GABRIELE DI S.M.M. - GOLA - DIZIONARIO DI MISTICA

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GABRIELE DI S.M.M. - GOLA

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GABRIELE DI S. M. MADDALENA. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce il 24 gennaio 1893 a Bevere in Belgio, da Augusto De Vos e Alice Redelé. Al battesimo gli è dato il nome di Adriano che cambia in G. di Santa Maria Maddalena quando, il 2 settembre 1910, veste l'abito dell'Ordine carmelitano teresiano. Nel 1915 viene arruolato nell'esercito belga: inviato al fronte, si dedica con coraggio e totale disinteresse al soccorso dei commilitoni feriti meritandosi anche due medaglie al valore per altrettante ferite riportate nel compimento del suo dovere. Appena ordinato sacerdote, il 20 aprile 1919, è nominato professore di filosofia nella casa di studio di Courtrai; ma già d'allora comincia a interessarsi di temi di " mistica carmelitana ". Nel 1926, viene chiamato a Roma per sostenere teologicamente l'erigendo " collegio " dell'Ordine, ossia il centro internazionale di studi per i giovani teologi carmelitani. E scelto non solo come " professore ", cioè incaricato della formazione intellettuale dei giovani, ma anche come " maestro ", cioè primo responsabile della loro formazione umana, religiosa, spirituale. Nel 1931, assume la cattedra di teologia spirituale, che diviene il campo della sua specializzazione. Quando nel 1939 non ha più l'incarico di " maestro ", può dedicarsi a tempo pieno all'opera che appare chiaramente essere la sua missione: la promozione della vita spirituale attraverso la diffusione e il contatto con i grandi maestri del Carmelo, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce, Teresa di Gesù Bambino, Elisabetta della Trinità. Nel 1943 fonda la rivista " Vita Carmelitana " che nel 1947 diventa l'attuale " Rivista di vita spirituale ". Nel 1953 dà alla stampa il primo volumetto di Intimità divina, opera che, uscita in gran parte postuma, lo rende presto famoso in tutto il mondo. Muore quasi improvvisamente il 15 marzo 1953 a sessant'anni.

Della molteplice produzione del padre G. segnaliamo: Santa Teresa di Gesù maestra di vita spirituale (1935); San Giovanni della Croce dottore dell'amore divino (1937); L'unione con Dio secondo San Giovanni della Croce (1945); Intimità divina: opera uscita in sei volumetti separati (a cominciare dal 1952) e poi in un unico volume. E rimasto anche famoso il Piccolo catechismo della vita di orazione, che l'autore dapprima pubblicò in " Vita Carmelitana " (1943), ma che poi ebbe molteplici edizioni come lavoro a sé stante.

II. Dottrina spirituale. L'approfondimento dottrinale del professore e l'impegno formativo dell'educatore generarono in G. una singolare capacità di rendere comunicabile e accessibile la dottrina e la spiritualità dei grandi maestri carmelitani anche a persone non particolarmente " iniziate "; oggi diremmo che aveva il " carisma " della comunicazione, della semplicità e della chiarezza. L'attenzione continua alle situazioni concrete, ai movimenti e alle evoluzioni delle idee e la straordinaria capacità di assimilazione che possedeva gli permettevano di ritrovarsi in sintonia ed entrare in dialogo con culture e opinioni diverse. Totalmente dedito alla ricerca della verità, nelle discussioni non entrava mai in critiche negative mentre cercava di cogliere il positivo dovunque lo trovasse. Era sempre conciliante non per falso irenismo, ma per la convinzione profonda che noi non siamo i padroni ma i servitori della verità.

Come studioso, G. ha lasciato un'impronta soprattutto nel campo della teologia spirituale attraverso la ricerca e la divulgazione della dottrina carmelitana. E da ricordare il suo insegnamento sulla natura della teologia spirituale, intesa come studio della vita di grazia nel suo evolversi verso la santità e nel suo progressivo radicamento nei dinamismi e nelle caratteristiche proprie di ciascun soggetto; sulla natura della perfezione cristiana cioè della santità intesa come piena conformità e perfetto inserimento nel divino volere attraverso un continuo ed esatto adempimento dei doveri del proprio stato; sulla necessità di una " vita mistica " autentica (da non confondersi con lo stato contemplativo e le grazie straordinarie) in cui lo Spirito diventa sempre più il principale artefice per realizzare la piena e perfetta conformazione della propria volontà a quella di Dio; sulla necessità assoluta della preghiera per poter progredire nella via della perfezione e raggiungere l' unione d'amore; sulla possibilità da parte di tutti di raggiungere un certo grado di orazione in cui lo Spirito, pur richiedendo ancora l'applicazione personale dell'anima, comincia già a renderla partecipe della contemplazione infusa. Tutto ciò ha anche motivato e polarizzato il suo impegno apostolico che ha avuto sempre come scopo quello di aiutare le anime a lasciarsi prendere dall'azione dello Spirito e ad applicarsi nel cammino della preghiera.

Bibl. P. Beniamino della SS. Trinità, Il fondatore della rivista di Vita Spirituale, in RivVitSp 7 (1953), 113-161; C.S.G., Dal distacco all'amore puro. Insegnamenti all'amore puro di P. Gabriele di S. Maria Maddalena alle Carmelitane, in RivVitSp 37 (1983), 482-490; A. De Sutter, s.v., in DSAM VI, 814; Id., s.v., in DES II, 1067-1068; R. Girardello, Un maestro spirituale per oggi, in RivVitSp 47 (1993), 82-104.

A. Pigna

GAGLIARDI ACHILLE. (inizio)

I. Vita e opere. Il gesuita G. nasce a Padova forse nel 1538 e muore a Modena nel 1607. E uno di quegli uomini che lasciano dietro di sé una scia luminosa difficile da estinguere. E il primo figlio avuto nelle seconde nozze del padre con Girolama Campolongo. Lo spirito cristiano che anima la famiglia dei G. è evidente nel fatto che sia Achille che i suoi due fratelli minori, Leonetto e Luigi, decidono, molto giovani, di abbandonare il mondo e di entrare nella Compagnia di Gesù. Leonetto muore presto (nel 1564), ma Luigi può, nel tempo, collaborare con il fratello maggiore Achille e aiutarlo nella sua attività apostolica.1

G. entra nel noviziato, che la Compagnia di Gesù ha a Roma, il 29 settembre 1559. Terminati i due anni di noviziato (1561), rimane a Roma per studiare teologia nel Collegio romano nel quale ha come condiscepolo e compagno di studi s. Roberto Bellarmino.

Ordinato sacerdote (1563?) rimane nello stesso Collegio romano fino al 1568 come professore di diverse discipline: teologia morale, logica, fisica, metafisica e teologia dogmatica. In questo periodo si apprezzano la sua grande capacità intellettuale e le sue eccelse doti di pedagogo. Ottenuto il dottorato in teologia (1568), è nominato rettore del Collegio che la Compagnia di Gesù ha a Torino (31 marzo 1568), incarico che disimpegna per cinque anni (1568-1573). Dimesso da tale incarico, rimane a Torino come predicatore e confessore (1573-1577). In questo periodo emette la sua professione solenne nella Compagnia di Gesù (8 settembre 1575). Dopo la sua permanenza a Torino, G. è destinato di nuovo al Collegio romano come professore di teologia (1577-1579) e l'anno seguente a Padova (1580). Tuttavia, non raggiunge questa città perché l'arcivescovo di Milano, s. Carlo Borromeo ( 1584), da tempo chiede di avere nella sua diocesi il padre G. Alla fine, il suo desiderio è soddisfatto e G. rimane quattordici anni a Milano (1580-1594). All'inizio, come predicatore e confessore (1580-1584), accompagna l'arcivescovo in una delle sue visite pastorali e su richiesta dello stesso compone un piccolo catechismo della fede cattolica. In seguito è nominato superiore della casa professa, incarico che mantiene fino all'anno 1594. E in quest'anno che il padre generale della Compagnia ritiene opportuno allontanare G. da Milano (1594). Ciò che motiva tale trasferimento sono le accuse di vari gesuiti contro il G. per la direzione spirituale di Isabella Berinzaga, nota come la " Dama milanese ". Il suo influsso spirituale è evidente, ma la sua spiritualità non appare a detti gesuiti conforme alla spiritualità ignaziana. G. è trasferito a Cremona dove sta poco tempo, poi è trasferito per quattro anni a Brescia e, infine, nominato superiore della casa professa di Venezia (1599-1606). Inviato a Modena, già molto provato nella salute, muore in questa città il 6 luglio 1607.

La sua opera più famosa è intitolata Disciplina interioris hominis. Questo libro fu sottoposto a censura nel 1588 e poi pubblicato postumo nel 1611.

II. Dottrina. G. sostiene che la base della perfezione è un desiderio intenso di essa. Tale desiderio si fonda su due principi: profonda disistima del creato e stima altissima di Dio. Il frutto di tale desiderio è la deificazione, ottenuta attraverso un annientamento profondo espresso in atti di oblazione, dono, dedizione, soddisfazione ed olocausto. L'anima deve annientarsi fino a ridursi al solo e puro atto diretto della virtù. In questo stato essa patisce tutto per amore di Dio ed è contenta di ciò. Resta in una quiete passiva. In questo stato il Signore la solleva in un'estasi continua. L'anima compie tutto come se fosse voluto direttamente da Dio. La volontà è assorbita in Dio, perde le sue proprietà e resta in quella di Dio, deificata per perfetta identità.

G. è un teologo di squisita sensibilità che realizza penetranti analisi spirituali, dà una base teologico-spirituale alla dottrina ignaziana dell' abnegazione e della conformità alla volontà di Dio. Sa scoprire il fondo mistico dell'ascetica ignaziana e l'intima relazione fra abnegazione e deificazione. Ai suoi tempi non tutti percepirono la grandezza della sua sintesi dottrinale, che comunque resta decisamente valida.

Note: Antonio Possevino ci dà una relazione molto valida della vocazione del Gagliardi e dei suoi fratelli (cf AHSI, Hist. Soc. 176, f. 169-174 e 176-181).

Bibl. M. Bendiscioli, s.v., in DHGE XIX, 110-111; G. De Luca, Quelques manoscrits romains..., in RAM 12 (1931), 142-152; I. Iparraguirre - A. Derville, s.v., in DSAM VI, 53-64; I. Iparraguirre, s.v., in DES II, 1069-1070; M. Petrocchi, Interpretazione della " Dama milanese " e del gesuita Gagliardi, in Id., Storia della spiritualità italiana, II, Roma 1984, 273-289; P. Pirri, Il P. A. Gagliardi, la Dama Milanese, la riforma dello spirito e il movimento degli zelatori, in AHSI 14 (1945), 1-72; Id., Il " Breve compendio " di A. Gagliardi al vaglio di teologi gesuiti, in AHSI 20 (1951), 231-253; Id., Gagliardiana, in AHSI 29 (1960), 98-129; M. Viller, L'Abrégé de la perfection de la dame milanaise, in RAM 12 (1931), 44-89; Id., Autour de L'Abrégé de la perfection..., in Ibid. 13 (1932), 34-39, 257-293; M. Viller - G. Joppin, Les sources italiennes de l'Abrégé de la perfection, in Ibid. 15 (1934), 381-402.

J. Collantes

GALGANI GEMMA (santa). (inizio)

I. Cenni biografici. Quinta degli otto figli del farmacista lucchese Enrico Galgani, G., nata nel 1878, rimane orfana di madre a otto anni. Fino al 1893 è allieva delle Oblate dello Spirito Santo, dirette allora dalla fondatrice, la beata Elena Guerra. Spesso colpita da gravi malattie, è guarita miracolosamente da s. Gabriele dell'Addolorata ( 1862). Ridotta in miseria per il dissesto economico e la morte del papà, dal 1899 viene ospitata dall'agiata famiglia Giannini. La segue con particolare affetto la sig.ra Cecilia. Colpita dalla tisi nel 1902, muore l'anno successivo, il sabato santo 11 aprile. Pio XII la canonizza nel 1940.

II. Esperienza mistica. Fin dalla sua prima formazione, è attratta dalla meditazione della passione di Gesù ed avverte profondamente la chiamata ad unirsi ad essa divenendo religiosa. Il suo direttore spirituale, mons. Giovanni Volpi, vescovo ausiliare di Lucca, le concede il voto di castità nel 1896, ma, quando si trova di fronte alle sue straordinarie esperienze mistiche, si mostra nei suoi confronti riservatissimo, accettando però, dal 1900, che lo affianchi il ven. Germano Ruoppolo, passionista, al quale Gesù stesso ha indirizzato G.

In effetti, nella settimana santa del 1899 iniziano grandi fenomeni mistici; maggiore di tutti quello delle stimmate (8 giugno 1899), che si ripeterà poi ogni settimana, dalla sera del giovedì a quella del venerdì. Questo fenomeno e gli altri, con cui G. partecipa alla passione, fino all'effusione del sangue, sono constatati e testimoniati da molte persone. Vi si aggiungono moltissime apparizioni della Vergine, dell' angelo custode, di s. Paolo della Croce e di s. Gabriele. Memorabili poi le vessazioni che deve subire dal diavolo. G. stessa, per obbedienza, stende il racconto autobiografico di questo periodo; ci rimangono anche le trascrizioni di quanto la santa dice ad alta voce durante le frequentissime estasi. Altro documento prezioso sono le molte lettere scritte da lei, specialmente al padre Germano.

I severissimi processi canonici di beatificazione pongono in evidenza l' umiltà e la semplicità d'animo di G., il cui perfetto equilibrio mentale e spirituale resta esemplare. Nella Bolla di canonizzazione sono esplicitamente ricordate le stimmate e le estasi: vi si afferma che tutto mostra in lei realizzata la parola dell'apostolo: " Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me " (Gal 2,20).

III. Il messaggio spirituale di G. La " povera " G. (così ella si firmava) viene giustamente considerata modello d'una esperienza mistica che in lei è senza dubbio straordinaria, ma è destinata a mostrare quanto siano decisive le virtù della semplicità e dell'umiltà nel perseguire la conformità al Crocifisso, insostituibile paradigma d'ogni santità. Il desiderio di nascondimento (che G. cerca di accentuare, aspirando, senza riuscirvi, a divenire claustrale passionista) è in funzione di quanto il Signore le chiede: essere vittima espiatrice del peccato del mondo e, più ancora, sostenere, con il suo esempio e la sua intercessione, tante creature, come lei " espropriate " di ogni cosa da un cumulo di disgrazie e disavventure, ed emarginate socialmente. Studiosi e pastori concordano nel considerare attuale il messaggio con cui G. rimanda alla croce di Gesù, ricordando, con la sua esperienza straordinaria, che il Vangelo non può essere vissuto " sul serio " senza inoltrarsi anche, secondo le vie provvidenziali in cui ciascuno è condotto dallo Spirito, in una storia di sofferenza, trasfigurata però dalla vissuta condivisione della passione. Il " Vangelo della sofferenza " è l'unico che consente di mantenere la luce della speranza su un mondo che altrimenti sembra irrecuperabile, tra le false luci delle fortune terrestri e il buio disperato in cui affonda la maggior parte dell'umanità diseredata. Questa umanità è chiamata a prendere parte alla gloria del Risorto, quindi, a vita nuova solo passando attraverso la sofferenza redentrice. Di qui l'alto insegnamento di G. circa il valore mistico della sofferenza.

Bibl. Opere: Lettere di santa Gemma Galgani, a cura della Postulazione Generale dei Passionisti, Roma 1941; Estasi, diario, autobiografia, scritti vari, a cura della Postulazione Generale dei Passionisti, Roma 19792. Studi: G. Agresti, Gemma Galgani. Ritratto di un'" espropriata ", Roma 19862; G. von Brockhusen, s.v., in WMy, 182-183; H.D. Egan, Gemma Galgani, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 578-593; Federico dell'Addolorata, s.v., in DSAM VI, 183-187; P. Germano di S. Stanislao, S. Gemma Galgani, vergine lucchese, Roma 1983, 2a rist.; G. Pozzi - C. Leonardi (cura di), Gemma Galgani, in Id., Scrittrici mistiche italiane, Genova 1988, 637-648; J.-F. Villepelée, La follia della croce. Gemma Galgani, Roma 19882; E. Zoffoli, s.v., in BS VI, 106-108; Id., La povera Gemma. Saggi critici storico-teologici, Roma 1957.

