movimento che in Berengario di Monfalcone ( 1340ca.) raggiunge estremi di formulazione (condannati nel 1353). Particolarmente diffuso nella Francia del Nord (dove muore M. Porete sul rogo, il 1 giugno 1310, per il suo Specchio delle anime semplici, lo scritto più caratteristico del " libero spirito " in volgare), in Germania (dove si accusano come simpatizzanti del movimento Eckhart, Taulero, Suso e spesso beghine e begardi, giudicando almeno una parte di loro con una vita conforme alle idee del " libero spirito "), e nei Paesi Bassi. In Germania, Taulero prende una posizione esplicita contro " i liberi spiriti che con le loro false illuminazioni credono di aver conosciuto la verità, se ne esaltano nella propria soddisfazione e compiacenza di sé, concentrano i loro sensi nella loro falsa passività, parlano irreverentemente di nostro Signore, di come non siano state ancora superate tali immagini, e fanno altri discorsi sfrenati ".1 Anche R. Merswin ( 1382) e l'autore anonimo della Theologia Deutsch combattono il serpeggiare dell'eresia. Nei Paesi Bassi, Jan van Ruusbroec mette in guardia contro gli aspetti pericolosi della dottrina che vuole convincere che l' unione con Dio sia raggiungibile senza la pratica delle virtù e dei sacramenti e che per ascendere a Dio basti l'amore. Essi predicavano uno stato paradisiaco, in cui l'uomo è incapace di commettere peccati! Anzi, può permettersi qualsiasi azione, senza badare a criteri morali.2

II. La dottrina del " libero spirito " che non è priva di affinità con l'insegnamento dei grandi mistici sull'unione con Dio e sulla deificazione dell'uomo, cade in deduzioni errate, allontanando ogni sforzo ascetico, assumendo atteggiamenti di totale passività (quietismo), anelando a illuminazioni divine che annullano la distanza fra Dio e uomo (cf il trattato pseudo-eckhartiano: Sorella Katrei 3).

Note: 1 Predica 54, ed. Vetter, 250; 2 Cf Nozze spirituali, l. II, p. II, 5; Specchio dell'eterna beatitudine III, B, 5.

Bibl. S. Campagnola, Il movimento del " libero spirito " dalle origini al sec. XVI, in Laur 8 (1967), 251-363; P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 179-180; R. Guarnieri, s.v., in DSAM V, 1241-1268; Id., Il movimento del Libero Spirito, in Archivio italiano per la storia della spiritualità, 4 (1965), 351-708 (è ancora lo studio più completo); R. Lebner, The Heresy of the Free Spirit in the Later Middle Ages, Berkeley 1972; T. Manteuffel, Naîssance d'une hérésie. Les adeptes de la pauvreté volontaire du moyen-age, Paris-La Haye 1970; F.-J. Schweitzer, Der Freiheitsbegriff in der deutschen Mystik, Frankfurt - M. Bern 1981.

Giovanna della Croce

 

FREMYOT DE CHANTAL. (inizio)

GIOVANNA FRANCESCA (santa)

I. Cenni biografici. Giovanna Francesca Frémyot de Chantal nasce a Digione nel 1572: orfana di madre all'età di diciotto mesi, viene educata cristianamente. Sposata a Cristoforo de Chantal-Rabutin, diventa madre di sei figli. Vedova a ventinove anni, si dedica ad opere di carità e insieme a Francesco di Sales, suo direttore spirituale, fonda l'Istituto della Visitazione (1610). Prodigiosa la diffusione dell'Ordine: in un ventennio porta da tredici a ben ottantasette le fondazioni dei monasteri visitandini. Muore il 13 dicembre 1641 a Moulins; viene canonizzata nel 1745.

