MACARIO D'EGITTO - METODI DI PREGHIERA - DIZIONARIO DI MISTICA

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MACARIO D'EGITTO - METODI DI PREGHIERA

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M

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MACARIO D'EGITTO. (inizio)

Numerosi monaci egiziani portano questo nome (che significa " beato "), ma specialmente il fondatore di Sceti, discepolo di Antonio, morto verso il 390. Intorno allo stesso anno morì Macario d'Alessandria o il " Cittadino ", prete alle Celle (Kellia) e amico dei grandi origenisti, in particolare di Evagrio. Dalla fine del sec. IV, numerosi racconti confondono già i prodigi loro attribuiti. Il convento di San Macario a Wadi Natrun conserva ancora oggi il ricordo dell'Egiziano. I diversi scritti (PG 34,385-392,967-990) non sono autentici, tranne gli Apoftegmi. Sembra che possa attribuirsi al Grande Macario la Lettera spirituale dell'Abate Macario, edita in versione latina da A. Wilmart (CPG 2415,1) e di cui esistono alcune versioni in copto e in siriaco.

Per molto tempo fu attribuita a M. un'opera spirituale voluminosa, che ebbe un grande influsso nella storia della spiritualità orientale, specialmente esicastica, e anche in Occidente fu talvolta esaltata, ad esempio dai pietisti e dai metodisti. Poiché in alcuni casi porta il nome di Simeone, fu proposto di vedere nell'autore Simeone di Mesopotamia, uno degli esponenti dei messaliani condannati ad Antiochia verso il 400. Si cerca di ritrovare nel testo le tracce delle posizioni messaliane condannate nel 426 e nel 431, pertanto le Cinquanta omelie spirituali sono di grandissima forza di suggestione. Appartengono al tipo della " spiritualità del sentimento " o del " supernaturale conscio ". Le edizioni in corso vanno oltre le redazioni medievali, cercando di poter ricostruire il testo originale. Esistono, inoltre, opuscoli minori che in parte attendono ancora la pubblicazione. In tutti questi testi si ammira una viva esperienza della preghiera; la lotta interiore è osservata con una penetrazione che la psicologia non può che ammirare, i sentimenti spirituali vi si presentano come spontanei. Vi si rivela, quindi, un aspetto del cristianesimo orientale più popolare, con una esperienza vissuta che il tradizionalismo formalistico della cultura bizantina ci nasconde.

II. Dottrina spirituale. Secondo M., l'uomo possiede un duplice livello di esperienza: corporale e spirituale. Come sul piano corporale, anche su quello spirituale, occorrono cinque sensi, che M. chiama sensi spirituali. Attraverso questi ultimi l'uomo sperimenta la presenza dello Spirito Santo. La vita è sempre un combattimento per M., poiché in ogni battezzato coesistono due principi: quello del male e quello del bene. Comunque, è possibile una liberazione da tale conflitto che permette all'anima di contemplare la luce del suo splendore in maniera incessante. Tutto ciò è possibile grazie alla preghiera che, però, non raggiunge il suo scopo senza l'energia mistica della grazia infusa nel cuore dallo Spirito divino.

Bibl. Opere: H. Berthold (cura di), Makarios\Symeon. Reden und Briefe. Die Sammlung, I, 2 voll., Berlin 1973; V. Desprez (cura di), Pseudo-Macaire, Oeuvres spirituelles I, Paris 1980; H. Dörries - E. Klostermann - W. Kroeger, Die geistliche Homilien des Makarios\Symeon, Berlin 1962 (è di tipo II, il più diffuso); E. Klostermann - H. Berthold (cura di), Neue Homilien des Makarios\Symeon. I. Aus Typus III, Berlin 1961. Studi: V. Desprez - M. Canévet, s.v., in DSAM X, 20-38; H. Dörries, Die Theologie des Makarios\Symeon, Göttingen 1978; J. Gribomont, s.v., in DIP V, 797-798; A. Guillaumont, Le problème des deux Macaires, in Irénikon, 48 (1975), 41-59; A. Hatzopoulos, Two Outstanding Cases in Byzantine Spirituality: the Macarian Homilies and Symeon the New Theologian, in Analecta Vlatadon, 54 (1991), tutto il numero; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1479-1480; W. Strothmann, Schriften des Makarios\Symeon unter dem Namen Ephraem, Wiesbaden 1981; Id., Die syrische Uberlieferung der Schriften von Makarios, 2 voll., Wiesbaden 1981; C. Wagenaar, s.v., in WMy, 336-338; A. Willmart, La lettre de Macaire, in RAM 1 (1920), 58-83.

T. Spidlík

MAGER ALOIS-AUGUSTE. (inizio)

I. Cenni biografici ed opere. Nasce a Zimmern il 21 agosto 1883, frequenta i collegi benedettini di Emaus a Praga e di Seckau in Stiria, entrando poi nell'Ordine nell'abbazia di Maria-Laach presso Beuron nel 1903, ove fa la sua professione il 5 ottobre 1904. Ordinato sacerdote il 12 novembre 1909, completa i suoi studi di filosofia neoscolastica nell'Università cattolica di Lovanio dal 1910 al 1913 e, successivamente, di filosofia e psicologia sperimentale in quella di Monaco. Cappellano militare durante la Prima Guerra Mondiale, viene nominato nel 1927 professore di filosofia, psicologia sperimentale e mistica presso la Facoltà Teologica di Salisburgo, che vede in lui il principale artefice della propria fondazione e del successivo florido sviluppo.

In questo periodo crea, anima e dirige le " Salzburger Hochschulwochen ", settimane di cultura superiore, momento importante per l'organizzazione e la vita dei circoli universitari cattolici, poi soppressi dal regime nazista, curando la pubblicazione delle relazioni dal 1931 al 1935. Tali settimane richiamano a Salisburgo uomini di cultura provenienti da ogni parte del mondo, in un singolare laboratorio nel quale persone di diversa estrazione lavorano in piena e amichevole comunione scientifica. M. collabora a varie riviste, fra le quali Bendiktinische Monatschrift, Études carmelitaines, Munchner Studien in Psycologie und Philosophie, Der Gedanke. Muore a Salisburgo il 26 dicembre 1946.

Gli studi di Lovanio, conclusi con lo scritto Die aristotelische Philosophie und die spanische Mystik im XVI Jahrhundert del 1913, determinarono l'interesse predominante dell'impegno di ricerca scientifica di M. Infatti, accanto ad opere di vario genere quali Die Staatsidee des Augustinus (Münich 1919-1920), Moderne Theosophie. Eine Wertung der Lehre Steiners (Münich 1922), Theosophie und Christentum (Berlin 1922), Christus und der Forscher (Augsburg 1931) e ad opere incentrate sulla filosofia sperimentale quali Die Enge des Bewusstseins (Stuttgart 1920), Vorlesungen über experimentelle Psycologie (Beuron 1929), troviamo quelle ben più numerose ed importanti riguardanti la spiritualità cristiana: Der hl. Thomas und die Mystik (Paderborn 1921), Der Wandel in der Gegenwart Gottes. Eine religionsphlilosophische Betrauchtung (Augsburg 1921), Mystik als Lehre und Leben (Innsbruck-Wien-Koln 1934), Mvstik als seelische Wirklichkeit. Eine Psychologie der Mystik (Gratz-Salzbourg 1945-1946) e la voce Mystik, in Lexikon fur Theologie und Kirche, VII (1935), 406-412.

II. Insegnamento mistico. M. a partire dal 1919 " prese ad occuparsi della mistica e di tutto ciò che con essa ha una vicina o lontana attinenza. Ne venne che, a poco a poco, tutti i più importanti e vitali problemi posti sul tappeto dalla mistica odierna vennero da lui sottoposti a un'accurata indagine ".1 Egli appunta la sua attenzione sulla psicologia della mistica, sottoponendo ad esame l'esperienza dei grandi mistici cristiani, sicuro che la mistica è una particolare esperienza della conoscenza e della presenza di Dio, non un prodotto di un indistinto sentimento religioso né tantomeno il risultato degli sforzi dell'uomo.

Note: 1 B. Neunheuser, s.v., in DES II, 1480, che cita il Mager stesso in Mystik als Lehre und Leben, 7.

Bibl. M.M. Barry, s.v., in NCE IX, 60; J. Dillersberger, Alois Mager zum Gedenken, in Salzburger Klerusblatt, 9 gennaio 1947, 1ss.; U. Engelmann, s.v., in DSAM X, 71-73; A. Gemelli, Alois Mager, in L'Osservatore Romano, 30 marzo 1947, 3; P. Gordan, s.v, in LThK VI, 1974; O.L. Kapsner, A Benedectine Bibliography, I, Collegeville 1962, 361; A. Metzinger, s.v., in EC VII, 1819-1820; B. Neunheuser, s.v., in DES II, 1480-1481; V. Reimann, Alois Mager zum Gedenken, in Salzburger Nachrichten, 30 dicembre 1946, 1ss.; J. Uttenweiler, Pater Alois Mager, in Benediktinische Monatschrift, 23 (1947), 148-155; Id., s.v., L'Osservatore Romano, 23 gennaio 1947, 3; V. Vietti, s.v, in Dizionario Ecclesiastico, II, Torino 1955, 775.

D. Micheletti

MALATTIA. (inizio)

Premessa. I Vangeli parlano spesso di malati guariti da Gesù e ne danno un'immagine complessiva quando raccontano che " al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li conducevano a lui ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva " (Lc 4,40).

Gesù viene a rivelare all'uomo la sua verità, la sua completezza. Pur essendo una creatura, limitata nello spazio e nel tempo, quindi " mortale ", l'uomo è " figlio " di Dio e come tale porta dentro di sé quella tensione di infinito e di eterno propria di Dio. La " salvezza " dell'uomo è sapere che dentro questa realtà limitata palpita qualcosa di illimitato, ed egli può realizzare questa verità.

La m. non è altro che il segno di questa " mortalità " che accompagna tutto il divenire dell'uomo e talvolta lo costringe in forme pesanti di disordine fisico, mentale e spirituale. La m. è per l'uomo il perenne interrogativo sul suo esistere, sul perché e sul come del suo divenire, e lo obbliga a cercare una risposta che non sia illusione o disperazione.

Lungo tutta la sua storia, l'uomo ha sempre cercato di superare i suoi limiti: scienza medica, pratiche magiche, tensione religiosa hanno accompagnato e segnato il ritmo di questa sua ricerca.

Se, però, si ha il coraggio di guardare a se stessi come creature accogliendo quella radice di infinito e di eterno che sappiamo di possedere, allora la m. diventa il continuo richiamo alla verità tutta intera del nostro essere umani.

I. La m. rivela la dipendenza da Dio. Scompare quell'orgoglio così radicato nell'uomo, quel medesimo orgoglio che fin dall'inizio lo ha condotto al tentativo di rifiutare la sua dipendenza da Dio, ed emerge la sua vera realtà, la sua " grandezza " iscritta nella sua debolezza.

La m. mette in luce la " miseria " umana, quando si è costretti a mettere da parte la propria privatezza, la propria autonomia e persino quel pudore e quella delicatezza che formano un po' la propria fisionomia personale.

Quando poi la m. distrugge a poco a poco l'esistenza stessa, e tutto comincia a disfarsi, quando ci si sente corrosi e svuotati, allora appare più reale la nostra vera essenza, appare la nostra personalità con la sua radice eterna e infinita.

Così, nel caso delle cosiddette " malattie mentali ", quando non si riesce nemmeno a capire dove si annida la radice del male e si resta impotenti e si diventa estranei, ancora una volta si va alla ricerca di ciò che sta sotto al mistero della persona. Anche la forma della menomazione, sia congenita che insorta per un incidente, conduce a scavare nell'uomo fino a raggiungere quella identità che lo rende ancora " grande " e con un senso e un valore per vivere.

E una grande maestra la m., con la debolezza, l'insorgere di momenti e tempi diversi dal solito ritmo dove ciascuno si sente padrone assoluto: essa insegna la verità completa del vivere umano e conduce alla scoperta del tesoro intoccabile che ciascuno porta con sé.

II. La m. come conversione e collaborazione alla salvezza. Ecco perché la storia di molte persone ha nel momento della m. l'occasione di un rivolgimento totale del proprio modo di esistere, la " conversione ": non è un cedere e affidarsi a qualcosa di ignoto o di illusorio, ma la scoperta positiva e gioiosa di ciò che veramente si è. S. Francesco d'Assisi, s. Ignazio ce lo ricordano chiaramente.

E anche vero che tutto ciò che l'umanità mette in opera per guarire o lenire il peso della m. può essere visto come un modo per collaborare a quella " salvezza " che Gesù ha annunciato " guarendo i malati ": la redenzione è un cammino per ritornare a quella immagine di uomo che Dio stesso ha pensato all'inizio e che Gesù è venuto a rivelare e a rendere possibile.

L'uomo non riuscirà mai a superare e a sconfiggere pienamente la m., ma almeno può e deve arrivare a renderla strumento di verità, occasione per una crescita globale che non viene vanificata dal disordine fisico o mentale che la m. produce.

Lungo i secoli, la fede cristiana, condotta dallo Spirito di Cristo, ha scoperto e inventato luoghi e modi per ritrovare un senso alla propria condizione di ammalato. Lourdes, ad esempio, è il luogo non dei miracoli sensazionali, ma del ritrovato gusto del vivere, della condivisione, dell'aiuto reciproco, della " grandezza " umana investita dalla presenza di Dio. E questa grandezza, che è consapevolezza della dipendenza da Dio, mentre converte l'uomo, gli permette di scoprirsi accomunato al Cristo sofferente e di sentire in sé la presenza di un Dio, amore totale, che si dona nel suo mistero di redenzione.

Bibl. G. Basadonna, Spazi di gioia, Milano 1995; Ch.-A. Bernard, Sofferenza, malattia, morte e vita cristiana, Cinisello Balsamo (MI) 1990; Y.M. Congar, Sul buon uso della malattia, Brescia 1968; J. Galot, Perché la sofferenza, Milano 1986; T. Goffi, s.v., in DES II, 1485-1489; I. Noye, s.v., in DSAM X, 137-152 (con ampia bibliografia).

G. Basadonna

MARGHERITA D'OINGT. (inizio)

I. Vita e opere. Quarta priora della Certosa di Poleteins presso Lione, M. apparteneva ad una famiglia di antica nobiltà del Lionese. Non conosciamo la data della sua nascita, né quella del suo ingresso in Certosa; dai suoi scritti apprendiamo, però, che abbracciò la vita certosina non a causa di interessi materiali della famiglia (secondo lo stile dell'epoca) ma per una libera risposta all'intima chiamata divina. Sappiamo che già nel 1288 era priora della Certosa di Poleteins e che lo resterà fino alla morte, avvenuta l'11 febbraio 1310. Venerata come " beata ", questo culto privato scomparve con la Rivoluzione francese.

Di M. possediamo alcuni brevi scritti spirituali che, pur secondo diversi livelli tematici, ci offrono la testimonianza di un'intensa esperienza mistica, fatta " scrittura ". Le lingue usate sono il latino e il francoprovenzale. Il manoscritto più antico risale al sec. XIV ed è stato redatto alla Grande Chartreuse. Oggi si trova nella biblioteca comunale di Grenoble, sotto il numero 5785 R ed è composto da settantatré pagine. Questo manoscritto comprende: a. delle meditazioni scritte in latino, Pagina meditationum (pp. 1-24), l'opera teologicamente più rilevante; è in lingua francoprovenzale; b. Speculum sanctae Margarete (pp. 25-34), dove vengono descritte tre visioni; c. Li via Seiti Biatrix Virgina de Ornaciu (pp. 34-57), la vita, in nove capitoli, della consorella certosina Beatrice d'Ornacieux ( 1303); tale vita è seguita da un Racconto miracoloso, senza titolo, da aggiungere ad essa (pp. 58-60); d. cinque Lettere indirizzate a destinatari dei quali non conosciamo il nome (pp. 60-70); e. tre Racconti (pp.70-73) di fatti miracolosi attribuiti a M. dopo la sua morte, che evidentemente non sono stati scritti da lei. Rimaste per lungo tempo inedite, le opere di M. sono state pubblicate per la prima volta nel 1877 da E. Philippon; è del 1965 la seconda eccellente edizione, dovuta al lavoro congiunto di A. Duraffour, P. Gardette e P. Durdilly. Solo recentemente, a cura di G. Gioia, è stata pubblicata la traduzione italiana di tutte le opere M. col titolo Scritti spirituali (con ampia introduzione).

II. Dottrina. Le due opere maggiori - Pagina meditationum e Speculum - mostrano come tutta la vita contemplativa di M. si sia sviluppata quale intensa esperienza della dolcezza di essere rigenerati, nutriti e santificati dall'amorosa azione di Dio. Fedele alla prospettiva spirituale tracciata da s. Bruno ( 1101), è in particolare nella presenza magisteriale e salvifica del Cristo che M. coglie l'aspetto essenziale dell'amore divino. L'appassionata attenzione alla lezione teologica offerta dal Cristo le fa comprendere di essere chiamata, come ogni uomo, a partecipare progressivamente ad una grande storia d'amore, una storia che però implica la radicale purificazione del cuore umano, quindi, il completo radicarsi in Dio stesso, come indica la visione dell'albero sradicato dal terreno dell'egoismo e capovolto dalla " veemente " azione divina. Con una straordinaria carica di " sensibilità affettiva " ma anche di " intelligenza speculativa ", M. acquista la consapevolezza che non vi è opposizione tra il temporale e l'eterno, poiché la redenzione cristiana stabilisce un reale e gratuito innalzamento del semplicemente terreno al piano del divino e dell'eterno. Nel dinamismo della vita mistica l'esperienza originaria degli affetti naturali non viene vanificata, ma piuttosto diventa un mezzo privilegiato per meglio comprendere ed assecondare l'azione divina. E già lo stesso linguaggio, chiamato a balbettare qualcosa sull'eterno donarsi di Dio, a dover far ricorso all'esperienza dei concreti rapporti esistenziali, che d'altronde finiscono con l'essere elevati a quel livello divino nel quale essi stessi trovano la loro più profonda purezza e consistenza. In effetti, questa certosina viene quasi folgorata dalla scoperta personale che il rapporto tra l'uomo e Dio è totalmente regolato dal registro dell'amore: l'Incarnazione, la passione, la morte e la risurrezione del " bel dolce caro Signore Gesù Cristo " le danno, infatti, la certezza di essere amata eternamente da Dio, al di là della propria miseria. E, così, questa certosina del sec. XIII, sebbene legata, a volte, a delle espressioni teologiche piuttosto forti dovute all'influsso religioso del tempo, nelle sue lucide meditazioni giunge a chiamare Gesù Cristo non solo fratello e amico ma anche madre: " Dolce Signore tu sei mia madre e più che madre ".

Le visioni descritte nello Speculum chiariscono e completano la prospettiva spirituale delle Meditazioni. Si tratta della visione del Cristo che si presenta con un libro chiuso in mano. Finalmente esso si apre e lascia intravedere che il suo interno è formato da due sole pagine che brillano alla maniera di uno specchio bellissimo. Nel libro-specchio risulta possibile contemplare lo splendore trinitario. M. deve, però, limitarsi a dire che nel libro appare un luogo delizioso e infinitamente grande, nel quale risplende " una gloriosissima luce che si divide in tre parti, come in tre persone; ma non vi è bocca d'uomo capace di parlarne ". Lo Speculum, infine, si conclude con la descrizione della visione del Cristo glorioso: è egli stesso che è diventato uno specchio luminoso che gli angeli e i santi non si saziano mai di guardare ed ammirare. Tanto le Meditazioni quanto lo Speculum evidenziano la consapevolezza teologica che ogni uomo è chiamato a partecipare all'eterna vita divina e a gioire di essa. Il messaggio spirituale di M., mistica contemplativa certosina, può quindi riassumersi nella seguente indicazione cristologica: Gesù Cristo, in quanto concreta dimostrazione del massimo amore divino, si propone come l'autentica via mediante la quale l'aspirazione fondamentale dell'uomo a gioire della somma ed eterna Bontà non solo non resta frustrata, ma riesce ad ottenere il suo più adeguato compimento.

Bibl. Opere: Les oeuvres de Marguerite d'Oingt, pubblicate da Antonin Duraffour, P. Gardette e Paulette Durdilly, 21 voll., Paris 1965; Margherita d'Oingt, a cura di G. Gioia, Scritti spirituali, Cinisello Balsamo (MI) 1997. Studi: Aa.Vv., Un itinerario di contemplazione. Antologia di autori certosini, Cinisello Balsamo (MI) 1986, 383-387; B. Gaillard, s.v., in DSAM X, 340-343; G. Gioia, La divina filosofia. La certosa e l'amore di Dio, Cinisello Balsamo (MI) 1994, 360-382; R. Maisonneuve, L'expérience mystique et visionnaire de Marguerite d'Oingt ( 1310), moniale chartreuse, in Aa.Vv., Kartäusermystik und Mystiker, I, Salzburg 1981, 81-102; P. Nissen, s.v. in WMy, 340-341; D. Zorzi, La spiritualità e le visioni di due certosine lionesi contemporanee di Dante, in Aevum, 27 (1953), 510-531.

G. Gioia

MARGHERITA MARIA ALACOQUE (santa). (inizio)

I. Cenni biografici e scritti. M. nasce il 22 luglio 1647 a Lautecour, nella diocesi di Autun; il padre, regio notaio, muore giovane lasciando una famiglia numerosa. M. prende l'abito dell'Ordine delle Visitandine di Paray-le-Monial il 6 novembre 1672.

Già agli inizi della sua vita religiosa è oggetto di sorprendenti fenomeni mistici sotto forma di rivelazioni. La cronaca ne registra una ottantina. Poiché la Regola delle visitandine era nettamente contraria a simili fenomeni in quanto privilegiava il totale annientamento di sé nella semplicità della vita quotidiana, M., ritenuta un'eccentrica, comincia ad essere perseguitata. Finalmente, nel 1686, la comunità accoglie le rivelazioni di M. al punto da introdurre nel monastero la nuova forma di devozione al S. Cuore di Gesù, oggetto delle rivelazioni a M. Dal 1687 tale devozione comincia a diffondersi anche fuori del monastero. Nel 1765 la festa del S. Cuore è istituzionalizzata nel calendario, grazie all'approvazione di Papa Clemente XIII ( 1769).

M. muore a quarantatré anni, il 17 ottobre 1690, lasciando oltre ad un'Autobiografia, 149 Lettere e altri scritti minori. Tutto questo materiale è raccolto in tre volumi.

II. Esperienza mistica. La devozione al S. Cuore rappresenta il fulcro tematico dell'esperienza mistica di M. In effetti, ella è stata un canale di propaganda, affidato soprattutto ai gesuiti, della devozione al S. Cuore in concomitanza con l'affermazione delle grandi monarchie, secondo il parallelismo francese: le Sacré-Coeurle grand Roi.

Le componenti essenziali della tipologia mistica di M. sono: la ferita, la fornace, la fiamma, il sole, il cibo e la bevanda.

L'esperienza del sacro avuta dalla santa - già a quattro anni fa voto di castità - è il risultato di una profonda umiltà verso Dio e una grande dolcezza verso il prossimo. Con un entusiasmo lirico, M. si esprime secondo i modi propri della spiritualità di Bérulle, di s. Teresa d'Avila e di Ignazio di Loyola. E le formule ricorrenti sono: l'invocazione, il grido, l'aspirazione, le interrogazioni ansiose... Sul piano più propriamente spirituale, si nota tutto un ordito di tratti dell'atteggiamento mistico ripercorribile nella vita della santa. Gli aspetti più importanti riguardano lo sguardo, l'abbandono, la capacità, la conformità, l'adesione.

Nelle apparizioni del S. Cuore le immagini si concretizzano al punto da rappresentare una vera e propria tipologia che è stata ereditata anche dalla mistica successiva.

I riferimenti biblici di tale devozione si possono ritrovare nel Vangelo di Giovanni e nei salmi. In particolare quello della gelosia di Dio: " Fino a quando JHWH la tua collera? Fino alla fine? " (Sal 79,5) reso in francese con le parole: " Ta jalousie brulera-t-elle comme un feu ".

Anche il silenzio è sottolineato da M. come componente essenziale dell'esperienza umana del Cristo. Il Figlio di Dio è a Betlemme, nel deserto, nell'orto degli ulivi, davanti a Pilato e a Erode, durante la passione, sulla croce.

Del mondo spirituale di M. fanno parte anche le penitenze, consistenti nel dormire su un guanciale di legno o bere per sollecitare la nausea e il vomito. Si tratta di esercizi ascetici tesi a rendere M. partecipe della passione e redenzione operata dal cuore del Cristo, che ha " tanto amato gli uomini e in cambio non riceve che ingratitudini! " (Autobiografia, n. 53).

Bibl. Opere: Vie et oeuvres de S. Marguerite Marie Alacoque, par Fr.-L. Gauthey, Paris 1920; S. Margherita M. Alacoque, Autobiografia, Roma 1983. Studi: P. Blanchard, S. Marguerite Marie. Experiénce et doctrine, Paris 1961; R. Darrican, s.v., in BS VIII, 804-809; R. De Sola Chervin, Donne sante, Città del Vaticano 1995, 283-284; J. Ladame, Margherita Maria Alacoque, Roma 1982; G.G. Languet, La vita di santa Margherita Maria Alacoque, Firenze 1975; J. Le Brun, s.v., in DSAM X, 349-355; B. Papasogli, Margherita Maria Alacoque una " figlia del fuoco ", in Vita e Pensiero, 74 (1991), 689-700; A. Pedrini, s.v., in DES II, 1489-1494.

E. Baldassare

MARIA. (inizio)

Premessa. Sembra impresa ardua o addirittura impossibile discorrere della dimensione mistica di M. perché si tratta di penetrare nel recinto più intimo della sua coscienza e di sollevare il velo sull'intreccio d'amore tra " l'amata da Dio " e " l'Onnipotente " che ha operato in lei " grandi cose " (Lc 1,28.49). Fortunatamente l'evangelista Luca ci rivela non solo il coinvolgimento della Madre di Gesù negli episodi della vita del Figlio, ma pure alcuni aspetti significativi della sua spiritualità. Egli parla dell'" anima " e dello " spirito " di M., cioè del suo essere profondo e del suo io religioso,1 che celebra il Signore e vibra di gioia in Dio salvatore (cf Lc 1,46-47). In compagnia di Luca e degli altri evangelisti, in particolare di Giovanni, sarà possibile porre alcune pietre miliari del cammino interiore di M. Procederemo poi allo sviluppo del sensus fidei lungo i secoli, soprattutto presso i mistici cristiani che, per via di connaturalità, hanno intuito i vertici da lei raggiunti. Giungeremo, quindi, ad una riflessione globale sui traguardi raggiunti dalla teologia circa la vita mistica della Madre di Gesù e sul modo attualizzato di presentarla nel nostro tempo.

I. Itinerario mistico di M. secondo la Scrittura. Per comprendere la spiritualità di M. di Nazaret dobbiamo situarla nel contesto del popolo d'Israele, descriverne quindi il cammino di fede e infine percepirne il rapporto con lo Spirito Santo.