C. Brovetto

GARRIGOU-LAGRANGE REGINALD. (inizio)

I. Cenni biografici. Marie-Aubin-Gontran Garrigou-Lagrange nasce a Auch (Francia), il 21 febbraio 1877. Ancora studente in medicina nel 1897, subisce l'influenza di una forte esperienza religiosa che lo lascia del tutto convinto della verità perenne della fede cattolica. La sua decisione successiva di farsi domenicano, dove sperimenta la direzione del geniale padre Ambroise Gardeil, lo pone in contatto con le più importanti figure della vita intellettuale cattolica francese dei primi anni del sec. XX. Dopo una breve frequenza alla Sorbona, dove al giovane scienziato non piace l'accento posto sugli studi letterari nel corso di filosofia, fratello Reginald, come viene allora chiamato, continua i suoi studi filosofici e teologici nell'Ordine domenicano. Ordinato sacerdote, il suo lavoro in Francia (Le Saulchoir) è breve, perché viene chiamato a Roma nel 1909 per cominciare una carriera d'insegnamento all'Università Pontificia S. Tommaso d'Aquino (Angelicum). Tranne i periodi estivi, in cui scrive i suoi trattati e tiene conferenze soprattutto nell'Europa francofona, G. dedica la sua lunga carriera al servizio della Chiesa interamente a Roma dove, dopo aver sopportato pazientemente una lunga e debilitante malattia, muore il 15 febbraio 1964.

Oltre ai suoi copiosi scritti, per altro molto apprezzati, e alla sua carriera di docente, G. lavora come consulente di varie e importanti Congregazioni romane. Un necrologio nella stampa secolare francese dice che G. ha brillato per il suo prestigio, perché è stato sia un teologo sia un uomo di grande fede, un uomo che aveva insegnato più con la testimonianza della sua vita che con le sue parole.

II. Opere e dottrina. Sin dalla sua fondazione nel 1215, l'Ordine domenicano ha generato varie ed importanti correnti di mistica. Da vero contemplativo, laureato e apostolo, G. si pone nell'alveo di tale tradizione mistico-domenicana che annovera nelle sue fila mistici tardo-medievali come Eckhart, Susone, Taulero. Tale tradizione continua con il movimento spirituale italiano iniziato da Caterina da Siena e proseguito da Savonarola ( 1498) e Caterina de' Ricci, per confluire poi nel Rinascimento spagnolo esemplificato da Luigi di Granada e la dimenticata esperienza parigina rappresentata da L. Chardon ( 1651) e A. Piny. Sull'esempio di Caterina da Siena, G. sviluppa un insegnamento mistico entro il quadro di una fervida e cosciente devozione per la Chiesa. Cita spesso Henri-Dominique Lacordaire ( 1861), che ispira il rinnovamento nel sec. XIX dell'Ordine domenicano in Europa: Dio istituisce il magistero per salvarci dalla tirannia dell'errore nel quale l'intelligenza del genio facilmente s'incanta. Il tomismo strutturale che G. coltiva nelle sue conferenze e nei suoi numerosi scritti dimostra il costante sforzo per enunciare una difesa razionale della fede cristiana. Le sens commun, La philosophie de l'être et les formules dogmatiques (1909) andrebbero letti come un commento filosofico alla Costituzione dogmatica sulla rivelazione del Concilio Vaticano I. Dieu, son existence et sa nature (1914) rivela l'importanza che G. assegna alla capacità dell'uomo di raggiungere una conoscenza naturale di Dio e della sua natura. I suoi sforzi per dimostrare " la metafisica naturale dello spirito umano " possono essere apprezzati al meglio in quanto risposta altamente elaborata sia al relativismo epistemologico, che percepisce in molta filosofia moderna, sia alla visione modernista secondo la quale tutta la fede religiosa rappresenta un mero sforzo razionale per esprimere l'esperienza umana di un Altro ineffabile. G. articola un'apologia razionale finemente strutturata per dimostrare meglio la qualità del tutto tipica e completamente gratuita della rivelazione cristiana strutturata, per non fornire un accesso alternativo a Dio. La sua De Revelatione per Ecclesiam catholicam proposita (1918) afferma che Dio sceglie di comunicare quello che solo egli sa di se stesso, così che le creature dotate di intelligenza possano raggiungere un'autentica conoscenza di quello che sorpassa tutte le menti. La fede teologica, quindi, rappresenta un dono essenzialmente soprannaturale per mezzo del quale l'uomo è capace di aderire a tali verità divine. Difende il valore oggettivo e l'immutabilità dell'insegnamento della fede: G. è allo stesso tempo anche cosciente della via negativa. Così in Le sens du mystère et le clair-obscure intellectuel (1934), G. esprime chiaramente che fra il Creatore e la creatura non si trova mai una similitudine che non sia accompagnata da una più grande dissimilitudine. Su richiesta di Benedetto XV, G., nel 1917, comincia a tenere dei corsi sulla mistica. Contrapponendosi alla concezione, ampiamente diffusa, che vede la contemplazione cristiana appartenente all'ambito dello straordinario, scrive Perfection chrètienne et contemplation (1923). Ivi sviluppa con maestria l'insegnamento su questo argomento di Tommaso d'Aquino e di Giovanni della Croce. La fusione delle tradizioni carmelitana e domenicana rimane un tratto distintivo dei suoi scritti mistici, particolarmente evidente in Les trois ages de la vie intèrieure (1938), che per amor di completezza dovrebbe essere letto insieme a La Mere du Sauveur et notre vie intèrieure (1941), dove presenta la devozione mariana di Luigi Maria Grignon de Montfort. Le tre tappe della vita cristiana includono: 1. lo stadio purgativo, che comincia con il dono della grazia abituale e si sviluppa attraverso l'esercizio delle virtù in special modo la fede, la speranza e la carità, e dei doni dello Spirito Santo; 2. lo stadio illuminativo, durante il quale le purificazioni passive preparano per un maturo esercizio dei doni; 3. lo stadio unitivo, nel quale i doni, specialmente la sapienza e la conoscenza, tracciano la via per la contemplazione infusa dei misteri cristiani. Come il teologo spagnolo domenicano Giovanni di S. Tommaso ( 1644), G. sottolinea l'insegnamento dell'Aquinate sull'importanza dei doni nella vita quotidiana del cristiano. Ponendo l'accento sulla vocazione di tutti i cristiani all' unione contemplativa con Dio, G. anticipa l'insegnamento del Concilio Vaticano II sulla vocazione universale alla santità.

Bibl. Per una completa bibliografia delle opere di Garrigou-Lagrange, vedi B. Zorcolo, Bibliografia del P. Garrigou-Lagrange, in Ang 42 (1965), 200-272. Il numero della rivista contiene anche una serie di articoli di persone che conobbero Garrigou. Per una breve esposizione dei suoi temi principali, vedi: Les trois conversions et les trois voies, Juvisy 1933; cf inoltre I. Colosio, Il P. Maestro Garrigou-Lagrange. Ricordi personali di un discepolo, in RivAM 9 (1964), 139-150, 226-240; 10 (1965), 52-68; M.R. Gagnebet, L'oeuvre du P. Garrigou-Lagrange. Itinéraire intellectuel et spirituel vers Dieu, in DoCom 17 (1964), 159-182; A. Huerga, s.v., in DES II, 1070-1072; Id., El p. Garrigou-Lagrange, maestro de la vida interior, in TEsp 8 (1964), 463-486; Id., Il cammino mistico di P. Garrigou-Lagrange, in Tabor, 18 (1964), 250-263; B. Lavaud, Le P. Garrigou-Lagrange, in RevThom 64 (1964), 181-199.

R. Cessario

GELOSIA. (inizio)

I. Il termine g. deriva dal greco zelos e ne ricopre in parte l'area semantica, ma con una accentuazione negativa, che è venuta affermandosi sempre più, soprattutto nel linguaggio comune, fino a separare del tutto il termine g. dal suo etimo " zelo " che conserva ancora il significato originario positivo o almeno neutrale di " dedizione totale ed appassionata ad una causa o a una persona ".

In tale suo originario significato positivo, il termine " zelo-gelosia " è usato nell'AT per designare l'intransigenza dello jahvismo più fervente, come nel caso di Elia che arde " di zelo per il Signore degli eserciti " (1 Re 19,10) o dei Maccabei che hanno zelo per la legge e vogliono difendere, anche con le armi, l' alleanza (cf 1Mc 2,27; 2,54; 2,58) o del salmista che è divorato dallo zelo per la casa del Signore (cf Sal 68,10).

Ma, con arditi antropomorfismi, la g. è attribuita a Dio stesso, sia per motivarne l' ira e i castighi inflitti al popolo per la sua infedeltà all'alleanza (cf Sal 79,5; Ez 23,25; Zc 1,14), sia per proclamare che la fedeltà del suo amore è superiore a tutte le infedeltà di Israele e preannunciare le meraviglie del suo futuro intervento restauratore e salvifico (cf Is 9,6; 37,32; 59,17; Gl 2,18).

Ma nel NT il termine assume già un significato negativo: s. Giacomo parla ripetutamente di " g. amara " e di " spirito di contesa " (cf Gc 3,14; 3,16).

Nel linguaggio corrente il termine indica oggi l'inquietudine amara ed aggressiva che nasce dal desiderio di un possesso esclusivo (che si teme continuamente minacciato) della persona amata.

E il contrassegno infallibile del carattere possessivo di quella forma di amore cui filosofi e teologi hanno dato spesso il nome di amor concupiscentiae.

Ma s. Tommaso, che conserva, accanto al significato moralmente negativo, quello positivo della tradizione veterotestamentaria, vede nella g. un effetto della " tensione dell'amore " verso il suo oggetto, che porta a respingere con forza tutto ciò che a tale amore ripugna.1 Ma ciò si verifica - così l'Aquinate - in modo diverso nell'amore di concupiscenza e in quello di amicizia: nel primo tale tensione diventa repellenza e aggressività rivolta contro tutto ciò che minaccia la quieta fruizione di ciò che si ama (e questo sarebbe lo zelo dell'invidia), nel secondo, la tensione dell'amore muove l'amante contro tutto ciò che minaccia il bene dell'amico.2

II. Natura della g. Potremmo dire, perciò, che la possibile negatività etica della g. non sta nell'eccesso dell'amore ma, caso mai, in un difetto della sua qualità umana, cioè nel suo carattere narcisistico e possessivo, quindi nella sua fondamentale immaturità e inautenticità.

Naturalmente ci sono beni che di loro natura escludono la possibilità di una g. di cattiva qualità morale: sono i beni (come la conoscenza della verità o il possesso di buone qualità morali) che possono essere condivisi e fruiti in modo pieno, senza diminuzione per nessuno. Di questo genere è naturalmente il bene inesauribile per eccellenza, Dio. L' amore e la fruizione di Dio escludono, purché autentici, qualsiasi possibilità di gelosa difesa, di risentimento o di invidia.

Ma anche in questo caso si può ancora parlare di una certa g. " oggettiva ", specifica dell'amore di Dio, legata al carattere estremamente esigente di questo amore, che esclude qualsiasi contaminazione con altre forme di amore che vogliano porsi sullo stesso suo piano, facendogli in qualche modo concorrenza: la volontà umana può avere un solo fine ultimo, ogni altro fine può essere amato e perseguito solo in vista di questo e la rinuncia a tutto ciò che, in qualche modo, dice incompossibilità e inconciliabilità con questo fine è la prova dell'autenticità dell'amore con cui lo si persegue: questo diventa particolarmente visibile quando esso sfocia, per dono divino, nell' esperienza mistica.

Al contrario, come l' invidia, in cui finisce inevitabilmente per sfociare, la g. di cattiva qualità morale, perché nata da un amore di cattiva qualità umana, turba la convivenza umana ed è spesso fonte di dolorosi rancori e di forme più o meno gravi di intolleranza, di sospetto e di aggressività.

Le virtù che si oppongono a questa cattiva g. sono la magnanimità e la longanimità, cioè la larghezza di mente e di cuore che supera la sete del possesso esclusivo e la piccineria dell'intolleranza. Naturalmente, la conquista di queste virtù presuppone una crescita nell'amore vero e maturo che, al suo culmine, abbraccia in Dio e ama ogni fratello, senza paura di perdere, condividendo, ciò che da Dio e in Dio riceve con smisurata larghezza.

Per questo motivo, esse sono uno dei frutti di quello Spirito che infonde nei cuori dei credenti la carità soprannaturale. E questa che rende l'uomo capace di un attaccamento appassionato al Dio geloso, che desidera che i suoi figli godano solo di lui già qui ed ora.

Note: 1 STh I-II, q. 28, a. 4; 2 Ibid.

Bibl. P. Adnès, s.v., in DSAM VIII, 69-78; G. Delpierre, La gelosia, Roma 1950; D. Lagache, La jalousie amoureuse, psychologie et psychanalise, II, Paris 1947; N. Lamare, La jalousie passionelle, Genève-Paris 1967; S. Naesgaard, Nature et origine de la jalousie, in Psyché, 32 (1949), 513-528; G.G. Pesenti, s.v., in DES II, 1072-1073.

G. Gatti

GERMANIA. (inizio)

Premessa. Di mistica tedesca (MT) si cominciò a parlare nel sec. XIX. Il termine, che risale a Carl Rosenkranz (1831), indicava inizialmente la mistica speculativa di Eckhart e, in seguito, la letteratura spirituale del sec. XIV nordico. Nella Germania nazista il concetto subì gravi deformazioni (A. Rosenberg, 1993), motivo per cui gli studiosi lo sostituirono con quello di mistica renano-fiamminga, in riferimento alla zona geografica (centro-nordeuropea). Questo termine è usato ancora oggi nella letteratura italo-francese, anche se si cerca di distinguere la MT da quella fiamminga. Tale distinzione non deve, però, far dimenticare che nel Medioevo non esistevano confini linguistici tra le zone dell'alto e basso Reno e che la vicendevole integrazione di scritti spirituali era cosa scontata e sostenuta dalla comune iniziativa di creare una letteratura in lingua volgare.

Oggi si ritorna a parlare di MT prevalentemente in rapporto alla grande fioritura della mistica speculativa (Wesenmystik) e affettiva (Brautmystik) del sec. XIV germanico che, specie nell'ambito della scuola domenicana, ha dato alla storia della spiritualità tedesca numerosi e significativi esponenti. Tuttavia, la MT abbraccia un arco di più secoli, comprendendo la letteratura mistica scritta in lingua latina, a partire dal sec. XII, e includendo il risveglio della mistica nell'età del barocco, segnato dall'impegno di giungere a maggiore interiorizzazione alla luce di una cosciente imitazione dei mistici medievali e della loro dottrina. I primi studi della MT risalgono già al romanticismo tedesco, epoca in cui rinasceva l'interesse per la mistica medievale e si manifestavano anche nuove forme visionarie.

La MT medievale s'inserisce nella grande corrente agostiniana e neoplatonica, con una base biblica e una concezione storica della vita che tende ad unire dottrina e santità. Tuttavia non manca un apporto originale nei contenuti dottrinali. Basti pensare ad Eckhart e a Taulero nei quali predomina l'impegno di esprimere, con concetti e termini nuovi, la più alta esperienza unitiva di Dio, e alle vite dei mistici, spesso narrate alla luce degli ideali agiografici medievali della perfezione cristiana. Ma dove si incontrano aspetti originali, essi sono strettamente legati al tempo e all'ambiente e chiamano in causa il pensiero e la mentalità contemporanei. Importante è notare che la letteratura mistica del Medioevo tedesco riflette il nuovo concetto di santità scaturito da quel radicale cambiamento nella storia che fu la scoperta dell'individuo. Questo concetto aprì l'orizzonte di una nuova concezione dell'amore come forza determinante dell'esistenza umana: dall'amore cortese dei trovatori si giunse all'amore mistico o sponsale. La Minne, diventata generatrice di storia, proseguì il suo cammino nella Gnadenvita (racconto biografico della grazia), un genere letterario impiegato in quasi tutte le biografie dei mistici del nord, scritte in latino e in seguito in volgare, per riassumere la vita del protagonista in base a esperienze interiori e fenomeni straordinari. Altri generi letterari, usati per esprimere la mistica sponsale, sono il dialogo, il diario, la lettera (vera o fittizia), la poesia (canto religioso), talvolta anche la leggenda e il racconto miracoloso.