II. Esperienza mistica. " Mi chiamo Giovanna Francesca Frémyot, detta comunemente de Chantal ": è questa la presentazione ufficiale, sebbene modesta, nel momento in cui ella viene chiamata a deporre al processo per la causa di canonizzazione del venerato fondatore. Rivelando gran parte della spiritualità e della vita mistica del santo vescovo di Ginevra, ella non fa altro che svelare la ricchezza del suo animo in piena consonanza con quello del ’Maestro e Padre'. Ad una delle prime richieste fatte dal santo: " E dunque senza riserva che vi consacrate a lui? Volete soltanto Dio?! ", questa la risposta dettata con generosa dedizione da lei, quale donna forte di biblica memoria: " Soltanto lui, nel tempo e per l'eternità! ".

Il terreno è già stato predisposto da tempo in maniera provvidenziale; Dio le ha richiesto il sacrificio degli affetti più cari: prima del marito, morto in un incidente di caccia, poi dei figli, quasi si dovesse realizzare in lei il motto del blasone gentilizio: ’Virtus vulnere virescit': nelle ferite fiorisce, prende vigore la virtù! Subentra un lungo periodo di purificazione: la preghiera e la pratica della carità verso i poveri le aprono, alla luce della grazia, lo spiraglio d'una nuova esistenza. Dio viene in suo aiuto: in una specie di visione ella intravede la figura della sua futura guida spirituale. E, anzi, un reciproco scambio d'intesa a livello di anime, che confermerà in Francesco di Sales l'eccezionale dono di lei, quanto al progresso di un'anima che Dio gli affidava. Sempre in una specie di rapimento estatico, misticamente ella recepisce una locuzione interiore: " Ecco la guida carissima a Dio e agli uomini, nelle cui mani devi porre la tua coscienza! ". Quell'istantanea immagine di distinto prelato, presto sparita agli occhi del corpo, non si distoglierà più dal suo sguardo nel profondo dell'anima. L'incontro ufficiale, avvenuto a Bourges nella quaresima del 1604 e lo scambio epistolare sempre più in crescendo, determinano un graduale processo d'intenso rapporto sul piano ascetico e religioso. Ella stessa avvertirà il profondo cambiamento operatosi in lei, ormai avviata ad eccelse mete a livello mistico. Da quel giorno comincia ad entrare nel riposo interiore, in una grande libertà di spirito: è attratta da una specie di preghiera assai ’cordiale'. Seguirà un lungo periodo di sedimentazione spirituale, che durerà sei anni, tempo in cui non le mancheranno l'apporto e il benefico influsso di altri ambienti, come quello derivato dalla spiritualità carmelitana. Gli elementi della ’mistica teresiana' - del resto condivisi appieno dalla sua guida - disporranno il suo animo ad una maggiore concentrazione nella preghiera: si denotano e si precisano così i primi sintomi di una contemplazione amorosa. Frutto dello Spirito è, altresì, una grande pace interiore.

Ma assai più sollecita sembra la F. ai richiami interiori dello Sposo dell'anima. " Signore Gesù, non voglio più scegliere: fa' vibrare tu la corda che preferisci per sempre, e senza meno si sentirà solo questa armonia! ". A confermare tale stato di quiete e in forma decisa entra nell'animo il dono della fortezza: e in quel 24 marzo 1610 non esiterà a passare sul corpo del figlioletto Celso Benigno che, disteso per terra, avrebbe voluto impedire alla madre la sua determinazione per la vita religiosa. Con il superamento e il rinnegamento degli affetti più legittimi attua la dedizione più totale a Dio; inizia così una vita nuova a la Galerie di Annecy, per camminare con altre tre compagne alla presenza di Dio: è il 10 giugno 1610. Il piccolo seme della Visitazione S. Maria è stato gettato con avveduta saggezza nel solco per divenire ’albero maestoso'. In una visuale di mistica quiete, mediante l'approfondimento dello spirito visitandino, si darà spazio solo all' amore puro. Per lei e per le anime che le sono affidate il modo più facile per il conseguimento dell'ideale è lasciarsi condurre dall'attrattiva di Dio, con il motto desiderato dal fondatore: " Come piace a Dio ", disposte ad ottemperare al suo beneplacito, nella pratica delle piccole virtù. Una mistica nell'ideale salesiano del fortiter ac suaviter, poiché " non si fa nulla di buono intorno alle anime se non con la forza della dolcezza, bontà, carità e sopportazione ". E questa la mistica portata sul piano del vissuto quotidiano.1