1. M. tra i poveri di JHWH, i mistici del popolo d'Israele. La Vergine di Nazaret non solo vive della pietà giudaica, ma la rappresenta nei suoi più alti vertici, prendendo posto tra il " popolo umile e povero " profetizzato da Sof 3,12-13. Le caratteristiche dei poveri di JHWH sono l'atteggiamento di " clienti di Dio " che attendono tutto unicamente da lui e a lui si affidano con abbandono gioioso (cf Sal 2,12; 4,5; 32,10; 84,12), senso comunitario (cf Sal 32,11; 34,17; 142,7) e speranza nell'adempimento delle promesse divine (cf Sal 9,18; 25,3).2 I poveri di JHWH sono " l'Israele permanente che vive di preghiera e di attesa " (A. Gelin). La personificazione suprema di questa spiritualità si realizza nella figura misteriosa del servo di JHWH descritto nei quattro carmi del Deutero-Isaia (42,1-9: investitura; 49,1-6: vocazione; 50,4-9: confessione; 52,13-53,12: lamento): è un " povero " chiamato ad una difficile missione di sofferenza espiatrice del peccato del popolo e glorificato da Dio dopo l'umiliazione. Alle soglie del NT la spiritualità dei poveri di JHWH si concentra nella Vergine di Nazaret. In realtà, la Madre di Gesù è la personificazione del popolo eletto, di cui adempie la duplice missione: dare i natali al Messia ed accoglierlo nella fede. Ella realizza le caratteristiche dei poveri di JHWH: la povertà sia sul piano economico che su quello spirituale (cf Lc 1,38.48; 2,24), la gioia in Dio salvatore (cf Lc 1,46-47), la fiducia nelle promesse divine (cf Lc 1,55), il silenzio meditativo (cf Lc 2,19.51), la solidarietà con il popolo di Dio (M. passa dall'io personale al noi comunitario: cf Lc 1,46-47.55). Proprio attraverso questa spiritualità vissuta negli eventi ordinari della vita quotidiana, ella fa esperienza di Dio e ne scopre l'autentico volto. Il Magnificat rivela l'esperienza compiuta da M. nel fatto centrale della sua esistenza, anzi della storia della salvezza: il concepimento verginale di Gesù. M. la vive come la grande realtà operata da Dio in lei, sulla scia delle meraviglie dell'esodo dall'Egitto, e vi scorge un effetto dello sguardo benevolo di Dio (cf Lc 1,48-49). Il volto di Dio scoperto da M. è insieme potente, santo, misericordioso e fedele (cf Lc 1,49-50.54-55): un Dio trascendente e condiscendente, che agisce nella storia operando un cambio di situazione favorevole ai poveri e agli oppressi e restando fedele all'alleanza con il suo popolo. Di fronte a Dio, la Vergine di Nazaret si pone nell'atteggiamento di povera che tutto attende da lui e lo lascia fare, cioè realizzare il suo piano di salvezza, senza interferire. M. è tutta disponibilità, mitezza, speranza e preghiera.

2. La kenosi nel cammino di fede della Madre di Gesù. Come è risaputo dall'AT e dal NT per accedere a Dio bisogna credere (cf Eb 11,6), poiché " il giusto vivrà mediante la fede " (Rm 1,17). Su questo cammino di comunione intima con Dio mediante la sua fede si pone M., lodata da Elisabetta come credente alla Parola di Dio (cf Lc 1,45), perché alla proposta divina ha risposto con la piena disponibilità a servire il Signore (cf Lc l,38), cioè con " l'obbedienza alla fede " (Rm l,5). All'annunciazione la Vergine di Nazaret si trova al centro della storia spirituale dell'umanità e diviene " la rappresentante e l'archetipo di tutto il genere umano " (MD 4).

La fede di M. non è solo adesione a quanto Dio dice. E anche dono di sé e soprattutto contatto con l'ineffabile mistero divino, nel quale ella si introduce sempre più intimamente man mano che la sua vita procede in sintonia con quella del Figlio. A questo contatto con Dio tende il lavorio di meditazione con il quale M. cerca di comprendere gli eventi di Cristo (cf Lc 2,19.51), che a loro volta rivelano il volto misterioso e paradossale di Dio. Tutt'altro che statica, la fede di M. è dinamica, perché si modifica con il tempo e conosce momenti difficili e fasi d'incomprensione e di oscurità. Nell'annunciazione (cf Lc 1,26-38), M. sperimenta il Dio del dialogo, che la interpella a collaborare alla nascita del Salvatore nonostante, o piuttosto, a motivo della sua umile condizione sociale e spirituale (cf Lc 1,48). E un Dio promozionale che la estrae dalla vita privata con i suoi progetti per inserirla nel disegno di salvezza dell'umanità. M. si sente trattata come una libertà che decide e non come semplice strumento dei voleri divini: per lei Dio è rispettoso della persona, da cui attende una risposta responsabile. Infine, Dio è sentito da M. come un vento impetuoso che sconvolge il suo piano di vita che includeva la verginità, ma non intendeva affrontare la maternità (cf Lc 1,34) ed insieme un Dio onnipotente e operatore di prodigi, che rende possibili le cose umanamente inconcepibili ed inconciliabili. A tali " grandi cose " appartengono la maternità verginale e la venuta del Figlio dell'Altissimo nella condizione umana. Fondamentalmente, il Dio di M. è il Dio paradossale, che pone insieme grandezza e miseria, presenza divina e fragilità umana, verginità e maternità. La seconda annunciazione, quella dell'anziano Simeone, ha un tono diverso da quella di Gabriele. L'angelo annuncia un Messia che " regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe " (Lc 1,33), Simeone, invece, mentre conferma che Gesù sarà " gloria del popolo d'Israele ", allarga gli orizzonti prevedendo un Messia " luce per illuminare le genti " (Lc 2,32). Soprattutto, il vecchio profeta tinge di rosso il futuro del Messia: sarà un " segno contraddetto " e attorno a lui si ordiranno disegni malvagi: la madre sarà coinvolta nell'opposizione sofferta da Gesù e sperimenterà nel suo io profondo una ferita come da una spada di grande dimensione (cf Lc 2,34-35). Per M. Dio si presenta come il Dio imprevedibile, che realizza il regno attraverso la sofferenza.

I lineamenti del volto del Dio che si rivela a M. assumono nuove dimensioni nei vari episodi della vita di Gesù cui la madre è presente. Quando sperimenta un triduo di dolore per lo smarrimento del Figlio, ma culminante nella gioia del ritrovamento (cf Lc 2,41-50), M. non capisce, ma conserva tutto nel cuore. Nel triduo della passione che si conclude con la risurrezione di Gesù, ella capisce che Dio ha agito con lei come il Dio pedagogo, il Dio degli anticipi, che la prepara esistenzialmente al futuro imprevedibile e umanamente insopportabile. E i trent'anni trascorsi a Nazaret con Gesù e con Giuseppe? Purtroppo nulla ci è pervenuto del cammino spirituale di M. in quel periodo. Ma ella ha certamente fatto esperienza di un Dio feriale che non precipita gli eventi, ma sa attendere il tempo opportuno. Come per Isaia, anche per la Madre di Gesù Dio è un " Dio misterioso " (Is 45,15) negli eventi ordinari del lavoro e della vita di famiglia. Finalmente giunge il tempo della manifestazione messianica di Gesù. La madre è presente all'inizio dei " segni " a Cana di Galilea. E comprende come l'attenzione sua e di tutti dev'essere concentrata su Gesù unico mediatore della nuova alleanza. Verso di lui ella convoglia i discepoli spingendoli a offrire a lui la stessa disponibilità finora richiesta per JHWH: " Fate quello che vi dirà " (Gv 2,5). In questa identificazione pratica di suo figlio con il Figlio dell'Altissimo, M. raggiunge esistenzialmente un traguardo di fede cui gli apostoli perverranno solo in un secondo momento.

La Madre vede il Figlio separarsi da lei per compiere la sua missione di esorcista, taumaturgo, annunciatore del regno dei cieli. Nell'addio che Gesù le avrà rivolto partendo da Nazaret, M. riscontra l'azione del Dio dell'esodo che conduce nel deserto della solitudine e del sacrificio. Ella viene preparata, così, al momento supremo in cui il Figlio le sarà strappato dalla morte violenta sulla croce. Allora si realizzerà per M. " la più profonda "kenosi" della fede nella storia dell'umanità " (RM 18). Al Calvario, M. vive la sua esperienza religiosa più tragica e più alta. Nel Figlio che muore la Madre sperimenta il Dio assente che sembra ritirarsi nel silenzio e nella sconfitta. Ma, come Abramo in procinto di sacrificare Isacco " ebbe fede sperando contro ogni speranza " (Rm 4,18), anche M. crede nel Dio che risuscita i morti, secondo le chiare parole di Gesù ai suoi discepoli (cf Lc 9,22.44).

3. La comunione di M. con lo Spirito Santo. Non si può parlare di mistica cristiana senza pensare ad un costante atteggiamento di docilità allo Spirito Santo. Infatti, " quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio " (Rm 8,14). Questo vale per M., la cui esistenza immune da peccato e ricolma di grazia non si può spiegare senza l'opera interiore del Paraclito. Per comprendere l'azione trasformante dello Spirito in M., occorre innanzitutto puntare lo sguardo sull'evento dell'Incarnazione, che si realizza per opera dello Spirito Santo. Come testimonia Matteo, l'origine terrena di Cristo, Figlio di Dio, avviene " per opera dello Spirito Santo " (Mt 1,18). Anzi, secondo Luca, lo Spirito anticipa per M. la Pentecoste della Chiesa nascente: vi troviamo lo stesso binomio (Spirito Santo-potenza), la medesima espressione (venire sopra), la stessa dinamica (venuta dello Spirito, partenza per la missione, effusioni carismatiche). Lo Spirito che la tradizione ebraica credeva estinto dopo gli ultimi profeti,3 rompe il silenzio e la sua azione nascosta discende su M. e la copre della sua ombra (cf Lc 1,35). Nella Vergine di Nazaret si attua la protopentecoste: lo Spirito produce in lei due effetti meravigliosi. Il primo è la concezione verginale del Figlio di Dio secondo la natura umana, per cui " quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo " (Mt 1,20). Il Magnificat tradurrà questa esperienza di maternità verginale di M. nei riguardi del Figlio di Dio con l'espressione " grandi cose " compiute in lei dal Potente (Lc 1,49), con allusione alla " potenza dell'Altissimo " (Lc 1,35). M. si sente luogo santo dell'azione dello Spirito e nello stesso tempo sua collaboratrice, in quanto Gesù è formato in lei e da lei ed è veramente suo figlio. Lo Spirito e M. agiscono in sinergia: dalla loro azione comune scaturisce il capolavoro della storia della salvezza, Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio. Per questo la Vergine diventa - come sottolinea la tradizione ortodossa - pneumatofora e pneumatiforme: è portatrice dello Spirito e icona che lo rivela.4 Il secondo effetto della protopentecoste è l'esemplare consenso formulato da M. all'angelo (cf Lc 1,38), che Elisabetta interpreta come un perfetto atto di fede: " Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore " (Lc 1,45). Ora, è risaputo che solo lo Spirito Santo è forza capace di rinnovare interiormente l'uomo perché possa dare il consenso di fede, il sì dell'alleanza a Dio che si rivela.5 Dunque la fede di M. è opera dello Spirito. Verosimilmente il Paraclito non ha agito ad intermittenza sulla Madre di Gesù, ma ha accompagnato tutto il suo cammino attraverso il tempo. Soprattutto si distinguono nella vita di M. due importanti incontri con lo Spirito. Il primo è rappresentato dalla Pentecoste, dove ella è presente per testimoniare, in modo vivente e silenzioso, la consistenza umana del Cristo risorto e per ricevere ancora lo Spirito che già l'aveva avvolta della sua ombra. M. appartiene a quei " tutti " che accolgono lo Spirito e parlano in lingue (cf At 2,1.13). L'esperienza spirituale di M. consiste nel rinnovamento interiore operato dal battesimo nello Spirito (cf At 1,5) e nella preghiera di lode collettiva, in parole derivate da lingue straniere, che annuncia " le grandi opere di Dio " (At 2,11). Si sviluppa in lei anche il carisma delle visioni e delle profezie, secondo la predizione di Gioele: " Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio Spirito " (Gl 3,2; cf At 2,18). La Pentecoste è anche per lei, come per gli apostoli e i discepoli, la massima illuminazione sull'identità di Cristo. M. comprende ormai con maggiore chiarezza che suo Figlio è il figlio dell'Altissimo, risorto come aveva predetto (cf Mt 16,21; Mc 8,31; Lc 9,22) e che invia lo Spirito secondo la sua promessa (cf At 1,8). Ella proclama " sotto l'azione dello Spirito " (1 Cor 12,3) con la Chiesa primitiva: " Gesù Cristo è il Signore " (Fil 2,11). L'altra grande opera dello Spirito in M. è la trasformazione del suo corpo mortale ad immagine di Cristo risorto. Ciò avviene nell'assunzione della Vergine al cielo, secondo lo schema biblico valido per tutti i cristiani (cf 1 Cor 15,22) e anticipato per lei. Il corpo di M. acquista le caratteristiche del corpo risuscitato: diviene " incorruttibile... glorioso... pieno di forza... spirituale " (1 Cor 15,42-44). Trattandosi di un corpo " pneumatico ", anche il corpo della Madre di Gesù, come quello del Figlio, è libero dalle leggi della materia, cioè del tempo e dello spazio (cf Gv 20,19.26) e diviene " spirito datore di vita " (1 Cor 15,45). Ciò significa che M., trasformata dallo Spirito Santo, può esercitare la sua maternità spirituale nei riguardi dei discepoli amati da Gesù (cf Gv 19,25-27) ed essere presente in modo non circoscrivibile nei vari luoghi e tempi dove si trovano i cristiani. In cielo, dunque, " benché assorta nella contemplazione gaudiosa della Trinità beata, ella continua ad essere presente spiritualmente a tutti i figli della redenzione sempre stimolata al suo nobilissimo ufficio dall'Amore increato, anima del corpo mistico e suo motore supremo ".6

II. M. nella vita mistica secondo la tradizione ecclesiale. Anche se non mancano studi parziali,7 dobbiamo costatare che un'esplorazione esauriente nel campo delle testimonianze cristiane circa le esperienze mistiche di M. dev'essere ancora compiuta. Quelle qui apportate sono, tuttavia, sufficienti a darci un'idea dell'interesse della tradizione ecclesiale circa la presenza e il molteplice ruolo della Madre di Gesù nella vita mistica.

1. Età patristica. Il primo autore che penetra nell'intimo della Vergine e ne coglie la disponibilità mistica all'azione di Dio è Origene. Abbiamo un frammento dubbio del suo Commento a Luca in cui egli (o qualcuno del suo ambiente) ricorre ad un simbolo eloquente per riassumere l'atteggiamento interiore di M. di fronte alla parola dell'angelo: " E come se dicesse: io sono una tavoletta su cui scrivere ciò che vuole lo scrittore: il Signore di tutti vi scriva ciò che vuole ".8 Nei passi autentici delle Omelie su Luca, Origene presenta M. " ricolmata di Spirito Santo " mentre avanza sollecitamente " sulle vette " [della perfezione] ed è " dichiarata benedetta dallo Spirito Santo ".9 M. opera un progresso spirituale in Giovanni Battista e in Elisabetta nei tre mesi che dimora con loro.10 Anzi, solo a patto di diventare figlio di M., il discepolo perfetto può essere introdotto ad una profonda conoscenza del Vangelo: " Non può alcuno percepirne il senso a meno che non abbia riposato sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da Gesù M., diventata anche madre sua ".11 Nello stesso ambiente alessandrino, M. è considerata colei che inaugura la vita celeste o angelica vissuta dai monaci: " Voi avete davanti agli occhi la condotta di M., che è il tipo e l'immagine di vita propria dei cieli ".12 Su questa scia si pongono Atanasio e Ambrogio che presentano un ritratto di M. inculturato secondo i canoni della vita verginale, scelta per vivere con Cristo l'amore sponsale: " Se qualche donna desidera rimanere vergine e sposa di Cristo, può prendere in considerazione la vita di M. e imitarla; infatti, la sua perseverante scelta di vita è sufficiente a ben regolare la vita delle vergini ".13 Per Ambrogio, M. non è soltanto " uno specchio " in cui " risplendono la bellezza della sua castità e la sua esemplare virtù ",14 ma innanzitutto " dimora dei celesti misteri " e " aula regale ",15 quindi in grado di comunicare la conoscenza dei divini misteri e la grazia della verginità, come ha fatto con Giovanni evangelista e con Giovanni Battista. M. è esempio di vita alacre nel raggiungere le vette della perfezione: " Dove, se non verso le cime, doveva tendere colei che era già piena di Dio? La grazia dello Spirito Santo non conosce ostacoli che ritardano il passo ".16 Per neutralizzare la superficialità della " persona corriva a parlare " che è " come un colabrodo che lascia colare da ogni parte il suo contenuto ", basta pensare a " santa M., che conservava ogni parola dentro il suo cuore per evitare che dal suo cuore nessuna ne colasse fuori ".17 Secondo Ambrogio bisogna giungere ad una certa identificazione con M. per generare Cristo mediante la fede ed essere lode di Dio: " Ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l'anima di M. a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di M. ad esultare in Dio ".18 In Arabia, Tito di Bostra ( 378 ca.), in sintonia con altri Padri, riconosce a M. il carisma della profezia che la introduce alla conoscenza dell'economia salvifica: " Ascoltiamo dunque che cosa dice questa vergine senza precedenti e quale sia la sua ammirabile locuzione: come infatti ella è madre vergine al di sopra dell'ordine della natura, così dimostra di essere anche profetessa e iniziata ai misteri di Dio ".19 Teodoto di Ancira in Galazia ( prima del 446) ammette la necessità di una purificazione o " trasformazione della Vergine nella santità " (tema della catarsi comune a Gregorio Nazianzeno e ad altri Padri), perché M. possa unirsi al fuoco dello Spirito in vista dell'Incarnazione del Verbo: " ...Quanto più e in modo superiore arse la Vergine all'irruzione del Fuoco divino: e fu purificata dalle cose terrene (...). La divina Vergine Madre fu interamente unta con la santità dello Spirito Santo che scese su di lei: e così, quindi, accolse il vivente Dio Verbo entro il suo talamo verginale e profumato. (...) O colomba bianca e innocente! O santo tabernacolo della nostra speranza, in cui risiede ogni santità e magnificenza! ".20 Da parte sua, Severo di Antiochia ( 538) esprime l'intima unione di M. con Dio, vertice delle precedenti alleanze divine, chiamandola " montagna spirituale del Sinai, che non è coperta da tenebre, ma risplende a causa del Sole di giustizia ". Egli continua: " Sono folgorato dalle bellezze e dalle visioni simboliche che stanno all'interno del Santo dei santi (...). L'ornamento esteriore della Madre di Dio è abbondante e gareggia, per così dire, con la ricchezza interiore (...). Ella è il punto d'arrivo delle riconciliazioni di Dio con gli uomini (...) ".21 Una celebre omelia attribuita a s. Atanasio (ma del VII-VIII secolo con un nucleo del IV) afferma il rapporto permanente e santificante dello Spirito con M.: " Personalmente sono dell'avviso che ciò avvenne nella Vergine non per un breve arco di tempo, ma per sempre. La Vergine, allora come adesso ed in perpetuo, ha su di sé distesa come ombra la potenza dell'Altissimo e lo Spirito che sopraggiunse su di essa, affinché potesse restare "piena di grazia". Sull'argomento questo è il nostro pensiero: ogni cosa in lei era ripiena della grazia per mezzo dello Spirito e per la potenza dell'Altissimo ".22

Le omelie della tarda patristica tendono a porre M. in una zona irraggiungibile di santità a motivo della sua divina maternità. Così la apostrofa Sofronio di Gerusalemme ( 638) commentando l'annunciazione: " Nessuno è mai stato beato come te; nessuno è stato mai adornato di santità come te; nessuno è stato mai elevato a così grande altezza come te (...). E tutto questo meritatamente: nessuno infatti come te si è avvicinato a Dio; nessuno, come te, si è così arricchito dei doni di Dio; nessuno, come te, è stato partecipe della grazia di Dio ".23

Sullo stesso piano si muove la Vita di M. attribuita a s. Massimo il Confessore, dove si presenta da Vergine fin dall'infanzia come " icona spirituale ed eminentemente razionale, temibile ai demoni e desiderabile agli angeli; (...) gradita e sottomessa al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo ". Crescendo " in età e grazia, più profondamente di quanto si conosca ", M. raggiunge l'ideale della vita in comunione con Dio: " La beata e santissima Vergine era infatti un tesoro di modestia e possedeva in modo eminente la calma, la pace e l'umiltà. La maggior parte del tempo se ne stava chiusa in casa raccolta nella preghiera e nella supplica a Dio, in un digiuno e in un lavoro intensi ".24

2. Medioevo. Stagione fertile di mistici, profeti e apocalittici, il Medioevo guarda a M. come alla massima contemplativa (summa contemplatrix). Infatti - argomenta Dionigi il Certosino - " come all'amabilissima Vergine è stato concesso che in modo singolare da lei e per mezzo di lei si realizzassero i misteri dell'umana salvezza, così le è stato dato, in modo eminente e più profondo, di contemplarli ".25

Nei monasteri M. è oggetto di penetrante meditazione e di instancabile preghiera. Raimondo Giordano (sec. XIV) che nascose il suo sapere sotto il nome di Idiota, le dedica 225 contemplazioni in cui si snoda una sequenza di titoli e di simboli applicati a lei. Il senso acuto della propria miseria, comune ai mistici, non allontana da M., al contrario si lascia attrarre da lei: " Purissima Vergine Maria, i tuoi servi e quanti ti lodano devono essere puri e immacolati, perché tu sei "giardino chiuso e fontana sigillata" (Ct 4,12). Non si può entrare con piedi sporchi in un giardino fiorito e delizioso ".26 Tutt'altro che freddo intellettualismo, la contemplazione di M. è intrisa d'amore. Per Gioacchino da Fiore ( 1202), il celebre abate calabrese " di spirito profetico dotato " (Dante), la Vergine svolge un compito particolare nella terza epoca della storia, quella dello Spirito o della " grazia più ampia ". Ella è tipo della " Chiesa dei contemplativi " che, per mezzo dell'amore, diventano misticamente una sola cosa con Dio.27 Infatti, al momento dell'Incarnazione " il cuore della Vergine era sitibondo di Dio, sorgente viva " 28 e diveniva tutt'uno con lui mediante l'amore: " Come la Vergine concepirebbe Dio se non amasse Dio sopra ogni cosa? "Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito"(1 Cor 6,17). L'amore quindi fece sì che la Vergine si unisse all'Altissimo, concepisse di Spirito Santo e partorisse il Figlio di Dio ".29 La mistica nuziale che stabilisce il rapporto tra l'uomo e Dio in termini d'amore raggiunge uno dei suoi vertici con Bernardo di Clairvaux. Nei suoi ottantasei sermoni sul Cantico dei Cantici, il Dottore mellifluo descrive il cammino dell'anima cristiana dall'amore iniziale al bacio della sposa. Modello di questo stadio finale è M., che come la sposa del Cantico è ferita d'amore: " L'amore di Cristo è una saetta scelta, che non solo si è confitta nell'anima di M., ma l'ha trapassata per non lasciare in quel petto verginale nessuna particella vuota d'amore e perché amasse con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e fosse piena di grazia ".30 In base al principio medievale dell'onnicontenenza, gli autori del periodo attribuiscono a M. l'uso della ragione fin dal seno materno e perfino la visione beatifica, almeno in certi momenti della vita. Non aderisce a questa sentenza s. Tommaso d'Aquino, che ritiene privilegio del solo Cristo l'uso del libero arbitrio mentre era nel seno della madre.31 Prima di lui Pietro il Venerabile ( 1156), richiamandosi alla regola della fede, nega a M. la visione beatifica in vita, l'onniscienza e i carismi propri degli apostoli.32 Nell'autunno del Medioevo, di fronte al triste spettacolo offerto dalla cristianità impelagata nei vizi e inaridita dalle sottigliezze intellettuali, si trova pace tra i " Fratelli della vita comune " che vivono la spiritualità della Devotio moderna. A questa cerchia appartiene Tommaso da Kempis ( 1471), ritenuto l'autore della Imitazione di Cristo, che delinea la figura di M. con tratti di gloria e di umanità. Bisogna seguire la Vergine perché con lei si compiono progressi nella vita spirituale. Infatti " in lei ogni grazia verginale, ogni virtù morale: in lei ogni profondità teologica, ogni amorosa devozione; il perfetto esempio di ogni virtù, le cime sublimi della santità: tutte queste cose si trovano accumulate, vi abitano e vi splendono al massimo ".33

3. Epoca moderna. Sotto l'influsso di vari fattori culturali ed ecclesiali, come l'Umanesimo, il Rinascimento, il Protestantesimo, la vita ecclesiale si rinnova e cerca nuove vie di servizio all'uomo. La mistica trova nuovi sbocchi e nuove concezioni in cui la figura di M. si modula secondo le esperienze di santi e fedeli. M. è vista come modello dell'alleanza d'amore tra Dio e la Chiesa: " Non è forse da te, Signora mia - esclama s. Teresa di Gesù - che si può perfettamente comprendere ciò che intercorre tra Dio e la sposa secondo la parola del Cantico? ".34 Per il Dottore mistico, s. Giovanni della Croce, M. è la creatura che si è lasciata condurre nella sua vita unicamente dallo Spirito senza influsso di creature: " ...La gloriosissima Vergine Nostra Signora ... mai ebbe nella sua anima impressa l'orma di alcuna creatura, né per essa si mosse ma sempre la sua mozione provenne dallo Spirito Santo ".35 Vertici di contemplazione e di esperienza mariane sono raggiunti nell'ambito della " scuola francese di spiritualità ", a cominciare dal suo fondatore, il card. Pietro de Bérulle. Egli percepisce M. come il paradiso della Trinità costituito in un ordine a sé: " L'hai fatta solo per te, o santa Trinità. L'hai fatta come un mondo e un paradiso a parte ... un nuovo cielo e una nuova terra (...), un altro universo nell'universo ". Il cristocentrismo trinitario è applicato da Bérulle alla Vergine sulla base della realtà relazionale di lei: " La Vergine non è che una relazione verso l'eterno Padre che l'ha resa madre del suo Figlio, e verso il Figlio unigenito essendo sua madre ... Gesù è un sole e la Vergine una stella che ha la sua rotazione e i suoi movimenti attorno a Gesù ".36 Nel Trattato della vera devozione a Maria (=VD), s. Luigi M. da Montfort traduce la sua esperienza di M. in numerosi simboli che la mostrano " stampo " o grembo generatore di Gesù Cristo-Dio e dei santi (VD 164, 218, 260) ed insieme " strada " (VD 50, 158, 218) e "cammino" (VD 152-155), cioè tramite dinamico verso l'incontro con Cristo.37 La consacrazione a Gesù per le mani di M. è scuola di disponibilità mistica in quanto esige totale abbandono e docilità. Mentre nella tradizione dell'Ordine del Carmelo M. è considerata come " sorella ", nella " vita mariaforme " descritta dal carmelitano Michele di s. Agostino prevale il riferimento continuo a lei come " nostra superamabile madre ": " (...) Ci sforziamo di conservare in noi ed anche alimentare un filiale, tenero e innocente orientamento dell'anima, un'aspirazione o respirazione amorosa verso M., come a Madre superamabile e dilettissima in Dio. In tal modo si dovrà stabilire un soave flusso e riflusso di amore dell'anima verso di lei e da lei verso Dio ".38 La mistica mariana del Settecento si manifesta nella claustrale cappuccina Veronica Giuliani, che si immerge " nel mare immenso e infinito di Dio " ed insieme conosce un'ineffabile unione e sposalizio con M., sperimentata come " anima della mia anima, cuore del mio cuore ". Ella giunge ad una mistica sostituzione con M. ma in modo da conservare tutta la libertà responsabile, in rapporto al " nudo e puro patire " accolto come missione riparatrice. Nell'esperienza spirituale di s. Alfonso M. de' Liguori la Madre di Gesù è vista in chiave mistica nel suo perenne sospirare verso l'incontro con Dio: " Come il cervo ferito desidera la fonte, così l'anima mia dell'amor tuo ferita, mio Dio, ti desidera e sospira. Ah! i sospiri di questa santa tortorella non potevano penetrare il cuore del suo Dio che troppo l'amava ".39 Soprattutto, M. è vista nella sua vita celeste come " dolcissima madre ", attiva e misericordiosa, che suscita " grande confidenza nella sua protezione ".40 Alfonso sperimenta M. nella sua bellezza salvifica e a lei affida il suo cuore in atteggiamento di totale disappropriazione.