Il nuovo concetto di santità o della mistica sponsale nata da esso ha in un certo senso orientato le esposizioni della mistica speculativa tedesca. Nei trattati di Eckhart e nelle prediche di Taulero (e di altri scrittori contemporanei) si trovano inviti ascetici (intensificazione della penitenza, abnegazione più radicale, pratica della povertà, dell'umiltà) che hanno la precisa finalità di condurre l'uomo sulle vie che portano verso l' unione essenziale ed esistenziale con Dio. L'uomo, creato a " immagine e somiglianza " di Dio (Gn 1,26), percorre nella fede il lungo cammino delle " tre vie ", per ritornare a Dio come nuova creatura. Questo cammino, esposto alla luce della teologia giovannea e paolina, ma libero da schemi predisposti, è lontano da ogni forma di idealizzazione o di mistificazione.

Con la decadenza generale dell'ultimo Medioevo si chiude anche la grande stagione della MT. Strumenti per la trasmissione del suo ricco patrimonio sono diventate le grandi biblioteche monastiche e le forti tendenze cinquecentesche di procedere alla pubblicazione degli scritti tramandati. Come principale centro del desiderio di rendere accessibili le antiche tematiche spirituali al mondo moderno, emerge in Germania la Certosa di Colonia. Altri centri, per esempio Basilea, Strasburgo, Magonza, avvertono il medesimo compito di divulgare l'eredità spirituale, confrontandola con la nuova cultura e la sensibilità dell'umanesimo, ma soprattutto per affrontare le nuove dottrine del protestantesimo, combattendole con le risposte valide dei maestri. La storia della MT deve molto all'instancabile lavoro del certosino Lorenzo Surio ( 1578), teso a rilanciare i mistici medievali. Le sue edizioni di Taulero, Susone, Gertrude la Grande, con ripetute ristampe, hanno alimentato la pietà cattolica della Controriforma. Importante l'impegno dell'abate benedettino Giovanni Tritemio ( 1516) nel compilare biografie usando un genere letterario nuovo che s'impone, nonostante gli insufficienti criteri metodologici e le incerte conoscenze in materia.

Nel secolo della Riforma protestante la MT non ha rappresentanti di mistica vissuta e scarseggiano anche scritti d'ispirazione mistica. Si constata, però, un certo risveglio nel sec. XVII. Il nuovo genere letterario (composizione poetica, parafrasi, aforisma) sostiene una mistica del vissuto cristiano come rapporto d'amore, senza fenomeni straordinari, ma nella più perseverante imitazione di Cristo.

I. Il primo periodo della MT: sec. XII-XIII. Non tutti sono d'accordo nell'annoverare tra i mistici Rosvita (Hroswith) di Gandersheim ( 973 ca.), drammaturga e autrice di sette poemetti agiografici incentrati sulla contrapposizione tra bene e male, e Ava di Melk ( II metà sec. XI) con cinque poemetti (in volgare) a soggetto biblico narrativo. Visionarie sono Ildegarda di Bingen ed Elisabetta di Schönau, con opere di non indifferente rilievo culturale e letterario. Tuttavia, accanto a visioni apocalittiche, cosmologiche, simboliche, Ildegarda non trascura il problema dell'uomo e del suo cammino verso Dio. La stessa concezione dell'uomo, collocato come essere tra mondo materiale e mondo spirituale, conduce in lei a una sintesi teologico-salvifica che decide il comportamento etico dell'uomo e con esso il rapporto con Dio.

Il fascino irresistibile di s. Bernardo, soprattutto del suo capolavoro, I Sermoni sul Cantico dei Cantici, invase anche la Germania. Un anonimo compose il St. Trudperter Hohe Lied (1160 ca.), una parafrasi in medio-alto tedesco del Cantico biblico. Nell'interpretazione, l'anima-sposa appare identificata alla Chiesa-Maria. Sorprendono la trasparenza di linguaggio, l'armonia e la dolcezza di descrizione poetica della ricerca d'unione amorosa in questo testo che segna appena l'inizio della mistica sponsale. Nella medesima linea si trova, in seguito, il poema mistico Die Tochter Syon (La figlia di Sion) (1250 ca.) del francescano Lamprecht di Ratisbona.

Il sec. XIII è il primo periodo di straordinaria fioritura della mistica femminile. Emergono tre figure insigni di letterate: la beghina Matilde de Magdeburgo e le monache cistercensi di Helfta, Gertrude la Grande e Matilde di Hackeborn. L'opera della beghina di Magdeburgo Das fliessende Licht der Gottheit (La luce fluente della Divinità) conta sette libri di rivelazioni scritti per ordine del suo confessore, Enrico di Halle, probabilmente su fogli volanti, tranne l'ultimo che fu completato al monastero di Helfta dove si era ritirata nella vecchiaia. Nella sua grandiosa visione della luce non mancano remoti echi alle visioni cosmologiche ildegardiane. Ma l'attenzione è rivolta alla minne, all'amore di Dio appassionatamente ricercato su un cammino di discesa nell'oscurità interiore con la crescente constatazione dell'assenza dell'Amato e con la perseveranza nella kenosi. Nel suo linguaggio poetico e nella sua forma preferita del dialogo ricompare l'ideale cavalleresco che in lei si accentua nell'anelito di possedere l'amore, di immergersi nell'unione sponsale con Dio. Anche in Gertrude la Grande l'amore di Dio costituisce l'aspetto fondamentale dei suoi Exercitia spiritualia (dopo il 1289) e accompagna le sue visioni e locuzioni raccolte nel Legatus divinae pietatis (Araldo della divina pietà, 1289-1300). Forse Gertrude scrisse anche il Liber specialis gratiae (Libro della grazia speciale) che contiene le visioni di Matilde di Hackeborn. Si assiste nelle due monache a una mistica sponsale cristocentrica che sfocia nella mistica trinitaria.

La storia della MT ricorda le recluse Jutta di Sangershausen ( seconda metà del sec. XIII) e Wilberg di St. Florian ( 1289). La Vita (lat.) di Wilberg è caratteristica della mistica sponsale del sec. XIII in quanto le sue esperienze riflettono l'immenso desiderio della " fruitio Dei " con una sempre maggiore sensibilità di godere gli aspetti emozionali, quasi erotici, dell'unione. L'esempio estremo offre l'esperienza mistica della beghina Agnese Blanbekin ( 1315), morta come terziaria francescana (Anonymus, Vita et revelationes ven. A. B.).

Nella Vita B. Christinae Stumbelensis (von Stommeln) domenicana ( 1312), e nelle Vite della monaca premonstratense Cristina di Hane Retteres ( 1292) e della cistercense Lukardis di Oberweimar ( 1309) tale desiderio si ravviva fino a elencare fenomeni fisici. Con il sec. XIV, invece, si prepara già la svolta verso la compassione, verso il voler compatire con l'amato Cristo, tipico della pietà del tardo Medioevo, espresso nel genere letterario del Planctus.

Tra i monaci, la mistica sponsale si incontra nel premonstratense Ermanno di Steinfeld ( 12423). Gli Inni mariani riflettono il suo mistico sposalizio con Maria, motivo per cui al suo nome fu aggiunto quello di Giuseppe. Gli scritti dei francescani Davide di Augusta ( 1271) e di Bertoldo di Ratisbona ( 1272) e le numerose opere ascetico-spirituali del domenicano Alberto Magno non fanno parte della MT, anche se attraverso le loro digressioni sulla contemplazione come conoscenza soprannaturale, in un certo qual modo, preparano la speculazione mistica di Eckhart.

II. La grande stagione della MT. Il sec. XIV, chiamato anche la " scuola mistica tedesca ", ha i maggiori esponenti nella triade domenicana Eckhart, Taulero e Susone. Il genio di Eckhart si manifesta in opere (lat. e ted.) di una mistica prevalentemente intellettuale (Wesensmystik), radicata nel neoplatonismo e segnata dall'impegno di un'acuta penetrazione del mistero di Dio per mezzo della theologia negationis. L'attenzione data dal suo secolo all'uomo lo spinge a indagare metafisicamente il rapporto tra creatura e Creatore e a dimostrare come la creatura (l'uomo), collocata dinanzi all'inesprimibile grandezza di Dio e totalmente da lui dipendente, possa realizzarsi esistenzialmente. L'uomo può " ritornare a Dio, sua origine eterna, perché nell'anima esiste un'innata tensione trascendente (la "scintilla dell'anima") che crea un rapporto di immediatezza con l'Essere divino ". Nel " ritorno " metafisico si ristabilisce l'unione essenziale che da Eckhart viene descritta con un linguaggio nuovo, spesso non compreso, per precisare la fenomenologia dell'esperienza mistica. Il pensiero di Eckhart continua in G. Taulero in direzione di una dottrina di vita (Lebenslehre): la conoscenza metafisica di Dio presuppone un cammino di introversione perché è nel fondo dell' anima che l'uomo entra in rapporto con l'Essere divino e si riconosce " dio " in Dio realmente, sebbene come creatura rimane sempre distinta. L'influsso di Taulero è determinante per la produzione letteraria susseguente (le cosiddette Istituzioni tauleriane, Il libro della povertà spirituale, entrambi a lui attribuiti, la Theologia Deutsch, scritta intorno al 1400 da un anonimo, detto il Frankfurter).

Nel terzo della triade domenicana, E. Susone, l'influsso di Eckhart, da lui difeso, si manifesta nelle relativamente poche pagine di mistica speculativa. Susone, il " cavaliere dell'Eterna Sapienza " è più affettivo di natura e si muove in una dimensione più psicologica della mistica, che in lui è in gran parte mistica di passione vissuta ed insegnata alla luce dell'amore cavalleresco e della Minne cortese. Nei suoi scritti continua il tipo della visione d'oltretomba, ma al tempo stesso l'individuo e il suo mondo sono visti con occhi nuovi: l'esistenza dell'uomo è misurata nei confronti del tempo (l'introduzione dell'Orologio) e propone la riflessione sulla morte. Infatti, soprattutto nel sec. XV, aumenta la letteratura sull'ars moriendi, con relativi riflessi nell'iconografia.

Sotto l'influsso della scuola mistica domenicana cominciano a manifestarsi, nel mondo laico, correnti spirituali aperte alla mistica. Gli Amici di Dio (Gottesfreunde) formano un movimento di interiorizzazione iniziato a Strasburgo e seguito da Taulero e specialmente da Rulman Merswin ( 1382), commerciante e scrittore del Neun-Felsen-Buch (Libro delle sette rupi) che venne erroneamente attribuito a Susone. Pur essendo orientato verso la pietà, con la sua attesa dell'Amico che viene dal cielo, Rulman si proietta nel mondo ultraterreno con tutto lo scenario della Traumvision (visioni sognate), per esempio il Bouch von der geistlichen Leiter (Libro della scala spirituale). Amici di Dio erano anche sacerdoti come Enrico di Nördlingen (sec. XIV). Il suo nome si connette con l'intenso suo scambio epistolare con la mistica domenicana Margherita Ebner ( 1351), da annoverare tra gli Amici di Dio. Seguendo l'invito di Enrico ella scrisse, in forma di diario, le sue esperienze interiori chiamate impropriamente Rivelazioni. Si tratta, in realtà, della partecipazione alla passione di Cristo vissuta da Margherita fino all'estrema consumazione fisica.

Nella grande stagione della MT si sviluppa il genere delle Vitae Sororum, alcune raccolte di brevi biografie di religiose domenicane che riportano quasi esclusivamente le avventure mistiche di numerose donne carismatiche, per esempio ad Adelhausen, Anna von Munzingen ( sec. XIV) fece la Cronaca con trentaquattro vite, ad Engelt(h)al, Cristina Ebnerin ( 1356) compose il Büchlein von der genaden überlast (Libretto della grazia troppo grande) con cinquanta vite e già prima, a Unterlinden, Caterina von Gebersweiler ( 133045) raccolse nello Schwesternbuch numerose vite. Altri centri furono Töss con Elsbeth Stagel ( 1360 ca.) (Tösser Schwesternbuch), Kirchberg, dove fu scritta una Irmegard Vita da Elisabetta (?) (sec. XIV); Katharinenthal con il Dieenhofener Schwesternbuch; Oetenbach, Weiler, ecc. Accanto alle Vitae Sororum si riscontrano anche vite di donne mistiche che ebbero delle rivelazioni: Luitgard von Wittichen ( 1348), Adelheid Langman ( 1375), Elisabeth von Oye ( 1340) con relazioni autobiografiche. In generale, nei monasteri femminili era quasi normale il fenomeno dell'esperienza mistica che diminuì soltanto con il declino del Medioevo. Ciò che sopravvisse furono numerose composizioni poetiche, in parte destinate alla danza oppure all'uso paraliturgico, perciò fornite di melodie popolari o ispirate alla sequenza gregoriana. Nella cerchia di Eckhart un anonimo compose il Granum Sinapis (Canto del grano di senape) all'inizio del sec. XIV, che contiene l'invito alla totale abnegazione per entrare nel mistero di Dio.

III. L'età moderna. La MT del sec. XV continua nella letteratura agiografica, ma è meno frequente, poco originale, priva di freschezza. Nei trattati teologici si possono scoprire alcune pagine di mistica nei benedettini: Giovanni di Kastl ( 1410 ca.), autore del De adhaerendo Deo (L'adesione a Dio), Bernardo di Waging ( 1472), Bernardo Mayer ( 1477), l'abate Giovanni Tritemio ( 1516), o nell'ambito certosino: Enrico Egger di Kalkar ( 1408), Nicola Kempf di Strasbourg ( 1497), autore di un commento al Cantico dei cantici e del Büchlein von der Liebe Gottes (Libretto dell'amore di Dio) oppure nel francescano Giovanni Brugmann di Kempen ( 1473). Non si tratta però di esperienza mistica nel senso della MT precedente. Razionalismo e umanesimo si fanno sentire e impediscono l'emergenza di riecheggiamenti interiori. Un esempio è offerto dal Septililium (Sette trattati sulla vita spirituale) secondo le rivelazioni di Dorothea di Montau ( 1397), donna sposata, poi reclusa. L'opera fu scritta dal suo confessore Giovanni di Marienwerder ( 1400 ca.) dopo la sua morte.

Alla soglia dell'epoca moderna il pensiero teologico-filosofico di Nicola da Cusa merita di essere ricordato perché si colloca nella tradizione neo-platonico-eckhartiana e perché ha scritto il De docta ignorantia, suo capolavoro, in seguito a una profonda illuminazione interiore. Era sua opinione potersi avvicinare alla Verità e " toccare " l'Infinito per mezzo di un incomprehensibiliter inquirere intellettuale, che è al di sopra di ogni comprensione mistica. Per questo motivo fu accusato di panteismo.

L'età del barocco vide un discreto risveglio della MT, cattolica e protestante. Angelo Silesio, convertito, poeta mistico, riprende le tematiche della spiritualità medievale esponendole con nuova freschezza per mezzo di distici e rime (Pellegrino cherubico) senza sviluppare una dottrina propria. Influssi di Jacob Böhme si fanno sentire nel suo pensiero teosofico e tramite lui quelli della cosmosofia di Paracelso (Teofrasto di Hohenheim) ( 1541). Böhme e, prima di lui, Valentino Weigel ( 1588) sono gli esponenti più importanti della mistica speculativa protestante. In Giovanni Arndt ( 1601) inizia già la svolta verso la nuova pietà che verrà chiamata pietismus, il cui rappresentante mistico è Gerardo Tersteegen. Nei loro sforzi di rivendicare esperienze mistiche vitali del passato e di renderle accessibili alla pietà si annuncia un concetto di MT che non rientra più negli schemi tradizionali. La reazione cattolica fa sorgere nell'Ordine cappuccino nuovi impulsi di mistica vissuta, per esempio La scala di perfezione del predicatore tirolese Tommaso da Bergamo e Vita di Cristo di Martino di Cochem ( 1712) che difendono la trazionale ricerca dell'unione con Dio.

Le opinioni sono divise sul definire il romanticismo l'ultimo periodo della MT, anche se forme di mistica visionaria si manifestano in Anna Caterina Emmerick, raccolte e scritte da Clemente Brentano ( 1842) L'epoca affascinata dal Medioevo germanico ha il merito di aver riscoperto opere e figure insigni, illuminando il loro significato per la letteratura tedesca (prime ristampe con introduzioni sintetiche; centro di Heidelberg con J. von Görres).

Nel secolo XX è iniziato lo studio critico della MT con numerose pubblicazioni tradotte anche in italiano.