III. Il concetto della mistica negli scritti. Alla pari degli insegnamenti di Francesco di Sales, F. detta una dottrina, profonda e valida, alle sue figlie spirituali: la ’salesianità' acquista una colorazione tipicamente mariana nella contemplazione del mistero della Visitazione. Per giungere alle vette della perfezione, la santa addita la via della semplicità: la quotidianità vissuta appunto in modo ordinario, eminente dalla Vergine Maria. Rifacendosi alla regola d'oro: " Tutto per amore, niente per forza " del fondatore, così si esprime: " O Figlie mie, bisogna fare tutto per obbedienza, tutto per Dio, persino le immolazioni ". Ed ancora: " Camminate, dunque, per questa strada generale che è di tutti. Vi assicuro che arriverete a buon porto, e Dio misericordioso vi consolerà e vi ricompenserà ".2 Le raccomandazioni si intensificano: si profila l'invito a porsi sotto lo sguardo dello Sposo per essere a lui accette, in ossequio al suo disegno, poiché " la via che tiene lo Spirito di Dio, quando entra in noi, è generalmente sconosciuta ". Porsi al servizio di Dio nell'intimità della propria anima: " Sí, figlie mie, parliamo tra noi dell'orazione di quiete, giacché all'inizio del nostro Istituto si parlava solo di quella orazione. E uno spettacolo bello allora vedere il fervore che regna tra le nostre sorelle ". La caratteristica della dottrina salesiana si consolida, comunicandosi in forma di condivisione e complementarietà per raggiungere il culmine del programma dettato dal fondatore. Una dottrina che esprime la quintessenza del pensiero salesiano: una tensione vera al martirio dello spirito, del cuore. Lo lascia scritto la santa come un testamento spirituale per le sue figlie: " Figlie mie, molti dei santi Padri e colonne della Chiesa non subirono il martirio [del sangue], poiché v'è un altro martirio, il martirio d'amore, nel quale Dio, mentre sostiene in vita i suoi servi e le sue serve affinché si spendano per la sua gloria, li rende insieme martiri e confessori. Io so che a questo martirio sono chiamate le Figlie della Visitazione e per disposizione di Dio lo soffriranno le più fortunate che l'avranno chiesto e vissuto. Dite il vostro ’sì' totale a Dio e ne farete la prova. Infatti, l'amore divino, che immerge la spada nelle parti più intime e segrete dell'animo, ci separa da noi stesse. Ho conosciuto un'anima [lei stessa] che l'Amore ha separato da quanto le era di più caro non meno che se i persecutori a colpi di spada le avessero separato lo spirito dal corpo. Questo il programma per le persone generose, poiché il nostro Dio non intende concedere questo martirio ai deboli. L'amore è forte come la morte e il martirio d'amore conserva la vita solo per fare la volontà di Dio, come se dovesse dare mille vite in testimonianza di fede, di carità e di fedeltà ". In questo la sintesi della mistica di F.: un martirio d'amore testimoniato dalla sopravvivenza del cuore e degli occhi della santa, nel monastero di Nevers: con gli occhi ella vide il mistero di Dio e con il cuore lo visse!

Note: 1 Uno dei più accreditati critici della dottrina salesiana e visitandina asserisce, infatti, che " non esistono studi sull'insieme della spiritualità di s. Giovanna di Chantal " (in DSAM VIII, 869). A maggior ragione si dovrebbe dire: non esiste ancora uno studio approfondito sulla mistica della Madre de Chantal: una lacuna di esperienza sublime, destinata auspicabilmente ad essere colmata. 2 Istituzione, III, ed Esortazione VIII.