4. Epoca contemporanea. Questo periodo si apre con le apparizioni di M. a Caterina Labouré (1876) e a Bernardette Soubirous (1879), che sperimentano l'irresistibile attrazione di M. Immacolata, viva e operante nell'ordine della grazia in un secolo di razionalismo chiuso ai segni del cielo. I santi che costellano l'Ottocento europeo, dal Curato d'Ars ( 1859) a don Bosco, avvertono M. come una presenza viva, una madre buona e una potente ausiliatrice: " Voglio dire che la Madonna è veramente qui, qui in mezzo a voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto ".41 Anche il santo monaco Silvano del Monte Athos sente M. come presenza cosmica e misericordiosa: " E per quanto la vita della Madre di Dio sia avvolta da un sacro silenzio, tuttavia il Signore ha rivelato alla nostra Chiesa ortodossa che lei, con il suo amore, avvolge tutto l'universo e nello Spirito Santo vede tutti i popoli della terra e, come il suo Figlio, ha compassione e misericordia verso tutti. (...) Senza la sua misericordia sarei perito da tempo ".42 S. Teresa di Gesù Bambino percorre, invece, un altro cammino. Non ama vedere M. nella sua condizione celeste " di gloria circonfusa ", ma piuttosto nella sua vita terrena " mortale e sofferente ". La scopre " più madre che regina ", più imitabile nella sua semplicità che non come la presenta una predicazione altisonante. Ella giunge ad un'intima comunione d'amore con lei: " La Vergine santa non sarà mai nascosta per me, perché l'amo troppo ".43

III. La mistica come chiave ermeneutica della vita di M. A questi dati biblico-ecclesiali, che costituiscono una testimonianza preziosa e continua circa l'intensa vita di comunione di M. con Dio, si aggiungono le riflessioni dei teologi e dei mariologi, che tentano un approfondimento sistematico dei medesimi dati. Fermandoci al nostro tempo, è utile focalizzare le posizioni avanzate intorno al Concilio Vaticano II e le prospettive che sono scaturite dall'intervento conciliare circa M. nel mistero di Cristo e della Chiesa.

1. Posizioni dei mariologi alla vigilia del Vaticano II. Nel 1949 troviamo lo studio di L. Reypens, Rosa mistica. Marie et la mystique, che puntualizza la posizione condivisa generalmente dai teologi su questo argomento.44 Essa si riassume nel riconoscere il carattere straordinario della vita mistica di M., sia quanto all'intensità e qualità, sia quanto alle grazie speciali che essa comporta. Anche se " il Vangelo e la tradizione non ci danno indicazioni dirette sulla vita mistica di M. ", i teologi concordano nell'attribuirle " un'esperienza di Dio che sorpassa quella dei più grandi mistici ". In particolare, bisogna escludere in lei le " grazie mistiche di purificazione " e la " notte dei sensi o dello spirito ", che suppongono una persona non perfettamente disponibile alla sovrana azione di Dio. Bisogna, pertanto, muovere dal " matrimonio mistico " per percepire l'unione di M. con Dio.45 Quanto ai doni straordinari, " la maggioranza dei teologi, antichi e moderni, ammette in M. una scienza infusa per sé permanente, e ciò fin dal suo concepimento ". Si comprende come, in forza di questa scienza non sperimentale, la Madre di Dio " non abbia conosciuto interruzione nella contemplazione delle realtà divine e nella crescita nella grazia ", neppure durante il sonno. Inoltre, dal fatto che sia Mosè che Paolo avrebbero goduto transitoriamente della visione beatifica di Dio, mentre Gesù ne godeva permanentemente essendo insieme " viator et comprehensor ", molti teologi affermano che anche M. ha avuto " nei grandi momenti della sua vita terrena un'intuizione transitoria dell'essenza divina ". Né si può negare che M. " abbia anche conosciuto la grazia paramistica della rivelazione ", poiché essa è testimoniata dal racconto dell'annunciazione.46 Infine, M. da summa contemplatrix diviene summa illuminatrix contemplativorum, in quanto svolge un duplice compito riguardo al cammino mistico dei fedeli: li aiuta a riprodurre sempre più in loro stessi la fisionomia di suo Figlio e fa loro sperimentare nella sua persona, come in uno specchio, le profondità di Dio.47

Alcune di queste tesi sono state chiaramente contestate da J. Galot nel 1961,48 a cominciare dall'affermazione dell'uso di ragione in M. fin dal primo istante della sua esistenza. Essa è giudicata " ipotesi gratuita " poiché non rispetta la situazione infantile della futura Madre di Gesù: " La perfezione della grazia in M. non richiede in lei una perfezione di adulto mentre si trova nel primo istante della sua concezione ". Similmente, si ha una deviazione quando si attribuiscono a M., nella sua vita terrena, " doni che appartengono allo stato di gloria ", oppure si fa di lei " un microcosmo " che contiene tutti i carismi possibili. Basti affermare che " M. ha ricevuto tutte le grazie che le permettevano di svolgere il suo ruolo nell'opera della salvezza e, siccome ha offerto a queste grazie una collaborazione senza riserve, ella si è santificata al massimo grado ". Infine, puntualizza J. Galot, attribuire a M. la visione beatifica, anche se in taluni momenti, non solo è gratuito ma " appare incompatibile con lo stato di fede proprio di M. nella sua vita terrena... L'istante dell'annunciazione fu per M. un istante di fede ardente, non di visione ".49 Sempre verso la metà del nostro secolo, il carmelitano Gabriele di S. Maria Maddalena adotta un altro procedimento: tenta, cioè, una visione sistematica della vita spirituale di M. applicando a lei il cammino e i traguardi descritti da s. Giovanni della Croce.50 Ne risulta che M. fu elevata fin dal principio allo stato di unione, in cui la sua volontà è mossa in tutto dalla volontà di Dio e dallo Spirito Santo. Anche per M., quindi, " ogni facoltà dell'anima e del corpo, la memoria, l'intelletto e la volontà, i sensi esterni ed interni, gli appetiti della parte sensitiva e spirituale, tutto, insomma, si muove per amore e in amore ". M. progredisce nella vita spirituale e mantiene " sempre viva l'aspirazione all'unione immediata con Dio nella visione beatifica sebbene sempre temperata dall'abbandono al divino beneplacito ".51 Similmente K. Truhlar, seguendo la dottrina di s. Giovanni della Croce applica a M. lo stato di unione trasformante: un dono prezioso che include un nuovo modo di conoscere e amare Dio, una più intensa inabitazione di Dio e una più alta partecipazione alla natura divina. In forza di questa unione, M. fu esente da ogni perturbazione della natura, i suoi dolori non rivestirono mai un carattere di purificazione, la sua contemplazione non era disturbata dall'azione. La pienezza della vita mistica crebbe in M. fino a che non si trasformò in visione beatifica.52

2. Orientamenti conciliari. Il Concilio Vaticano II, pur non intervenendo direttamente sulla vita mistica di M. e non intendendo dirimere le questioni dibattute tra i teologi (cf LG 54), stabilisce alcuni principi fondamentali che modificano l'impostazione del discorso mariologico. a. Innanzitutto il Concilio pone al sicuro " l'arcana santità " di M. (LG 64), che " abbracciando, con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato, la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo " (LG 56). Come si vede, il Concilio prescinde, in questa descrizione, dalle formule tecniche delle scuole di spiritualità e si attiene al linguaggio biblico. b. In secondo luogo, il Concilio ricupera la spiritualità ebraica vissuta in modo eminente da M. in comunione con i mistici del popolo di Dio: " Essa primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza " (LG 55). c. Inoltre il Concilio, che non attribuisce a M. nessun carisma straordinario, accentua lo statuto di fede che la caratterizza nella sua vita terrena: " Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla croce " (LG 58). Queste parole, che saranno sviluppate da Giovanni Paolo II nell'Enciclica Redemptoris Mater (1987), premuniscono da affermazioni che non tengano sufficientemente conto del carattere pellegrinante dell'esistenza terrena di M., che si è svolta nella fede e non nella visione. d. Infine, il Concilio afferma la permanente maternità di M. nell'ordine della grazia, che si svolge durante tutto l'arco dell'itinerario cristiano: " Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata " (LG 62). " La Chiesa non dubita di riconoscere apertamente, continuamente sperimentare e raccomandare all'amore dei fedeli " (LG 62) tale funzione salvifica subordinata. Un primo risultato dell'impostazione conciliare è la rinuncia a " definire " o " analizzare l'esperienza mistica di M. " e il desiderio di sottolineare l'" aspetto essenziale della vita contemplativa della Madonna al di là di ogni fenomeno, cioè la sua esperienza del divino in un contatto intimo e sostanziale che sfugge ad ogni descrizione ".53 In questa linea si dovrebbe pervenire a relativizzare le varie inculturazioni della vita mistica di M., pur accogliendone gli apporti particolari per la sua comprensione. Quanto la Marialis Cultus afferma circa il culto mariano vale per la percezione della spiritualità di M.: la Chiesa " non si lega agli schemi rappresentativi delle varie epoche culturali né alle particolari concezioni antropologiche che stanno alla loro base " (MC 36). Ciò significa che ogni cultura può legittimamente appropriarsi dei dati biblico-ecclesiali circa la comunione mistica di M. con Dio, senza però pretendere di offrire un'interpretazione valida per tutti i tempi. Un altro effetto conciliare è una certa umanizzazione della figura di M., cui si attribuiscono fatica e oscurità nel cammino di fede. Per T. Goffi la fede di M. " si è approfondita tra oscurità e magari tra qualche inquietudine dubbiosa. Non si tratta di dubbi peccaminosi circa la fede, ma al modo di "notte oscura" propria delle anime mistiche. Siamo innanzi ad una costante, approfondita purificazione pasquale della fede in M. (...) Maturando nella fede, M. ha saputo rompere le ristrettezze della propria razionalità aprendosi alla luce dello Spirito ".54 Si tende a recuperare la tradizione dei Padri orientali circa la catarsi di M., del resto già accolta da s. Tommaso che parla di una duplice " purificazione " operata in M. dallo Spirito Santo.55 Il moltiplicarsi nel periodo post-conciliare dei gruppi di Rinnovamento nello Spirito ha condotto ad una valorizzazione dei carismi nella Chiesa. Anche M. viene riconosciuta come " glossòlala ", in quanto si trovava a Pentecoste con tutti quelli che parlavano in lingue (cf At 2,4) ed era, quindi, implicata in questa speciale forma di preghiera collettiva, oltre che nella profezia come dimostra il suo cantico di lode (cf Lc 1,46-55). Non è il caso di negare a M. questi carismi, anche se non bisogna sopravvalutarli, perché " la via migliore di tutte " (1 Cor 12,31) resta sempre l'amore agapico. Al di fuori, forse, del fenomeno della glossolalia, che entra tardivamente nella vita di M., nulla ci autorizza ad attribuire a lei " lo stato di immersione " descritto da C. Albrecht, che include il distacco dal mondo circostante e lo svuotamento della coscienza.56 Al contrario, i Vangeli ci presentano una M. attenta e responsabile, cosciente e riflessiva, impegnata nella sua vita di fede (cf Gv 2,3-5; Lc 1,29.34.38; 2.19.51).

3. Punti acquisiti e prospettive. Si deve prendere atto della continuità con cui la tradizione biblico-ecclesiale attribuisce a M. un'intensa vita di comunione con Dio. La collocazione della Madre di Gesù in dimensione mistica si fonda sul dato biblico che la presenta come termine privilegiato della benevolenza di Dio ed insieme come donna credente in perenne contatto con il mistero della salvezza personificato in Gesù suo Figlio. Il sensus fidelium, sotto l'influsso dello Spirito ha percepito nell'orizzonte della fede non solo l'esemplarità di M., ma anche la sua presenza materna lungo l'itinerario dal battesimo alla gloria. Accantonati gli schemi rappresentativi propri di altre epoche culturali che facevano di M. bambina un'adulta in miniatura (attribuzione della scienza infusa fin dal grembo materno) o la proiettavano nell'eternità (attribuzione della visione beatifica), oggi si insiste su alcuni orientamenti fondamentali. a. Nel presentare la figura di M. non si può trascurare la sua vita mistica nei suoi aspetti di accettazione integrale del primato di Dio, di comunione sponsale con lui e di docilità allo Spirito Santo. Fermarsi agli aspetti funzionali, per quanto importanti essi siano, come la maternità in rapporto a Gesù e la sua partecipazione alla storia della salvezza al servizio di Cristo unico mediatore, sarebbe arrestarsi dinanzi alla zona misteriosa che costituisce l'io profondo di M., non si penetrerebbe nel suo " cuore ", nel suo centro personale dove per la potenza dello Spirito si è realizzato l'incontro d'amore tra Dio, nel suo ineffabile mistero, e M., nella sua libera risposta. La mistica diventa una chiave ermeneutica indispensabile per un'intima conoscenza della Madre del Signore. Essa apre a quel mondo interiore, rinnovato dallo Spirito e santificato dalla presenza del Verbo fatto uomo, che ha fatto vibrare di gioia e di stupore tanti santi e fedeli contemplativi. Nonostante la perfezione della vita mistica di M., ella non appare lontana dall'esperienza dei cristiani, dato che " tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità " (LG 40). b. La vita mistica di M. dev'essere opportunamente collocata all'interno dello statuto di fede proprio della Chiesa pellegrinante. La beatitudine della fede (cf Lc 1,45) caratterizza, infatti, la personalità religiosa della Vergine di Nazaret: essa " rivela un essenziale contenuto mariologico, cioè la verità su M., che è diventata realmente presente nel mistero di Cristo proprio perché "ha creduto" " (RM 12). Ora, se la fede contiene l'aspetto illuminativo in quanto è " conoscenza della verità " (1 Tm 2,4; 2 Tm 3,7), essa differisce dalla visione definitiva e mantiene un carattere enigmatico: " Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa: ma allora vedremo faccia a faccia " (1 Cor 13,12). Questo vale anche per M., che non comprese le parole del Figlio (cf Lc 2,50) ed ha incontrato una " particolare fatica del cuore " o " notte della fede ", anzi " la più profonda kenosi della fede nella storia dell'umanità " (RM 17-18). In tale contesto sembra azzardato attribuire a M., durante la sua vita terrena, la scienza infusa e la visione beatifica. Si può, invece, supporre in lei l'esperienza, chiamata " contatto mistico ", che inabissa nel mistero della presenza divina e infonde illuminazioni speciali sulla propria identità e missione.57 Né si possono negare a M. i carismi ordinari e straordinari, tra cui la profezia e la glossolalia, che d'altronde si trovano in abbondanza nelle prime comunità cristiane. Essi coesistono con la mistica e sono al suo servizio. c. Infine, i fedeli sono invitati a sperimentare, nel proprio itinerario spirituale, la presenza esemplare e materna di M., compresa negli stadi di una più intima comunione con la Trinità. Infatti, " la pietà verso la Madre del Signore diviene per il fedele occasione di crescita nella grazia divina: scopo ultimo, questo, di ogni azione pastorale, perché è impossibile onorare la "piena di grazia" (Lc 1,28) senza onorare in se stessi lo stato di grazia, cioè l'amicizia con Dio, la comunione con lui, l'inabitazione dello Spirito " (MC 57). Il cristiano che si inerpica, non già su vie strane, ma sul sentiero collaudato dell'amore, trova in M. una sapiente mistagoga che introduce nel mistero di Dio e nelle sue vie di salvezza.58 Il mistico scorgerà in M., come in un prisma luminoso, le note caratteristiche di una vita superiore e semplificata: il senso della presenza di Dio, poiché M. è il tabernacolo escatologico dell'Emmanuele che dimora in lei (cf Mt 1,23; Lc 1,28); l'abbandono totale nelle mani del Padre secondo la sua parola (cf Lc 1,38); la libertà filiale che consegue al sentirsi amata da Dio e al lasciarsi muovere dallo Spirito (cf Lc l,28.30; At 1,14; 2,4); la riconciliazione cosmica mediante un amore materno che accoglie e unifica (cf Gv 19,25-27). M. diviene per il cristiano maturo un perenne motivo di dossologia trinitaria, perché il Dio uno e trino ha operato in lei " grandi cose " (Lc 1,49): il mistero salvifico dell'Incarnazione del Verbo e la grazia di una fede esemplare e indefettibile. Questa dossologia varcherà i limiti del tempo per divenire lode corale al Dio santo, potente e misericordioso che esalta gli umili (cf Lc 14,11; 18,14).

Note: 1 I due primi versetti del Magnificat presentano al posto del semplice " io ", le due espressioni " la mia anima ... il mio spirito " (Lc 1,6-47) che si equivalgono, secondo la legge poetica del parallelismo. Esse significano " tutta la mia persona " con una nota di intensità e di solennità (Cf A. Valentini, Il Magnificat. Genere letterario. Struttura. Esegesi, Bologna 1987, 129). Esprimono anche l'interiorità della persona perché per l'AT l'anima è la sede delle emozioni e lo spirito è la sede della vita religiosa. Si sarebbe tentati di tradurre anima con vita o con cuore, cioè il centro dinamico e libero della personalità da cui scaturiscono gli slanci dell'amore e della gioia dell'uomo religioso (spirito). Cf R. Laurentin, Magnificat. Action de grâce de Marie, Paris 1991, 71-72; 2 Cf A. Gelin, Hommes et femmes dans la Bible, Paris 1962, 166-170. Dello stesso autore è il libro classico su questo argomento Il povero nella Sacra Scrittura, Milano 1956; 3 " Il pensiero dominante del giudaismo ortodosso era che lo Spirito fosse estinto " (J. Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, I, Brescia 19762, 99; 4 Cf per esempio N. Nissiotis, Maria nella teologia ortodossa, in Con 19 (1983)8, 66-91; 5 Cf H. Chavannes, La Vierge Marie et le don du coeur nouveau, in Études marials, 27 (1970), 73-93; 6 Paolo VI, Lettera al card. L.J. Suenens, 13.5.1975. Sulla presenza di Maria, cf A. Pizzarelli, La presenza di Maria nella vita della Chiesa. Saggio di interpretazione pneumatologica, Cinisello Balsamo (MI) 1990; S. De Fiores, La presenza di Maria nella vita della Chiesa alla luce dell'enciclica " Redemptoris Mater ", in Marianum, 51 (1989), 110-144; 7 Cf L. Reypens, Rosa mystica. Marie et la mystique, in H. du Manoir (ed.), Maria. Études sur la sainte Vierge, I, Paris 1949, 745-763; K. Truhlar, Das mystische Leben der Mutter Gottes, in Greg 31 (1950), 5-38; S.M. Ragazzini, Maria vita dell'anima. Itinerario mariano alla SS. Trinità, Parigi-Roma 1960; M. Camusso, L'unione mistica mariana. Esperienza e teologia, Milano 1969; M. Schmidt - W. Breuer - J.P.H. Clark, Mystik, in R. Bäumer - L. Scheffczyk (edd.), Marienlexikon IV, St. Ottilien 1992, 564-572; 8 Origene, Commento a Luca, Fram. 17, in S. Alvarez Campos, Corpus marianum patristicum, I, Burgos 1970, n. 208; 9 Origene, Omelie su Luca, 7, in Testi mariani del primo millennio (= TMPM) 1,213-214; 10 Ibid., 217; 11 Origene, Commento a Giovanni, 1,4, in TMPM 1,206; 12 Alessandro di Alessandria riferito da Atanasio, Epistola alle vergini, in TMPM 1,239; 13 Atanasio Alessandrino, Sulla verginità, in TMPM 1,279; 14 Ambrogio, Le Vergini, in TMPM 3,163; 15 Id., L'educazione della vergine, in TMPM 3,172-173; 16 Id., Esposizione del Vangelo secondo Luca, in TMPM 3,183; 17 Id., Commento al Salmo 118, in TMPM 3,196; Id., Esposizione del Vangelo secondo Luca, in TMPM 3,185; 19 Tito di Bostra, Commento a Luca, in TMPM 1,287; 20 Teodoro di Ancira, Omelia IV sulla Santa Madre di Dio e Simeone, in TMPM 1,505; 21 Severo di Antiochia, Omelia LXVII su Maria Santa Madre di Dio e sempre Vergine, in TMPM 1,650; 22 Pseudo-Atanasio, Omelia sull'annunciazione della Madre di Dio, in TMPM 1,774-775; 23 Sofronio di Gerusalemme, Omelia sull'annunciazione, in TMPM 2,145; 24 Massimo il Confessore, Vita di Maria, in TMPM 2,193 e 196; 25 Dionigi il Certosino, Enarr. in cap. 3 Cant. Cant. XI, 6; 26 Raimondo Giordano, Contemplationes de Beata Virgine, pars XVII, 1; 27 Gioacchino da Fiore, Expositio in Apocalypsim, Venetiis 1527, intr., 9, f. 11v; 28 Id., Liber concordiae Novi ac Veteris Testamenti, Venetiis 1519, IV, 2, f. 43v; 29 Ibid., f. 29v; 30 Bernardo di Chiaravalle, Sermo 29 in Cant.; 31 S. Tommaso d'Aquino, STh III, q. 27. a. 3; 32 Pietro il Venerabile, Epist. III, 7: PL 189,283-304; 33 Tommaso da Kempis, Sermoni ai novizi, XXV, in Thomae Hermerken a Kempis opera omnia, VI, Freiburg 1910, 231-239 (tr. it. in Tommaso da Kempis, Imitazione di Maria, Roma 1982, 18); 34 S. Teresa di Gesù, Pensieri sull'amore di Dio VI, 8; 35 S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo III, 2,10; 36 P. de Bérulle, Vie de Jésus; 37 Cf S. De Fiores, La figura di Maria nel Trattato della vera devozione, in MImm 19 (1983), 59-61; 38 Michele di S. Agostino, Vita Mariaforme, Roma 1982, 34-35; 39 S. Alfonso M. de' Liguori, Le glorie di Maria, II, discorso 7: Dell'assunzione di Maria, punto 2; 40 Ibid., Introduzione (in fine); 41 Memorie autobiografiche [di s. Giovanni Bosco], XVII, 557; 42 Archimandrita Sofronio, Silvano del Monte Athos, Torino 1978, 352; 43 S. Thérèse de l'Enfant Jésus, Novissima verba, Lisieux 1926, 64; 44 L. Reypens, Rosa..., o.c., 745-763; 45 Ibid., 749; 46 Ibid., 748-750; 47 Ibid., 760-761; 48 J. Galot, La sainteté de Marie, in H. du Manoir (ed.), Maria. Études sur la sainte Vierge, t. 6, Paris 1961, 417-448. Già F.M. Willam nella Vita di Maria la madre di Gesù (Brescia 1949) riteneva che " non solo prima, ma anche dopo l'annunciazione Maria forse non conobbe perfettamente il mistero della Santissima Trinità, nella sua essenza " (p. 238); 49 Ibid., 443-446; 50 Gabriele di S. Maria Maddalena, Aspetti e sviluppi della grazia in Maria santissima secondo la dottrina di san Giovanni della Croce, in RivVitSp 5 (1951), 52-70; 51 Ibid., 68-69; 52 K. Truhlar, Das mystische..., a.c., 5-34; 53 V. Macca, Maria Santissima, in DES, II, 1126-1127; 54 T. Goffi, Spiritualità, in NDM, 1367; 55 " Lo Spirito Santo operò una duplice purificazione nella beata Vergine. La prima quasi preparatoria alla concezione di Cristo, non riguardò qualche impurità di colpa o di fomite, ma raccoglieva maggiormente la mente in una cosa sola e sollevandola dalla molteplicità. Infatti si dice che sono purificati anche gli angeli nei quali non si trova nessuna impurità (come afferma Dionigi nel cap. 6 di Eccles. Hier.). Un'altra purificazione ha operato in lei lo Spirito Santo mediante la concezione di Cristo che fu opera dello Spirito Santo. E, secondo ciò, si può dire che la purificò totalmente dal fomite " (S. Tommaso d'Aquino, STh III, q. 27. a. 3, ad 3); 56 Cf C. Albrecht, Psychologie des mystischen Bewussteins, Bremen 1951; 57 Per la puntualizzazione circa la " scienza " in Gesù, compresa la teoria di J. Galot che sostituisce alla visione beatifica il " contatto mistico filiale ", cf A. Amato, Gesù il Signore. Saggio di cristologia, Bologna 1988, 381-402; 58 Cf S. De Fiores, Maria madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica, Bologna 1992, 334-346 (" Maria introduce nella logica di Dio ").

Bibl. Si rimanda ai testi citati nelle note.

S. De Fiores

MARIA DELL'INCARNAZIONE. (inizio)

I. Vita e opere. Chiamata la s. Teresa d'Avila del Canada, M. nasce in una famiglia di mercanti di seta a Tours il 28 ottobre 1599, con il nome di Marie Guyart e muore nel 1672. A solo sette anni Cristo le appare in sogno chiedendole: " Sarai mia? " Dopo aver risposto sì, M. scopre di essere profondamente attratta dalla bontà. Pur sentendosi destinata alla vita religiosa, M. si sottomette al volere dei genitori sposando Joseph Claude Martin. Suo marito muore lasciandola con un figlio e con un'azienda in fallimento quando lei ha solo ventun anni. Vivendo in penitenza e in una profonda vita mistica, M. si guadagna da vivere aiutando sua sorella e suo cognato nelle faccende domestiche e negli affari. Vincendo il suo istinto materno, affida suo figlio undicenne a sua sorella ed entra nel monastero delle Orsoline di Tours il 25 gennaio 1632. Scrivendo a suo figlio, quarant'anni più tardi, M. ammette che lasciarlo è stato come " una morte in vita " che strappa l'anima dal corpo. Il padre spirituale di M. accetta la sua inusuale richiesta, ossia quella di abbracciare la vita religiosa, a motivo della sua straordinaria vita interiore. Infatti, dopo due mesi dalla sua entrata nel convento delle Orsoline, M. sperimenta l'apice mistico. Nel 1635 fa un sogno misterioso: lei ed una sua compagna vengono condotte in una terra spaventosa e misera sulla quale contemplano la Vergine benedetta e il Cristo bambino.

Successivamente, lo Spirito di Gesù la invia in missione in Canada per redimere le anime in Cristo, instillando nella sua anima la mistica del preziosissimo Sangue. Dio Padre la istruisce per perorare la sua causa attraverso il Sacro Cuore di Gesù e rafforza la sua vita mistica.

Tre anni dopo, M. incontra la donna che le era apparsa in sogno, Madeleine de la Peltrie, con la quale lei ed altre due suore Orsoline salperanno per il Canada nel 1639. Non molto tempo prima della sua partenza per il Canada, M. ha la visione di un " edificio di straordinaria magnificenza. Tutto ciò che riuscivo a vedere era l'edificio adornato di corpi crocifissi, invece di essere edificato con le pietre. Alcuni avevano trafitte solo le gambe ed altri invece erano appesi poco più in alto. Alcuni erano crocifissi ai fianchi mentre altri avevano crocifisso tutto il corpo. Ma solo quelli che erano crocifissi completamente sopportavano volontariamente il loro patimento ".

Dopo un tormentoso viaggio, M. e le sue compagne giungono a Québec. M. è la prima donna missionaria del nuovo mondo. Nonostante la malattia, la povertà e la stanchezza fisica - così come le intimidazioni, gli omicidi dei missionari e le false imputazioni delle tribù ostili - M. e le altre suore missionarie fondano un monastero ed una scuola per ragazze indigene. Conoscendo la lingua degli Algonchini, dei Montagniti, degli Uranidi e degli Irochesi, M. scrive in queste lingue catechismi e dizionari.

Suo figlio, dom Claude Martin, diviene in seguito un famoso benedettino che colleziona e pubblica le sue lettere.

Le lettere di M. offrono spunti interessanti per il loro intrinseco misticismo e sono una fonte di studio per la storia canadese del sec. XVII.

Dietro richiesta di dom Claude, M. gli invia anche le sue due autobiografie spirituali note con i titoli di: La relazione del 1633 (un resoconto della sua vita interiore dall'infanzia fino al 1633) e La relazione del 1654 (anch'essa un resoconto della sua vita interiore che va dall'infanzia fino al 1654).