Bibl. Aa.Vv., La mystique rhénane, Colloque de Strasbourg 16-19 mai 1962, Paris 1963; B. Fraling, s.v., in WMy, 105-109; L. Gnädinger, Deutsche Mystik, Zürich 1989; A.M. Haas, Deutsche Mystik, in R. Newald - H. de Boor, Geschichte der Deutschen Literatur, III2: Die Deutsche Literatur im Späten Mittelalter, München 1987, 234-305; K. Ruh, Geschichte der abendländischen Mystik, II: Frauenmystik und Franziskanische Mystik der Frühzeit, München 1993; F. Vernet, s.v., in DSAM I, 314-351; D. Wehr, Deutsche Mystik, Münich 1988. Per il Medioevo: L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991; O. Davies, Nell'incontro con Dio. La mistica nella tradizione nord-europea, Roma 1991; J. Lewis, Bibliographie zur deutschen Frauenmystik des Mittelaltus, Berlin 1989; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, IVb, Bologna 1991. Per una completa esposizione orientativa è ancora utile: F.-W. Wentzlaff-Eggebert, Deutsche Mystik zwischen Mittelalter und Neuzeit, Berlin 1969.

Giovanna della Croce

GERSONE GIOVANNI. (inizio)

I. Vita e opere. Nato il 14 dicembre 1363 da povera famiglia, Jean Charlier prende il nome del luogo di origine, Gerson-lez-Barby, nella diocesi di Reims. Educato a Parigi, al famoso Collegio di Navarra, diventa discepolo di Pierre d'Ailly ( 1420), il futuro cardinale che lo avvia alla carriera ecclesiastica ed universitaria. Nel 1395 G. è già cancelliere dell'Università di Parigi ed assume un ruolo di primo piano nella vita della Chiesa, allora dilaniata dal Grande Scisma, e in quella della nazione francese in preda alla guerra dei Cento anni.

Massima autorità spirituale al Concilio di Costanza dal 1414 al 1418, G. ha un ruolo determinante nel far passare la tesi De auferibilitate papae: insieme al d'Ailly sostiene che i primi quattro Concili ecumenici non erano stati convocati dal Papa e che imperatore, principi, vescovi ed anche semplici cristiani possono convocare un Concilio per l'elezione di un papa unico ed universalmente riconosciuto. Il suo parere è molto influente anche nella condanna delle tesi di Wycliff ( 1384) e di Hus ( 1415).

Da Costanza G. non può rientrare a Parigi per timore del Duca di Borgogna al cui partito è fieramente avverso. Passa gli ultimi anni della sua vita in Austria, poi a Lione, ospite di un fratello membro dell'Ordine dei celestini ed a Lione muore nel luglio del 1429.

Poco prima della fine, ha scritto su Giovanna d'Arco ( 1431) difendendone la missione divina. Scrittore fecondissimo in prosa e in versi, in latino e in volgare francese, G. ha lasciato un'opera molto ampia (dieci volumi nell'edizione Glorieux) e varia, che copre diversi campi: quello della filosofia, della teologia, del diritto, della politica, ecc. Non c'è dubbio che una parte essenziale di quest'opera sia costituita dagli scritti di mistica cui il cancelliere parigino si dedica soprattutto a partire dai primi anni del Quattrocento quando vuole intraprendere un itinerario più sicuro per la propria anima affaticata in mezzo alle cure temporali e di governo. Importanti, in tal senso, sono i soggiorni compiuti a più riprese a Bruges (G. è anche decano del Capitolo di Saint Donatien in quella città), ove viene in contatto più diretto con l'eredità spirituale di Ruusbroec e della mistica fiamminga.

II. Dottrina mistica. Un posto davvero particolare spetta alla Teologia mistica, l'opera a lui più cara e sulla quale ritorna, a più riprese, nel corso della sua attività. Divisa in due parti - un Trattato primo, speculativo, e un Trattato secondo, pratico - essa si presenta come un compendio dell'intera tradizione spirituale cristiana a partire da Dionigi Aeropagita per terminare con la mistica fiamminga del Trecento. Polemico contro la teologia scolastica del suo tempo, ormai estenuatasi in raffinatezze formali meramente verbali, G. sostiene la possibilità di una vera conoscenza sperimentale di Dio ottenibile con l'amore da parte di ogni uomo, anche del semplice fedele. Questa teologia, che egli chiama appunto " mistica ", si configura, perciò, essenzialmente come esperienza interiore, in certo modo indipendente dalla dogmatica e perfino dalla conoscenza della Scrittura.

D'altra parte, G. non smette mai la polemica contro una parte della mistica del Trecento (in qualche misura anche Ruusbroec vi rientra), che suppone un'unione ontologica dell'uomo con Dio, o una perfetta conoscenza dell'essenza divina anche in questa vita, conoscenza da realizzarsi con l'unione estatica. Di fronte ad esiti che rischiano di far saltare la mediazione ecclesiastica, l'unicità della rivelazione attraverso la Scrittura, il significato salvifico dell' Incarnazione - o che sul piano etico giungono a sostenere l'impeccabilità dell'uomo divinizzato, magari deducendo dalla paolina libertà dell' uomo spirituale (cf 1 Cor 2,12-15) la superiorità nei confronti della legge, dell'istituzione ecclesiastica, dei sacramenti - G. ribadisce con forza il valore delle distinzioni intellettuali, ovvero della conoscenza definita non nel calore dell'affetto, ma nella precisione della ragione, anche con l'aiuto delle risoluzioni dogmatiche del magistero. Caratteristiche squisitamente pastorali mostra il Trattato secondo, pratico, che fornisce consigli utili alla concreta messa in atto di una vita contemplativa alla quale non tutti sono portati nello stesso modo. Su questo stesso piano si muovono anche diversi altri scritti gersoniani: la Montagna di contemplazione e La mendicità spirituale (in volgare, indirizzate alle sorelle), il De probatione spirituum, il De meditatione cordis e il De illuminatione cordis, ecc., un complesso di opere che, a buon diritto, meritò a G. il titolo di " Doctor christianissimus ". Purtroppo, alla diffusione del suo insegnamento nel mondo cattolico hanno nociuto, nei secoli moderni, la sua appartenenza al partito conciliarista, cosa che invece gli fruttò le simpatie dei giansenisti e, in una certa misura, anche quelle dei protestanti.

Bibl. Opere: P. Glorieux (cura di), Jean Gerson, Oeuvres complètes, voll. 10 (tomi 11) Tournai-Roma 1960-1973; Teologia mistica (pubblicata in italiano con testo latino a fronte, a cura di M. Vannini), Cinisello Balsamo (MI) 1992; J. Gerson, La via semplice all'amore di Dio, a cura di B. Iacopini, Casale Monferrato (AL) 1997. Studi: C. Burger, s.v., in WMy, 186-187; A. Combes, Essai sur la critique de Ruysbroeck par Gerson, 4 voll., Paris 1946-1972; Id., La théologie mystique de Gerson. Profil de son evolution, 2 voll., Tournai-Roma 1963-1964; Id., s.v., in DES II, 1076-1080; J.L. Connolly, John Gerson, Reformer and Mystic, Louvain 1928 (con bibl.); P. Glorieux, s.v., in DSAM VI, 314-331; F. Marxer, La vie chrétienne dans un temps de crise. Étude théologique des premières oeuvres de Jean Gerson, Paris 1984; L.B. Pascoe, Jean Gerson. Mysticism, Conciliarism and Reform, in Annuarium Historiae Conciliorum, 6 (1974), 135-153.

M. Vannini

GERTRUDE DI HELFTA (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce il 16 gennaio 1256 ed è educata con molta cura alle arti teologali e liberali nel monastero benedettino di Helfta, al quale viene affidata, all'età di cinque anni, nel 1261. G. vive in pieno lo spirito della Regola di s. Benedetto. Il 27 gennaio 1281 le appare il Signore, sotto le spoglie di un giovinetto di circa sedici anni, che le dice: " Presto verrà la tua salvezza, perché ti consumi di dolore? Non hai nessuno che ti consigli per lasciarti abbattere così dalla tristezza? ". Da quel momento inizia un rapporto ininterrotto di profonda comunione e " vera e propria amicizia " con Gesù, che durerà fino alla sua morte, il 17 novembre 1301 o 1302. E considerata la più grande mistica del sec. XIII, la tradizione religiosa cattolica germanica le ha attribuito l'appellativo di " Grande ", per il suo forte equilibrio spirituale. Il ricordo delle grazie mistiche ricevute e delle visioni è riportato nell'opera Messaggero della divina pietà in cinque libri. Ella si considera l'araldo del Signore sulla terra: " Rivelare, comunicare, far gustare agli uomini il tesoro racchiuso in questa sorgente che è il cuore stesso di Cristo ". Come la santa stessa dice, il Signore le ha ordinato di mettere per iscritto le grazie mistiche ricevute. Durante la celebrazione della santa Messa si rivolge così al Signore: " O amatissimo, insegnami a lodarti ". Le risponde il Signore: " Guarda in me ". Ed ecco vede uscire dal S. Cuore di Dio una bellissima rosa di cinque foglie, che copre tutto il suo corpo. Ed il Signore aggiunge: "Lodami nei miei cinque sentimenti, i quali sono significati in questa rosa".

Un altro gioiello della letteratura mistica di G. è costituito dagli Esercizi spirituali, in cui ella parla del riacquisto dell'innocenza battesimale, del rinnovamento spirituale e dei voti, della devozione a Dio per destare l'amore divino, della partecipazione alle grazie mistiche, della preparazione alla morte, ecc. E famosa, tra l'altro, per il dono dell'intercessione, con il quale solleva molte pene: " Ancora un quarto beneficio mi concedesti con l'assicurazione preziosa che chiunque si raccomanderà alle mie preghiere, con devota ed umile intenzione, senza alcun dubbio, conseguirà tutto il frutto che è lecito sperare da una intercessione ". " Il primo beneficio è l'amore con il quale la tua gratuita misericordia ha degnato di eleggermi da tutta l'eternità, il secondo beneficio è quello di avermi attirata a te per la mia salvezza ".

Sulla scia di Lutgarda von Tongeren ( 1246), ella sperimenta nelle forme più estreme l'amore per il S. Cuore di Gesù, completandole e affinandole con il suo forte equilibrio spirituale, tanto da essere chiamata la " teologa del S. Cuore di Gesù " e da essere considerata l'iniziatrice del culto al S. Cuore.

II. G. percepisce la mistica come esperienza di amore unitivo, nuziale, trasformante, raggiungendo il culmine della mistica detta affettiva, senza cadere in esagerazioni sentimentali o immaginative.

La sua fonte dottrinale è costituita dalla Bibbia e dalla liturgia, cui attinge abbondantemente per la sua esperienza e i suoi scritti.

Tutta la vita cristiana, per lei, ruota intorno ai misteri del Cristo alla cui intimità si perviene attraverso l'esercizio delle virtù teologali, passaggio obbligato per l'unione con Dio.

Bibl. Opere: S. Gertrude, Le rivelazioni, a cura di P. Duizelbacher, Siena 1991. Studi: N. Del Re, s.v., in BS VI, 277-287; P. Doyère, s.v., in DSAM VI, 331-339; H.D. Egan, Gertrude la Grande, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 292-298; Giovanna della Croce, s.v., in DES II, 1080-1081; Id., Mística feminina alemana de los siglos XII y XIII, in REsp 83-84 (1962), 218-223; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 187-188; Id., Gertrude la Grande di Helfta: mistica dell'obbedienza, in P. Dinzelbacher - D.R. Bauer (cura di), Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 185-196; G. Lunardi, s.v., in DIP IV, 1111-1112; C. Poggi, Vita e virtù della santa Geltrude la Grande, Roma 1934.

V. Noja

GIANSENISMO. (inizio)

I. Il fenomeno. Una convinzione molto generalizzata presenta il g. come una visione rigoristica della vita cristiana, nella quale c'è appena il posto per la mistica, intesa come esperienza profonda e amorosa di Dio. D'altra parte, si ricordano persone e avvenimenti vincolati al g. con manifestazioni tipiche di una fenomenologia mistica, come le apparizioni e le visioni del cimitero di San Medardo. La realtà del g. è molto complessa per cui non si può giungere ad una visione pacificamente condivisa da tutti.

Il primo problema, discusso e discutibile, è capire se il g. nella sua realtà storica risponda ad una interpretazione unitaria e globale della vita cristiana nei suoi diversi aspetti: dogmatico, morale, pastorale, spirituale, disciplinare compreso il politico, o più precisamente si deve parlare di giansenismi diversi, non omologabili tra loro né in dipendenza diretta e logica l'uno dall'altro: g. teologico, g. morale, g. spirituale, g. disciplinare e riformista, g. filosofico, g. politico-religioso, ecc. Nella prima ipotesi, i diversi aspetti del g. hanno relazione più diretta con la spiritualità e la mistica; ma più distante e indiretto sembra tale vincolo nella seconda interpretazione.

All'interno del fenomeno generale, che si suole considerare g., occorre distinguere alcune tappe o momenti cronologici, in corrispondenza del predominio di determinati aspetti o tipologie. Il g. dogmatico e morale ha il suo momento peculiare nella seconda metà del sec. XVII, praticamente fino al 1690; il g. pastorale e spirituale si affermò nei primi anni del sec. XVIII, con la sua denuncia nella Unigenitus nel 1717; la tendenza riformista e disciplinare si sviluppò soprattutto nella seconda parte del sec. XVIII, con il punto di riferimento più notevole nel Conciliabolo di Pistoia e la Autorem fidei (1794); il g. politico-religioso e giurisdizionalista si prolungò fino alla metà del sec. XIX. Evidentemente qui interessa unicamente il versante spirituale e più concretamente ciò che attiene alla mistica.

II. Dottrina. Prescindendo dalla vecchia polemica sulla " vera o fittizia e falsa eresia ", parlare di vita spirituale e g. implica necessariamente riferirsi ad un sistema teologico che cerca di approfondire e chiarire la relazione tra la grazia divina e la libertà umana o, più genericamente, tra trascendenza di Dio e condizione umana. Da questo problema basilare e radicale deriva una concezione della vita cristiana caratterizzata da un certo pessimismo che porta a proposte marcatamente rigoristiche nel comportamento del cristiano. Inoltre, sembra un tratto fondamentale della visione giansenista il predominio dell' intelletto sull'affettività. Il " cuore ha le sue ragioni ", però la verità di Dio e dell'uomo viene colta dall'intelligenza, benché l'accettazione definitiva implichi anche la sottomissione della volontà e il dono del sentimento.

L'agire dell'uomo non può basarsi su motivi soggettivi, come nel caso in cui prevarrebbe il sentimento; nella condizione di peccatore non c'è altro superamento del puramente umano che la grazia divina, assolutamente gratuita, poiché, secondo Giansenio, Dio sceglie ciò che vuole, in modo che la delectatio e la electio siano inseparabili nell'uomo. La realtà del peccato originale e la coscienza della colpevolezza collocano l'uomo in una tensione vitale tra la giustizia e la misericordia di Dio. Sul piano pratico, si traduce in atteggiamenti e comportamenti nei quali prevalgono l'amore o il timore. Accettando, evidentemente, che la santità cristiana si realizza nell' amore puro di Dio, il g. giunse frequentemente ad una visione pessimistica insistendo sul valore emotivo del timore fino a dare la sensazione di stabilire opposizione, più che relazione, tra timore e amore. Si constata che molte volte ciò che si presentava come carità ed espressione d'amore verso Dio e il prossimo, nascondendo atteggiamenti egoistici, portò ad insistere eccessivamente sul timore di Dio e sull'esigenza di purificazione per avvicinarsi a lui, anche attraverso i sacramenti. Benché si sia esagerato sull'enigma del g., sulla frequenza ai sacramenti, sarebbe ugualmente inaccettabile negare le posizioni intransigenti a questo proposito e l'impatto negativo prodotto dal " filogiansenismo " nella tradizione cristiana.

Il medesimo timore, ispirato dalla precaria e debole condizione dell'uomo, portò, nell'ottica giansenista, ad una posizione diffidente e chiusa davanti al mondo. Se da una parte, esaltò con notevole successo la presenza di Dio nella storia e negli avvenimenti, attraverso i quali manifesta la sua volontà, dall'altra esaltò la fuga mundi come esigenza di vita cristiana e non solo delle persone chiamate alla vita religiosa. L'apparizione dei famosi " Solitari di Port-Royal " è un sintomo di questa posizione, come la sua ammirazione ed esaltazione del celebre solitario del Messico, Gregorio López. In fondo, nel g. non c'è da assumere nel mondo una mediazione valida poiché la distanza tra Creatore e creatura è molto grande.