Bibl. Fonti e opere: E. Bougaud, Histoire de s. Chantal et des origines de la Visitation, 2 voll., Paris 1884, 527-612; F. de Chaugy, S. Jeanne Françoise de Chantal: sa vie et ses oeuvres. Mémoires sur la vie et les vertus, 8 voll., Paris 1874-1879; C.A. Saccarelli, Vita della Beata Giovanna Francesca de Chantal, Roma 1751-1767 (ristampato in 3 voll. 1863); Sacra Rituum Congregatio (=SRC) Processus Gebenn. Servae Dei J. Françoise de Chantal, Paris, I Pars-II Pars, fol. 1333-1694; M.-G. Thomas (cura di), Giovanna di Chantal. Volerci come Dio ci vuole. Scritti spirituali, Roma 1984. Studi: L. Chierotti, s.v., in BS VI, 581-586; R. Devos, s.v., in DSAM VIII, 859-869; R. Mézard, Doctrine spirituelle de S. J. Fr. de Chantal fondatrice de la Visitation, Paris 1980; A. Pedrini, s.v., in DES II, 1121-1125; Id., L'azione dello Spirito Santo nell'anima di S. G. Francesca de Chantal, in EphCarm 30 (1979), 447-469; Id., Il culto e la devozione a Maria nella vita e negli scritti di S. G. Fr. de Chantal, Roma 1984; M. Petrocchi, s.v., in EC VI, 490-491; A. Sandreau, L'oraison d'après S. J. Fr. de Chantal, in VSpS 13 (1925), 196-234, 302-320; P. Schiavone, Francesco di Sales e Giovanna Fr. de Chantal: amici e santi, in Presbyteri, 97 (1983), 683-698.

A. Pedrini

FRUIZIONE. (inizio)

Premessa. La f. nel significato generico indica il godimento di un bene amato, realmente posseduto. E come il termine (finis) nella ricerca di un bene. Riferendo la f. al bene-beatitudine e al fine, s. Agostino ha elaborato una dottrina sul ruolo della f. nella vita spirituale cristiana.1 La dottrina agostiniana fu ripresa e incorporata nelle loro sintesi teologiche da Pietro Lombardo ( 1160), da s. Bonaventura, da s. Tommaso e da altri maestri della scolastica, con contenuti sostanzialmente identici per la vita spirituale, con modalità diverse in dipendenza da alcune posizioni filosofiche riguardo all' intelletto e alla volontà.

I. Natura della f. Sintetizzando il loro insegnamento, particolarmente quello di s. Tommaso, la f. può essere descritta nel modo seguente: è il godimento di Dio-Trinità posseduto realmente come fine ultimo e sommo bene nella visione beatifica e nell' amore perfetto. La f. è come il termine delle operazioni con le quali l'uomo, elevato soprannaturalmente dalla grazia portata allo stato perfetto, vive la vita eterna nella conoscenza, nell'amore e nel godimento di Dio-Trinità. L'uomo, così elevato, si unisce a Dio nella conoscenza diretta e immediata dell'essenza divina nella Trinità delle Persone (visione beatifica); da tale conoscenza deriva l'amore di questo Sommo Bene, emanante dalla volontà informata dalla carità perfetta. A questo amore segue il godimento dello stesso Sommo Bene, Dio-Trinità, cioè la f. La f. è atto della volontà in seguito all'atto dell'intelletto, cioè alla visione beatifica.2

Questa è la f. perfetta, detta anche f. beatifica. Essa illustra pienamente la nozione agostiniana: la f., che ha come " oggetto " solo Dio-Trinità, poiché solo Dio-Trinità è la " cosa " della quale dobbiamo " fruire " (frui), mentre tutte le altre " cose " sono da " usare " (uti) come mezzi per raggiungere il Bene assoluto. Con la stessa f. godiamo delle nostre operazioni come attività beatificante e delle nostre facoltà come strumenti per esercitare tale attività.