II. Dottrina. Quest'ultima opera è considerata il suo capolavoro e, tra tutti i suoi scritti, è quello che rivela maggiormente la sua straordinaria vita mistica. I dati che caratterizzano l'opera sono: la spontaneità, l'umorismo, la sincerità, un amore appassionato per Dio e per il prossimo, il desiderio di fare del bene al servizio di Dio, una grande varietà di esperienze mistiche e l'analisi sugli stati complessi dell'anima espressi con una sicurezza ed una finezza psicologica straordinarie. Nel resoconto del 1654, vengono alla luce cinque aspetti fondamentali della sua vita interiore: 1. Solo chi è passato attraverso tutti gli stati mistici ed ha raggiunto una piena maturità spirituale avrebbe potuto scrivere quest'opera. Per esempio, durante il processo di unione sponsale con la Parola divina, M. afferma che Dio le accorda delle premonizioni prima di grandi grazie, in modo da consentirle un'adeguata preparazione. Quando ha solo ventisei anni, ha delle illuminazioni trinitarie in rapporto agli attributi divini che la spingono verso l'amore profondo della Trinità. Poco dopo, sperimenta l'unione estatica con la Parola, che l'assume come sua sposa, e con lo Spirito Santo che la rende capace di rispondere a questa grazia. Infine, attraverso il " dono più grande di tutti " sperimenta il mistero della permanenza di Dio nella Trinità: il Padre è suo Padre, la Parola suo Sposo e lo Spirito Santo il principio operativo di tutta la sua attività. Illuminata e infiammata dall'amore, la sua anima canta " un perpetuo inno nuziale ". 2. I suoi tredici stati di preghiera non ricalcano il modello " classico " dell'ascesa mistica. Per esempio, molto tempo dopo la sua unione trasformante con la Trinità, M. sperimenta misticamente la differenza tra il suo " spirito " e la sua " anima ", in modo purificatore e perfino infernale. Nonostante l'esperienza continua della permanenza dell'Uno e Trino nelle profondità dello spirito, il senso della purezza di Dio e della sua santità instilla in lei un'acuta percezione delle sue imperfezioni e dei suoi errori. La spada divina che separa lo Spirito dall'anima pulisce gli " angoli e le tortuosità della natura corrotta ". Così grande è questo purgatorio che M. parla di una " disperazione " che la tenta di gettarsi nell'inferno. Sperimenta perfino la possessione da parte di uno spirito maligno e di un altro spirito che, contrastando quest'ultimo, lo vince. 3. Inoltre, l'opera illustra l'apprezzamento mistico di M. per la Sacra Scrittura. Ogni qualvolta parla di cose che riguardano la fede e la morale afferma che alcuni brani in relazione con la Scrittura le sono entrati nella mente e l'hanno illuminata. Dio l'ha trasformata non solo con la sua attività interiore, ma anche attraverso queste illuminazioni bibliche. La Sacra Scrittura è così strettamente legata alla sua vita che M. " ha la reputazione di non parlare mai se non con frasi tratte dalla Sacra Scrittura ". 4. Perfino nei più alti stati di preghiera, nei quali Dio lega le sue facoltà interiori, la preghiera di M. contiene un fondamento catafatico. Per lei anche l'ultimo pensiero di questi misteri divini, che si riferiscono alla Parola incarnata, infiamma l'anima. 5. L'amore di M. per la sua croce culmina nello stato dell'essere vittima, cioè in uno stato di perfetta povertà spirituale che " solo Dio ha in mente ". Attraverso la penitenza e le oscure notti dei sensi e dello spirito, Dio le concede lo stato di vittima, attraverso il quale ottiene la " vera e sostanziale povertà dello spirito ". Con le ultime tracce della autovolontà rimossa, il suo spirito canta un canto d'amore perpetuo, di completa sottomissione alla volontà di Dio, un canto di adorazione e di perfetta unione in Dio. Sebbene relativamente poco conosciuta, M. risulta essere così una delle più profonde ed attraenti figure della tradizione mistica cristiana di tutti i tempi.

Bibl. Opere: B. Maria dell'Incarnazione, Autobiografia mistica, a cura di Ch.-A. Bernard, Cinisello Balsamo (MI) 1987. Studi: G. Boucher, Du centre de la croix. Marie de l'Incarnation... Symbolique spirituelle, Sillery-Québec 1976; H.D. Egan, Maria dell'Incarnazione, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 543-555; F. Jett, La voie de la sainteté d'après Marie..., Ottawa 1954; Id., The Spiritual Teaching of Marie of the Incarnation, New York 1963; F. Klein, L'itinéraire mystique de la V. Marie..., Rome 1937; I. Mahoney (ed.), Marie of the Incarnation. Selected Writings, Mahwah, N.J. 1989; M. Oury, Marie de l'Incarnation, in DSAM X, 487-507; Id., Marie de l'Incarnation, 1599-1672, 2 voll., Québec-Solesmes-Tours 1973; Madame de la Peltrie, Québec-Solesmes 1974; G. Thiry, Marie de l'Incarnation, itinéraire spirituel, Paris 1973; J. Weismayer, s.v., in WMy, 344-345.

H.D. Egan

MARIA DI GESÙ. (inizio)

I. Vita e opere. Maria Lopez Rivas nasce a Tartanedo, paesino del Feudo di Molina di Aragón, nella provincia di Guadalajara, il 18 agosto del 1560.

I suoi genitori sono Anton o Antonio e Elvira, di famiglia benestante. Morto suo padre, trascorre l'infanzia e la gioventù a Molina, non lontano dal paese natale.

Guidata dal gesuita, padre Castro, entra nel convento delle carmelitane di Toledo, fondato da s. Teresa. Ha allora diciassette anni. L'8 settembre del 1578 fa la professione tra le carmelitane, con la ferma decisione di servire il Signore e Maria nel silenzio del chiostro carmelitano.

E significativo che proprio s. Teresa, convivendo con lei a Toledo nel 1580, le chieda consigli e la definisca sua letradillo (= piccolo dottore) per i suoi validi consigli.

Successivamente diviene maestra delle novizie, vicepriora e poi priora. La comunità delle monache carmelitane di Toledo è testimone della sua umiltà, della sua semplicità, della sua forte vita interiore e della sua delicatezza nel servizio fraterno. Fedele erede dello spirito teresiano, lo sa infondere alle sue consorelle.

Si pongono in luce queste qualità e in modo edificante, quando è deposta ingiustamente dal suo incarico di priora da un superiore imprudente. Non perde la pace interiore e, alla fine, le sue virtù si impongono.

Durante gli ultimi anni della sua vita, gode fama di santità e stima delle persone che la circondano. E specialmente edificante l'amicizia che ha a Toledo con il venerabile padre Michele de La Fuente, che può seguirsi passo passo, attraverso una preziosa ed estesa dichiarazione della stessa M. in occasione del processo di beatificazione del Venerabile. E un'amicizia spirituale intima tra i due grandi carmelitani al finire del sec. XVI e per un caso assai curioso della storia i suoi resti mortali riposano nel medesimo recinto del convento toledano delle carmelitane.

M. è devotissima dell'Eucaristia, del Bambino Gesù, della Vergine nel mistero della sua Assunzione. Piena di meriti, muore il 13 settembre del 1640. Sebbene ci siano abbondanti e decisive testimonianze delle sue virtù, il processo di beatificazione non inizia fino al 1914; introdotta la causa nel 1926 Paolo VI la proclama beata il 14 novembre del 1976. M. non ha lasciato il resoconto delle grazie ricevute perché ha bruciato i suoi quaderni, scritti per ordine dei confessori, ma si conserva qualche insegnamento della sua vita tratto dalle lettere. Joaquin de la Sagrada Famiglia ha pubblicato l'Epistolario di M.

II. Esperienza mistica. Le sue lettere rivelano grande semplicità e candore nonché un'eccezionale ricchezza di grazie di contemplazione e di carismi. Il riferimento costante al S. Cuore di Gesù si integra con la devozione specifica al SS.mo Sacramento e al preziosissimo Sangue. E anche notevole il richiamo all'infanzia del Cristo associato alla devozione a Maria Santissima che lei venera particolarmente come Assunta in cielo. L'appellativo di " piccolo teologo " usato da s. Teresa d'Avila nei suoi confronti rimane qualificante della sua personalità.

Bibl. V. Macca, Maria di Gesù, in Aa.Vv., Santi del Carmelo, Roma 1972, 271-273; I. Rodríguez, s.v., in DSAM X, 507-508; Simeón de la S. F., María de Jesús, el " letradillo " de S. Teresa, in El Monte Carmelo, 82 (1974), 267-316; Valentin de la Cruz, Vida y mensaje de María de Jesús, Burgos 1976; Valentino di S. Maria, s.v., in BS VIII, 1004-1006; B. Velasco Bayon, Miguel de la Fuente, Roma 1970.

B. Velasco

MARIA DI GESÙ D'AGREDA. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce ad Ágreda in Spagna nel 1602 da Francesco Fernández Coronel e da Caterina Araña e muore nel 1665 nella medesima città. Vive in un ambiente familiare di intensa religiosità. Dopo che suo padre, insieme a due fratelli, si è ritirato nel convento francescano di Sant'Antonio di Nalda, ella, con il sostegno della madre, trasforma la sua casa in un convento. Nel 1627 è eletta priora e conserverà questo incarico fino alla morte. I fenomeni mistici che accompagnano la sua vita svaniscono quando ella chiede di essere privata delle estasi sensibili per non esporsi a sguardi indiscreti. Continua, però, ad avere visioni di Gesù sofferente, tutto piagato, che l'esorta a soffrire per suo amore in una vita di unione con Dio. Le penitenze sono particolarmente austere: dorme solo due ore al giorno sul nudo pavimento, si flagella a sangue, porta cilici, per tre giorni alla settimana si nutre di pane e acqua. Nel suo desiderio di salvare anime riceve il dono della bilocazione presso gli Indiani del Nuovo Messico ai quali annunzia il messaggio cristiano, come testimoniato da un missionario recatosi in seguito sul luogo. Nel 1637 inizia a scrivere la Mistica città di Dio e Vita della Vergine, su ordine del confessore. Questa prima stesura viene distrutta per ordine di un confessore di passaggio nel monastero. Nel 1650, un nuovo confessore le ordina di riscrivere la vita della Madonna nonché la sua, descrivendo le grazie singolari ricevute da Dio. In cinque anni (1655-1660) riscrive una seconda copia perfettamente conforme alla prima tranne piccoli dettagli. Oltre che nella gestione del monastero si prodiga per la pace delle nazioni, scrivendo ad Alessandro VII ( 1667); ha una lunga corrispondenza con Filippo IV di Spagna ( 1665), cui offre consigli di alta spiritualità per l'anima e sagge indicazioni per il buon governo. Tra gli altri scritti, che meritano di essere citati, ricordiamo: Esercizi quotidiani e dottrina per compiere le opere con una maggiore perfezione (1712); Autobiografia, pubblicata nel vol. V dell'ultima edizione spagnola della Mistica città di Dio (1914); Scala spirituale per ascendere alla perfezione (1916); Leggi della Sposa tra le figlie di Sion dilettissima, apice del suo casto amore (1916). L'opera principale di M., che fu pubblicata solo dopo la sua morte è una delle più originali vite della Madonna, scritte nel ’600. Narra la vita della Vergine seguendo, nell'ordine narrativo, il criterio cronologico: dalla predestinazione della Vergine all'Incarnazione (l.7-8); dall'Incarnazione alla ascensione di Cristo (l.3-6); dall'ascensione alla incoronazione della Vergine (l.7-8). La figura principale, la Vergine Maria, è la protagonista del cielo, nella cui " città mistica " abita Dio, il quale si compiace della immacolata dimora della Vergine. Si tratta di una " storia divina " e non umana della Vergine Maria totalmente scritta per rivelazione privata, fatta alla veggente nelle sue contemplazioni teofaniche.

Pur nell'accoglienza favorevole, la Mistica città di Dio ha avuto critiche e riserve da parte di molti studiosi.

II. Insegnamento mistico. La mariologia affermata nell'opera di M. risente dei forti influssi francescani del tempo: l'immacolata concezione, l'assunzione, la corredenzione, la mediazione universale, la regalità, il ruolo di madre e maestra di Maria nell'ambito della Chiesa. In questo clima di intensa devozione mariana s'inseriscono tesi che sotto il profilo teologico difficilmente troverebbero una giustificazione come " la visione chiara della divina essenza in Maria Santissima " e " la visione astrattiva della divinità avuta da Maria Santissima " (l.1, cap. XIV). Al di là della " povertà scientifica " e della " prolissità " del dettato (Görres) nelle esortazioni morali che fanno quasi da antitesi alla dimensione mistica sempre presente, l'opera mostra un certo valore devozionale. Ciò non toglie che non si possano raccogliere valori morali e mistici in un libro in cui la tensione mistica non viene mai meno. E sulla rilevante personalità mistica di M. non sorgono dubbi da parte degli specialisti (B. Jiménez Duque) poiché ella sperimentò la morte mistica in grado eminente con la passività (morte a tutte le sue potenze purificate radicalmente) e con l'attività conseguente nel fare e rifare le vie della perfezione con un sempre maggiore grado qualitativo. Fu dotata di percezioni supernormali, di visioni, di locuzioni che appartengono ai fenomeni mistici. La molteplicità della morte mistica - in lei avvenuta tre volte - e la sua irreversibilità caratterizzano la sua personalità con una connotazione mistica straordinaria che si accompagna ad un senso lucido di realismo nelle relazioni umane: " I due poli sui quali poggia la vita del giusto consistono nel procurare l'amicizia con Dio con se stessi e con il prossimo " (Massime e riflessione). Tra le relazioni umane, ella dà molta importanza a quella con il direttore spirituale, considerato come colui che verifica e determina la possibilità di un'autentica esperienza mistica.

Bibl. Opere: Mística ciudad de Dios. Vida de la Virgen Maria, C. Solaguren (cura di), Madrid 19822. Studi: Antonio M. da Vicenza, Vita della Ven. suor Maria d'Agreda, Bologna 1870; Id., Della mistica città di Dio.... Allegazione storico-apologetica, Bologna 1873; A. Blasucci, s.v., in BS VIII, 995-1002; Id., La " Mistica città di Dio " di Maria d'Agreda, in MImm 2 (1966), 286-292; J. Campos, s.v., in DSAM X, 508-513; J. van den Ghein, s.v., in DTC I, 627-631; P. Juan-Tous, s.v., in WMy, 345-346; P. Pourrat, La spiritualité chrétienne, III, Paris 1927, 341-343; A. Winklhofer, s.v., in LThK I, 207.

P. Zovatto

MARIA MADDALENA DE' PAZZI (santa). (inizio)

I. Vita e opere. La storia della vita di questa carmelitana, nata nel 1566 e morta a Firenze, all'età di quarantuno anni, nel 1607, è quella di una mistica che, consapevolmente, ha scelto, fin dalla sua giovinezza, di vivere in maniera gioiosa le verità della fede. Già a dieci anni, M. ha consacrato la sua verginità a Dio per divenire sposa dell'amato Gesù. Sua madre rivela che la fanciulla è solita rimanere impietrita in diverse ore della giornata, rimanendo immobile in una posizione per lungo tempo. Ancora piccola studia il Credo ambrosiano. I passi riguardanti la Trinità si radicano in lei formando il tema cui si riferirà durante tutta la sua vita.

Successivamente, compone e recita quotidianamente una preghiera in onore della beata Trinità che insegna alle sue novizie, portandone su di sé una copia fino al giorno della morte. Sebbene sia probabile che M. conosca la vita e le opere di alcuni mistici, come ad esempio quelle di s. Giovanni della Croce o di s. Teresa d'Avila, è certo che non ricalca la loro vita. Si ispira, invece, a s. Caterina da Siena. Alcuni confessori gesuiti guidano i suoi primi passi iniziandola alla vita spirituale ed ella conosce, così, gli Esercizi di s. Ignazio.

La sua meditazione cade spesso sulla bellezza della Trinità, che è solita chiamare il " Non Creato " o " Trinità Individuale ", sui misteri dell'umanità del Cristo Redentore, sul suo Sangue prezioso e sulla creatura umana, che definisce una Trinità " creata " o " ri-creata ". M. abbraccia l'Ordine carmelitano poiché i suoi membri hanno lo speciale privilegio di ricevere ogni giorno la Comunione, cosa straordinaria per quei tempi.

Dopo una malattia che la colpisce nei primi anni di vita religiosa, ogni giorno, per quaranta giorni, dopo la comunione, M. va in estasi per due o tre ore ed ha fenomeni mistici diversi. Le sue consorelle trascrivono le parole pronunciate durante tali estasi: le espressioni usate da M. sono, di solito, talmente belle che, in quei momenti, le stesse croniste vengono sopraffatte dall'emozione.

In questo modo sono compilati cinque volumi, successivamente posti al vaglio della Santa Sede, come pure le " opere " della santa.

M. ha scritto molto poco, appena poche lettere durante le estasi al Carmelo. Non ha pronunciato alcun sermone e, se non fossero state trascritte le sue parole durante le estasi, oggi noi non avremmo i sette volumi e il relativo commento ufficiale del prof. mons. Fulvio Nardoni (Firenze 1960-1966).

Negli anni immediatamente successivi alla sua morte si verificano alcuni miracoli a conferma della sua santità. E beatificata nel 1626 e canonizzata nel 1669.

II. Esperienza mistica. Pochi mistici hanno sperimentato come lei tanti fenomeni in un'esistenza così breve. Sperimenta invisibili stimmate, il fenomeno cosiddetto della cardiografia, cioè le viene scritto nel cuore, riceve abbracci e baci da Gesù e da Dio Padre, lo scambio del cuore con la Vergine Maria e con Gesù, dal quale riceve in dono, per diverse volte, il " fardello della passione ". Parecchie volte sperimenta le nozze mistiche con il Cristo. In breve, la sua vita è un succedersi di visioni, di mistiche liturgie " plasticamente vissute ", di estasi, di sofferenze e di tribolazioni. Conosciamo non meno di 429 fatti straordinari di cui è stata protagonista. Questi sono narrati, oltre che nelle trascrizioni delle monache, in cinque volumi di rapporti redatti dalle autorità ecclesiastiche per accertare la sua santità.

A differenza di alcuni mistici che hanno messo in risalto le sensazioni sperimentate durante le loro estasi, M. preferisce sottolineare il particolare mistero di fede sperimentato durante questi fatti straordinari. La sua dottrina, pertanto, non è racchiusa in un trattato generale anche perché, come già detto, tutto quello di cui siamo in possesso si riduce ad una trascrizione delle sue espressioni durante le estasi, cosa non sempre facile. Spesso, infatti, le monache devono correrle dietro mentre, quasi letteralmente, " veleggia " per il convento, come se stesse interpretando i vari episodi della vita di Cristo.

Dopo la sua morte, comunque, tutte le monache della comunità giurano solennemente di aver raccontato fatti assolutamente veri. Con il passare del tempo, la santa comprende che le sue estasi, suscitando ammirazione nelle consorelle, interrompono il normale svolgimento della vita del monastero e prega per ottenere da Dio la cessazione di questi fenomeni. Dio la mette alla prova facendole vivere cinque anni di tormentose avversità che M. chiama il " lago dei leoni ". E tentata di disperare della sua forza, teme di essersi sbagliata ed ha, durante questi cinque anni, la continua visione del diavolo, ma sa resistere a tutte queste prove.

Durante le estasi, Dio le ha rivelato i più intimi misteri della Trinità e in che modo il Sangue di Cristo ha ottenuto al genere umano di raggiungere il Padre celeste, e questo diventa la sua forza.

Durante le estasi, divise in serie, M. ha come guide angeli, santi ed anche le Persone della SS.ma Trinità che le indicano la strada. In una di queste visioni della prima serie, visita i tredici gironi del purgatorio. La seconda serie, chiamata Locuzioni, si riferisce alla festa di Natale del 1584. L'ultima si verifica durante la festa di Pentecoste e nel suo ottavario, nell'anno 1585. Durante questa settimana di " rivelazioni e conoscenze ", quasi ininterrottamente si susseguono manifestazioni e visioni, tanto che M. può riposarsi e nutrirsi solo per un paio d'ore.

E proprio in questa settimana che il Padre le annuncia la famosa prova. Per cinque anni, ogni Persona della Trinità mette alla prova la sua fede e il suo orgoglio, facendole sentire un grande abbandono. In una delle rare estasi di questo periodo M. sperimenta per la terza volta la passione del Cristo. Proprio in questa occasione, il suo corpo raggiunge un rigor mortis tanto pronunciato da indurre le consorelle a pensare che sia davvero morta ma, finita l'estasi, M. si alza, apparendo più sana che mai. In altre occasioni, M. è solita compiere misteriose azioni come, ad esempio, guardare attraverso una finestra un'anima abbandonata alle pene dell'inferno, oppure pronunciare una scomunica contro la regina Elisabetta I d'Inghilterra ( 1603) perché ha offeso la Chiesa. Durante questi cinque anni, implora Dio ripetutamente per ottenere di tornare ad essere una monaca qualsiasi nella normale vita della comunità. Il " nudo patire " diviene il suo più fervido desiderio e, nel 1604, viene esaudita. Di questo periodo abbiamo poche registrazioni delle sue estasi.

M. dimostra anche di possedere il dono della profezia, insistendo sul fatto che un certo cardinale in visita al convento, sarebbe in seguito stato eletto Papa. Infatti, il card. Alessandro de' Medici diviene Papa (1605), con il nome di Leone XI anche se dopo la sua elezione resta in vita solo tre settimane.

Anche quando le estasi e le visioni sembrano finite, M. continua la sua eroica opera di carità, di utilità e di obbedienza nella comunità carmelitana, anche se, per un breve periodo, è considerata una persona stravagante.

Ciò che più colpisce della sua vita è il fatto che il suo itinerario non è stato un'" Ascesa al Monte Carmelo ", culminante, dopo diversi stadi, in uno sposalizio con il divino, ma, piuttosto, la storia di una persona rapita in regni mistici, nonostante la sua volontà, che arriva al matrimonio mistico ancora giovane.

III. Insegnamento spirituale. La sua posizione teologica non è totalmente in accordo con la visione teologica del suo tempo. M. non riesce a comprendere perché mai Dio non possa indurre un'anima a convertirsi. M. afferma che l'anima nel piano di Dio è superiore a quando viene creata. E solita raffigurare la purezza come la fonte generatrice dell'esistenza trinitaria. Sostiene che la Trinità è stata imperfetta fino al momento dell'Incarnazione e afferma di " aver visto " l'unità della Trinità che si rivolge solo a pochi eletti esseri umani.

Dichiara che il Padre è l'artefice della Trinità rendendo le altre due Persone uguali a sé fin dall'eternità, a ciò dà il nome di " unione trasformante ". Afferma che le virtù personificate o astrazioni come, ad esempio, la saggezza, la bontà o l'" amore armonico " di Dio, possono essere considerate una guida che conduce l'anima a lui. Alcune delle sue idee, invece, non sono pienamente accettate ai suoi tempi, come, ad esempio, quella dell'Immacolata Concezione.

Non c'è dubbio che la grande quantità di messaggi, di studi e di analisi che si potrebbero fare dei suoi simboli e dei suoi riferimenti, resta un patrimonio ricchissimo per la Chiesa di tutti i tempi.

Bibl. Opere: F. Nardoni (cura di), Tutte le opere di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, 7 voll., Firenze 1960-66; ...I quaranta giorni. Trascrizione dall'originale con introduzione e note di O. Steggink, Roma 1952. Si conservano, inoltre, ventisette Lettere ed un opuscolo di Ammaestramenti e Avvisi dati fuori di ratto, raccolti

dalle novizie della santa, di natura marcatamente ascetica. Studi: E. Ancilli, s.v., in DSAM X, 576-588; Id., Santa Maria Maddalena de' Pazzi: Estasi, Dottrina, Influsso., Roma 1967; G. von Brockhusen, s.v., in WMy, 343-344; F. Candelori, Il mistero di Maria nella vita e nelle opere di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, Roma 1985; C. Catena, Santa Maria Maddalena de' Pazzi carmelitana; orientamenti spirituali ed ambiente in cui visse, Roma 1966; E. Larkin, A Study of Ecstasies of the Forty Days of St. Mary Magdalene de' Pazzi, in Carm 1 (1954), 29-72; P. Moschetti - B. Secondin, Maddalena de' Pazzi, mistica dell'amore, Milano 1992; B. Papasogli - B. Secondin, La parabola delle due spose: vita di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, Torino 1976; G. Pozzi, Maria Maddalena de' Pazzi. Le parole dell'estasi, Milano 1984; B. Secondin, Gesù Cristo-Chiesa-Vita Religiosa: esperienza e dottrina di Santa Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607), Roma 1974; Id., Santa Maria Maddalena de' Pazzi; esperienza e dottrina, Roma 1974; A. Verbrugghe, The Image of the Trinity in the Works of St. Mary Magdalene de' Pazzi, Roma 1984.

A. Verbrugghe

MARITAIN JACQUES E RAISSA. (inizio)

I. Vita. Due ragazzi di vent'anni, Jacques (1882-1973) e Raissa (1883-1960) assai diversi per temperamento ed origine. Lui, educato nel protestantesimo liberale; lei, ebrea, di origine russa, nazionalizzata francese. Né lui né lei praticano la loro religione. Tutti e due tormentati dagli stessi problemi ai quali i professori della Sorbona di Parigi non sanno dare risposte: esiste una verità oggettiva? Qual è lo scopo della vita? Perché la sofferenza e l'ingiustizia? Jacques, laureato in filosofia, frequenta la facoltà di scienze, ove incontra Raissa. Presto diventano amici inseparabili. Hanno lo stesso interesse per la filosofia, l'arte, la poesia, gli stessi desideri di giustizia, gli stessi tormenti interiori. Un immenso vuoto interiore li rende infelici. La loro angoscia metafisica li spinge sull'orlo della disperazione. " Se dobbiamo rinunciare a trovare un senso alla parola verità, una distinzione tra il bene e il male... allora non è possibile vivere da uomini ". Rifiutano di vivere nel buio, cercano la luce.

Si vogliono un gran bene. Quell'amore vero e profondo, insieme ad un desiderio struggente di verità, li salva dal suicidio. Una conferenza di H. Bergson, professore al College de France, li sconvolge. Il noto filosofo sveglia in loro il senso dell'assoluto quando afferma che l'uomo può conoscere la verità e, mediante l'intuizione, può anche raggiungere l'Assoluto. Tutti e due sono presi da un entusiasmo travolgente: la vita vale dunque la pena di essere vissuta!

Decidono di sposarsi. Cammineranno insieme alla ricerca della verità. Bussano alla porta di L. Bloy, famoso scrittore cattolico anticonformista. Per quel " profeta dell'assoluto " esiste una sola tristezza: il non essere santo. Perciò egli non si mette a discutere sui problemi filosofici dei suoi due giovani visitatori, ma affronta subito il problema essenziale: la santità. Si mette a leggere ad alta voce alcune pagine di Ildegarda di Bingen, di Angela da Foligno, del mistico Ruusbroec.

Quei capolavori di umanità e di grazia che sono i santi, commuovono L. Bloy. Piange di gioia. La fede viva dell'anziano scrittore colpisce profondamente i due giovani agnostici. " Per noi, diranno più tardi, la santità dei santi è stato l'argomento determinante ".

Chiedono di entrare nella Chiesa cattolica. La grazia del battesimo diventa per loro l'inizio di un cammino di fede rapido e ripido. Incontri con mistici e contemplativi - sacerdoti, religiosi e laici - sono per loro " veri doni del cielo ".

Ben presto Raissa scopre in s. Teresa d'Avila " le vie dell'orazione mentale e della contemplazione ". Ne rimarrà conquistata per tutta la vita. La scienza e la vita mistica di s. Tommaso d'Aquino affascinano prima Raissa, poi Jacques. Tutti e due hanno doni di intimità con Dio. Divorano i libri di spiritualità. L'armonia profonda delle loro anime e l'intimità con Dio li riempiranno di " una felicità inesauribile ".

Da autentici " contemplativi nel mondo " si fanno apostoli della chiamata universale alla perfezione della carità, quindi apostoli della chiamata alla vita mistica. Accoglieranno nella loro casa di Meudon, vicino Parigi, filosofi, letterati, artisti, poeti, teologi, tutti attratti dall'irraggiamento culturale e spirituale dei due coniugi. Organizzano conferenze, incontri culturali, ritiri spirituali, riunioni di preghiera. Nella loro vita quotidiana, l'orazione mentale ha un posto privilegiato. Scrivono libri di spiritualità per rivelare le meraviglie che Dio opera nell'anima dei battezzati. Quei libri, pensati e scritti in collaborazione, sono frutto soprattutto di una comune esperienza di Dio, specialmente Vita di preghiera (Roma 1979) e Liturgia e contemplazione (Roma 1979).