Sul piano spirituale questa distanza scompare, in un certo senso, attraverso la preghiera. E ben nota la preferenza del g. per la preghiera comunitaria e liturgica, dall'inizio fino alle ultime proposte riformiste del Sinodo di Pistoia (1786). In buona parte, l'opposizione e la lotta aperta del g. contro le devozioni cosiddette " popolari " erano ispirate da due motivi: da una parte, a causa degli abusi esistenti, anche nelle pratiche devozionali molto radicate come la Via Crucis, la devozione del S. Cuore; per altro verso, il desiderio di stabilire un equilibrio più adeguato tra la liturgia e le devozioni personali o comunitarie, collocando in primo piano più l'ufficiale e il liturgico.

Tra preghiera-culto liturgico e preghiere devozionali si incontrava la pratica della preghiera meditativo-contemplativa, tanto sostenuta a partire dal sec. XVI. Il g. non cercò di tentare né una rottura né un'eliminazione di questo punto. Maestri distintisi per il fervore giansenista, come P. Nicole ( 1695) e J. Hamon ( 1687) accolsero nella loro pedagogia spirituale perfino la preghiera metodica o meditazione, senza escludere la componente affettiva. In questa linea era inevitabile l'apertura contemplativa; essa pertanto, pur non rimanendo nemmeno esclusa, ha un'espressione ed un'accoglienza molto ridotta. S'incentra sulla pedagogia delle aspirazioni e giaculatorie, orientate soprattutto ai sentimenti di compunzione, di timore, di dolore dei peccati, di tristezza, di lacrime, di speranza, ecc. La preferenza per il rispetto e il timore, sulla fiducia e l'amore filiale, risulta evidente nei manuali giansenisti e giansenisteggianti.

III. L'orizzonte contemplativo e l'accoglienza della mistica erano inevitabili in ambienti spirituali nei quali si realizzarono edizioni e traduzioni dei grandi mistici del secolo precedente, come fu in Port-Royal de Champs. In realtà, l'accoglienza dei mistici fu più intellettuale o culturale che pratica. In margine a ciò che si può pensare di casi particolari come la famosa " illuminazione di B. Pascal ", certo è che negli ambienti giansenisti esistette notevole restrizione o prevenzione per il misticismo. Sono ben poca cosa le allusioni in autori come J. Haman alla contemplazione, all'esperienza di Dio, ai doni dello Spirito Santo.1 In un clima autenticamente giansenista esisteva appena un terreno appropriato per la mistica, ma non per la conoscenza storica del quietismo e conseguente reazione; i postulati basilari della visione giansenista della vita cristiana non favorivano posizioni nelle quali facilmente si accorcia la distanza tra Dio e l'uomo decaduto e incline al peccato.

Nessuna prova tanto eloquente di questo atteggiamento diffidente come l'assenza di testi giansenisti nei quali si accolgano narrazioni o descrizioni di fenomeni mistici, all'infuori del campo strettamente dottrinale o storico. Sembra che la storiografia sia arrivata a conclusioni sufficientemente solide e concordi sui famosi successi del cimitero di San Medardo e di Fareins, nell'ultima generazione di giansenisti militanti. Anziché di fenomenologia mistica bisogna parlare di mistificazione e di manipolato convulsionismo; fenomeni di isterismo e non di misticismo.

Note: 1 Cf Practique de la prière continuelle, 1702, 205; Solitude 105, 188, ecc.

Bibl. A. Adam, Du mysticisme à la revolte des jansénistes du XVIII siècle, Paris 1968; J.-R. Armogathe, A propos des miracles de Saint-Médard, in Revue d'histoire des religions, 180 (1971), 135-160; J.-R. Armogathe - M. Dupuy, s.v., in DSAM VIII, 102-148; L. Cognet, Le jansénisme, Paris 1968; L. Hamon (ed.), Du jansénisme à la laïcité. Le jansénisme et les origines de la déchristianisation, Paris 1987; T. Jansen, s.v., in DTE, 465-468; C.L. Maire, Les convulsionnaires de Saint-Médard: miracles, convulsions et prophéties à Paris au XVIIIe siècle, Paris 1985; B. Matteucci, Il giansenismo, Roma 1954; E. Pacho, s.v., in DES II, 1112-1116; A. Vecchi, L'origine del giansenismo, in Aa.Vv. Correnti religiose del Sei-Settecento veneto, Roma 1962, 403-512; D. Vidal, Miracles et convulsions jansénistes au XVIIIe siècle. Le mal et sa connaisance, Paris 1987; P. Zovatto, Introduzione al giansenismo italiano (Appunti dottrinali e critico-bibliografici), Trieste 1970; Id., Indagini sul giansenismo, in Divinitas, 14 (1970), 332-346.

E. Pacho

GIOIA. (inizio)

I. La nozione. La g. è uno dei sentimenti fondamentali dell'animo umano. Si sperimenta dinanzi alla speranza, alla prossimità o al possesso di ciò che si desidera o si ama. Perché questo sentimento si produca, l'uomo deve considerare ciò che desidera come un bene per se stesso, o anche in una prospettiva più comunitaria e solidale, un bene per gli altri.

L'antropologia cristiana afferma che è Dio che ha posto nell'uomo, al momento di crearlo, la capacità di godere: cercare e sentire la g. D'altra parte, prendendo come punto di riferimento la riflessione della filosofia greca (Aristotele), la tradizione filosofico-teologica e spirituale cristiana (cf s. Agostino, Boezio, s. Tommaso d'Aquino, s. Giovanni della Croce) afferma che nell'uomo, insieme all'amore-odio, esistono altre quattro passioni o sentimenti fondamentali: g., speranza, dolore e timore.

La g. di Dio o la fruitio Dei è una delle mete fondamentali che la fede cristiana propone all'uomo non solo per l'aldilà di questa vita (escatologia), ma anche per la vita presente (cammino ascetico-mistico). Dio è il supremo bene e la ricchezza dell'uomo: per questo motivo è in lui che l'uomo deve sentire e porre la sua g. al di sopra di qualunque altro bene. La Sacra Scrittura evidenzia tale insegnamento in ripetute occasioni (cf Salmi e libri sapenziali).

Sia nell'AT che nel NT si constatano la g. e l'allegria che, in tappe e momenti distinti della storia della salvezza, provocano l'esperienza della vicinanza e dell'azione salvifica di Dio nei confronti del suo popolo. In modo particolare nel NT questo sentimento di g. è sottolineato dinanzi all'evento-Cristo, che si manifesta come Dio con noi, Regno di Dio, Messia e Salvatore.1

II. Nella vita cristiana. Per la fede cristiana, Gesù il Cristo non solo è l'oggetto supremo di ogni vera g., ma soprattutto è in se stesso causa e origine di g. piena per gli uomini (cf GS 45). La Chiesa manifesta questa fede sempre nella sua liturgia, ma in modo particolare nei tempi di Avvento, Natale e Pasqua. D'altra parte, da una prospettiva di impegno etico spirituale, anche nel NT i cristiani vengono invitati, in conseguenza della loro stessa fede, a vivere nella tensione ad essere sempre gioiosi e allegri nel Signore, in mezzo alle preoccupazioni e agli affanni della vita (cf Fil 4,4-7). Si tratta di un impegno personale perché, di fatto, l'esperienza reale ci mostra che l'uomo, a causa della sua attuale condizione di peccatore, non solo non considera Dio come la fonte suprema di ogni vera g. e bene per se stesso, ma soprattutto, dimentico di Dio, tende a porre il suo cuore e la sua g. in altri beni creati (cf la parabola del seminatore). Per questo motivo, mistici come Giovanni della Croce insistono sulla necessità di purificare il cuore da qualsiasi altra g. che possa allontare l'uomo dal mantenere pura la propria g. in Dio.2 Al contrario di ciò che potrebbe apparire da una prospettiva puramente umana, g. e rinuncia evangelica, lungi dall'essere realtà inconciliabili alla luce del Vangelo, sono tra loro complementari (cf Mt 5,11-12; 13,20-21; Gv 16,20-22; 1 Pt 1,6-9; 4,12-14). Si deve, inoltre, affermare che non solo c'è una g. umana di Dio, che nasce dalla negazione di tutte le cose e di se stessi per Dio e per il Vangelo, ma anche che la g. suprema per il cristiano nasce come conseguenza dall'aver meritato di poter partecipare pienamente con Cristo alla sua morte (ad es. dal martirio fisico alla morte mistica) per essere con lui glorificato. Nel primo caso, l'esperienza di g. può accompagnarsi a quella della rinuncia, negazione e sofferenza con Cristo per il Vangelo.3 Nel secondo caso, il sentimento di g. suole essere solo posteriore a quello dell'angustia della tribolazione e morte interiore.4 Tutto questo può e deve intendersi non solo in un senso individuale e personale, ma anche comunitario ed ecclesiale.5 Alla luce di quanto detto, si può comprendere perché, per la fede cristiana, la g. sia qualcosa di più di un puro sentimento umano interiore, sensibile. La g. è, come dirà s. Paolo, una delle caratteristiche fondamentali (frutti) dell' uomo spirituale: di quell'uomo che è rinato da Dio per la forza dello Spirito (cf Gal 5,22-26).

Note: 1 Cf i Vangeli dell'infanzia e i racconti delle apparizioni del Risorto; a parte altri riferimenti alla vita della comunità primitiva in altri testi non evangelici del NT; 2 Cf Salita del Monte Carmelo; 3 Cf Fioretti di s. Francesco, VIII: come s. Francesco insegnò a frate Leone la perfetta letizia; 4 Cf Giovanni della Croce, Notte oscura e Cantico spirituale; 5 Cf la testimonianza delle lettere paoline e GS 1.

Bibl. P. Agaësse, Abnégation et joie, in Chr 9 (1956), 81-92; H.U. von Balthasar, La joie et la croix, in Con 39 (1968), 77-87; E. Beyreuther - G. Finkenrath, s.v., in DCT, 772-783, L. Borriello, La joie de vivre en chrétien, in Carmel, 44 (1986), 271-283; F. Bussini, s.v. in DSAM VIII, 1236-1256; J.M. Cabodevilla, E ancora possibile l'allegria?, Modena 1962; J. Galot, Il cristiano e la gioia, Roma 1986; Paolo VI, Esortazione apostolica " Gaudete in Domino " del 9 maggio 1975; J.M. Perrin, Il messaggio della gioia, Roma 1955; G.G. Pesenti, s.v., in Dizionario di Spiritualità dei laici, I, Milano 1981, 313-316; Tommaso d'Aquino, STh I-II, qq. 25-34; H. Volk, s.v., in DTI, 715-722.

J.D. Gaitan

GIOVANNI BATTISTA DELLA CONCEZIONE (santo). (inizio)

I. Cenni biografici e opere. Giovanni B. della Concezione è passato alla storia come il riformatore dell'Ordine della SS. Trinità, ma, per la sua produzione letteraria, è annoverato tra i grandi mistici del secolo d'oro di Spagna. Nasce in seno ad una numerosa famiglia di Almodóvar del Campo (Ciudad Real) il 10 luglio 1561. Fin dall'adolescenza frequenta i carmelitani scalzi, di cui desidera vestire l'abito. Ad Almodóvar conosce, nel giugno del 1576, s. Teresa di Gesù, ai libri ed agli esempi della quale farà più tardi riferimento con filiale devozione.1 Professa la Regola trinitaria a Toledo (1581) e trascorre sedici anni, senza alcuna intenzione di riformarsi, nell'antica osservanza del suo istituto, svolgendo con molto frutto quello che ritiene il suo carisma personale: la predicazione. Si avvale di un'ottima formazione filosofico-teologica, acquisita nelle Università di Baeza, Toledo e soprattutto Alcalá de Henares, e di ammirabili qualità morali e umane che gli meritano d'essere riconosciuto come " il teologo " ed uno dei migliori predicatori dell'Ordine.

I trinitari, pur accettando le direttive generali di riforma del Concilio di Trento, sono a quel tempo refrattari all'introduzione nell'Ordine della riforma radicale propugnata da Filippo II ( 1598). Nel febbraio del 1594, con una grazia straordinaria, Dio ispira G. per fargli intraprendere il cammino che lo condurrà a Roma a chiedere l'istituzione degli scalzi trinitari. Il 20 agosto 1599 Clemente VIII ( 1605) emette il breve Ad militantis Ecclesiae regimen, col quale erige la " Congregazione dei frati riformati e scalzi dell'Ordine della SS.ma Trinità ", obbligata alla fedele osservanza della Regola primitiva.

Alla sua morte, avvenuta nel convento di Cordova il 14 febbraio 1613, G. lascia diciotto conventi di trinitari scalzi e un monastero di trinitarie scalze.

Nella sua vasta opera letteraria,2 composta tra il 1604 e il 1612, il santo racconta le proprie esperienze di vita.3 Si tratta d'un corpus originale e stimolante, in cui palpita il cuore dell'asceta e del mistico, del predicatore del popolo e del teologo speculativo, del riformatore e del direttore di anime, in simbiosi perfetta. Tra i suoi testi spirituali più eloquenti vanno ricordati: La ferita d'amore,4 La conoscenza interiore soprannaturale, Dialoghi tra Dio e un'anima afflitta (IV, 94-218), Il raccoglimento interiore, Alcune pene che affliggono il giusto sul cammino della perfezione, La presenza di Dio, Il trattato dell'umiltà.4 Sono pagine che riflettono la sua intima esperienza di Dio (le notti spirituali, il matrimonio mistico) e i suoi " travagli " come riformatore. Dalla sua missione carismatica proviene un'altra ricca serie di scritti. Alcuni sullo sviluppo della riforma trinitaria, vista sempre con occhi soprannaturali come opera di Dio, come un'azione salvifica dello Spirito: Storia della riforma trinitaria; La fiducia in Dio, L'assistenza di Dio in favore della riforma, ecc. Ci sono altri scritti concernenti l'identità spirituale dei trinitari scalzi: Commento alla Regola primitiva, Stile di vita dei trinitari riformati, Esortazioni alla perseveranza, ecc. Come sprazzi di luce della sua intensa esperienza di " prelato " (riformatore, ministro locale e provinciale), ci sono presentate molte delle sue riflessioni, appunto, sui superiori religiosi. Ci è ancora sconosciuto il suo epistolario (conosciamo solo quattro lettere), che aprirebbe una finestra interessante sulla sua poliedrica esistenza.

II. Pensiero mistico. Al di là di certi principi e costanti, G. non pensa a disegnare un itinerario spirituale monolitico. L'esperienza (amorosa, sponsale e trasformante) di ciò che chiama la continua presenza di Dio è uno dei perni della sua vita e del suo insegnamento. " Tutta la nostra felicità - scrive - sta nell'essere amati da Dio " che, " nella sua immensa bontà, cerca di darsi e comunicarsi all'uomo ".5 E il Dio della rivelazione, centro e " fondamento di tutta la nostra fede nella sua pluralità di persone e unità di essenza "; l'essere umano è " un ritratto della SS.ma Trinità ", ritratto vivo e proprio, che il peccato sbiadisce un po', ma non cancella. Qui si basa non solo la capacità radicale del dialogo, incontro e unione con la Trinità, ma anche la necessità reciproca di Dio e dell'uomo. L'uomo ha bisogno della " divina compagnia ", poiché solo Dio può colmare la capacità della sua anima. Viceversa, Dio senza l'uomo rimane da solo. Alla ricerca di una relazione di comunione divinizzante con ognuno dei suoi figli adottivi, Dio Trinità concede la sua grazia e pone la sua presenza nel centro più profondo dell'anima, spazio riservato a tale intima unione. E Dio stesso a introdurre e nascondere l'anima nel suo intimo fondo per trattare e comunicare lì con essa da spirito a spirito; tale comunicazione si percepisce e gusta mediante i " sensi interiori ". I tre modi possibili della presenza divina sono concentrati negli " eletti ": " Nell'anima del giusto c'è Dio non solo per presenza, essenza e potenza, ma per grazia particolare. E se questo giusto è degli eletti e sta in grazia s'innalza a tal punto ed è vivificato in tal modo che la sua anima si sente unita e incollata a chi tanto ama e desidera. E lì che Dio desidera l'anima, lì la vuole e lì procura di tenerla nascosta " (I, 667). Sono questi i principi basilari dell' inabitazione trinitaria, che G. concepisce, al pari della grazia, in chiave di unione amorosa interpersonale.6

In base alla sua vita interiore, il nostro mistico non può tralasciare di parlare - quantunque, secondo quanto egli confessa, in maniera balbuziente e poco appropriata, trattandosi di una realtà ineffabile - dell'esperienza dell' unione trasformante o, come preferisce chiamarla, " unione perfetta " con Dio.7 Lo Spirito conduce l'anima verso le nozze mistiche con Cristo, verso la " perfetta comunicazione e intimità con Dio " in fondo a se stessa (I, 714). " Nella perfetta unione un'anima si perde a se stessa, si trasforma e fa una sola cosa con Dio, come dice san Paolo: ’Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me' (Gal 2,20) " (I, 537). Questa esperienza indicibile si verifica per una " grazia e amicizia, unità e conformità, un essere, un volere, un amore, un'alleanza, un vincolo con un abbraccio amoroso, un egli per me ed un io per lui " (I, 159-160). E qui, in tale intimità, " Dio rivela ai suoi eletti i suoi misteri " (I, 772).