V'è anche una f. imperfetta: quella che ci fa godere di Dio con le attività spirituali procedenti dalla grazia elevante la nostra essenza e le facoltà operative. Di essa si sono occupati largamente i grandi maestri della mistica cristiana, come Eckhart, Taulero, Enrico Susone, Ruusbroec e normalmente i teologi spirituali nell'analizzare la cosiddetta " via unitiva ", la più alta dell' itinerario spirituale. Grande importanza e rilievo prende la f. nelle descrizioni che mistici come s. Bernardo, Angela da Foligno, s. Teresa di Gesù, s. Giovanni della Croce fanno delle loro esperienze. In s. Teresa il godimento di Dio accompagna i gradi dell' orazione, chiamata da lei " dei gusti divini " fin dalla prima esperienza della presenza di Dio nell' anima; si accentua con la contemplazione delle quinte e seste mansioni, ove l'unione divina si fa sentire in tutte le potenze, e culmina nella contemplazione delle settime mansioni, ove l'esperienza della presenza di Dio-Trinità diventa abituale: " In questo tempio di Dio, in questa mansione che è sua, Dio e l'anima si godono in altissimo silenzio ".3 Giovanni della Croce, quasi in un'unica prospettiva, descrive diffusamente f. beatifica e f. imperfetta in mirabili quadri. Essa appare insieme all'amore con il quale Dio-Trinità crea tutti i beni naturali e soprannaturali, si unisce alla visione beatifica, si fa possedere nell' amore perfetto e si lascia godere dall'anima nel suo essere e in tutte le sue perfezioni.4

La spiegazione della presenza della f. imperfetta va ricercata nella teologia della grazia. Essa insegna che la Trinità inabita l'uomo e che, in seguito all' inabitazione per il dono della grazia creata, l'essenza viene elevata soprannaturalmente per la partecipazione della divina natura, le sue facoltà vengono elevate per le virtù teologali e corroborate dai doni dello Spirito Santo per realizzare l' unione con Dio come fine ultimo. Quando Dio, con la sua operazione speciale, produce nell'anima l'esperienza della sua presenza, in questa l'anima ama e conosce, variamente e sino ad altissimo grado, le sue perfezioni: di qui il godimento parallelo di Dio come sommo Bene, e di qui la f.

Note: 1 Il suo insegnamento si trova soprattutto in De Doctrina christiana, 1. I, e nel De Trinitate, 1. X, c. 10,1. XIV, c. 17, in relazione all'immagine della Trinità nell'anima; 2 Specialmente Sent. I, d. 1, qq. 1-3; 12, q. 11; 3 Settime Mansioni 3,11; 4 Cf specialmente Cantico spirituale B, 14,14.16; 37,8; 39,1-22; Fiamma viva d'amore B, 2,36; 3,4.6.68.79.81.83.

Bibl. Per la visione storica: P. Agaësse e T. Koehler, s.v., in DSAM V, 1547-1569; Giovanna della Croce, I mistici del Nord, Roma 1981; A. Grion, s.v., in DES II, 1059-1061. Per l'esposizione sistematica dei teologi spirituali cf Ioseph a Spiritu Sancto, Cursus theologiae mystico-scholasticae, IV, d. XXIII, De unione fruitiva, Roma 1931.

R. Moretti

FUENTE MIGUEL DE LA. (inizio)

I. Cenni biografici e opere. Nasce a Valdelaquna (Madrid) il 2 marzo 1573, professa nel convento di Valdemoro il 24 maggio 1594 dopo aver compiuto i primi studi nel collegio imperiale dei gesuiti di Madrid. Durante sei anni frequenta corsi di arte e di teologia nell'Università di Salamanca, passando dopo come teologo e maestro degli studenti nel convento di Valladolid. Come s. Giovanni della Croce rinuncia a proseguire i suoi studi per i quali senza dubbio ha molte capacità e, dopo aver esercitato qualche tempo come parroco nel convento di San Paolo de la Moraleja, passa a quello di Segovia come maestro dei novizi nel 1606 e tre anni dopo a quello di Toledo con lo stesso incarico che alterna con quello di maestro dei professi. Non sono solo questi gli unici che si avvantaggiano del suo magistero spirituale, ma anche molte altre persone sia secolari che religiose. Muore il 27 novembre 1625. Esercita anche un fecondo apostolato, sull'esempio del santo maestro Giovanni d'Avila, fondando numerose confraternite e congregazioni mariane. Tra le sue opere occorre qui ricordare soprattutto Ejercicios de oración mental, che pubblica come appendice della sua Regla y modo de vida de los hermanos terceros y beatas de nuestra Señora del Carmen (Toledo 1615) per insegnare a fare l'orazione mentale 1 e che è come un abbozzo della sua opera Las tres vidas del hombre che pubblica a Toledo nel 1623.2