II. Insegnamenti sulla vita mistica. Jacques e Raissa insistono sulla chiamata di tutti alla vita mistica e alla contemplazione, appello prossimo per certuni, remoto per altri, contemplazione tipica, grazie ai doni intellettuali di sapienza e di intelligenza per taluni, contemplazione nascosta per altri, in cui predominano i doni attivi dello Spirito Santo. La contemplazione mistica, spiegano, non è altro che il normale e perfetto sviluppo della grazia battesimale, delle virtù teologali e dei doni dello Spirito Santo. È impossibile raggiungere la perfezione della carità senza vita mistica, ove domina ed opera abitualmente lo Spirito Santo, autore principale della santità.

" Per ciò che concerne in particolare la vita spirituale, il vero ed autentico bisogno del nostro tempo, scrivono i M., è quello di comprendere che oggi la contemplazione chiede non di lasciare i chiostri e i conventi, ma di uscire e di espandersi fuori "; la contemplazione chiede " di scendere nelle strade del mondo ". " Questa vita di unione con Dio, che dipende dall'iniziativa e dal sostegno abituale dello Spirito Santo, non è riservata ad una aristocrazia di privilegiati, ma è offerta ad ogni condizione sociale e a qualsiasi grado di cultura umana ". Jacques e Raissa hanno una vita interiore intensa ed una vita esteriore molto attiva. Professore di filosofia assai noto in Francia e in America, Jacques ha avuto una vasta produzione letteraria (la sua Opera omnia conta tredici volumi, più due volumi di scritti in collaborazione con Raissa). È ambasciatore di Francia presso la S. Sede. Dopo la morte della moglie entra nell'Istituto dei Piccoli Fratelli di Gesù a Tolosa, ove continua a testimoniare, con la vita e con gli scritti, la sua fede granitica ed adamantina.

Una coppia, quella dei M., di una rara ricchezza umana e cristiana, come ha affermato il card. Ch. Journet, l'amico di sempre.

Bibl. Oltre alle opere citate nel testo, segnaliamo: J. Maritain, Osservazioni sul Pater, Brescia 19663; Amore e amicizia, Brescia 19673; Il contadino della Garonna, Brescia 1969; Distinguere per unire. I gradi del sapere, Brescia 1974; I grandi amici, Milano 19744; Diario di Raissa Maritain, a cura di J. Maritain, Brescia 1977; Contemplazione e spiritualità, Roma 1978; Azione e contemplazione, Roma 1979; Contemplazione evangelica e storia, Torino 1981; J. e R. Maritain, Situazione della poesia, Brescia 1969. Studi: H. Bars, s.v., in DSAM X, 606-610; L. Bouyer, Liturgie et contemplation. Á propos d'un livre récent de Jacques et Raïssa Maritain, in VieSp 42 (1960), 406-409; O. Lacombe, Jacques Maritain. La générosité de l'intelligence, Paris 1991.

M.T. Huber

MARMION COLUMBA. (inizio)

I. Vita e opere. Abate di Maredsous, autore spirituale, nasce a Dublino il 1 aprile 1858 e muore a Maredsous il 30 gennaio 1923. Giuseppe Columba M. è uno dei più influenti autori spirituali dei primi del sec. XX. Nato da padre irlandese e da madre francese, M. viene educato dai gesuiti nel Collegio Belvedere di Dublino e riceve la sua formazione sacerdotale nel seminario di Santa Croce di Clonliffe. Nel 1879, è inviato al Collegio irlandese di Roma e nel Collegio di Propaganda Fide per completare i suoi studi teologici. E ordinato sacerdote il 16 giugno 1881 ed è assegnato in un primo momento alla parrocchia di Dundrum, un sobborgo del sud di Dublino, ma presto viene trasferito a Santa Croce come professore di filosofia. Nel 1886, M. entra nell'abbazia benedettina di Maredsous in Belgio. Emette la sua professione semplice il 10 febbraio 1888 e la professione solenne nel 1891. I suoi eccezionali doni pastorali e il suo acume teologico sono presto riconosciuti, tanto che viene nominato priore e successivamente professore nel monastero di Mont-César di Lovanio, allora recentemente istituito. Durante il suo insegnamento monastico, M. esercita una profonda influenza sulla formazione dei giovani monaci di Lovanio. E spesso chiamato a tenere conferenze spirituali e ritiri; svolge uno speciale apostolato tra i religiosi ed i sacerdoti delle diocesi di Namur e di Liegi. Nel 1909, M. viene eletto abate di Maredsous.

Sotto la direzione di M., la suddetta abbazia fiorisce come centro spirituale ed intellettuale dai vasti orizzonti. Nel 1910 il governo belga propone la fondazione di una comunità di monaci a Katanga, nell'allora Congo belga, che l'abate accoglie benevolmente, ma successivamente è obbligato a declinare l'offerta per l'opposizione della comunità di Maredsous. Allorché le comunità monastiche anglicane di Caldey Island e di San Brides nel Galles, si riconciliano con la Chiesa cattolica, sono poste sotto la sovrintendenza e la guida dell'abate di Maredsous. Durante l'invasione tedesca e l'occupazione del Belgio nella Prima Guerra Mondiale, M. guida una parte della sua comunità in esilio a Edermine in Irlanda. Dopo la guerra, nel 1920, M. ricopre un ruolo direttivo circa la formazione della Congregazione Benedettina dell'Annunciazione, che originariamente comprende i monasteri di Maredsous, Mont-César e Saint-André di Bruges, sebbene mantenga la sua personale devozione verso la tradizione della Congregazione Beuronese dalla quale aveva ricevuto la sua formazione. Nei suoi ultimi anni, M. affronta pazientemente le difficoltà causate dai monaci ritornati dal servizio militare. Mantiene la scuola secondaria dell'abbazia e la scuola d'arte; incoraggia, altresì, membri delle comunità dotati di talento in diverse iniziative, come la pubblicazione della Revue Bénédictine, della Revue liturgique et monastique e de Le Messager des Oblats. Inoltre, i volumi pubblicati sotto il titolo di Pax consentono un vasto accesso agli scritti dei Padri della Chiesa, ai mistici medievali e agli autori spirituali moderni.

Don M. è riconosciuto come modello di vita spirituale durante tutta la sua vita e la sua reputazione è ampiamente accresciuta dalla pubblicazione dei suoi primi libri, tutti incentrati su una dottrina mistica cristocentrica: Le Christ, vie de l'âme, Maredsous 1917 (tr.it., Cristo, vita dell'anima, Milano 194611); Le Christ dans ses mystères, Maredsous 1919 (tr.it., Cristo nei suoi misteri, Torino 196711); e Le Christ, idéal du moine, Maredsous 1922 (tr.it., Cristo ideale del monaco, Padova 1923). Altri volumi pubblicati postumi, sono: Sponsa Verbi. La vierge consacrée au Christ (1923); Le Chemin de la Croix (1923); L'Union à Dieu dans le Christ (1934); Paroles de vie en marge du missel (1937); Venez au Christ, vous tous qui peinez (1941); Les mystères du Rosaire (1942); Consecration à la Sainte Trinité (1946) e Le Christ, idéal du pretre (1951; tr.it., Cristo ideale del sacerdote, Milano 1962). Tali opere vengono considerate dei classici moderni di spiritualità e sono state tradotte in molte lingue.

II. L'insegnamento spirituale di M. è tratto essenzialmente dai Vangeli, dalle lettere di Paolo e dalla Regola di s. Benedetto ed incentrato su una teologia mistica della nostra adozione come figli di Dio. Il ruolo di Cristo come causa e mediazione della nostra salvezza, modello di tutta la vita umana, è fortemente enfatizzato. M. non si è stancato mai di esporre il disegno divino della salvezza, il mistero nascosto dai secoli e rivelato in Cristo. Questo mistero s'incentra sulla paternità di Dio che dall'eternità genera il Figlio e continua ad estendersi a tutti gli uomini per mezzo della grazia dell'adozione soprannaturale che li eleva al di sopra della loro natura per poter partecipare della vita divina. M. è un notevole esponente di una teologia monastica contemplativa basata sulla preghiera, sullo studio, sull'esperienza attraverso la preghiera privata e liturgica e attraverso la lectio divina. Per lui Cristo deve diventare tutto: l'alfa e l'omega. Cristo è al centro del disegno divino della nostra salvezza. Per tutti la santità consiste nel ricevere la vita divina da Cristo, unico mediatore, nel preservarla ed accrescerla sempre di più attraverso l'unione intima con lui che è la vita dell'anima. Dirige molte persone attraverso una corrispondenza eccezionalmente ampia. Negli ultimi anni della sua vita, M. diventa una figura molto nota e amata nei circoli internazionali cattolici. Subito dopo la sua morte si estende la sua fama di santità tanto che, nel 1954, si apre il processo per la sua beatificazione. Mantenendo sempre un profondo attaccamento all'Irlanda, M. si considera seguace dei grandi missionari irlandesi sulle orme di santi come Columba ( 597) e Colombano, eleggendo l'esilio per amore di Cristo. Il suo obbiettivo, come monaco e sacerdote, è quello di " condurre il popolo a Dio e Dio al popolo ".

Bibl. Ph. Boyce, s.v. in DES II, 1515-1518; E. Caronti, Un grande mistico contemporaneo, in ScuCat 51 (1923), 913-934; J. Chambelland, St. François de Sales et dom Columba Marmion, Thonon 1940; T. Delforge, s.v. in DSAM X, 627-630; Id., Le Serviteur de Dieu Columba Marmion, Turnhout 1963; D. Gorce, A l'école de dom Columba Marmion, Bruges 1942; B.M. Morineau, Dom Marmion, maître de sagesse, Paris 1944; M.M. Philippon, La dottrina spirituale di dom Marmion, Brescia 1956; R. Thibaut, L'idée maîtresse de la doctrine de dom Marmion, in VieSp 78 (1948)1, tutto il numero; Id. (cura di), L'unione con Dio nelle lettere di direzione di don Marmion, Firenze 1934; M. Tierney, Dom Columba Marmion, Dublin 1994.

D.B. McCulloch

MARTIRE. (inizio)

I. Il termine. La parola greca màrtys è usata nella lingua classica innanzitutto nel senso giuridico di testimone, colui che dà testimonianza dei fatti che egli ha visto oppure di ciò che egli sa. E anche colui che attesta una verità di cui è convinto.

II. Nella Scrittura. Nell'AT, Israele è chiamato a testimoniare che JHWH è l'unico Dio (cf Is 43,10-12). Durante la persecuzione di Antioco IV Epifane ( 164 a.C.), i giudei fedeli che danno testimonianza della loro fede e della religione dei loro padri fino alla morte (cf 2 Mac 6-7) non ricevono il nome di m., tuttavia la loro fedeltà e ubbidienza verrà posteriormente ricordata da diversi autori a proposito dei m. cristiani (Clemente di Roma, Tertulliano, Cipriano).

Nel NT Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è il testimone per eccellenza. Davanti a Pilato, egli afferma: " Io sono nato e per questo sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità " (Gv 18,37; cf At 1,5; 3,14) e suggella la sua testimonianza con la morte in croce. Nella passione e morte di Gesù, Luca sottolinea il modo umano-divino di patire e di morire che contraddistinguerà i martiri: il coraggio e la fermezza nel testimoniare la verità, l'aiuto divino nell'angoscia, la mansuetudine nei confronti degli oltraggi, la dimenticanza di sé, l'innocenza riconosciuta dai giudici, il perdono dei persecutori. Nell'Apocalisse, il libro dei martiri, Gesù Cristo viene chiamato due volte " testimone fedele " (1,5; 3,14) e coloro che " furono immolati a causa della Parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa " (6,9), che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello, partecipano al suo trionfo (7,14). Nei sinottici, Gesù paragona la sua morte ad un nuovo battesimo: " C'è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato, finché non sia compiuto! " (Lc 12,50; cf Mc 10,38-39) e prepara i discepoli ad essere i suoi testimoni, annunciando loro la persecuzione per causa del suo nome (cf Mt 10,16-22). Gli apostoli, in modo particolare, devono essere testimoni di Gesù Cristo morto e risorto: " Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete miei testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto " (Lc 24,46-49). Questa testimonianza degli apostoli presuppone quella del loro Maestro e la forza dello Spirito; la persecuzione che essa suscita è considerata, fin dall'inizio della predicazione di Gesù, motivo di beatitudine: " Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così, infatti, hanno perseguitato i profeti prima di voi " (Mt 5,11).

La testimonianza dei discepoli inserita nella linea dei profeti, la trascende in quanto i discepoli sono in comunione con Cristo, partecipi alle sue sofferenze (cf 1 Pt 4,13). La loro testimonianza fino alla morte cruenta, implica la loro totale assimilazione a Cristo morto e risorto. Stefano il primo m., dopo aver testimoniato Cristo davanti al tribunale ebraico, pieno di Spirito Santo, muore lapidato vedendo i cieli aperti e, come Gesù, consegnando il suo spirito al Padre e perdonando ai suoi persecutori (cf At 7,54-60).

A partire dalla prima metà del II secolo, il termine m. è riservato a coloro che sono messi a morte per aver testimoniato Cristo; essi ricevono questo nome non per la pena, ma perché l'hanno subita a causa di Cristo (Agostino, In Ps 34,2,13; 68,1,9). Nella letteratura post-apostolica Clemente di Roma fa riferimento alla testimonianza fino alla morte di Pietro e Paolo a Roma ma soltanto nel Martirio di Policarpo troviamo la parola m. con il suo senso preciso di testimone pubblico della fede in Gesù Cristo, fino alla morte.

III. Negli scritti dei Padri. Secondo i documenti agiografici dei primi secoli e gli scritti dei Padri, il m. non è soltanto testimone ma presenza misteriosa di Cristo che prolunga nelle sue membra, la sua passione (Pass. Perpetua e compagni, 15). Nel sacrificio della sua vita, nel suo corpo spezzato e nel suo sangue versato, il m. rinnova il mistero eucaristico (s. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani). Intimamente unito al suo Capo, egli rende presente ai suoi fratelli la morte salvifica del Signore, rivelando la dimensione ecclesiale della sua testimonianza (cf Martirio di s. Policarpo). In forza dello Spirito, il m. è battezzato nel suo proprio sangue (Origene, Esort. al martirio, 30); la sua morte implica la vittoria su satana (cf Pass. Perpetua e compagni, 10) ed è la più perfetta espressione di fede, di speranza incrollabile nella vita eterna e di un amore a Cristo più forte della morte. L'umiltà dei m., il loro atteggiamento calmo e sereno di fronte alla morte, la loro libertà di spirito, la carità nei confronti dei loro giudici, testimoniano la loro intima unione con Cristo.

IV. Nella teologia. La teologia classica individua nel m. un'espressione suprema di fortezza e di carità in quanto egli testimonia il suo disprezzo nei confronti di tutti i beni creati ed il suo invincibile amore a Dio.1

La Chiesa considera la Madonna partecipe al martirio del suo Figlio, Regina dei m., in quanto in lei si è realizzata misticamente la profezia di Simeone: " Una spada trafiggerà il tuo cuore " (Lc 2,35).

Il Concilio Vaticano II afferma che come Gesù, il Figlio di Dio, manifestò il suo amore consegnando la sua vita per noi e accettando liberamente la morte per la salvezza del mondo, così alcuni cristiani furono chiamati da Dio, fin dai primi secoli e saranno chiamati fino alla fine dei tempi, a rendere questa suprema testimonianza di amore davanti agli uomini, in particolare davanti ai loro persecutori (cf LG 42). Inoltre, in virtù della loro testimonianza di fede e di carità, i m. sono particolarmente uniti in Cristo alla Chiesa pellegrina (cf LG 50). Citando Tertulliano ( 223) (Apologeticum 50,13), ricorda che il sangue dei m. è seme di cristiani (cf AG 5). Senza adoperarne il termine, il Vaticano II allarga il concetto di m. ai cristiani separati che, in forza dello Spirito Santo e dei suoi doni, hanno testimoniato Cristo fino all'effusione del sangue (cf LG 15; UR 4). Il CCC osserva la grande cura con cui la Chiesa ha raccolto i ricordi di questi testimoni fedeli negli Atti dei Martiri, " archivi della Verità scritti a lettere di sangue " (n. 2474).

Giovanni Paolo II, nell'enciclica Veritatis Splendor ricorda i numerosi santi e sante che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio il che manifesta contemporaneamente " la santità della legge di Dio e l'intangibilità della dignità personale dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio " (n. 92) Ricorda, inoltre, che se il m. giunge al vertice della testimonianza morale, ogni cristiano è chiamato a dare una coerente testimonianza di Cristo anche a costo di gravi sacrifici e con un impegno a volte eroico (n. 93). Questa testimonianza della verità fino al dono della vita si trova perfino in uomini non cristiani, ma docili all'azione interiore e misteriosa dello Spirito (n. 94).

Il m., reso conforme a Cristo, testimonia in modo radicale la santità di Dio e la dignità dell'uomo e la sua morte realizza paradossalmente, al di là del tempo e della storia, la vittoria definitiva del bene sul male. Offrendo liberamente la sua vita in unione con Cristo, il m. è segno vivente della comunione dei santi e fonte di vita nuova perché, partecipando al mistero della croce, si inserisce nella dinamica della potenza del Risorto e, sperimentando l'unione mistica con le divine Persone, continua a costruire la Chiesa portando salvezza al mondo.

Note: 1 S. Tommaso, STh. II-II, q. 124, a. 2 e 3.

Bibl. L. Bouyer, La spiritualità dei Padri, 3B, Bologna 1986; P.Th. Camelot, Martyr, Martyre, in Cath VIII, 770-776; A. Cappelletti - M. Caprioli, s.v., in DES II, 1518-1525; A.G. Hamman (cura di), Les premiers martyrs dans l'Eglise, Paris 1979; R. Hedde, Martyre, in DTC X, 220-254; S. Indelicato, Martirio e martire, in EC VIII, 233-244; M. Machejek, Il martirio cristiano, in RivVitSp 41 (1987), 110-123; C. Noce, Il martirio. Testimonianza e spiritualità nei primi secoli, Roma 1987; K.W. Rordorf - A. Solignac, s.v., in DSAM X, 718-737; M. Spanneut, Patience et martyre chez les Pères de l'Eglise, in Compostellanum, 35 (1990), 247-262.

E.C. Rava

MASSIMO IL CONFESSORE (santo). (inizio)

I. Cenni biografici. Sembra sia nato in un piccolo villaggio del Golan, intorno al 580: rimasto presto orfano venne affidato ad un monastero palestinese, che lo formò al pensiero di Origene e alla spiritualità di Evagrio. Nel 614 lo troviamo monaco nel monastero di Chrysopolis, presso Costantinopoli. Qualche anno più tardi, in seguito alle invasioni persiane, è esule a Cartagine, nel monastero di Eucratas, dove diviene discepolo del futuro patriarca di Gerusalemme, Sofronio ( 638), il quale influirà sul difensore dell'ortodossia, facendogli conoscere la spiritualità di Macario. Frattanto l'Impero, pur di salvare la sua unità, fa opera di avvicinamento presso i seguaci del monofisismo, giungendo a compromessi dottrinali come il riconoscimento di una sola operazione (monoergetismo) o di una sola volontà (monotelismo) in Cristo. M. cerca appoggio a Roma, chiedendo a papa Martino I ( 655) di convocare un Concilio. Ciò avviene nel 649, con il Concilio Romano, che sancisce le due volontà di Cristo, il quale " voleva ed operava la nostra salvezza divinamente e umanamente al medesimo tempo ".1 Questa confessione di fede sarà pagata dal Papa con la deportazione e la morte in Crimea. M., esiliato in Tracia, rifiuta di chinare la testa di fronte al potere imperiale. Di più. Ricondotto a Costantinopoli, dovrà subire anche il dolore di vedere che tutto l'episcopato, con alla testa lo stesso patriarca, si sono allineati con il volere dell'imperatore. Deportato nuovamente, questa volta nel Caucaso, viene condannato da un Sinodo di eretici: viene fustigato e gli vengono tagliate la lingua e la mano destra, poiché con l'una e con l'altra aveva osato proclamare la verità della Chiesa. Muore, dopo quattro anni di sofferenze, il 13 agosto del 662.

II. Opere e dottrina. La maggior parte delle opere (circa novanta) furono scritte da M. a Costantinopoli, ma solo delle Quattro centurie della carità (Capita de charitate) è stata pubblicata un'edizione critica: di tutte le altre rimane incerta la data di produzione, anche se padre Sherwood ne ha proposto una cronologia 2 pressocché accettata. Oltre ad opere teologiche (Capita theologica et oecumenica, ambiguorum liber, Disputatio cum Pyrrho), legate alla lotta contro l'eresia monotelita, a numerose lettere, e agli Scolia sulle opere di Dionigi l'Areopagita, di cui fu il più profondo commentatore, gli scritti più famosi di M. sono di carattere ascetico-mistico: Fozio ( 898 ca.) cita il Commento al Padre Nostro (Orationis dominicae expositio), definendolo un libro molto utile per tutti.3 Oltre al Dialogo con Talassio (Quaestiones ad Thalassium), vanno ricordati l'Expositio in Psalmum 50 e il Liber asceticus, come sussidi della spiritualità orientale: insieme con la Mystagogia, un tentativo di spiegazione della liturgia in senso mistico.

Gli scritti di M. il Confessore hanno radici lontane: formatosi alla spiritualità di Evagrio, attraverso la mediazione dei cappadoci e di Dionigi l'Areopagita, è approdato infine alla mistica di Macario, dando origine, nella sua opera, ad una sintesi compilativa che coniuga " l'intuizione orientale dell'unità di Cristo con l'intuizione latina della sua dualità ".4

M. elabora, quindi, una propria teologia mistico-spirituale, che va oltre la gnosi di Evagrio, legandola all'Incarnazione e all'antropologia: il Logos, sintesi perfetta del mistero divino, senza di cui nulla è possibile, è sì la chiave di lettura con cui penetrare il mistero delle realtà, ma è anche estensione e culmine di una liturgia che diviene cosmica,5 soprattutto è agape di Cristo verso l'uomo e dell'uomo verso il Salvatore e in lui per tutti i fratelli.

M. parte dalla creazione, " cosa buona ", fonte di bene e di contemplazione: " Noi diciamo che, nelle Scritture le parole sono le vesti di Cristo e il loro senso è il suo corpo... Accade lo stesso nel mondo, dove le apparenze delle cose visibili sono come le vesti, e le idee conformemente alle quali sono create, come la carne... perché il Creatore e Legislatore universale, il Verbo, si nasconde rivelandosi e si rivela nascondendosi " (Ambigua: PG 91,1129). La creazione è un fuoco in continuo divenire, una danza cosmica con i suoi ritmi e la sua musicalità: " Noi siamo, a causa della nostra propria natura presente, come gli animali della terra, divenuti bambini, trasportati di colpo dalla giovinezza fino alla vecchiaia, come un fiore che dura un istante, per passare a un'altra vita: veramente meritiamo di essere chiamati il gioco di Dio " (Ibid.: PG 91,1416c).

Ma, nonostante ciò, l'uomo non è isolato, non è una monade senza senso, ma è unito agli altri uomini per il legame comune che unisce tutti a Dio. L'unità di Dio, verso cui ogni creatura tende, anche senza volerlo coscientemente, naturalmente, è quindi ricerca dell'unico senso possibile e dell'unica unità possibile. Lo Spirito fa luce all'uomo nella situazione umana di ciascuno, usa le qualità di ognuno, le facoltà del singolo e tutto il contesto che gli fa corona: " Uomini, donne, bambini, profondamente diversi in ciò che concerne la razza, la nazione, la lingua, la classe, il lavoro, la scienza, la dignità, la fortuna... tutti sono creati di nuovo nello Spirito. A tutti ugualmente viene impressa una forma divina. Tutti ricevono una natura unica, infrangibile, una natura che non permette più di tenere conto delle profonde differenze che li distinguono " (Mystagogia I).

L'uomo prova naturalmente una nostalgia di Dio: senza nemmeno saperlo, tende verso Dio. Il desiderio dell'uomo si fa naturalmente contemplazione e desiderio di unione, anche se, allo stesso tempo, egli fa esperienza dell'inaccessibilità di Dio: fa esperienza che la conoscenza di Dio non è possibile, che Dio è irraggiungibile. Eppure, in modo misterioso, Dio scende verso l'uomo e gli si fa incontro nel silenzio: la voce di Dio non raggiunge le orecchie dell'uomo, ma in questa " afonia " di Dio l'uomo ne avverte pienamente la presenza. Là dove non esiste più nulla, l'uomo incontra Dio.

La deificazione dell'uomo, questa trasformazione da creatura carnale a creatura spirituale, avviene, dunque, nel silenzio apofatico del mistero. Anche se M. pensa che la causa di ogni nostra deviazione, quando le passioni naturali si trasformano in passioni distruttrici, sia solamente la paura della morte (cf Ad Thal. 61), c'è lo stesso bisogno di un lungo apprendistato, di una vigilanza continua e di una costanza amorevole per trasformare se stessi, per fare nuova cosa di sentimenti, pensieri, azioni, per " ricomporre l'infranto " che è in noi, ricomponendoci alla luce di Cristo: " soltanto l'amore vince lo spezzettamento della natura umana " (Cap. de car. II, 50).

" Colui che passa dall'ascesi alla libertà interiore ottiene di contemplare, nello Spirito Santo, la verità degli esseri e delle cose: è come se passasse dalla carne di Cristo alla sua anima. E colui che passa alla contemplazione più pura che è la theologia, è come se passasse dall'anima di Cristo alla sua mente. Infine, chi è misticamente condotto allo stato ineffabile ove ogni determinato è soppresso per mezzo di una negazione radicale, è come se passasse dalla mente di Cristo alla sua divinità " (Ambigua: PG 91,1360). Come in ogni teologia negativa, l'uomo quindi " conosce " Dio facendone esperienza oltre ogni situazione umana: solo " palpando Dio, con una esperienza personale e irrepetibile, ma difficilmente comunicabile " (Ad Thal. 32).

Anche la stessa Incarnazione è per M. " un mistero ancora più inconcepibile di qualsiasi altro. Dio non si fa comprendere altrimenti che apparendo ancora più incomprensibile. In questa stessa manifestazione... resta nascosto. Anche espresso, è sempre lo Sconosciuto " (Ambigua: PG 91,1048-1049). Ed è naturale che la conoscenza trasformante in siffatta maniera porti la creatura a conformarsi alla volontà del Padre. Che è poi la croce: " Colui che conosce il mistero della croce e del sepolcro conosce il senso delle cose. Colui che è iniziato al significato nascosto della risurrezione conosce il fine per il quale Dio fin da principio creò il tutto " (Ibid.: 91,1360).

" Dio si è fatto mendicante a causa della sua sollecitudine per noi... soffrendo con la sua tenerezza fino alla fine dei tempi, secondo la misura della sofferenza di ognuno " (Mystagogia XXIV). E questo in sintesi il messaggio di M.

Note: 1 Mansi, I, Supplem. col. 483; Hefele-Leclercq, III, 1,453; 2 An Annoted Date-List of the Works of Maximus the Confessor, Roma 1952; 3 Fozio, o.c., 193; 4 O. Clement, Alle fonti con i Padri, Roma 1987, 363; 5 Liturgia cosmica è il titolo di un saggio scritto da H.U. von Balthasar, Roma 1976.

Bibl. M. Borodine, La deification de l'homme, Paris 1970; L. Bouyer, La spiritualità dei Padri 3B, Bologna 1986 (nuova edizione a cura di L. Dattrino e P. Tamburrino), 171ss.; R. Cantarella, San Massimo il Confessore: La Mistagogia e altri scritti, Firenze 1931; A. Ceresa-Gastaldo, Massimo il Confessore. Capitoli sulla carità, Roma 1963; Id., L'umanità e divinità di Cristo, Roma 1976; Id., Il Dio-uomo, Milano 1980; I.H. Dalmais, s.v., in DSAM X, 836-847; Id., S. Maxime le Confesseur, Docteur de la charité, in VieSp 79 (1948), 294-303; Id., L'oeuvre spirituelle de S. Maxime le Confesseur, in VSpS 6 (1952), 216-226; Id., La doctrine ascétique de S. Maxime le Confesseur, in Irénikon, 26 (1953), 17-39; Id., Un traité de théologie contemplative: Le commentaire du Pater, in RAM 29 (1953), 123-159; M.T. Didier, Le fondament dogmatique de la spiritualité de S. Maxime, in Échos d'Orient, 29 (1930), 269-313; G. Dragas, The Church in St. Maximus Mystagogy, Athens 1985; H.D. Egan, Massimo il Confessore, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 151-163; V. Grumel, s.v., in DTC X, 448-459; I. Hausherr, s.v., in EC VIII, 307-308; W. Heller, s.v., in WMy, 347-348; E. Jeanneau, Ambigua ad Johannem, Turnhout 1988; P. Pirret, Le Christ et la SS. Trinité selon Maxime le Confesseur, Paris 1983; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1524-1527; P.M. Viller, Aux sources de la spiritualité de S. Maxime, in RAM 11 (1930), 156-184; 239-268; 331-336; W. Völker, Maximus Confessor als Meriter des geistlichen Lebens, Wiesbaden 1965; C. Vona, s.v., in BS IX, 42-47.