G. parla di quattro gradi nella risposta dell'uomo a Dio: ricerca, ritrovamento, possesso momentaneo (per modum actus) e unione abituale (per modum habitus). Sono quattro momenti dell'apertura interiore al dono divino. Come il legno nella brace, la continua presenza di Dio ci immerge in sé, conservando la nostra anima " accesa e ardente ed estatica " col fuoco dell'amore divino. " Non solo l'anima ritiene Dio (come un ospite), ma lo ritiene come suo proprio sposo, signore e padrone della casa " (II, 652). Le potenze " sono occupate e immerse in Dio ed elevate ad un essere e ad un'attività soprannaturale " (I, 540). Esigenze irrinunciabili di tale unione spirituale sono: distacco affettivo dalle creature, purificazione delle potenze, raccoglimento interiore, sottomissione completa al volere di Dio, amandolo " con amore perfetto ". Le due vie che conducono all'unione divina sono: a. quella ordinaria, vale a dire, attraverso le creature e l'uso naturale dei sensi e delle potenze; b. quella straordinaria che accede direttamente a Dio per un dono speciale. La prima è quella comune. La seconda viene facilitata da Dio a chi egli vuole. " Voler conseguire questa unione per la via straordinaria, che solo viene accordata a chi Dio, per sola sua bontà, si degna di concederla, significa stancarsi e macinare a vuoto " (I, 542).

Esponendo questi temi, il riformatore trinitario beve senza saziarsi alla Parola di Dio,8 con una logica predilezione per il simbolismo nuziale del Cantico dei Cantici. Gli insegnamenti paolini sulla grazia, la vita in Cristo e nello Spirito, la concrocifissione con Cristo, la paternità spirituale, ecc., spuntano continuamente nelle sue riflessioni. L'Apostolo è per lui un esempio vivo e vicino, pioniere, guida e maestro indiscutibile negli itinerari dello spirito.

L'esperienza del nostro mistico è essenzialmente cristocentrica e cristopatica, che è quanto c'è di più genuino nella teopatia mistica cristiana.9 La sua missione e la sua vita mistica passano per una profonda identificazione col Cristo sofferente; compiendo l'opera della riforma, al centro della sua anima si consuma il matrimonio spirituale con Cristo crocifisso. Buona parte del suo insegnamento si pone anche su questo piano, con ricorso costante ai testi cristologici di Giovanni e, soprattutto, di Paolo. Il suo Cristo è quello del NT. Il sentiero della perfezione " è Cristo nel cuore " (I, 935). Tutto ciò allude anche alla mediazione insostituibile dell'Umanità di Cristo, di cui parla il santo trinitario. La perfezione spirituale consiste, pertanto, nella cristificazione, giacché " Cristo è la nostra grazia e la nostra giustizia " (II, 409). " La nostra immagine originale è Cristo e noi dobbiamo tutti renderci conformi a lui ". Non potendo estendere l'unione ipostatica a tutti gli uomini - scrive ancora nelle sue Esortazioni inedite -, Cristo, nel suo amore, ha inventato " un modo altissimo per unirci alla sua carne e al suo sangue " e in tal modo unirci " al Verbo in virtute Christi ": il sacramento eucaristico. Perciò, " s. Giovanni Crisostomo chiamò questo sacramento incarnationis extensionem, un'estensione dell'incarnazione del Figlio di Dio ".

Si tratta di acquistare " una somiglianza di Cristo crocifisso ". " Il segno da cui Dio riconosce le sue pecorelle è quello della croce ". In Cristo - e, perciò stesso, nei suoi seguaci - la croce è " l'ultimo gradino " per accedere alla gloria. Il Crocifisso - dice in tanti modi il nostro mistico - è lo sposo e la vita dell'anima, colui che la rigenera e trasforma, colui che l'introduce nel cuore del Padre e nella beatitudine eterna.

La pneumatologia di G. supera per la intensità quella che si può ricercare in altri autori della sua epoca. Nella sfera operativa dello Spirito Santo, dono di Cristo risorto, colloca la Regola, la riforma, la sua conversione e missione personale, l'unità di vita e la pluralità di funzioni del Corpo mistico di Cristo. " Lo Spirito è amore " (I, 279), in lui si amano e uniscono eternamente e ineffabilmente il Padre e il Figlio. Oltre a presentarlo, con gli opportuni riferimenti biblici, come artefice della nostra figliolanza divina e fonte della carità, sottolinea il fatto che lo Spirito Santo è il maestro interiore per tutti. Come Paolo, il nostro santo vede emanare dalla fonte dello Spirito tutte le grazie e virtù che son poste lungo il sentiero del cristiano.

Pone in rilievo l'opera primordiale dello Spirito nell'esperienza mistica, quando l'anima naviga " col vento in poppa dello Spirito Santo " (I, 139). Dedica una particolare attenzione all'azione dello Spirito con i suoi doni negli stadi superiori della vita spirituale.10 Parla non solo del numero settenario tradizionale (cf Is 11,1-3), ma anche del dono della prudenza e di " molti altri doni " (I, 169), sottolineandone l'orientamento teologale, in quanto aiutano l'uomo " a dedicare la propria anima a Dio stesso " (Ibid.). Ha molto spazio nelle sue riflessioni la conoscenza sapienziale di Dio, che è " dono dello Spirito Santo e grazia singolare di Dio perché lo conosciamo " (I, 313). Si tratta sempre di doni che accompagnano il dono dei doni o dono donante, lo Spirito Santo, come il frutto accompagna l'albero, i regali lo sposo, i gioielli la sposa.

Il nostro autore espone altri aspetti distintivi dell'azione dello Spirito: gratuità, connaturalità, passività, ineffabilità. Precisa che la luce della fede permane ed è essenziale anche nelle tappe superiori dell'esperienza di Dio. La verità della conoscenza spirituale straordinaria " va accertata in rapporto alle cose che la fede insegna " (I, 306). Sono da stimare le grazie straordinarie, ma basta la fede, se è fede viva, la santa e divina fede, concessa dal Padre ai piccoli (cf Mt 11,25), per conoscere, amare e servire il Signore (cf I, 306-308).

Note: 1 Cf J. Pujana, Presencia de santa Teresa en la obra de san Juan B.ta de la Concepción, in El Monte Carmelo, 89 (1981), 255-299; 2 Otto grossi volumi in folio autografi, più un apografo, che si conservano nell'archivio di S. Carlino alle Quattro Fontane, di Roma. E in corso di stampa l'edizione critica di cui finora sono stati pubblicati 2 voll: Obras completas. I. Escritos espirituales, Madrid 1995; II. La Reforma Trinitaria, Madrid 1997. Cito con indicazione di vol. e p.; 3 Cf Nicolas de la Asunción, Apuntes críticos a las obras del B. Juan B. de la Concepción: Acta O.SS.T. IV-VI (dal 1949 al 1962), pp. secondo l'indice; J. Pujana, Estudio introductorio, in S. Juan B. de la Concepción, El recogimiento interior, Madrid 1981, 97-121 (= II, Escritos); 4 Tutti questi testi e altri possono essere consultati nel vol. I dell'edizione critica (La presenza di Dio nel II); 5 Cf uno studio più ampio su questi punti in J. Pujana, Trinidad y experiencia mística en san Juan Bautista de la Concepción, in Estudios Trin., 16 (1982), 291-408; anche in Aa.Vv. Trinidad y vida mística, Salamanca 1982, 121-238; 6 Cf Juan del S. Corazón, La inhabitación de la SS. Trinidad en el alma del justo según el B. Juan B.ta, in Estudios Trin., 1 (1963), 151-175; Juan M. del B. Juan B.ta, La presencia de Dios y la divinización del alma en la doctrina del B. Juan B.ta, in Ibid., 95-123; 7 Cf J. Pujana, Estudio introductorio, in o.c. 137-176 (=La unión perfecta con Dios); 8 Cf P. Medrano Herrero, La Biblia en los escritos del Reformador trinitario, in Trinitarium, 2 (1993), 109-128; 9 Cf Jesús de la V. del Carmen, Dimensión cristológica de la mística del B. Juan B.ta, in Estudios Trin., 1 (1963), 63-79; 10 Cf Id., Los dones del E. Santo en el B. Concepción, in Aa.Vv. Corrientes espirituales de la España del s. XVI, Barcelona 1963, 417-450;

Bibl. Opere: Oltre alla vecchia edizione completa, acritica (Roma 183031, 8 voll.), S. Juan Bautista de la Concepción, Obras completas. I. Escritos espirituales, Madrid 1995, II. La Reforma Trinitaria, a cura di I. Pujana, Madrid 1997; Studi: G. Antignani, Giovanni Battista Rico, scrittore ascetico, in RivAM 6 (1981), 230-245; 7 (1982), 63-79; Antonio de s. Juan Evangelista, Las criaturas en la doctrina ascético-mistica del B. Juan Bautista, in Estudios Trin., 1 (1963), 9-48; Id., Exposición del pensamiento del B. Juan Bautista sobre la acción y la contemplación, in Ibid., 3 (1965), 51-84; J. Borrego, s.v., in DIP IV, 1236-1237; Jesús de la V. del Carmen, s.v., in DSAM VIII, 795-802; Id., s.v., in BS VIII, 940-943; M. Fuentes, Hacia la unión con Dios. El camino de la santidad vivido por Juan B. de la Concepción, in Estudios Trin., 10 (1976), 286-312; P. Medrano Herrero, Estudios sobre san Juan B. de la Concepción, Ponce 1996; J. Pujana, La unión mística en el primer escrito espiritual de S. Juan B. de la Concepción, in TEsp 20 (1976), 7-32; Id., 'La llaga de amor' según S. Juan B. de la Concepción, in Ibid. 21 (1977), 65-92; Id., Juan B. de la Concepción, in Aa.Vv. Diccionario teológico: El Dios Cristiano, Salamanca 1992, 765-770.

J. Pujana

GIOVANNI D'AVILA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce ad Almodóvar del Campo nel 1499. Di famiglia di " nuovi cristiani " (ebrei convertiti) e di agiata posizione economica, molto giovane inizia a studiare legge all'università di Salamanca. Una crisi religiosa lo spinge ad abbandonare la carriera di uomo di legge e a rinchiudersi nella sua città natale, quasi come un eremita. Da lì parte per l'Università di Alcalá, con il proposito di studiare filosofia e teologia, e ricevere l'ordinazione sacerdotale. In Alcalá fa amicizia con il maestro Domenico de Soto ( 1560), e nel 1526 si offre come missionario per il Messico. In Almodóvar celebra la sua prima Messa e, in un gesto ammirabile, distribuisce la sua sostanziosa fortuna ai poveri. Poi si reca a Siviglia per imbarcarsi per il Nuovo Mondo. Per motivi ancora non del tutto chiari non prende parte alla spedizione. Lì a Siviglia può completare i suoi studi di teologia nel nuovo collegio-università fondato con lo scopo di coniugare il tomismo con il pluralismo scolastico di Alcalá.

Il giovane sacerdote si converte, a partire dal fallimento del 1526, come " predicatore itinerante ", con residenza in Ecija, e arriverà ad essere considerato, ammirato e chiamato " apostolo dell'Andalusia ". Il modello della sua vita e della sua predicazione è s. Paolo, come ci dice Luigi di Granada, discepolo e primo biografo di G. Ad Ecija organizza gruppi di preghiera, che suscitano il sospetto di alcuni ecclesiastici del luogo, che lo denunciano all'Inquisizione. Il giovane predicatore e maestro di anime soffre i rigori del Santo Uffizio e dopo due anni di carcere e il conseguente processo è assolto e può continuare il suo ministero di predicatore itinerante. S'incardina nella diocesi di Cordova e da quel momento percorre città e villaggi dell'Andalusia, diffondendo la Parola di Dio e dirigendo anime. Per la direzione spirituale ha doti e carisma speciali. Intorno alla sua persona e al suo magistero si forma una " scuola " di discepoli, con i quali organizza numerosi collegi clericali (futuri seminari) e che prepara all'apostolato, iniziando dalla catechesi o "scuole di dottrina cristiana", che offrono simultaneamente l'istruzione primaria o prime lettere e nozioni di catechismo. In questo modo fonda un'Università " pastorale " a Baeza.

Consumato per lo sforzo fisico, si ritira nel 1551 a Montilla, e da qui continua il suo ministero di direzione attraverso la corrispondenza e, per quanto glielo permettono le sue infermità, la predicazione. Uomo di temperamento mistico, la preghiera è il suo alimento. Muore a Montilla il 10 maggio 1569. Paolo VI lo canonizza il 31 maggio del 1970.

II. Dottrina. A G., oltre al titolo di " Apostolo dell'Andalusia ", si riconosce il titolo di " Padre e Maestro ". E, in verità, questi titoli lo inquadrano perfettamente. E apostolo come s. Paolo fino a dare la vita per le anime: " figli delle lacrime " chiama coloro che con la sua parola genera a Cristo e guida per condurli per la stretta e ripida strada della santità. Nella storia della spiritualità spagnola del sec. XVI - secolo d'oro -, G. occupa un posto unico e profetico: suoi discepoli sono s. Giovanni di Dio ( 1595), san Francesco Borgia ( 1572), santa Teresa di Gesù (che gli " affida " l'esame del Libro della sua vita), fra Luigi di Granada, tra gli altri. E amico di santi, come Ignazio di Loyola, con il quale ha corrispondenza e che ammira. E maestro apprezzato dai suoi discepoli, dispersi per il mondo o perseguitati dall'Inquisizione (Carleval, Pérez de Valdivia, ecc.).

La produzione letteraria di G. è un prolungamento del suo ministero, del suo magistero e dalla sua paternità spirituale. Può ridursi a quattro aree: a. La catechesi, ministero fondamentale: G. ama catechizzare i bambini e cantare " la dottrina " con loro per le strade. Pubblica un piccolo catechismo.1 b. La predicazione: essendo egli un araldo della Parola di Dio, alla quale dedica la maggior parte del suo ministero, è logico che ci rimangano molti sermoni: difatti, la maggior parte dei suoi scritti sono sermoni. c. La direzione delle anime, lavoro silenzioso e fecondo, al quale dedica molto tempo, non solo a voce, ma anche per iscritto: frutto di questo suo ministero sono le sue opere magistrali: Audi filia, uno dei capolavori della letteratura mistica spagnola e l'Epistolario espiritual para todos los estados, che riflette l'ampiezza e la profondità del suo magistero e della sua opera realmente unica nel suo genere. d. La riforma della Chiesa: sensibile ai problemi della cristianità nel sec. XVI, G. lavora per risolverli non solo partendo dalla base - la formazione dei sacerdoti - ma anche scrivendo Memoriali per il Concilio di Trento e suggerimenti per i concili provinciali di Granada e di Toledo e, come dire, programmi di riforma di modo che i vescovi, i padri conciliari, li pongano in pratica.

III. Dottrina mistica. Uno dei temi fondamentali di G. è quello dell'amore di Dio in Cristo. E Cristo crocifisso e risorto che attrae l'uomo in un atteggiamento di fede, speranza e carità. Per vivere il mistero di Cristo, l'uomo deve rendersi cosciente della propria condizione di peccatore. Tale conoscenza di sé conduce all'umiltà. I mezzi per acquisire detta conoscenza sono la meditazione, la lettura spirituale, l'esame di coscienza e la direzione spirituale, che non sono considerati un semplice esercizio, ma una ricerca di Dio alla luce del mistero di Cristo. L' orazione contemplativa è un dono di Dio che va al di là di quello che i nostri sforzi potrebbero conseguire. E un'amorosa attenzione a Dio-amore. Anch'egli accetta la divisione in gradi della vita spirituale in incipienti, proficienti e perfetti. Nel primo grado prevale lo sforzo delle potenze umane, nel secondo è Dio che agisce nelle potenze, nel terzo si raggiunge l' unione profondissima nell'amore con Dio.