II. Dottrina mistica. Quest'opera, cui è legata la sua fama, è un manuale sintetico, ma completo, chiaro e ben ordinato di teologia ascetica e mistica con la prospettiva eminentemente psicologica, tanto caratteristica della scuola ascetica spagnola, che trova in lui uno dei massimi esponenti. In quest'opera, infatti, descrive la vita spirituale come base della struttura dell'anima, analizzando con finezza eccezionale il progressivo sviluppo della stessa che sale a Dio, prima attraverso i sensi poi con la ragione e finalmente con lo spirito puro. Si serve per questo della terminologia di origine neoplatonica, consacrata dai mistici del Nord, relativa ai tre livelli dell'uomo: corporale, razionale e spirituale, ognuno dei quali avrebbe, secondo lui, " i suoi esercizi propri per raggiungere il fine desiderato che è l' unione dell'anima con Dio per mezzo di un amore puro e perfetto ".

Questa sua opera può essere considerata, come uno dei primi tentativi di sistematizzazione, talvolta il più riuscito, della dottrina spirituale di s. Teresa e di s. Giovanni della Croce. Presenta, altresì, grande affinità con il suo confratello Giovanni Sanz per l'apprezzamento che, come lui, manifesta per l'esercizio dell' orazione affettiva o aspirativa. Si è detto, a ragione, che F. ha fatto il miracolo di fondere in un solo sistema la tendenza speculativa-germanica e quella spagnola. L'applicazione sistematica delle scienze naturali allo studio della scienza mistica è, senza dubbio, uno dei valori primari della sua opera, che le conferisce un carattere di innegabile attualità. Secondo il parere di Menéndez Pelayo è " il miglior trattato di psicologia mistica in lingua spagnola ".

Note: 1 Ed. recente di M. Garrido, in Carm 17 (1970), 280-309; 2 Altre edizioni: Madrid 1710, Barcelona 1887, Madrid 1959.

Bibl. E. Allison Peers, Studies of the Spanish Mystics, III, London 1951-1960, 54-58; M. Andrés, Los recogidos. Nueva visión de la mística española, Madrid 1976, 657-661; Crisógono de J.S., La escuela mística carmelitana, Avila 1930, 173-177; Enrique del S.C., Influencias de san Juan de la Cruz en el P. Fr. Miguel de la Fuente, in REsp 8 (1948), 346-360; P.M. Garrido, Miguel de la Fuente escritor místico, in Romeu Pérea (ed.), Três ensaios sobre Frei Miguel de la Fuente, Recife 1976, 47-94; Id., s.v., in DSAM IX, 66-72; J.B. Gomis, Introduzione generale a Místicos franciscanos españoles, 3 voll., Madrid 1948-1949, 47-49, 75-76; J. Sanchis Alventosa, La escuela mística alemana y sus relaciones con nuestro místicos del Siglo de Oro, Madrid 1946, 204-228; Th.E. Schaefer, Miguel de la Fuente: un intento de evaluación del misticismo español del siglo XVII, in Cuadernos hispano-americanos, 58 (1964), 511-528; B. Velasco Bayón, Miguel de la Fuente...; ensayo crítico sobre su vida y su obra, Roma 1970 (una sintesi di quest'opera è stata fatta da P.M. Garrido, Miguel de la Fuente... un maestro de oración, in Carm 17 (1970), 242-279.

P.M. Garrido

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