L. Dattrino

MATILDE DI HACKEBORN. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce nel 1241 (o 1242) da una famiglia nobile e ricca. A sette anni entra nel monastero cistercense, dove sua sorella Gertrude l'ha preceduta. Dopo alcuni anni tutta la comunità si trasferisce in un nuovo monastero, ad Helfta. Ivi, M. ha l'incarico di maestra delle novizie, oltre alla guida della scuola monastica e del coro liturgico. Dotata di una bellissima voce, è soprannominata dai contemporanei l'usignolo di Cristo. Compone numerose preghiere ed ha il dono della profezia. Si guadagna l'amore delle consorelle soprattutto per l'umiltà e la gioiosa disponibilità al lavoro quotidiano. Dopo otto anni di gravi malattie, muore il 19 novembre 1299. E considerata una delle mistiche più significative della Germania del sec. XIII.

Fino all'età di cinquant'anni non rivela a nessuno le sue grazie mistiche se non a due monache amiche, di cui una è Gertrude la Grande. Queste cominciano ad annotare le esperienze mistiche di M. a sua insaputa. Un giorno, però, M. conosce per rivelazione divina quanto stanno facendo le sue consorelle. Se ne dispiace, ma il Signore la rassicura dicendole che ne verrà un gran bene. Tali esperienze sono raccolte nel Liber specialis gratiae. Esso è diviso in cinque parti ed, oltre alle rivelazioni, contiene l'esperienza spirituale di M. nonché le sue istruzioni per un'autentica crescita spirituale di ogni uomo che corrisponde alla grazia divina. Nel libro quarto sono riportate anche tre Lettere autentiche di M.

II. Esperienza mistica. La mistica di M. è caratterizzata da un rapporto continuo con la liturgia e con l'Eucaristia. L'umanità del Cristo è al centro della sua vita spirituale nonché il modello e l'esempio della perfezione dell'uomo. M. invita continuamente all'imitazione del Cristo, onde rifletterlo nella propria vita e testimoniarlo nei suoi misteri. E a partire dalla devozione all'umanità del Cristo che M. anticipa la devozione al Cuore di Gesù, sperimentato come sposo, fratello, salvatore, signore. Il Cristo le dona il suo cuore come rifugio: vivere in questo cuore significa per M. essere continuamente in praesentia Dei, formula che ritorna spesso nella sua opera. Anche la Vergine Maria occupa un posto di rilievo nella vita interiore di M., perché mediatrice di tutte le grazie e archetipo di ogni autentica lode al Signore, sintesi ed attività di tutta la vita mistica.

Bibl. E. Brouette, s.v., in Aa.Vv., Dictionnaire des auteurs cisterciens, Rochefort 1978, 491ss.; Giovanna della Croce, s.v., in DES II, 1527-1528; A.M. Haas, Themen und Aspekte der Mystik Mechthilds von Hacheborn, in Aa.Vv., Temi e problemi nella mistica femminile trecentesca, Todi (PG) 1983, 47-83; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 348; M. Schmidt, s.v., in DSAM X, 873-877; A. Walz, s.v., in BS IX, 96-101.

R. Termolen

MATILDE DI MAGDEBURGO. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce verso il 1208 da una famiglia nobile e ricca, nella quale riceve una buona educazione. A dodici anni ha un'esperienza così forte dello Spirito Santo che da quel momento in poi vede Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio. Ancora giovane, lascia la casa paterna per unirsi alle beghine di Magdeburgo, diventando poi terziaria domenicana.

Si dedica al servizio degli ammalati e dei poveri, vivendo un'intensa vita di contemplazione. Si definisce " ignorante ", perché non ha studiato né il latino né la teologia. Dopo una grave malattia, si sente spinta da Dio a raccontare le sue esperienze che scrive nella sua opera, in basso tedesco, tradotto in italiano con il titolo La luce fluente della divinità. In età avanzata, entra nel monastero di Helfta, ove muore tra il 1282-1294.

La forma letteraria dei suoi scritti (canzoni, poesie, ecc.) è molto spontanea e va dalla prosa più semplice alla rima, che riprende la lirica cortese e le immagini del Cantico dei Cantici.

II. Dottrina mistica. L'opera di M. traccia un cammino ascetico, in sette gradi, che conduce all'unione mistica, intesa come unione sostanziale dell'anima con Dio. M. è un altro esempio della mistica sponsale, visionaria e profetica, comune alle grandi figure di Helfta. La mistica dell'amore di M. sottolinea il reciproco desiderio di unione dell'anima e di Dio, che si esprime nella gioia e nell'allegria della danza mistica. La fruizione di Dio si ottiene solo dopo essere passati attraverso l'oscurità della notte spirituale, nella perfetta imitazione della passione e morte di Cristo. Gli occhi della sua anima spesso contemplano la bellezza dell'umanità di Gesù Cristo che, come un bel giovane, personifica l'amore e l'invita a partecipare alla danza mistica che circonda il Padre e lo Spirito Santo. Per questo motivo, la sua mistica è essenzialmente cristocentrica, fondata sull'umanità del Cristo, dalla quale non si può prescindere neppure con la pretesa di spiritualità più alta e più pura.

Le sue visioni, comprese quelle della Trinità, fanno presentire quella mistica dell'essenza che, di lì a poco, sboccerà negli ambienti spirituali renani. In una visione, infatti, il Signore dice all'anima: " Tu sei a tal punto unita alla mia natura che nulla deve frapporsi tra te e me ".

Bibl. Opere: La luce fluente della divinità, P. Schulze Belli (cura di), Firenze 1991. Studi: H.D. Egan, Matilde di Magdeburgo, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 285-291; Giovanna della Croce, s.v., in DES II, 1528-1529; K. Ruh, Amor di Dio presso Hadewijch, Mechthild du Magdeburgo e Margherita Poréte, in Aa.Vv., Temi e problemi nella mistica femminile trecentesca, Todi (PG) 1983, 87-106; M. Schmid, s.v., in DSAM X, 877-885; V. Zuhlsdorff, s.v., in WMy, 348-350.

R. Termolen

MATRIMONIO SPIRITUALE. (inizio)

I. Nella Scrittura con frequenza si paragona l'unione tra Dio e il suo popolo all'unione matrimoniale fra l'uomo e la donna. L'esperienza coniugale di Osea (1-3), per l'appunto, rivela il mistero dei rapporti tra l'amore di Dio, che si allea a un popolo, e il tradimento di quest'ultimo. L'alleanza viene ad assumere, così, un carattere nuziale, di conseguenza l'idolatria viene considerata sia come una prostituzione che come un adulterio. In precedenza, l'alleanza era vista come un patto sociale e la sua trasgressione era ritenuta una mancanza alla parola data; ora, invece, è l'atto di una sposa, amata intensamente, che disprezza l'amore di Dio.

JHWH ha conservato sempre il suo amore a Israele, sebbene questi " si sia prostituito sotto ogni albero verde " (Ger 2,20; 31,3). Anzi l'ha raccolto come un trovatello abbandonato per la strada, l'ha sposato dopo averlo allevato amorevolmente (cf Ez 16,3ss.). Il disegno divino appare in tutta la sua chiarezza in Osea: " Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore " (2,21).

Nel NT, con la nuova ed eterna alleanza, Gesù designa se stesso come lo sposo: " Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? " (Mt 9,15). In altri passi Gesù paragona il regno dei cieli a un banchetto organizzato da un re per le nozze del figlio (cf Mt 22,2), a delle vergini che vanno incontro allo Sposo (cf Mt 26,1-13), a dei servi che attendono il padrone di ritorno dalle nozze (cf Lc 12,36). In questi testi non si menziona la sposa, mentre l'attenzione è rivolta solo allo sposo Gesù. L'unione matrimoniale, però, si realizza nella persona del Cristo, identificata all'alleanza che unisce Dio e il popolo.1

Nella Lettera agli Efesini (cf 5,21-33) Paolo usa l'immagine sposo-sposa per caratterizzare il rapporto Cristo-Chiesa, intrecciando, in un'originale trama, quello che rappresenta un'istituzione sui rapporti coniugali fra marito e moglie e la riflessione sul mistero di Cristo e della Chiesa.2

II. Nella tradizione. Questo mistero viene ripreso dai Padri e scrittori ecclesiastici. Tertulliano ( 200 ca.), ad esempio, scrive che " quando l'anima viene alla fede..., è ricevuta dallo Spirito Santo; la carne accompagna l'anima alle nozze con lo Spirito ".3 Per Origene " Cristo è lo sposo, cui l'anima si unisce giungendo alla fede ".4 Cirillo di Gerusalemme, invece, precisa che, dopo il battesimo, colei che prima era serva, riceve ora il Signore come Sposo.5 Anche Didimo il Cieco asserisce che " chi ha creato la nostra anima la prende in sposa nella piscina battesimale " e, come Teodoreto ( 458), presenta l'Eucaristia quale unione nuziale tra Cristo e l'anima.6

Dopo Gregorio di Nissa, il Cantico dei Cantici è il testo comunemente commentato per esprimere questa unione d'amore tra Dio e l'anima sotto il simbolo di un matrimonio.7 S. Bernardo pone la questione sul piano dell'amore: " Tra l'anima cristiana e il Verbo vi è piena conformità e questa unisce maritalmente l'anima al Verbo "; 8 però avverte che l'anima è sposa del Verbo in virtù e in dipendenza dell'unione fondamentale di Cristo con la Chiesa.9

Diversi altri autori hanno interpretato il Cantico dei Cantici in senso sponsale per descrivere le relazioni tra Cristo e la Chiesa, tra la Chiesa e la comunità monastica e l'anima del cristiano.10

S. Teresa di Gesù, nel Castello interiore, scrive che tra le due ultime Mansioni la porta non è chiusa: 11 l'anima, dopo essere stata purificata anche con l'azione divina, mentre arde di costanti desideri del suo Dio, viene introdotta nelle dimore del gran re, cioè ascende al più alto grado di comunione possibile su questa terra a una creatura umana: " Quando nostro Signore si degna di avere pietà di quanto patisce e ha patito per il desiderio di lui, quest'anima, che egli spiritualmente ha già accettato come sua sposa, è introdotta, prima che il m. si consumi, nella sua stessa mansione ".12 L'anima, quindi, non può che gioire all'invito fattole da Dio di comunicarle il suo amore: " Felicissimo scambio dargli il nostro per avere il suo ".13

Primo segno che Dio vuole unire a sé la sposa è il dividere con lei la propria dimora: " In quella guisa che Dio ha la sua dimora nel cielo, così deve averla nell'anima, per abitarvi solo come in un secondo cielo ".14 Con ciò Teresa indica la perfetta unione dell'anima con Dio, anche se già era unita con le estasi e l'orazione di unione, come nelle quinte Mansioni, nelle quali Dio la invitava soltanto a salire più in alto, " nella sua parte superiore ".15

Nel m. l'anima è resa partecipe dei doni divini, al contrario di quando era " cieca e muta, come s. Paolo al momento della conversione ", quindi, le era impedito " di conoscere la grazia che gode o come la gode ".16 Ora, invece, ha una cognizione chiara di questo mistero a causa di una luce vivissima che Dio le infonde. " Stando a quello che ho detto, ci sembrerà che l'anima non sia in se stessa, ma tanto assorbita da non intendere nulla. Eppure, per ciò che riguarda il servizio di Dio, è molto più in sé di prima, tanto che, appena espletate le sue occupazioni, si raccoglie con quella dolce compagnia ".17

S. Giovanni della Croce, da parte sua, scrive che " per giungere al m. è necessario che l'anima abbia una grande forza e un amore molto sublime per essere degna del forte e stretto amplesso di Dio ".18 E Teresa, completando il quadro di tale rapporto d'amore, aggiunge: " [Dio], volendo mostrarci l'amore che ci porta, fa conoscere ad alcune persone fin dove il suo amore sa giungere, affinché lodiamo la sua grandezza, la quale si compiace di così unirsi a una creatura da non volersi mai più da essa dividere, come coloro che per il matrimonio non possono più separarsi ".19

Tale unione, che sembra fondere l'essere umano nel divino, l'uno nell'altro, avviene per mezzo della trasformazione dell'anima in Dio: il m. consiste essenzialmente in questo. " Il m. è molto più che lo sposalizio, poiché è una trasformazione totale nell'Amato. In esso l'una parte si dà all'altra in possesso totale con una certa consumazione amorosa in cui, per quanto è possibile in questa vita, l'anima viene resa divina e Dio per partecipazione ".20 E s. Teresa conferma che " l'anima, o meglio il suo spirito, diviene una sola cosa con Dio ".21

Per mettere in guardia il lettore, il Dottore mistico rileva, invece, la seguente distinzione: " Quantunque l'anima non sia sostanza di Dio, perché non può convertirsi sostanzialmente in lui, è però Dio per partecipazione, essendo unita e assorbita in lui ".22 E talmente trasformata e arde interiormente del fuoco del divino amore che, " quanto più arde, tanto più diventa infiammata e incandescente fino a generare scintille e fiamme ".23

Le potenze dell'anima diventano divine: l'intelletto, la volontà, la memoria, l'appetito; " tutti i movimenti, le azioni e le tendenze, che l'anima aveva in forza della sua vita naturale, in questa unione si cambiano ormai in movimenti divini, morti alla loro azione e inclinazione e vivi in Dio ".24 Così, Dio non è solo oggetto degli atti dell'anima, ma ne diventa come la causa principale.

III. Caratteristiche del m. In primo luogo occorre menzionare la reciprocità dell'amore: " E bene notare la differenza che esiste tra il possesso di Dio per grazia e quello per unione; l'una cosa equivale a volersi bene, l'altra anche a donarsi l'un l'altro; la differenza è tanta quanta ve n'è tra il fidanzamento e il matrimonio ".25

Inoltre, l'unione è perfetta poiché Dio rende l'anima partecipe dei suoi segreti: " Qui le tre Persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che egli, con il Padre e con lo Spirito Santo, scende ad abitare nell'anima che lo ama e osserva i suoi comandamenti ".26

Infine, l'unione è definitiva: " Nel fidanzamento spirituale i due soggetti si separano e parimenti nella semplice unione ". Al contrario, " nel m. l'anima rimane sempre in quel centro con il suo Dio ". L'unione tra questo eterno Amante e l'anima può essere paragonata a " una gran luce che entra in una stanza per due finestre: vi entra divisa, ma dentro si fa un tutt'uno ".27

S. Giovanni della Croce concorda con la santa d'Avila e spiega il suo pensiero confrontando il m. con quello umano: " Nel fidanzamento si hanno soltanto un sì scambiato e una sola volontà da tutte e due le parti; nel matrimonio, invece, vi sono anche il dono reciproco e l'unione delle persone. Se nel primo caso avviene, talvolta, qualche incontro e qualche scambio di doni fra i fidanzati, non vi è però l'unione delle persone, che non ne è il fine ".28

Tuttavia, bisogna distinguere fra l'unione abituale e quella attuale; mentre la prima è permanente nella sostanza dell'anima, la seconda, che viene ricevuta dalle potenze, non è continua, né può esserlo in questa vita: " Nel matrimonio l'anima non è sempre attualmente unita secondo le potenze, sebbene lo sia sempre secondo la sostanza. Ma anche le potenze molto spesso si uniscono in questa unione sostanziale dell'anima ".29

Giovanni della Croce parla di " grande stabilità dell'anima in questo stato "; 30 e non teme di affermare che, per questo motivo, essa ha " un saggio di vita eterna... ", perché " lo spirito e il senso, fatti vivi in Dio, lo gustano vivamente; il che equivale a gustare il Dio vivo, cioè la vita di Dio o vita eterna ".31 Questa stabilità gli permette di dire, altresì, che " tale stato non si verifica mai senza che l'anima non sia confermata in grazia ".32 Teresa di Gesù, parla con più titubanza della sicurezza della vita eterna. " Tale sicurezza - scrive - si deve intendere finché Dio tiene l'anima per mano ed essa non l'offende ".33 S. Giovanni della Croce, proseguendo su questo tema, afferma che il m. è il grado più sublime " a cui l'anima può giungere su questa terra "; 34 in altri termini, in questa vita, non si dà grado più elevato della trasformazione in Dio. Il santo precisa, però, questo concetto asserendo che in questo grado non si arresta il cammino dell'amore, poiché " con il tempo e l'esercizio esso può benissimo diventare più sublime e approfondito nell'amore ".35 L'amore della sposa deve congiungersi con l'amore dello Sposo e la distanza dalla terra al cielo è infinita; quindi l'anima, attirata da Dio, può crescere sempre più nell'amore verso di lui sino a quando si congiungerà con lui nella visione beatifica.

Il santo tenta di far capire questa crescita con un esempio: all'anima " accade come al legno il quale, sebbene compenetrato dal fuoco da cui è già stato trasformato e unito a sé, quanto più arde, tanto più diventa infiammato e incandescente ".36 A questa realtà accenna anche s. Teresa con poche, ma significative parole: " Questo divino e spirituale matrimonio credo che quaggiù non si possa effettuare in tutta la sua perfezione ".37

Note: 1 M. Magnolfi, La Chiesa sposa di Cristo, in Aa.Vv., La Chiesa nel suo mistero, Roma 1983, 136; 2 Cf R. Penna, Il mysterion paolino, Roma 1978, 76; 3 Tertulliano, De anima: ML t. II, c. 41 BC; 4 Origene, Homiliae in Genesim: MG, Hom. X, 88 D; 5 Cirillo di Gerusalemme, Catechesis de baptismo: MG XVI B; 6 J. Daniélou, Bibbia e liturgia. La teologia biblica dei sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, Milano 1958, 255; 7 Gregorio di Nissa, In Cantica Canticorum: MG 44, 765 A; cf P. Adnès, s.v., in DSAM X, 392; 8 S. Bernardo, Sermones in Canticum, Sermo 83,3 e 6; 9 Id., Sermo 22,11; 10 P. Adnès, Mariage..., a.c., 392; T. Alvarez, s.v., in DES II, 1543-1544; 11 Teresa di Gesù, Castello interiore VI, 4,4; 12 Ibid., VII, 1,3. 13 Id., Cammino di perfezione 16, 10; 14 Castello interiore VII, 1,3; 15 Ibid., 1,5; 16 Ibid.; 17 Ibid., 1,8; 18 Giovanni della Croce, Cantico spirituale B, 20,1; 19 Teresa di Gesù, Castello interiore VII, 2,3; 20 Giovanni della Croce, Cantico..., o.c., 22,3; 21 Teresa di Gesù, Castello interiore VII, 2,3; cf J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Romae 1946, 363; 22 Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore II, 34; 23 Ibid., Prologo, 3; 24 Ibid.; 25 Ibid., III, 24; 26 Teresa di Gesù, Castello interiore VII, 1,6; 27 Ibid., 2,4; 28 Giovanni della Croce, Fiamma..., o.c., III, 24; 29 Id., Cantico..., o.c., 26,11; cf E. Pacho, Temi fondamentali in san Giovanni della Croce, Roma 1989, 341; 30 Giovanni della Croce, Cantico..., o.c., 20,10; 31 Id., Fiamma..., o.c., I, 6; 32 Id., Cantico..., o.c., 22,3; 33 Teresa di Gesù, Castello interiore VII, 2,9; 34 Giovanni della Croce, Cantico..., o.c., 22, 3; 35 Id., Fiamma..., o.c., Prologo, 3; 36 Ibid.; 37 Teresa di Gesù, Castello interiore VII, 2,1.

Bibl. P. Adnès, s.v., in DSAM X, 388-408; T. Alvarez, s.v., in DES II, 1542-1547; S. Bernardo, Sermones in Canticum, Sermo 82 e 12; Cirillo di Gerusalemme, Catechesis de baptismo: PG XVI B; J. Daniélou, Bibbia e liturgia. La teologia biblica dei sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, Milano 1958; P. Dinzelbacher, Brautmystik, in WMy, 71-72; J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Romae 1946; Gregorio di Nissa, In Cantica Canticorum: MG 785; A.M. Magnolfi, La Chiesa sposa di Cristo, in Aa.Vv., La Chiesa nel suo mistero, Roma 1983; Origene, Homiliae in Genesim, Hom. X: MG 88 D; R. Penna, Il mysterion paolino, Brescia 1978; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 897-912; A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma 1932; Tertulliano, De anima: ML t. II, c. 41 BC.

S. Possanzini

MEDITAZIONE. (inizio)

Premessa. La preghiera, come espressione essenziale della vita teologale e dell'uomo chiamato fin dalla sua nascita all'unione con Dio (cf GS 19), associato al mistero pasquale di Gesù (cf GS 22), è strettamente unita alla vita della persona. Non può essere che così quando la preghiera si pensa e si vive come relazione interpersonale, amicale o teologale,1 tra Dio e la creatura, relazione di due libertà. Ciò serve per raggiungere la comunione. La m. cristiana, di cui si parla qui, " ricerca, attraverso un cammino di interiorizzazione, l'"incontro" e la "comunione" di due realtà irriducibilmente diverse, accentuando la differenza come base della relazione ".2

Essa è un atto della persona credente, benché sarà bene ricordare che la preghiera è il risultato e il frutto di due che si guardano, si trattano amichevolmente, nella realtà delle rispettive identità personali: Dio e la persona, che costituiscono un " noi " in crescente armonia. Com'è ovvio, da qui sorge e si apre il cammino verso una maggiore e più definita identificazione dell'essere di ciascuno nella loro mutua relazione.

Supponendo questo, e anche di più, sull'identità della preghiera cristiana,3 la m., come forma di preghiera, è praticata da coloro che iniziano il cammino di preghiera, caratterizzando il proprio stato spirituale e la propria relazione personale con Dio. E, pertanto, una tappa temporale e passeggera dell'itinerario mistico. E errato identificare la m. con la preghiera,4 come se sempre si dovesse canalizzare il rapporto orante del credente con il suo Dio. Va, inoltre, aggiunto che vi sono persone che non possono meditare per cause diverse e, non per questo, è loro precluso il cammino della preghiera. Già s. Teresa d'Avila diceva che la " sostanza della preghiera " " non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare ". E offriva una spiegazione convincente: " Non tutte le persone sono capaci di pensare ".5 Non perché si discorre con la mente o si pensa, la m. è preghiera. Pregare non è pensare, considerare, discorrere con Dio sui suoi misteri, sulla vita che egli è e che ci partecipa, anche se questo si deve fare. Pregare è " guardare all'Altro ",6 uscire da sé e immergersi nell'Altro.

Fatte queste distinzioni, e conoscendo l'interesse moderno per la m. e l'importanza che ha suscitato in questo senso l'Oriente, cristiano o non,7 sarà opportuno soffermarsi, dunque, su quanto hanno detto due grandi maestri della spiritualità cristiana, Teresa e Giovanni della Croce, sulla m., come forma di preghiera - benché abbiano trattato solo di sfuggita di essa - perché hanno scritto molto e bene dicendo l'essenziale sulla preghiera.8 L'esperienza teresiana della preghiera e la sua parola, così come le chiare e precise considerazioni sanjuaniste, possono aiutare ad uscire dalla crisi in cui si è ridotta ed irrigidita la m. cristiana come unica apertura alla contemplazione, e che non può " imporsi " a tutte le persone. Teresa confessa che " non poteva discorrere con l'intelletto ". E sapeva che questo succede a non poche persone. Per questo propone " l'orazione di raccoglimento ".

I. Natura della m. Teresa ha scritto con tutta semplicità: " Chiamo m. un discorso fatto con l'intelletto ",9 " traendo molte riflessioni da un pensiero e molti altri concetti ".10 Il Dottore mistico, a sua volta, la definisce " atto discorsivo per mezzo di immagini, forme e figure, elaborate e immaginate " dall'immaginazione e dalla fantasia.11 Con insistenza afferma che la m. è un " discorso naturale "; 12 un " discorso spirituale ",13 frutto della " capacità naturale ",14 che si denomina " via del senso ",15 in contrapposizione a " la via dello spirito " che è la contemplazione.16 " E congiunto alla via dello spirito che è la contemplazione ".17

" Discorso naturale " meditativo, collocato alla fine del processo di conoscenza naturale che parte dall'attività dei sensi esterni,18 " finestre " dell'anima,19 passa attraverso le immagini che la memoria conserva, " archivio e ricettacolo dell'intelletto ", finché questo " le considera intelligibili ".20 Poi, l'intelletto, " se parliamo naturalmente ", " non può intendere se non ciò che le offre attraverso il filtro dei sensi e della immaginazione e della fantasia ".21 Nella m. il fedele intende " naturalmente con la forza e il vigore del suo lume naturale ".22 Il santo avverte che anche " lo Spirito divino è unito con esso [intelletto] in quella verità... Questo è uno dei modi in cui lo Spirito Santo insegna ".23

La m. " religiosa ", cristiana, per quanto si applica al mistero di Dio rivelato in Cristo, è un'attività che corrisponde alla " capacità naturale ",24 alla " abilità naturale ",25 a " ciò che è senso e razionale ",26 propria " dell'uomo vecchio ", e che deve morire: Dio porrà " nell'anima un nuovo modo d'intendere di Dio in Dio, lasciando il vecchio intendere dell'uomo, e un nuovo modo di amare Dio in Dio, spoglia ora la volontà di tutti i suoi vecchi desideri e i piaceri di uomo... ", " facendo morire ciò che è dell'uomo vecchio, che è l'abilità dell'essere naturale e rivestendosi di una capacità nuova soprannaturale ".27

La m. è un'attività dell'orante che comporta pluralità di atti discorsivi e affettivi: che genera conoscenza particolare, muove la volontà ad atti molteplici di amore, di lode, di gratitudine, ecc. I due maestri carmelitani approvano senza reticenze questo modo di pregare, come si vedrà più avanti: riconoscono che l'esercizio della preghiera risulta più facile, però essi richiedono moderazione e attenzione alle mozioni dello Spirito per assecondarle con generosità, lasciando la m., soprattutto quando risulta piacevole. La m., dunque, è una porta di accesso ad una forma migliore di " rapporto d'amicizia " con Dio: la contemplazione.28

Tutti e due credono che a ciò viene avvicinato l'orante molto presto, quando conduce seriamente 29 una vita spirituale di preghiera.

Al principio di una forma sottile e tenue l'orante sperimenta " che non può parlare come prima ",30 annunciando il passaggio alla contemplazione iniziale.