I doni mistici presuppongono o generano stati di aridità, come una notte oscura. Riguardo ai fenomeni mistici straordinari afferma che " come non fanno uno più santo, non vengano dati a coloro che sono più santi " (Lettera 158). A questo proposito G. raccomanda molto il discernimento degli spiriti, perché è difficile riconoscere se tali fenomeni vengano da Dio o dallo spirito cattivo.

Note: 1 Doctrina cristiana, Valencia 1554; red. da A. Huerga in Semana avilista, Madrid 1969, 113-147.

Bibl. Opere: L. Sala Balust - F. Martin, Santo Maestro Juan de Avila, Obras completas, 6 voll., Madrid 1970. Studi: X. De Silio, s.v., in BS II, 649-656; I. Esquerda Bifet, s.v., in DES II, 1125-1128; Id., s.v., in DSAM VIII, 269-283; Id., Escritos sacerdotales del P. Maestro Avila, Madrid 1969; L. de Granada - L. Muñoz, Vida del P. Maestro J. d'Avila, Barcelona 1964; A. Huerga, Affinità tra s. Paolo e s. J. d'Avila, in Ren 6 (1971), 63-79; L. Oddi, Vita del ven. servo di Dio, il Maestro G. di Avila, sacerdote secolare, detto l'apostolo dell'Andalusia, Roma 1754; L. Sala, Los tratados de reforma del P. Maestro Avila, in Ciencia tomista, 73 (1947), 185-233.

A. Huerga

GIOVANNI DEGLI ANGELI. (inizio)

I. Vita e opere. Non si hanno notizie precise sui primi anni del futuro francescano spagnolo G. Lo stesso anno di nascita si fa oscillare tra il 1536 e il 1540. Probabilmente verso il 1555 entra tra i Frati Minori della provincia di San José, fondata da s. Pietro d'Alcántara, ed è ordinato sacerdote nel 1565.

G. ricopre vari uffici nell'Ordine, ma la sua attività preferita è la predicazione, a cui si aggiunge un'intensa opera di scrittore. Muore a Madrid nel 1609.

Di G. possediamo undici opere. Conquista del reino de Dios (Diálogos de la), Madrid 1595; Consideraciones sobre los Cantares, Madrid 1606-1607; [Esclavitud Mariana]: Cofradia y devoción de las esclavas y esclavos de nuestra señora la Santissima Virgen Maria, Alcalá 1608; Lucha espiritual y amorosa, Madrid 1600; Manual de vida perfecta, Madrid 1608; Presencia de Dios, Madrid 1604; Salterio espiritual, Madrid 1604; Sermón que en las honras de la católica cesárea majestad de la emperatriz nuestra reina predicó el P. fray Juan de los Angeles..., Madrid 1604; Tratado espiritual de los soberanos misterios y ceremonias santas del divino sagrificio de la misa, Madrid 1604; Triunfos de amor de Dios, Medina 1589-90; Vergel espiritual del ánima religiosa, Madrid 1609-1610.

II. Dottrina mistica. Quale il valore di questa notevole produzione?

Da un punto di vista letterario il giudizio sembra unanime: G. è un classico della lingua spagnola del secolo d'oro. Divergente è invece quello sul valore della sua dottrina. C'è chi vede in lui solo un " eccellente volgarizzatore, ma un pensatore sprovvisto di forte personalità e di spirito sintetico " (F. De Ros). C'è invece chi scrive: " La pienezza della scienza mistica ispano-francescana si ritrova in G. In lui si concentra non solo la spiritualità spagnola, ma la spiritualità cristiana di tutti i tempi. L'opera del padre Angeles è opera di pienezza, di maturità e perfezione. Confluiscono sul suo nome tutti i fiumi dottrinali: in lui si riunisce tutto, e tutto il buono, autentico e bello trova in lui risonanza... I fogli dei suoi libri sono veri favi di dolcezza spirituale, come nessun altro scrittore li ha fabbricati " (J.B. Gomis).

E probabile che la verità si trovi tra i due estremi. Di fatto G. mostra di possedere una conoscenza molto vasta sia degli autori classici che degli autori che l'hanno preceduto nella grande produzione mistica spagnola, da quelli francescani a s. Giovanni della Croce. Ma non solo di quella spagnola. In particolare gli si attribuisce il merito di essere un testimone dell'influenza della mistica renano-fiamminga in Spagna.

G. ritiene che ci siano due scuole per l'anima: " Una di devozione e affetto, l'altra di conoscenza e intelligenza, perché la perfezione nostra è duplice e consiste nella virtù e nella scienza. Dunque, l' uomo spirituale ed evangelico dev'essere adornato di queste due cose, perché con la prima sia orientato al bene, con la seconda alla verità, per la prima arda, per la seconda risplenda e doni luce " (Triunfos, p. 1, c. 3).

L'autore, in pratica, usa le sue larghe cognizioni delle varie scienze per esaminare attentamente l'uomo, la sua anima, le sue potenze e passioni. E convinto che " nessuno potrà conseguire cosa alcuna nella contemplazione, senza aver raggiunto la conoscenza di se stesso " (Conquista, d. 7,10).

Tuttavia, in linea con la dottrina dei mistici di cui si fa valido diffusore, insegna che l'anima si eleva a Dio mediante gli affetti e le aspirazioni " fondati specialmente sopra i principali misteri della vita, passione e morte del Salvatore " (Manual, d. 6).

C'è un grado di contemplazione che, sia pure con la grazia di Dio, l'anima può raggiungere con l'esercizio delle sue potenze (cf Conquista, d. 8-10). Al di là, però, si entra nella contemplazione dove solo lo Spirito Santo opera, nel silenzio totale, nella tenebra, nell' unione d'amore, dove si realizza pienamente il principio: " Vale più amare senza vedere che vedere senza amare, perché vedendo e non amando non si possiede Dio né si ha amicizia con lui; invece, benché non lo veda, se lo amo lo possiedo e io sono suo amico e lui lo è per me " (Triunfos, Prologo).

Bibl. Opere: Obras misticas, a cura di J. Sala, Madrid 1912-1917. Studi: M. de Castro, s.v. in DSAM VIII, 259-264; J.B. Gomis, Introducciónes a Misticos franciscanos españoles, 3 voll., Madrid 1948-1949; F. de Ros, La vie et l'oeuvre de Jean des Anges, in Aa.Vv., Mélanges F. Cavallera, Toulouse 1948.

U. Occhialini

GIOVANNI DELLA CROCE (santo). (inizio)

I. Vita. Juan de Yepes, figlio di Gonzalo e Catalina Alvarez, nasce a Fontiveros (Avila), nel 1542, ultimo di tre figli. Presto rimane orfano di padre e vive una fanciullezza di grande povertà, seguendo la madre di città in città nella ricerca di lavoro. In questo periodo G. tenta di impegnarsi in alcune occupazioni manuali, ma con scarsi risultati; si fa invece apprezzare nel servizio agli ammalati dell'ospedale di Medina del Campo e per il suo impegno nello studio. Per questo motivo, viene ammesso al Collegio della Dottrina, dei Padri della Compagnia di Gesù, " facendovi molto progresso in poco tempo ".

Nel 1563, a ventun anni, entra inaspettatamente nel Carmelo di Medina, prendendo il nome di fra G. di San Mattia.

Sceglie questo antico Ordine perché attratto dal suo stile contemplativo e dalla sua particolare devozione alla Vergine Maria.

Dopo la professione (1564), inizia gli studi teologici a Salamanca, presto riconosciuto come il miglior studente della scuola, per talento e serietà. Alla fine del terzo anno di studi, viene ordinato sacerdote e, di ritorno a Medina per la celebrazione della prima Messa, incontra Teresa di Gesù.

L'incontro avviene mentre G., desideroso di una più totale contemplazione, sta pensando di passare tra i certosini e Teresa sta pensando a come riformare anche il Carmelo maschile.

Ecco come la santa di Avila racconta quel provvidenziale incontro: " Parlandogli ne rimasi molto soddisfatta e seppi da lui che desiderava andare tra i certosini... gli dissi che se voleva migliorare avrebbe reso ancor più servizio al Signore rimanendo nel suo Ordine. Egli mi diede la sua parola di aspettare, a patto che non si tardasse molto ".1

Il 28 novembre 1568, Giovanni della Croce (questo il suo nuovo nome) inizia a Duruelo la Riforma del Carmelo maschile, secondo lo stile di Teresa di Gesù. I primi anni della nuova vita sono tempo di grande preghiera e di apostolato tra la povera gente dei paesi vicini.

G. deve subito assumersi il compito di maestro dei novizi, carica che ricopre fino al 1572. Da quest'anno al 1577 è nominato confessore del monastero dell'Incarnazione in Avila, su richiesta di madre Teresa. Il 2 dicembre 1577 viene " incarcerato " dai confratelli carmelitani, per incomprensioni sorte tra l'antico Ordine e la nuova famiglia teresiana.

Considerato un ribelle, è letteralmente rinchiuso in uno stanzino angusto e maleodorante. Vi rimane nove mesi: tempo che ha un'importanza centrale e risolutiva nella sua vita.

Scriverà più tardi: " Una sola grazia di quelle che Dio mi fece in quel luogo non si può pagare con una piccola prigione, anche se fosse durata anni ".

In una poesia di commento al salmo 137 (Super flumina), identificandosi con il popolo d'Israele prigioniero, dice di quel tempo: " Allì me hirio el amor " (là mi ferì l'amore).

Ferito dall'amore di Dio, scrive in carcere alcune poesie che restano tra i versi più sublimi della letteratura spagnola, certamente tra le più elevate composizioni mistiche di tutti i tempi: dieci Romanze trinitarie; un commentorifacimento poetico del Cantico dei Cantici; il poemetto La fonte.

Fuggito dalla prigione, G. riprende il suo impegno di educatore e superiore della nuova famiglia carmelitana, prima al Calvario (Jaen), poi a Baeza e a Granada (1582-88), dove scrive i quattro grandi commenti alle sue poesie: Salita del Monte Carmelo (=S); Notte oscura (=N); Cantico spirituale (=C), Fiamma viva d'amore (=F), lasciandone alcuni incompleti.

Nel 1591 viene esonerato da ogni incarico di responsabilità ed " esiliato " in Andalusia, a Ubeda (Jaen), dove muore santamente il 14 dicembre 1591 a quarantanove anni.

II. Gli scritti. " Affinché ciò che mi appresto a dire sia più degno di fede, non penso di affermare qualcosa di mia autorità - fidandomi dell'esperienza fatta o di ciò che altre persone spirituali abbiano conosciuto o udito, anche se dell'una e dell'altro intendo approfittare - se non è confermato e chiarito con l'autorità della divina Scrittura " (C prol. 4). G. dichiara, dunque, nell'importante prologo al C, di voler prendere come fonte assoluta e primaria del suo insegnamento la Sacra Scrittura e, solo secondariamente, l'esperienza propria o altrui.

Si ispira, però, negli scritti alla sua formazione scolastico-tomista; si riferisce spesso agli scrittori della corrente agostiniana ( Dionigi Areopagita) e ai mistici spagnoli del sec. XVI (Osuna, Laredo, s. Teresa).

Circa mille versi in poesia e un migliaio di pagine in prosa lo rendono una delle figure più importanti nel panorama degli autori mistici.

Suddividiamo gli scritti in: Opere minori: venti Poesie: di cui dieci romanze, cinque poemetti (le composizioni più famose), cinque glosse; Cautele, Avvisi, Detti di luce e d'amore, trentatré Lettere. In queste opere, particolarmente nelle poesie, è racchiusa la parte più importante del messaggio sanjuanista: " Le poesie sono in G. le asserzioni decisive, invece i commenti sono inadeguati e incapaci a riesprimere tutto il contenuto della parola ispirata ".2

La poesia si ispira allo stile di alcuni poeti spagnoli suoi contemporanei,3 ed è di tale portata che lo stesso santo rimanda ad una certa ispirazione dello Spirito Santo (cf C prol. 1). Grandi opere: Salita del Monte Carmelo (tre libri): è l'opera ascetica (purificazione attiva) che tratta della " purificazione del senso " (primo libro) e della purificazione della tre facoltà spirituali: intelletto (secondo libro), memoria e volontà (terzo libro). Notte oscura (due libri): tratta più propriamente della purificazione passiva (o mistica) della parte sensitiva (libro primo) e dello spirito (libro secondo). Cantico spirituale (commento alle quaranta strofe del testo poetico): in quest'opera, attraverso il simbolo del matrimonio spirituale, è descritto tutto il cammino dell'uomo: dalla conversione all' unione piena con Dio, passando attraverso le purificazioni e la comunione sponsale con l'umanità di Cristo: l'Amato appassionatamente ricercato (str. 1-20), l'Amato finalmente incontrato (str. 13-21), lo Sposo (str. 22-35), ed " Hermosura " (Bellezza ineffabile) che prepara alla gloria (str. 36-40). Fiamma viva d'amore (commento alle quattro strofe del testo poetico): ha come tema la trasformazione dell'uomo in Dio " suo centro " e la partecipazione alla vita trinitaria in una sorta di anticipazione della gloria: " Non c'è da meravigliarsi - scrive G. - che Dio faccia tanto sublimi e straordinarie grazie, poiché egli stesso afferma che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sarebbero discesi in chi lo avesse amato " (F prol. 2).

III. La dottrina mistica. Lo studio della mistica di G. risale al movimento mistico che si sviluppò in coincidenza con la proclamazione del dottorato del santo carmelitano (1926).

G. è teologo non in quanto dogmatico, ma in quanto mistico,4 e in questa veste descrive e giudica l'esperienza. Diremmo, in termini attuali, che egli è un " teologo spirituale ": guarda cioè allo sviluppo della rivelazione nella santità dei credenti.

Egli è soprattutto personalmente un mistico e un maestro che canta l'unione tra Dio e l'uomo e, intorno a questo argomento, coinvolge il lettore servendosi alla perfezione di ogni forma espressiva: poesia, simboli, espressioni tratte dalla teologia scolastica e dalla devozione popolare.

Ma egli volle parlare soprattutto della " notte mistica ", " per essere stato detto molto poco di essa ed esserne stata fatta molto poca esperienza " (1N 8,2).

Per G. l' esperienza mistica è anzitutto immediatezza con il mistero: " In questo alto stato di unione, Dio non si comunica all'anima mediante qualche copertura di visione immaginaria o somiglianza o figura, né occorre che l'abbia, ma bocca a bocca, cioè essenza pura e nuda di Dio che è la bocca di Dio in amore, con essenza pura e nuda dell'anima che è la bocca dell'anima in amore di Dio " (2S 16,9).

Questa unione si dà " nella sostanza dello spirito come nel cuore dell'anima " (F 2,9). Qui l'uomo è pura accoglienza e passività: " Lo Spirito Santo vi compie tutti gli atti e la muove ad essi " (F 1,4; cf 2S 14). L'anima deve " starsene con avvertenza amorosa in Dio, con quiete d'intelletto sebbene le sembri di non far nulla " (2S 15,5).

G. utilizza raramente la parola perfezione, preferendo invece la parola unione o " divina congiunzione e unione dell'anima con la sostanza divina " (2S 15,5).

Allo stesso modo, per definire il potere disgregante del male, parla di appetito invece che di peccato.

Egli considera in modo vivo e dinamico l'incontro tra l'uomo e Dio. Distingue, dunque, tre tipi di unione: unione per essenza, per grazia e per affetto spirituale o unión de semejanza (2S 8,3; C 11,3).

Il primo livello si pone sul piano naturale, il secondo e il terzo sono dono soprannaturale.

L'unione si dà per un intervento di Dio Padre che predestina da sempre tutto alla conformità con il Figlio (cf C 1,1): crea il mondo, l'umanità (e in essa la Chiesa) come " sposa " per il suo Verbo (cf Romanza 4). E questa sposa dev'essere da lui teneramente riportata nell'amore trinitario attraverso uno scambio di doni nuziali. Lo scambio avviene nell' Incarnazione (cf Romanza 9).

Vi è, poi, un versante umano dell'unione che avviene " per via di perfezione, a poco a poco, al passo dell'anima " (C 23,6).