II. Finalità della m. " Nella m. tutto è cercare Dio ", oppure " ardere d'amore ", così scrive Teresa.31 Giovanni della Croce chiarisce solo un po' la questione, perché, fedele al suo proposito di sobrietà, mai esplicita con tutta evidenza il suo pensiero, trasmesso con frasi concise che esprimano sicurezza e padronanza della questione. Basta ricordarne alcune: grazie alla m. si riceve " qualche conoscenza e amore di Dio ".32 Si tratta di una conoscenza della verità di Dio che provoca amore, desiderio di incentrare in lui la vita, di raccogliere in lui l'amore: componente noetica della preghiera meditativa, ma che conduce all'amore, conoscenza che muove la volontà. Possiamo dire che coinvolge tutta la persona, rappresentata dalle due " potenze ": intelletto e volontà. Il mistico spagnolo ricorda che, nell'ordine naturale, seguendo la teologia scolastica, non c'è amore senza conoscenza, questa precede e genera amore.33 Dirà che per il principiante, la m. è necessaria " per far innamorare e cibare l'anima attraverso il senso ".34 In quest'ordine, - non è possibile lasciarlo da parte, perché ha molta importanza - si sottolinea che ordinariamente è un amore " saporoso ", " gustoso ". Un segno: il principiante deve meditare e approfittare " del sapore e del gusto sensibile nelle cose spirituali, perché, cibando l'appetito con il sapore delle cose spirituali, si sradica dal sapore delle cose sensibili ".35 Insiste " affinché con questo gusto [delle cose di Dio] lasci l'altro [le cose del mondo] ".36

Teresa e Giovanni parlano della frequenza del gusto all'inizio del cammino della preghiera, come segno della pedagogia divina che si " adatta " alla persona, " che perfeziona l'uomo al modo dell'uomo ";37 pertanto, come riconoscimento all'essere della persona, tale e come lui l'ha creata, è necessario sperimentare " una fiamma più viva di un altro amore migliore, [quale è appunto quello del Cristo], in modo che, riponendo il suo gusto e la sua forza in questo, abbia coraggio e costanza per disprezzare facilmente tutti gli altri amori ".38 A questo si unisce l'idiosincrasia di alcune persone che " si muovono molto verso Dio attraverso gli oggetti sensibili ".39

Un'altra formulazione sulla finalità della m., da parte del Dottore mistico, con una sfumatura importante, affrontando già la contemplazione, la preghiera che attrae veramente l'attenzione del santo è questa: la m. serve " per disporre e abituare lo spirito a ciò che è spirituale per mezzo del senso e sbarazzarsi di tutte le altre forme e immagini... temporali, mondane e naturali ".40 Così introduce il discorso su " i segni che deve avere in sé lo spirituale ", per conoscere quando deve lasciare l'esercizio della m. per addentrarsi nella contemplazione. La m. " dispone " a ricevere più e meglio la comunicazione di Dio per mezzo della contemplazione.

III. Comportamento dell'orante. Abbiamo appena finito di dire che la m. è " un discorso naturale ", e che, pertanto, si regge con le medesime leggi del processo conoscitivo. In tale processo ciò che conta sono la persona e le " circostanze " in cui ella vive, il contesto, l'ambito nel quale si produce l'attività intellettuale che indaga sulla verità e nella quale, come ricordava Giovanni della Croce, interviene anche lo Spirito Santo.

Sempre con l'aiuto del Dottore mistico si possono distinguere le " circostanze " nemiche interiori, i sentimenti, per usare una parola frequente nei suoi scritti, e quelle esterne che " toccano " i sensi e che provocano l'attività intellettuale e volitiva della persona e influiscono su di essa. Soffermiamoci su quest'ultima perché per la persona inizia da qui il processo della conoscenza.

Giovanni della Croce, parlando direttamente del " luogo " della preghiera, enuncia un principio nella sua formulazione valido per tutti i " mezzi " in e per i quali ci si rivolge a Dio nella preghiera. A questo proposito scrive: " Quel luogo si deve scegliere perché meno occupi e porti il senso... E un buon luogo solitario e anche aspro, affinché lo spirito si consolidi e direttamente salga a Dio ".41 Il " mezzo " migliore sarà quello che, più e meglio, in ogni momento del processo della preghiera della persona, attivi, centri e interiorizzi la relazione personale con Dio. E questo dev'essere costantemente oggetto di discernimento. " Il vero spirituale, quando vuol pregare, non guarda mai alla comodità del luogo... ma ha di mira solo il raccoglimento interiore, dimentico di se stesso e degli altri ".42

In relazione ai sentimenti, alle esperienze psicologiche che si sviluppano nella preghiera, alle medesime reazioni nemiche che si producono per l'utilizzazione dei " mezzi " distinti, la parola del santo è inequivocabile: sono buoni se sono " motivi e forza per andare a Dio ".43 Quando non lo sono essi sono negazione della preghiera, esaltazione dell'egocentrismo - il più diametralmente opposto e contrario alla preghiera-amicizia, che è l'uscire da sé per incentrarsi sull'Altro -, quando portano il fedele a porre " la sua gioia più nei [mezzi] che in ciò che essi rappresentano ",44 o a lasciarsi guidare " dal piacere ",45 identificando con esso la verità della sua preghiera " approdano al piacere e alla propria volontà, e questo ritengono come Dio ".46 Il piacere, la devozione non aggiungono nulla alla preghiera, non la migliorano. Tantomeno la sua mancanza la colpisce nella sua autentica realtà. I sentimenti, il piacere, le esperienze gratificanti, soprattutto queste, nell'esercizio della m., devono essere lasciati indietro per " uscire " da sé ed " entrare " nell'Altro per mezzo dell'amore. Scrive Giovanni della Croce a questo riguardo: l'uomo si unisce a Dio " per mezzo dell'amore; e, come il diletto, la soavità, e qualche piacere... non sono l'amore, ne consegue che nessuno dei sentimenti saporosi può essere mezzo proporzionato per unirsi a Dio, ma solo l'operazione della volontà. Tale operazione è ben distinta dal suo sentimento: la volontà si unisce a Dio e termina in lui che è amore, che è l'amore, per l'operazione della volontà non per il sentimento... che si stabilisce nell'anima come fine e coronamento. Pertanto, i sentimenti di per sé non incamminano l'anima, al contrario la trattengono in se stessi ".47 Il Dottore mistico esprime così lo scambio purificatore operato dalla " notte " che apre alla contemplazione iniziale: " Non si muove all'azione per il gusto e il sapore dell'opera... ma solo per piacere a Dio ".48 La medesima espressione è usata da Teresa per definire il comportamento retto del fedele: andare " per la strada dell'amore come occorre, solo per servire Cristo crocifisso ".49 Il santo spiega a tutti coloro che vogliono capire: " Io riprendo l'attaccamento del cuore e l'affetto di proprietà che portano al modo, alla moltitudine e alla vaghezza di quelle cose, perché ciò è molto contrario alla povertà di spirito che guarda soltanto alla sostanza della devozione ".50 Giovanni della Croce insiste molto su questo punto: " Non condanno anzi approvo il fatto che alcuni stabiliscono di fare le loro devozioni e digiuni... in determinati giorni..., ma riprovo l'attaccamento che hanno al loro modo limitato di pregare e alle cerimonie che usano ".51 Afferma con sicurezza che Dio " fa poco caso ai tuoi oratori e ad altri luoghi ben preparati, se per l'appetito che tieni legato ad essi, hai minore nudità spirituale ".52

Per questo, sicuro ancora una volta, scrive che alla persona " si deve offrire materia per meditare e discorrere ",53 " fintanto che con piacere può discorrere nella m. ".54 E Teresa: " E bene discorrere talvolta "; 55 però " che non ci si affanni in questo " 56 " che non si perda tutto il tempo in ciò ".57 L'orante farà bene a percepirsi dinanzi al Cristo e a parlare con lui a tu per tu, da persona a persona, con amore.58

In conclusione, i due maestri di preghiera parlano della m. come di una tappa, la prima forma di preghiera " per coloro che possono farlo ", precisa Teresa.59

Si tratta di una forma di preghiera propria dei principianti, in sé povera, come povero è innaffiare un giardino con il secchio, secondo il paragone di Teresa.60 E una forma di preghiera che dev'essere gestita dalla libertà della persona e non dev'essere schiavizzata da nessun metodo. Però, occorre la guida di un bravo direttore spirituale, affinché l'orante possa scoprire il cammino attraverso cui Dio lo conduce.

Note: 1 Cf M. Herraiz, La oración, historia de amistad, Madrid 19944; Id., La oración, palabra de un maestro. San Juan de la Cruz, Madrid 1991; 2 S. Guerra, Meditación cristiana, in Nuevo Diccionario de espiritualidad, Madrid 1991, 1234; 3 Cf Congregazione per la dottrina della fede, Alcuni aspetti della meditazione cristiana, Città del Vaticano 1989; 4 Anche il CCC parla di " tre forme di preghiera ": la vocale, la meditazione, della quale dice che " mette in azione il pensiero, l'immaginazione, l'emozione, il desiderio... " (n. 2708), terminando sorprendentemente, dicendo che " questa forma di riflessione orante ha un grande valore, ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d'amore del Signore Gesù, all'unione con lui " (n. 2708); 5 Fondazioni 5,2; 6 Cammino di perfezione 26,3; 7 Cf S. Guerra, Meditación y drogas, in REsp 45 (1986), 203-386; K. Dürckheim, Hacia la vida iniciática. Meditar? Porqué y cómo?, Bilbao 1982, che, nella presentazione dell'edizione spagnola inizia manifestando la sua soddisfazione nel vederlo tradotto e notando che " s'inserisce nella forte tradizione spirituale spagnola, quella dei grandi maestri del cammino interiore che furono Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce "; 8 Così scrive Teresa: " Le persone di buona intelligenza che, essendo già pratiche della meditazione possono raccogliersi in se stesse, hanno a loro disposizione molti libri ben fatti e scritti " (Cammino di perfezione 19,1). E Giovanni della Croce, nel Prologo (n. 3) al Cantico spirituale, afferma che illustrerà " alcuni punti ed effetti della preghiera... lasciando i più comuni, parlerò brevemente dei più straordinari che avvengono a coloro che hanno superato... lo stato dei principianti " (cf Notte oscura I, 8,3-5); 9 Castello interiore VI, 7,10; 10 Vita 13,11; 11 Cf Salita del Monte Carmelo II, 12,3; Notte..., o.c., I, 12,6; Salita..., o.c., II, 14,6; Fiamma viva d'amore 3,32; 12 Salita..., o.c., II, 14,12; 13 Ibid. 14,13; 14 Fiamma..., o.c., 3,31; Salita..., o.c., II, 17,7; 15 Ibid., II, 13,5; Notte..., o.c., I, 10,1; 8,3; 16 Notte..., o.c., I, 9,9; 1,1; 17 Fiamma..., o.c., 3,44; 18 Cf Salita..., o.c., II, 17,3-4; 19 Cf Ibid., I, 3,3; 20 Salita..., o.c., II, 16,2; 21 Ibid., 8,4; 3,2; 22 Fiamma..., o.c., 2,34; 23 Salita..., o.c., II, 29,1; 24 Fiamma..., o.c., 3,28; Notte..., o.c., II, 17,8; 25 Salita..., o.c., III, 2,13; 26 Ibid., II, 4,2; 27 Salita..., o.c., I, 5,7; Fiamma..., o.c., 2,34; Notte..., o.c., II, 4,2. E il linguaggio che usa quando parla della contemplazione, che fa " venir meno gli atti naturali delle potenze " (Fiamma..., o.c., 3,54), " l'uso delle potenze, memoria, intelletto e volontà " (Ibid., 2,33). " Vengono meno " e " muoiono " queste potenze " ai suoi atti... almeno discorsivi " (Salita..., o.c., II, 13,4), " agli atti particolari " (Ibid., 17,8), " alle notizie distinte " (Fiamma..., o.c., 3,48); 28 Per due volte, in contesti simili, e con qualche variante che non riguarda la sostanza, Giovanni della Croce tornerà a presentare i " segni che lo spirituale deve scorgere in sé ", attraverso cui si capirà che si sta passando dalla meditazione alla contemplazione (cf Salita..., o.c., II, 13-14; Notte..., o.c., I, 9); 29 Dio " inizia " a " porre l'anima in stato di contemplazione, che in alcune persone suole accadere molto presto, maggiormente tra persone religiose, perché distaccate dalle cose del mondo, in più breve tempo sanno adattare a Dio il loro senso e l'appetito e ne trasferiscono l'esercizio allo spirito " (Fiamma..., o.c., 3,32; Notte..., o.c., I, 8,3). Santa Teresa dice che è alle quarte Mansioni, alla prima forma di preghiera contemplativa, " credo che sia in questa in cui entrano più anime " (3,15). Allo stesso modo, il santo dottore nel Prologo della Salita..., o.c., 3; 30 Castello interiore, V, 7,7; 31 Ibid., 6,7; 32 Salita..., o.c., II, 14,2; 33 Cf Fiamma..., o.c., 2,49; Cantico..., o.c., 26,8; 34 Salita..., o.c., II, 12,5; 35 Fiamma..., o.c., 3,32; 36 Salita..., o.c., III, 39,1; Notte..., o.c., I, 8,3; 37 Salita..., o.c., II, 17,4; 38 Ibid., I, 14,2; 39 Ibid., III, 24,4; 40 Ibid., II, 13,1; 41 Ibid., III, 39,2; 42 Ibid., III, 39,3. Parola chiave, " il raccoglimento ", di profondo senso teologale, prima che psicologico o fisico, nella pedagogia teresiana-sanjuanista della preghiera (cf M. Herraiz, La oración palabra... o.c., o.c., 23-31 e La oración historia..., o.c., 42-83; 162-168; 43 Salita..., o.c., III, 24,4; 44 Ibid. 35,2,8; 43,2; 45 Notte..., o.c., I, 6,6; 1,3; 46 Ibid., 6,3; 47 Lettera 11; 48 Notte..., o.c., I, 13,12; 49 Castello interiore IV, 2,10; 50 Notte..., o.c., I, 3,1; 51 Salita..., o.c., III, 44,5; 52 Ibid., 40,1; 53 Fiamma..., o.c., 3,22; 54 Salita..., o.c., II, 13,2; 55 Vita 13,22; 56 Ibid.; 57 Ibid., 11; 58 Cf Ibid.; 59 Cf M. Herraiz, La oración, historia..., o.c., 156-162. A coloro che non possono farlo la santa propone " la preghiera di raccoglimento ", principalmente nel Cammino di perfezione 26,28; 60 Cf Vita 11,7.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM X, 906-934; Aa.Vv., L'orazione mentale, Roma 1965; Aa.Vv., Méditation, in Studia missionalia, 25 (1976), tutto il numero; E. Ancilli, s.v., in Aa.Vv., Dizionario di spiritualità dei laici, II, Milano 1981, 23-31; H.U. von Balthasar, La meditazione, Alba (CN) 1958; Ch.-A. Bernard, s.v., in NDS, 947-954; K. Dürckheim, Meditieren, wozu und wie, Freiburg i.B. 1976; P.Y. Émery, La méditation de l'Écriture, Taizé 1975; F. Foresti - E. Bortone, s.v., in DES II, 1558-1565; J. Sudbrack, s.v., in WMy, 350-352; Sich in Gottes Ordnung begen. Von Reichtum christlicher Meditation, Würzburg 1986; Id., K. Tilmann - H.T. von Peinen, Guida alla meditazione cristiana, Brescia 1980; H. Waldenfels, La méditation en Orient et en Occident, Paris 1981.

M. Herraiz

MEMORIA. (inizio)

I. Il termine. La voce m., identica per le lingue italiana e latina, deriva da quella greca mnème. Comunemente la m. è ritenuta la facoltà umana o la funzione psichica che conserva e riproduce impressioni mentali o sensitive. I suoi significati sono molteplici: per antonomasia è la dea (Mnemòsine) madre delle Muse, o Dio stesso (la m. divina); per sineddoche è la mente, la capacità di fissare immagini, il ricordo, la reminiscenza, la tradizione; per metafora è la fama, la reputazione, l'onore; per metonimia è anche modifica organica o inorganica di un substrato, il cui effetto può ripetersi, oppure è un insieme di appunti, di fatti di vita, un documento storico, una documentazione giudiziale, una comunicazione, una dissertazione, un calcolo meccanico, una registrazione elettronica.

Nel pensiero filosofico antico la m. fu ritenuta un'attività strettamente mentale in quanto reminiscenza (anamnesi) di idee preesistenti (Platone); la facoltà del composto umano (anima e corpo), distinta dall'intelletto e dalla volontà, che è attivata da elementi sensitivi ed è protesa a immagini spirituali (Aristotele); primariamente è una facoltà autonoma (immaginazione) dell'anima spirituale che ridesta le idee, secondariamente è una potenza (reminiscenza) di un'anima temporale che riproduce le sensazioni (Plotino).

A queste tre distinte opinioni si rifecero, con variazioni di termini e mescolanza di particolari, tutti i pensatori seguenti.

Nella scolastica, Tommaso d'Aquino, sulla scia di Agostino d'Ippona, distingueva una m. intellettiva, identificabile con " l'intelletto possibile ", e una m. sensitiva condizionata all'attività dei sensi esterni, i cui dati venivano conservati da essa per essere poi elaborati dal " senso comune ", in una specie o forma che serviva all'intelletto " agente " per astrarre " la specie impressa ".

Moderni pensatori (Hobbes, Locke, Leibniz, Hegel, ecc.) a seconda della prevalente ideologia materialistica o idealistica, in riferimento alla m., altalenarono tra una funzione sensitiva e quella spirituale.

Gli aspetti fisiologici, psicologici della m. sono stati oggetto di numerose ricerche negli ultimi tempi (Ebbinghaus, Müller, Pavlov, Piaget, Scheibel, ecc.). I risultati sperimentali sulla m. hanno evidenziato i fenomeni psichici delle associazioni delle rappresentazioni o immagini: fissazione di esse, loro conservazione, evoluzione e riconoscimento.

II. Nell'esperienza mistica. La ripercussione delle diverse opinioni e degli ultimi risultati circa la m., non è rilevante nella teologia cattolica della vita spirituale (ascetica e mistica) dato che la dottrina aristotelico-tomistica fu comunemente accettata. Ai mistici interessa la funzione della m. che renda presente alla coscienza d'una persona, in rapporto a Dio, la propria storia di salvezza cristiana, che concorra a forgiare l'atto umano in ordine a questa e che si accordi con le altre potenze a lasciare ampio spazio all'azione divina nello sviluppo dell'orazione contemplativa.

Nell'esperienza mistica la m. intellettuale, distinta dalla facoltà mnemonica sensitiva, svolge un ruolo analogo a quello della volontà e dell'intelletto. Teresa d'Avila, pur dando il primato alla volontà che sprigiona amore 1 descrive il compito importante della m. nell'evolversi dei gradi di orazione soprannaturale (di raccoglimento, di sonno delle potenze o di quiete, di unione, di estasi, di rapimento), nei quali prevale sempre più l'azione della grazia divina. Teresa chiama la m. qualche volta immaginazione e a volte la distingue da essa. All'inizio del cammino di orazione (preghiera vocale, meditazione) è fondamentale che la m. ricordi le principali verità della fede.2 Nei gradi superiori, la m. non può dimenticare le parole dette a lei dal Signore 3 mentre perde la sua forza di riproduzione e di riconoscimento degli eventi passati, a vantaggio della quiete spirituale, dell'unione amorosa con Dio e dell'estasi.

Giovanni della Croce, con più precisione scolastica, pone la m. in rapporto alla virtù teologica della speranza, a quella cardinale (cristiana) della prudenza e ai doni dello Spirito Santo (consiglio e timor di Dio). Egli nella Salita-Notte trattando dell'unione della persona con Dio nella contemplazione, richiede la purificazione della m. mediante l'esercizio della speranza che brama Dio sommo bene, la sua beatitudine e i mezzi per conseguirla. La persona deve abbandonare tutti i ricordi attinenti ai valori terreni che non orientano subito a Dio e, perfino, vanno messi da parte i ricordi di esperienze soprannaturali (locuzioni, rivelazioni, visioni), pena l'irrequietezza, il perditempo a scapito della pace interiore.4 Si deve tendere all'unione amorosa con Dio " in pura e integra speranza " teologale.5 Poiché questa è strettamente relazionata alla m. mentale, una persona desidererà il Sommo Bene e fiduciosamente, fondata sulla bontà e onnipotenza di Dio, attenderà maggiori mezzi per conseguire tale Bene quanto più cancellerà dalla sua m. i ricordi dei beni terreni o soprannaturali, già posseduti e goduti, che non la sospingono subito ed efficacemente all'unione con Dio.

Note: 1 Cf Vita 14,3; 17,15; (l'orazione non consiste nel molto pensare ma nel molto amare); 2 Ibid. 10,4; 3 Ibid. 25,7 e Castello interiore, I, 3,7; 4,5; 4 Cf Salita del Monte Carmelo III, 8,2-5; 11,1; 5 Ibid., 3,37.

Bibl. A. Baddeley, La memoria. Come funziona e come usarla, Bari 19902; R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, Roma 1984; T. Juchter Meinz, La memoria, Roma 1990; P. Moderato, Apprendimento e memoria, Milano 1989; D. Norman, Memoria e attenzione, Milano 1985; S. Roncato, Apprendimento e memoria, Bologna 1982; G.G. Pesenti, s.v., in DES II, 1576-1578; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 459-463.

G.G. Pesenti

MENTE. (inizio)

I. Il termine. L'etimo di m., attraverso il latino mens, pare derivi dalla radice greca men o man che si riferisce all'animo umano e alle sue funzioni superiori.

Nel linguaggio umano la parola m. designa il complesso delle facoltà o funzioni spirituali umane: percezione, intellezione, volizione, creatività, memoria. Il vocabolo ha significato generico proprio e traslato. Il primo indica la parte che presiede alle attività psichiche della persona, pur essendo condizionata da quella fisica. Pertanto, si parla di m. affaticata o riposata, lucida o offuscata, a seconda dello stress, delle passioni ed emozioni cui la persona sottostà. In tal senso la m. viene relazionata al corpo quasi coefficiente più o meno consono (mens sana in corpore sano), e al cuore come sede di sentimenti e affetti. Nel linguaggio generico figurato la m. assume significati distinti: per antonomasia è riferita a Dio con specificativi (m. eterna, suprema); per sineddoche designa una qualche funzione dell'anima: il raziocinio o l'intuizione, l'intenzione o l'attenzione, la memoria o la fantasia, il senno o l'indole morale, l'affettività, anche nei loro aspetti bizzarri o nelle loro alterazioni (malattia della m., conflitti della m.), oppure l'insieme delle più o meno vaste conoscenze di una persona; per metonimia la m. può indicare: il soggetto cui si attribuisce una peculiare capacità spirituale con valenza positiva o negativa (m. direttiva o ideatrice o politica), oppure la sede in cui si formano le idee o da cui scompaiono o si alterano.

L'uso specifico della voce m. è molteplice. Nella letteratura greca la m. (nous) può significare sensibilità, facoltà percettiva, capacità di comprendere, mentalità, carattere etico, perspicacia, ecc. Nella filosofia greca la m. poteva significare una molteplice attività spirituale o, come in Anassagora ( 428 a.C.), la suprema intelligenza ordinatrice di tutte le cose. Platone, nella triplice ripartizione dell'anima umana, assegna alla m. il Pensiero puro che ha come oggetto le idee; nell'universo c'è la m. divina che domina; nel rapporto della m. umana con quella divina si genera la verità dell'uomo. Aristotele ( 322 a.C.) distingue la m. teoretica e la m. pratica, e assicura che la m. è disimpegnata dal corpo. Anche per lui Dio è la m. suprema. In altri sistemi filosofici, in particolare nell'idealismo (Spaventa), la voce m. è riferita allo Spirito assoluto.

Nella Bibbia greca il termine m. ha una presenza irrilevante; così pure nella Volgata latina il termine (mens) ricorre una ventina di volte con accezioni della parlata popolare (cf Mt 22,37: diliges... Deum... toto corde... mente tua; 2 Tm 3,8: Hominis corrupti mente, reprobi circa fidem). L'irrilevanza concettuale biblica continua nei Padri apostolici. La teologia cristiana, ben presto, dà al termine m. anche note divine: Dio stesso è la m. eterna; anche Cristo, Figlio di Dio, è la m. (nous), la Parola (Logos) del Padre. La m. umana, che è ad immagine di Dio, se è pura dal peccato, è fatta recettiva della forza divina per penetrare la verità delle cose e possiede la filosofia (amor sapientiae) per credere e contemplare le verità di Dio. Agostino usa il vocabolo m. per designare il Verbo divino (logos) nel quale sono le " rationes rerum stabiles et immutabiles ", 1 per indicare anche la parte superiore dell'anima umana, oltre quella sensitiva e organica.2 Come sinonimi di m. impiega i termini spirito e animo. Dopo di lui altri scrittori sacri, oltre al significato divino, danno alla parola m. contenuti generici, propri o figurati, oppure di armonioso sistema teologico (mens divi Augustini). In seguito m. sta per anima umana, così pensano Tommaso d'Aquino,3 molti scolastici ed altri (Campanella, Cartesio, Spinoza, empiristi inglesi).

II. Nella teologia mistica Bonaventura assume il termine m. come sinonimo di anima nella sua opera filosofico-teologico-mistica, Itinerarium mentis in Deum, ove dice: " Tutte le creature di questo mondo sensibile portano al Dio eterno l'anima del filosofo e del contemplativo ",4 Teresa d'Avila, in tutte le sue opere, ha un solo testo con la voce m.: " La mistica teologia parla dell'unione con Dio (con Dio nell'orazione contemplativa), ma io non ne conosco i termini e non so nemmeno cosa sia la m., né la differenza che passa fra l'anima e lo spirito "; 5 le sono più familiari i termini intelligenza e pensiero. Giovanni della Croce impiega il vocabolo m. una ventina di volte con il significato di potenza conoscitiva o di anima e afferma che queste possono elevarsi a Dio nello stato di contemplazione in cui vengono iniziate,6 oppure possono divenire ottuse quando ripiegano sui piaceri delle realtà terrene.7

Note: 1 S. Agostino, De divinis quaestionibus, 83,46; 2 Id., De Trinitate, 1,15,7; 3 Cf STh I, q. 16, a. 6, ad 1; 4 S. Bonaventura, Itinerarium... (editio minor) I, 2,309-310; 5 Teresa d'Avila, Vita 18,2; 6 S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 14,11; III, 13,6; 7 Ibid., III, 19,3.

Bibl. G. Bateson, Mente e natura, Milano 1984; J.S. Bruner, La mente a più dimensioni, Bari 1988; L. Ehrendried, Dall'educazione all'equilibrio dello spirito, Milano 1985; H. Gardener, La nuova scienza della mente, Milano 1988; Id., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Milano 1987; J.A. Kirby - J.B. Biggs, Cognition, Development and Instruction, New York 1980; G.G. Pesenti, s.v., in DES II, 1580; H. Puttnam, Minds and Machines in Philosophical Papers, Cambridge-New York 1975.

G.G. Pesenti

MERTON THOMAS. (inizio)

I. Vita e opere. M. nasce il 31 gennaio 1915, a Prades (Pirenei orientali, Francia) da padre neozelandese e da madre americana. Muore il 10 dicembre 1968 a Bangkok (Thailandia), dove si trova per presenziare ad un convegno ecumenico tra cattolici e buddisti. E sepolto nel cimitero del monastero di Nostra Signora del Getsemani nel Kentucky (USA).

I suoi genitori sono artisti sempre all'inseguimento della bellezza. Dal padre, Thomas eredita l'inclinazione alla pittura, che non coltiva mai con serietà. La sua giovinezza è esuberante, generosa, senza ipocrisia e soprattutto ricca di una vitalità straripante. Adolescente si professa ateo vivendo senza troppo riguardo per i principi morali, ma una serie di eventi lo conduce gradualmente a Dio.

Inizia gli studi in un liceo francese e si specializza in letteratura inglese. Prosegue i suoi studi a Cambridge (Inghilterra) dove conduce una vita disordinata e dissoluta. Da molti contemporanei è considerato " sospetto " per le sue idee giudicate sovversive. Per questo motivo è costretto a trasferirsi a New York, alla Columbia University. Gli incontri che ha con il corpo docente di questa Università, in particolare con il cattolico Dan Walsh, lo interessano al cristianesimo e gli fanno scoprire che tale religione si rivolge ai piccoli, agli umili, ai perseguitati. Questa scoperta dà maggiore significato alla sua apertura sociale, al suo sforzo di vivere il Vangelo al di là di ogni discriminazione sociale. Quando giunge alla laurea, è ormai cattolico.

Alla Columbia University, nel 1938 ottiene il titolo di Bachelor of Arts e l'anno seguente il titolo di Master of Arts. Per un breve tempo insegna alla stessa università e poi alla St. Bonaventure University di Allegany. Nello stesso periodo visita il monastero trappista del Getsemani nel Kentucky, dove è favorevolmente colpito dalla vita di solitudine, di preghiera e di penitenza dei monaci. Il 10 dicembre 1941 entra definitivamente in questa abbazia cistercense, dove è ordinato sacerdote il 26 marzo 1949 e dove rimane, come monaco, per ventisette anni.

Durante il suo noviziato è molto fervente e rispettoso delle tradizioni del suo Ordine e della vita del monastero, ma l'austerità, le fatiche e i lavori pesanti della vita monastica minano il suo fisico. A causa della sua salute precaria è costretto ad abbandonare il lavoro manuale intraprendendo, così, la stesura di alcuni scritti. La sua dedizione alla vita contemplativa lo porta ad un conflitto interiore: vuole infatti concentrarsi esclusivamente sulla vita dello spirito per potersi legare sempre più a Cristo con la preghiera, mentre l'attività intellettuale sembra allontanarlo da questo proposito. In seguito, accetta questa sua inclinazione, quindi in pace con se stesso, continua a scrivere.

La sua opera più famosa, La Montagna dalle sette balze, vede la luce proprio nella trappa del Getsemani. Questo libro, che tratta molto della sua vita interiore, trasmette valori autentici, avvicinando molti alla Chiesa e alla vita monastica.

M. non può essere definito solo un teologo: infatti trasmette soprattutto la sua esperienza interiore, servendosi della poesia e della saggistica. Negli anni che seguono scrive: Semi di contemplazione, Il segno di Giona, Le acque di Siloe e Il pane nel deserto, che sono tutti pervasi di entusiasmo per la vita monastica. Sempre alla ricerca di un'intimità contemplativa con Dio, in una chiave prettamente privata, nel 1951 M. è costretto a cambiare il suo modo di vedere quando, nominato precettore degli studenti, diviene sempre più consapevole della dimensione comunitaria della vita monastica e della vita cristiana. Frutto di tale esperienza è l'opera dal titolo significativo, Nessun uomo è un'isola, che segna l'inizio del suo interesse per i valori sociali e comunitari. In questo contesto, scrive Semi di distruzione, criticando la politica degli USA nel Vietnam e il movimento razzista che appare in quegli anni.

Molto importante è per M. la conoscenza delle tradizioni spirituali del suo Ordine. Si interessa al buddismo, allo zen e agli scritti di Giovanni della Croce. Nel 1965, nell'eremitaggio della sua abbazia, ove si è ritirato, questo suo interesse per le relazioni esistenti tra il mondo orientale e quello occidentale, si traduce in scritti: Mistici e maestri zen e Lo zen e gli uccelli rapaci, che sono così apprezzati dagli scrittori orientali da essere tradotti nella loro lingua.

La sua apertura al mondo risulta evidente negli scritti successivi: Nuovi semi di contemplazione; Diario di un testimone colpevole; Fede, resistenza, protesta. A questo periodo (anni Sessanta) risalgono anche opere di spiritualità che testimoniano come M. non abbandoni la sua esperienza contemplativa: Vita e santità, sulla " teologia del lavoro " che integra la santità del laico con quella del religioso; Il clima della preghiera monastica, che è una presentazione della vita contemplativa per gli uomini di oggi alla luce della tradizione cristiana.

II. Esperienza mistica. M. si è imposto come un simbolo di questo secolo. Ha unificato nella sua persona diverse tendenze, sempre alla ricerca di una vita più autentica, sempre in una costante opposizione tra la parola e il silenzio, tra una personalità forte e l'annientamento della sua volontà, tra la creatività e la piattezza.

Come mistico, M. restitusce alla vita contemplativa, tipica di tutti i cristiani, il suo valore primario che si è andato smarrendo nel tempo; allo stesso tempo adatta e propone le linee fondamentali della spiritualità monastica alle persone che vivono nel mondo. Nei suoi scritti insegna a tutti i cristiani l'unione mistica con Dio da raggiungere nei fatti ordinari della vita quotidiana. Inoltre, propone, per così dire, un tipo di mistica ove si incontrano religioni diverse come il cristianesimo e il buddismo, entrambi impegnati nella trasformazione della coscienza dell'uomo, nello sforzo di trasformare e liberare la verità in ogni persona.

Tutta la vita di M. testimonia lo sforzo di vivere il cattolicesimo fino in fondo in un'epoca che cerca continuamente e prima di tutto, anche se non sempre ci riesce, di conciliare gli opposti.

Bibl. R. Bailey, Thomas Merton on Mysticism, Garden City 1975; J.E. Bamberger, s.v., in DIP V, 1246-1249; H. Costello, s.v., in DSAM X, 1060-1065; D. Cumer, s.v., in DES II, 1585-1588; H.D. Egan, Thomas Merton, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 636-648; G. Farcet, Thomas Merton, Milano l992; J. Forest, Thomas Merton, Roma 1995; J. Sudbrack, s.v., in WMy, 354-355.

A. Cilia

METAPSICHICA. (inizio)

I. Il termine. Etimologicamente deriva dal greco, ove il prefisso meta suggerisce l'idea di una scienza che supera la realtà naturale o visibile e che trascende i confini della psicologia tradizionale.

Per alcuni la m. costituisce solo un ramo della parapsicologia, la quale analizza oggettivamente i fenomeni e le facoltà paranormali, cioè le energie mentali non controllabili e non misurabili dalle attuali leggi della psicologia sperimentale come la percezione extrasensoriale, l'ipnosi, la sopravvivenza, la reincarnazione, la fotografia psichica, la telepatia, la divinazione, la chiaroveggenza, i fenomeni medianici.

II. Nel campo psicanalitico, la m. si riferisce piuttosto al termine coniato da Freud per designare la dimensione più scientifica e filosofica della sua psicologia, specialmente quella dell'inconscio, che si estende oltre il campo classico della coscienza vigile e che include i principi, i concetti fondamentali e i modelli teorici della sua psicologia dinamica sulla natura, sui livelli e sull'uso delle forze psichiche. Le dimensioni superiori dello psichismo vengono interpretate come elementi patologici, gli stati mistici come fenomeni schizofrenici e le credenze religiose come deliri paranoici, i quali non fanno altro che " proiettare in forze esterne " ciò che in realtà appartiene all'inconscio.

III. La psicologia transpersonale. Per superare queste lacune è nata la psicologia che ha voluto chiamarsi transpersonale, proprio per il suo essenziale scopo di offrire una spiegazione che va oltre i fenomeni normali della dimensione individuale dell'io e dell'inconscio, ma che sono realmente presenti nella persona. Essa parte dalla scoperta degli stati di coscienza, come l'estasi, l'esperienza mistica e la meditazione, i quali oltrepassano le frontiere di una personalità egocentrica e trascendono lo spazio e il tempo superando i limiti di un ego chiuso in se stesso.

Include la pienezza umana come parte integrante del modello di natura. Agli abituali livelli corporale e mentale ne aggiunge un terzo: quello dello spirito e dei gradi superiori della coscienza, che sconfinano nella loro parte più nobile con il sistema universale e cosmico. Perfeziona i metodi di ricerca tradizionali con l'aggiunta della " intuizione personale " dell'essenza della nostra mente profonda e con la rivalutazione della " sapienza " delle maggiori tradizioni religiose, specialmente di quelle orientali, alle quali si rivolge con rispetto e stupore e dalle quali attinge abbondantemente il materiale per la propria riflessione. Tali religioni concedono, infatti, un valore peculiare alla dimensione trascendente e offrono metodi e vie diversi per sollecitare a percorrere l'intero arco dello sviluppo umano verso la totalità e verso l'unione con la divinità.

La sua riflessione e ricerca si concentrano prioritariamente su temi quali: l'esperienza mistica, gli stati superiori di coscienza, la meditazione come teoria e come pratica, la natura e le fasi dell'illuminazione e la visione unitaria del mondo, l'amore e la libertà, il cammino di interiore liberazione verso il raggiungimento della beatitudine nell'Assoluto. L'esperienza stessa della morte costituisce uno dei temi di studio più ricercati nelle ultime pubblicazioni.

Seguendo l'ispirazione delle grandi tradizioni religiose traccia pure diverse mappe geografiche che rappresentano il cammino verso la piena conoscenza e la realizzazione di sé. Alla fine dell'itinerario propone una visione sempre più cosmica della natura e dell'esistenza terrena e stimola la scoperta della coscienza dell'unità che regna nella creazione. Offre alla contemplazione un universo simmetrico nel quale ogni essere umano è in contatto con il tutto e riceve influssi da ogni parte. Questo sviluppo integrale della coscienza fa sperimentare che i confini sono illusioni. La fisica quantica sembra confermare questa visione della " veste senza cuciture dell'universo ". La realizzazione transpersonale incita a trovare unità interiore e pace nell'immersione completa in tale mondo metapsichico.

IV. La mistica è chiamata a confrontarsi con la m. non fosse altro che per accertare ciò che è autenticamente preternaturale e per spiegare il paranormale con la sua apparenza miracolosa con strumenti e documentazioni scientifiche che appartengono all'ordine naturale. Essa, inoltre, può offrire un valido aiuto per smascherare illusioni e inganni procurati da fenomeni pseudomistici e per conoscere istinti primitivi e pieghe recondite del subconscio.

Bibl. S. Freud, Metapsicologia (1915), VIII, Torino 1976; Id., Precisazioni sui due principi dell'accedere psichico (1911), VI, Torino 1976; Id., Al di là del principio di piacere (1920), IX,

Torino 1977; S. Grof, Oltre il cervello. L'esplorazione transpersonale delle possibilità della coscienza umana, Assisi (PG) 1988; J. Tonquedec, Meraviglioso metapsichico e miracolo cristiano, Torino 1959; V. Vezzani, Mistica e metapsichica, Verona 1958; R.N. Walsh - F. Vaughan (edd.), Beyond Ego. Transpersonal Dimensions in Psychology, Los Angeles 1980; K. Wilber, Oltre i confini. La dimensione transpersonale in psicologia, Assisi (PG) 1985.

B. Goya

METODI DI PREGHIERA. (inizio)

I. Premessa. Prenderemo in esame esclusivamente la preghiera privata, individuale o comunitaria che sia, a esclusione di quella liturgica. Quest'ultima è costruita secondo precise metodologie e tecniche, radicate nella rivelazione e allo stesso tempo debitrici del genio religioso umano nelle sue più svariate espressioni storiche e culturali.

Riflettere sui ritmi della preghiera significa ricercare tempi e modi attraverso cui si esprime il rapporto con l'Assoluto. A questo proposito si pongono alcuni interrogativi preliminari. L'Assoluto verso cui tende la preghiera in tutte le sue svariate manifestazioni, resta avvolto nel silenzio o ha parlato all'umanità? Su quale versante si colloca l'esperienza dell'orazione: su quello umano o su quello divino? E cioè una via che riconduce l'uomo in se stesso (enstasi) o, partendo da questa premessa, lo proietta in Dio (estasi)? La preghiera assume caratteristiche diverse a seconda delle risposte a questi interrogativi, risposte che comunque non vanno assolutizzate come se l'enstasi escludesse per principio l'estasi, poiché l'uomo cerca anche se inconsapevolmente Dio ed egli sa come manifestarsi al suo cuore anche al di fuori della rivelazione cristiana.

Per chi è venuto a conoscenza della rivelazione e vi ha aderito, la preghiera si caratterizza come accoglienza, interiorizzazione e attualizzazione nella propria vita della Parola divina, sia nella sua espressione originaria e primordiale (in tal senso il Verbo vive in ogni creatura), sia nell'opera salvifica attraverso la sua Incarnazione (e in tal senso il Verbo vive nel cuore di chi vi aderisce attraverso la fede teologale, per quanto implicita possa essere). Anche la preghiera, di conseguenza, viene evangelizzata, in modo che l'anelito dell'uomo verso l'Assoluto si incontri con l'iniziativa divina consistente nel renderci pienamente partecipi della vita stessa di Dio, attraverso l'azione del Cristo e la conseguente effusione del suo santo Spirito. La grazia redentrice, in altri termini, chiama la stessa preghiera umana alla conversione, nel senso che la ricerca di Dio da parte dell'uomo è destinata a incrociarsi con la definitiva manifestazione di Dio nella sua storia, dando pienezza di attuazione alla religio. Ne segue che nella preghiera cristiana versante umano e versante divino confluiscono in un'unica esperienza, così che si può parlare in tutta verità di sinergia tra uomo e Dio, natura e grazia, compito e dono. Quando un cristiano prega, è Cristo Capo che trasfonde in ogni suo membro lo Spirito di orazione, il quale ci fa esclamare: " Abbà, Padre! " E poiché tutti sono figli dell'unico Padre e lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col " mistero pasquale " (GS 22), possiamo a ragione ritenere che in ogni uomo che prega operi segretamente ed efficacemente lo Spirito di Cristo. Questo spiega perché l'orazione sia additata come il luogo privilegiato del dialogo ecumenico e interreligioso: nulla, infatti, accomuna di più le creature umane quanto il loro convergere, esplicito o inespresso, verso il Mistero, anche se per molti resta ancora " taciuto " (cf Rm 16,25).

II. Caratteristiche generali dei m. " Non si può in nessun modo capire un atto di culto divino, che non comporti lo sforzo personale dell'uomo orante ", ebbe a dire Paolo VI parlando ai monaci.1 Ed è in considerazione del " nisus hominis orantis " che lungo i secoli si sono venuti elaborando m. Sempre sotto un profilo cristiano, dal momento che l'orazione raggiunge il suo culmine quando " lo Spirito prega in noi " sia " gridando: Abbà, Padre! " (Rm 8,15), sia con i " gemiti inesprimibili " (Rm 8,26) dell'amore, i m. avranno un carattere strumentale e iniziale, ma anche iniziatico. In ogni caso, sia pure formulati come itinerari paradigmatici, non potranno non assumere valenze strettamente personali nella loro applicazione. " Un metodo non è che una guida - afferma il CCC al n. 2707 -: l'importante è avanzare, con lo Spirito Santo, sull'unica via della preghiera: Cristo Gesù ". Si aggiunga, infine, che la preghiera tende verso una progressiva semplificazione, nell'" affrancamento da ogni modo, tempo, esercizio, luogo, metodo e mezzo, per aderire a Dio solo, al di là di ogni mediazione ".2

A questo punto risulterà altresì chiara la diversa accentuazione che viene data ai m., comunque la si voglia intendere, a seconda che si seguano vie di immanenza (rientro in se stessi) o di trascendenza (apertura alle manifestazioni divine nel cuore dell'uomo e nella storia dell'umanità). Nel primo caso, quando la posta in gioco è " il completamento di sé attraverso sé " 3 o, " il sé [che] fa se stesso facendo se stesso ",4 i metodi assumeranno un'importanza determinante, quindi risulteranno particolarmente enfatizzati e al limite fuorvianti, qualora l'uomo restasse chiuso in se stesso e si chiudesse alla trascendenza. Nel secondo caso, si correrà il rischio di relativizzarli oltre misura, quasi fossimo dispensati dal compiere la nostra parte. La quale non ha un carattere antagonistico o concorrenziale nei confronti dell'azione divina (a farcela percepire così è il triste retaggio del peccato originale che ha contrapposto l'uomo a Dio), per il semplice fatto che l'autore della grazia è lo stesso autore della natura, il quale vuole che traffichiamo i talenti che ci ha donato.

III. Aspetti peculiari e progressività. Ciò premesso, una prima serie di considerazioni riguarda la qualità e la progressività della preghiera. Si parla di orazione esteriore o vocale e di orazione interiore o mentale, in riferimento alle sue espressioni esterne o al suo radicamento interiore. E evidente che si tratta di due aspetti complementari e gerarchizzati fra loro, come ricorda ad esempio Caterina da Siena: " Si deve cominciare con l'orazione vocale, per giungere a quella mentale... Esse stanno insieme come la vita attiva e la contemplativa ".5 Le fa eco un santo del Cinquecento: " L'orazione esteriore ossia vocale è stata ritrovata per questo: affinché, eccitati dal suo gusto e senso, almeno all'ultimo incominciamo a imparare l'interiore orazione ".6 Il CCC (n. 2704) giunge ad affermare che " la preghiera vocale diventa una prima forma di preghiera contemplativa ".

Altri parlano di orazione discorsiva (sia che si tratti di un discorso vocale o di un discorso puramente mentale) e di orazione affettiva, dove predominano le " aspirazioni " del cuore. Altri, infine, distinguono l'orazione in attiva o acquisita e in passiva o infusa. Nel primo caso fanno riferimento all'iniziativa dell'uomo attraverso le " potenze dell'anima " (intelletto, volontà, memoria, nonché immaginazione e sensibilità), nel secondo caso alla sua ricettività che si manifesta nel " vuoto delle potenze ", come insegna s. Giovanni della Croce.7 Quest'insieme di aspetti è passato in rassegna in una sintesi dal titolo Orationis mentalis analysis, che riprende gli insegnamenti dei Padri e dei dottori, dovuta a F. Lacombe ( 1715) e redatta con intenti apologetici in piena controversia quietista.8

Va, inoltre, notato che il cammino dell'orazione conosce una sua progressività. Lo ricordano i maestri spirituali, che assegnano la preghiera vocale ai principianti, quella mentale ai " proficienti " e quella contemplativa ai " perfetti ", secondo il classico itinerario tripartito che fa riferimento rispettivamente alla purificazione, all'illuminazione e all'unione mistica. Valga per tutti il rimando a s. Bonaventura nel De triplici via, schematismo riproposto nella lettera Orationis formas della Congregazione per la Dottrina della Fede su Alcuni aspetti della meditazione cristiana (cap. 5). E anche a questo proposito s'impone un rilievo d'indole interreligiosa. Fermo restando che è comune a tutti gli itinerari religiosi la fase purificativa, sarà facile costatare come le prassi meditative asiatiche di tipo immanentistico puntino prevalentemente (non certo esclusivamente!) sull'illuminazione, cioè su una visione sapienziale dell'esistenza che coglie nel sé umano il riflesso del Sé divino o universale o cosmico. Per contro, le prassi meditative segnate da un esplicito riferimento teistico e personalistico puntano sull'unione sponsale con Dio che si impone in tutto il suo fulgore nell'ottica trinitaria dell'Amans, dell'Amatus e dell'Amor.

IV. Metodi di meditazione. Il settore nel quale riveste notevole importanza il richiamo a precise metodologie è quello della meditazione. Essa figura come momento essenziale della lectio divina e viene assumendo un'importanza autonoma nell'epoca moderna con la scuola ignaziana, domenicana (basti pensare a Luigi di Granada), teresiana, salesiana, sulpiziana, ecc.9 Nel frattempo, anche in seguito agli apporti dell'Oriente, nella pratica meditativa si è registrato uno spostamento d'accento all'insegna dell'interiorizzazione e del radicamento in tutte le dimensioni della persona. Si parla, quindi, di meditazione discorsiva o con oggetto e di " meditazione esistenziale " (T. Merton), che possiamo meglio definire nel modo seguente. La prima è intessuta di " atti dell'intelletto e della volontà senza la consapevole integrazione del corpo, compiuta con un processo attivo e discorsivo col quale ci si occupa di qualcosa..., con una maggiore attività concettuale, analitica "; la seconda " richiede la partecipazione di tutta la persona, con un processo passivo di accoglienza (l'immagine della conchiglia!), per lasciarsi penetrare dal soggetto-oggetto della meditazione, con un discorso non razionale nel quale prevale l'attenzione a immagini, simboli... orientandosi verso una progressiva semplificazione e un atteggiamento di unificazione contemplativa ".10 La via a questo tipo di meditazione, peraltro radicata nella tradizione mistica, è stata spianata dagli studi di K. Tilmann negli anni Sessanta ed è venuta assumendo la qualifica di preghiera profonda.

In quest'ambito, come abbiamo accennato, si è presa maggiore consapevolezza dell'esigenza di radicare la preghiera in tutte le dimensioni della persona, che è spirito, psiche e corpo, e in tutti i suoi dinamismi. Da qui si è venuto sviluppando sempre più chiaramente il discorso, classico peraltro, sui sensi spirituali e quello, per certi aspetti più nuovo ma non inedito, sugli organi psico-fisici detti anche centri sottili o vitali.11 Si è, inoltre, potuto costatare l'influsso che la preghiera profonda esercita sul piano psico-somatico e di riflesso su quello spirituale, sia armonizzando la sfera corporea, emozionale e mentale, sia riequilibrando i due emisferi cerebrali: quello razionale (animus) e quello intuitivo (anima). Tali esiti saranno perseguiti esplicitamente in chi attende alla meditazione come pratica a se stante (meditazione sapienziale), ma non mancheranno in chi si dedica all'orazione interiore finalizzandola alla contemplazione catafatica o apofatica di Dio (meditazione religiosa propriamente detta).

Soprattutto in riferimento alla meditazione si è registrato l'incontro fra le metodologie elaborate in ambito occidentale e le prassi meditative asiatiche, stanti i non pochi punti in comune (ravvisati in particolare tra lo zazen e gli insegnamenti impartiti dall'anonimo autore della Nube della non-conosenza) e gli apporti reciproci. Salve le debite messe in guardia relative ai principi ispiratori antropocentrici, monistici o a-teistici sottesi a non poche tradizioni induiste e buddiste, l'inculturazione di tali passi in ambito cristiano è un fenomeno carico di promesse per il risveglio della spiritualità nel vecchio mondo e anche per la causa dell'evangelizzazione.

V. Metodi di orazione. Se teniamo conto dello spostamento dalla fase introspettiva a quella unitiva o dalla fase riflessiva a quella affettiva, comprendiamo come a questo punto delle metodologie della preghiera si transiti all'orazione. Essa viene definita con una pluralità di termini, atti a metterne in luce tutte le possibili sfaccettature. Rifacendosi al dettato biblico, gli autori antichi articolavano l'orazione in quattro momenti: preghiera (intesa come dialogo o confabulatio spiritualis con Dio), postulazione o domanda, deprecazione o invocazione di misericordia e di soccorso divino e azione di grazie.12 Successivamente sono state proposte altre definizioni: orazione mentale (a indicare la dimensione interiore); orazione di semplicità, di quiete, di silenzio, di fede, di presenza; orazione di unione; orazione del cuore o di Gesù (con riferimento all'esicasmo proprio dell'Oriente cristiano); ecc. E si è pure sottolineato come l'orazione così intesa debordi dal tempo che le viene espressamente consacrato e si traduca in uno stato, lo stato di orazione o di preghiera continua, secondo l'insistente invito che ci viene dalle Scritture a pregare senza interruzione (cf Lc 18,l; 1 Ts 23,17).

VI. Metodi di contemplazione e importanza dell'" azione ". L'approdo di ogni esperienza di preghiera è la contemplazione, enstatica o estatica a seconda delle tradizioni spirituali. E scontato che in ambito teistico prevalga la seconda, la quale a sua volta può essere vissuta in momenti " rari e furtivi " di illuminazione interiore, oppure nel silenzio e nell'oscurità che avvolgono di norma il nostro rapporto con Dio. In merito a tale rapporto, i mistici amano per lo più la via apofatica o ineffabile e ci avvertono che voler cogliere gli sfolgoranti lineamenti del volto divino è come tentare di trattenere l'aria " serrandola nel pugno ".13 Una simile esperienza è additata come coronamento della pratica spirituale dallo stesso Catechismo, che ravvisa il vertice della preghiera nella silente e amorosa " attenzione " a Dio, dove " attenzione a lui è rinuncia all'io " (n. 2715). E quanto in anni recenti è stato proposto con l'espressione " ricerca orante del nulla ".14

Non desta meraviglia, è anzi un aspetto confortante della radicale comunione tra gli uomini, notare che verso questa vetta possono convergere sia gli slanci contemplativi di segno teistico che i percorsi introspettivi di quanti si immergono nel silenzio esistenziale dinanzi al Mistero. Il quale si presenta come nulla sul versante dell'uomo, ma, alla luce della rivelazione, costituisce il tutto sul versante di Dio, ed è Dio stesso. Si tratta, infatti, di una dialettica ben nota nella letteratura mistica universale, che, talvolta, vi sostituisce il termine vuoto e avverte che in tale " vuoto delle potenze... è percepibile Dio ", che viene " gustato segretamente ed efficacemente ".15

La contemplazione non costituisce un'esperienza avulsa dalla vita, ma va di pari passo con l'azione, intesa quest'ultima come sua indispensabile premessa e esito obbligato. Spieghiamoci. Alcuni autori spirituali inseriscono l'azione tra l'orazione e la contemplazione e le attribuiscono il senso del tutto tradizionale di ascesi se si tratta del lavorio relativo al perfezionamento personale e di carità se si tratta della dedizione amorosa verso gli altri. L'azione rappresenta, quindi, un momento previo e allo stesso tempo successivo alla contemplazione, come ricordano tutte le dottrine spirituali, così che sarebbe un discorso fuorviante parlare della preghiera senza farvi riferimento.

VII. Altri riferimenti metodologici. Noteremo, infine, che l'esperienza orante del cristiano si muove nell'ambito dell'incarnazione e per questo è accompagnata nelle sue diverse espressioni da riferimenti concreti, come i fatti relativi alla vita di Cristo e più in generale alla storia salvifica consegnati alla pagina biblica; la presenza sacramentale di Cristo nell'Eucaristia, di cui non si sottolineerà mai abbastanza l'incidenza che riveste nella preghiera pubblica e privata, individuale e comunitaria; la venerazione delle sante icone, che fissano nell'immagine i misteri della fede.

VIII. Il Padre nostro come " forma " di ogni preghiera. Vorremmo concludere ricordando che, per s. Agostino, l'essenziale metodo di orazione per un cristiano è racchiuso nella preghiera del Padre nostro, che, sostiene il santo Dottore, costituisce la " forma desideriorum " 16 e cioè il paradigma e il criterio veritativo di ogni altra preghiera. " Non farai vera orazione, se non reciti quest'orazione ",17 scrive. E ancora: " Chi dice cose che non abbiano attinenza con questa preghiera evangelica, anche se non prega illecitamente, prega in modo carnale e non so come quelle cose non si dicano in modo illecito, dal momento che ai rinati nello Spirito conviene pregare in modo spirituale ".18 Ciò spiega perché i santi Padri e i maestri spirituali abbiano fatto dell'orazione domenicale il punto di partenza delle loro catechesi sulla preghiera e perché ad essa dedichi non solo ampio spazio, ma anche le pagine conclusive il Catechismo del Vaticano II non meno che quello del Tridentino.

Note: 1 AAS 58 (1966), 886; 2 F. Lacombe, Meditare, Milano 1983, 138; 3 J. Maritain, Azione e contemplazione, 117; 4 Kosho Uchiyama, La realtà della vita. Zazen in pratica, Bologna 1993, 44; 5 Caterina da Siena, Il dialogo della divina provvidenza, c. 66; 6 A.M. Zaccaria, Gli scritti, Roma 1975, 245; 7 Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo II, 6,2; 8 F. Lacombe, Meditare, o.c., 138; 9 Cf G. Lercaro, Metodi di orazione mentale, Milano 1957; 10 J. Castellano Cervera, Pedagogia della preghiera, Roma 1993, 24; 11 Cf G.G. Pesenti, Metodo di orazione, in DES II, 1590-1597; A. Gentili, Le ragioni del corpo, Milano 1996; 12 Tommaso d'Aquino, STh II-II, 83, 17; 13 Giovanni della Croce, Notte oscura, I, 9,6; 14 T. Beck - Giovanna della Croce, Non so vedere, Bologna 1978, 99; 15 Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore B, III, 51; 16 S. Agostino, Sermo, 56,4: PL 38,379; 17 Id., In psalmos, 103,1,19: PL 36,1352; 18 Id., Epistola, 103,12,22: PL 33,502.

Bibl. Oltre alle opere cit. nel corso voce, si consulti, per una visione più analitica, M. Dupuy, Oraison: 2. Manières d'oraison, in DSAM XI, 831-846; Ampia panoramica su scuole e metodi in E. Ancilli (cura di), La preghiera. Bibbia, teologia e esperienze storiche, 2 voll., Roma 1988; A. Furioli, La preghiera. Riflessione di teologia spirituale, Torino 1981. In particolare sulla meditazione e sulle sue " tecniche " si vedano K. Tilmann, Guida alla meditazione, Brescia 1974 e K. Tilmann - H.T. von Peinen, Guida alla meditazione cristiana, Brescia 1980. Sulle valenze interreligiose della pratica meditativa, oltre alla cit. lettera Orationis formas del 1989, si vedano A. Gentili, I cristiani e le prassi meditative delle grandi religioni asiatiche, in RivVitSp 41 (1988), 254-282 e A. Gentili - A. Schnöeller, Dio nel silenzio. La meditazione nella vita, Milano 19939, con ampia bibliografia.

A.M. Gentili

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