L'uomo viene attratto dal desiderio di Dio e risponde spogliandosi gradualmente di tutto ciò che non è lui, " perché amare è operare spogliandosi e denudandosi per Dio da tutto ciò che non è Dio ". L'uomo impara così ad agire con un costante desiderio di imitare Cristo in ogni sua azione, rimanendo vuoto di tutto per amore di Gesù Cristo; in tal modo, per giungere a gustare tutto non cerca gusto in niente, per giungere a conoscere tutto non cerca di sapere niente, ecc... (cf 1S 13).

IV. Dimensione trinitaria e cristologica dell'unione mistica. La mistica è comunione con Dio Trinità. Il Padre " qui è il principale amante " (C 31,2); lo Spirito è " agente guida e motore dell'anima " (F 3,46; C 39,3); Cristo è l'amato, lo Sposo e per amore e conformazione a lui l'uomo viene divinizzato.

Egli è fratello, compagno, maestro, prezzo e premio, amico e sposo, sempre presente lungo tutto l'itinerario spirituale: all'inizio del cammino (cf 1S 13), nel momento della grande decisione (cf 2S 7), come " unica Parola " (2S 22), nell'unione sponsale (cf C 22-23) e come hermosura definitiva. " Soltanto là dove l'amante cerca lo sguardo che s'apre dell'unico amato può aprirsi anche a lui tutta la luce di bellezza che l'amato ha suscitato nel mondo con lo sguardo dei suoi occhi ".5

Analogamente nell'uomo, al di là del senso, vi è una struttura tripartita che trova compimento nelle tre virtù teologali: " L'anima si unisce a Dio, in questa vita, per mezzo dell'intendere, del godere e dell'immaginare e non mediante qualsiasi altro senso, ma solo mediante la fede secondo l'intelletto, la speranza secondo la memoria, e l' amore secondo la volontà ".

Le virtù teologali sono il mezzo proporzionato al fine dell'unione con Dio poiché esse ci pongono in contatto con Dio in sé (cf 2S 9) e possiedono il carattere mistico della passività.

La mistica di G. è uno sguardo profondo che sfiora l'uomo, nel suo necessario riferimento a Dio " il centro dell'anima è Dio " (F 1,11), " la sua salute è solo l'amore di Dio " (C 11,11), " la sua anima vive nella persona che ama piuttosto che nel corpo che anima " (C 8,3).

E, inoltre, un discorso su Dio che precede ed abita l'uomo in forma così totale che " è incomprensibile non nella sua lontananza ma soprattutto nella sua immanenza e intimità, nella sua capacità di penetrare l'uomo per vie che nessuna creatura e nemmeno il soggetto stesso potrebbe scoprire (cf 3S 3,6) ".6

Concludendo il Cantico spirituale, il santo esclama: " O anime create per queste grandezze e ad esse chiamate, che cosa fate? In che cosa vi trattenete? Le vostre aspirazioni sono bassezze e i vostri beni miserie. O misera cecità degli occhi dell'anima vostra, poiché siete ciechi dinanzi a tanta luce e sordi dinanzi a così grandi voci, senza accorgervi che mentre andate in cerca di grandezze e di gloria rimanete miseri e vili, ignari e indegni di tanto bene " (C 39,7).

Note: 1 Fondazioni 3,17; 2 H.U. von Balthasar, Giovanni della Croce, in Id., Gloria. Una estetica teologica. Stili laicali, III, Milano 1976, 111; 3 Cf D. Alonso, La poesia di s. Giovanni della Croce, Roma 1965; 4 H.U. von Balthasar, Teologia e santità, Id., in Verbum Caro, Brescia 1975, 206; 5 Id., Giovanni della Croce..., o.c., 144; 6 F. Ruiz Salvador, Giovanni della Croce, in La Mistica, I, 567.

Bibl. Opere: San Juan de la Cruz, Obras completas, a cura di J.V. Rodriguez e F. Ruiz Salvador, Madrid 1988; Giovanni della Croce, Opere, a cura di L. Borriello, Cinisello Balsamo (MI) 1998. Studi: H.U. von Balthasar, Giovanni della Croce, in Id., Gloria. Una estetica teologica. Stili laicali, III, Milano 1976, 95-155; Crisogono de J. Sacramentado, La escuela mística carmelitana, Madrid 1930; P. Juan-Tous, s.v., in WMy, 273-275; Lucien-Marie de S.J., s.v., in DSAM VIII, 408-447; E. Pacho, S. Giovanni della Croce, mistico e teologo, in Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 296-330; F. Ruiz Salvador, S. Giovanni della Croce, in La Mistica I, 547-597.

A.M. Sicari

GIOVANNI DI GESU MARIA. (inizio)

I. Vita e opere. G. (Juan de san Pedro y Ustarroz) nasce a Calahorra nel 1564, nella Rioja. E la figura più rappresentativa dell'Ordine, negli inizi della sua Congregazione italiana, dei carmelitani scalzi, della quale diventa terzo Preposito Generale dal 1611 al 1614. Trasmette lo spirito genuino di Teresa di Gesù nelle Costituzioni e nella formazione dei novizi (Instructio novitiorum, Instructio magistri novitiorum). Cogliendo con acutezza l'intuizione della fondatrice, secondo la quale spirito contemplativo e spirito missionario non solo non si oppongono, ma necessariamente si integrano come il precetto di amare Dio e il prossimo, apre il Carmelo alle missioni e definisce l'obiettivo della vocazione contemplativa dell'Ordine come " mistica unione dell'anima con Dio ". Muore santamente a Montecompatri (RM) nel 1615. Il 28 ottobre 1994 è stata introdotta la causa per la sua beatificazione e canonizzazione, presso il Tribunale ecclesiastico diocesano del Vicariato di Roma.

Fecondissimo scrittore, non cessa di spronare a seguire la via e la scuola di Gesù Cristo, ad acquisire la prudenza dei giusti, ad imparare a pregare. Il suo accorato appello si rivolge a tutti: papi, cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, monache, laici, principi, regine e imperatori.

Eccelle negli scritti di carattere mistico. Affianca, infatti, l'emanazione delle Costituzioni del 1599 e del 1605 rispettivamente con le opere Cantici canticorum interpretatio (1601) e Theologia mystica (1607). Nella prima opera descrive il rapporto della sposa con lo Sposo, come il rapporto dell'anima con Dio, emblematico della contemplazione del Carmelo teresiano. Nella seconda, interpreta la teologia mistica tradizionale della Chiesa alla luce provvidenziale di s. Teresa, " divinamente preparata da Dio per istruirci in questo campo nell'epoca presente ". In essa insegna il cammino della santa d'Avila verso la mistica unione, attraverso la via dell' amore o sapienza unitiva. Affinché il teresiano, per lo stesso cammino possa seguire la Madre, lascia abbondantissime preghiere anagogiche scaturite dalla sua personale esperienza di " mistico viandante ".

I suoi libri si diffondono ovunque. La sua Disciplina claustrale, continuamente ristampata per nutrire lo spirito di preghiera della famiglia teresiana nei secoli, supera le cinquanta edizioni. I suoi Soliloqui dell'anima fedele sono forse lo specchio più perfetto della sua ansia infinita di essere redento dal sangue di Cristo al quale chiede, con straziante implorazione, di essere preservato dalla colpa.

I suoi scritti, in parte da lui stesso pubblicati durante la sua vita, sono stati raccolti postumi in varie edizioni di Opera Omnia, Coloniae Agrippinae, 1622; 1650, Florentiae, 1771-74. Nel 1992 si è iniziata una ristampa con traduzione in lingue moderne, presso l'editore Soumillion di Bruxelles. Il decimo volume uscito nel 1994 è Lettera di Cristo all'uomo.

II. Dottrina mistica. La caratteristica dominante dell'esperienza contemplativa di G. è la continua ricerca dell'unione con Dio, avvertito costantemente come lontano dalla propria sofferenza. Egli, per tutta la vita, soffre nel corpo e nello spirito; implora un conforto che non trova, ma ha fiducia in colui che ama. L'umile coscienza della propria indegnità corre costantemente unita alla ferma consapevolezza della divina misericordia. Per questo motivo, ha il dono di tranquillizzare le anime che ricorrono a lui, mentre a lui non è concesso di uscire da una notte oscura del corpo e dello spirito. L'estenuante esperienza dell' abbandono di Dio, amato sopra ogni altra cosa, lo infiamma del desiderio di salvare il prossimo.

Sul piano dottrinale il suo magistero ascetico-mistico affonda le radici nei mistici classici. Infatti, nella Theologia mystica egli convoglia tutto l'insegnamento tradizionale come espresso da Dionigi l'Aeropagita, Bonaventura, E. Herp, Gersone e da Dionigi il Certosino. Propone, in questa scia, un' orazione intensamente affettiva, espressione di un rapporto profondamente personale tra l'anima e Dio, che tende direttamente alla più intima unione fra due esseri che si amano, al di là di ogni attività raziocinante.

Nell'Arte di amare Dio infonde spirito di amore per Dio e per il prossimo. Infine, la sua Scuola di orazione può essere considerata l'opera che maggiormente ha influito sulla formazione spirituale delle generazioni carmelitane.

Bibl. Evaristo del N.J., Contemplación y teología mística según el P. Juan de Jesús María el Calagurritano, in El Monte Carmelo, 68 (1960), 199-240; Giovanna della Croce, La teología mística clásica en el pensamiento del Venerable padre Juan de Jesús María, in Ibid., 72 (1964), 423-446; Roberto di S. Teresa, La contemplazione infusa nel Ven. P. Giovanni di Gesù Maria, in EphCarm 13 (1962), 650-690; Simeon a S. Familia, Edizione critica della " Instructio novitiorum " e della " Instructio magistri novitiorum ", in Giovanni di Gesù Maria, Enchiridion de institutione novitiorum Ord. Carm. Disc., Romae 1961, 281-542; G.M. Strina, s.v., in DSAM VIII, 576-581; Id., s.v., in DES II, 1166-1168; Id., La teologia mistica del ven. padre Giovanni di Gesù Maria, carmelitano scalzo, calagorritano, Genova 1967.

S. Tomás Fernandez

GIOVANNI DI SAN SANSONE. (inizio)

I. Vita e opere. G., Jean du Moulin nasce nel 1571 a Sens, in Francia. Sappiamo poco di lui. Sembra che avesse due fratelli e forse anche delle sorelle. A tre anni, colpito da una crisi di vaiolo, diventa cieco. Di conseguenza, resta per tutta la vita handicappato ed emarginato nella società d'allora.

Con l'aiuto del parroco, impara i fondamenti della grammatica, ma soprattutto a suonare l'organo e la spinetta. Impara anche un po' di latino e acquista una conoscenza elementare delle belle lettere e del poeta Ronsard. A dieci anni perde i genitori e viene ospitato da uno zio, sempre a Sens.

Da quel momento in poi, G. si dedica alla musica: diventa organista nella chiesa di San Pierre-le-Rond e suona regolarmente con diversi strumenti nei balli e concerti locali organizzati dalla gioventù. A un certo punto, si stanca di questa frivolezza e perdita di tempo. Comincia, allora, a concentrarsi sulle letture spirituali, come per esempio sull'Imitazione di Cristo, sulle Istituzioni dello Pseudo Taulero, sul Mantello dello Sposo del francescano Francesco Vervoort ( 1555), e più tardi sugli scritti di Caterina da Genova, Ruusbroec, Enrico Herp e numerosi altri autori spirituali.

Dal 1585 al 1600 non si hanno notizie su di lui. In quest'ultimo anno si trova a Parigi dal fratello Gian Battista, che però già nel 1601 muore insieme alla moglie. Da quel momento in poi, nei dintorni della rue Saint-Jacques, senza casa e senza vitto, come la grande massa dei poveri di quell'epoca, trascorre lunghe ore nelle chiese, in preghiera e all'organo. A Parigi, in cerca di direttori spirituali esperti, si avvicina alla chiesa e convento carmelitano di Place Maubert, il collegio internazionale dell'Ordine, vicino alla Sorbona. Dal 1604 suona l'organo nel Carmine e diventa amico del giovane fratello Mathieu Pinault. Intorno a lui si forma un piccolo gruppo spirituale, che legge autori mistici. I giovani amici carmelitani lo pregano di spiegare loro questi testi e di illuminarli sulla vita spirituale e mistica.

Laico, cieco e senza un'adeguata formazione teologica, G. diventa così il maestro spirituale della nascente riforma del Carmelo francese. Due anni dopo, nel 1606, esprime il desiderio di entrare come fratello laico nel Carmelo di Dol in Bretagna, dove già vive il suo amico Mathieu Pinault. Contro le aspettative e le usanze del tempo, il provinciale di Tours accetta la sua richiesta. Entrando nel noviziato di Dol, prende il nome di Giovanni di San Sansone.

A causa dell'insalubrità del luogo, soffre di diverse malattie e, durante un periodo di peste, si dedica alla cura dei confratelli malati, fino al punto di ammalarsi. In questo periodo, molte persone accorrono a lui, prima della Messa, chiedendogli di pronunciare su di loro una preghiera speciale contro la febbre. Preoccupato, il vescovo, Antonio Revol, interviene, esaminando la sua ortodossia e rimproverandolo fortemente. Vedendo, però, la sua reazione umile e profondamente religiosa, gli permette di continuare tali preghiere e lo sceglie poi come direttore e consigliere spirituale per più di vent'anni. Nel 1629, poco prima di morire, Antonio Revol chiederà a G. di comporre per lui una guida spirituale, che sarà uno dei testi mistici maggiori di G.

Nel 1612 G. si trasferisce al Carmelo di Rennes, centro della nuova Riforma di Touraine, facendo di nuovo il noviziato. Rimane qui, salvo qualche breve interruzione, fino alla morte, avvenuta il 14 settembre 1636, festa dell'Esaltazione della Croce.

All'inizio, i superiori sospettosi della dottrina mistica di questo fratello laico, semplice e senza cultura teologica, la fanno esaminare dal provinciale dei carmelitani scalzi e da alcuni famosi teologi della Sorbona. In seguito, affiancando il maestro dei novizi, G. insegna i principi della vita spirituale e mistica ai giovani carmelitani e diventa così il vero maestro spirituale della Riforma di Touraine, variante francese della Riforma teresiana. Frequenta i grandi testi della letteratura mistica, che si fa leggere ad alta voce, commentandoli al gruppo astante. Legge le edizioni francesi delle opere di Teresa d'Avila e di Giovanni della Croce, insieme ai testi di s. Bernardo, Guglielmo di Saint-Thierry, Ruusbroec, Suso, Taulero e tanti altri. Nell'arco di venticinque anni scrive, dettando, numerosi testi spirituali e mistici: trattati e commenti, meditazioni e soliloqui, poesie e lettere, in tutto più di 4000 pagine di manoscritti.

Come autore mistico, G. non ha avuto la fortuna letteraria di Bérulle o di Maria dell'Incarnazione. I suoi testi mancano di un linguaggio accurato e di un'esposizione chiara, essendo poco più che appunti di segretari, giovani talora incolti e senza esperienza. Questo che per noi è un vantaggio poiché ci permette di osservare un testo mistico in via di formazione e ancora vicino all'esperienza immediata, costituì un grande svantaggio per i contemporanei, che non gustavano più il francese pre-classico del Seicento ed erano già segnati dalla nuova mentalità razionale e antimistica indotta da Cartesio ( 1650). Vent'anni dopo la morte di G., i suoi testi furono pubblicati con ritocchi, per farli corrispondere maggiormente ai gusti del tempo. Il momento opportuno era, comunque, passato: i testi non furono in grado di attrarre l'attenzione del grande pubblico e G. rimase un autore mistico presto dimenticato. Soltanto adesso i suoi scritti vengono rispolverati per ritrovare lo splendore di un cammino mistico autentico, senza pretese, che rimane altamente attuale nella sua concentrazione sull'essenziale dell'amore puro.

II. Dottrina mistica. Come autore mistico, G. è stato paragonato a Ruusbroec e a Giovanni della Croce. Ha elaborato in tanti modi la logica dell'Amore divino, innamorato dell'uomo creato, e i processi di trasformazione di quest'uomo che sperimenta l'incomprensibile tocco divino e si lascia trascinare nell'estasi dell'amore. L'uomo, per natura concentrato su se stesso e ripiegato sui propri interessi, perde poco a poco il controllo della propria vita, affidandosi totalmente a Dio. Uno dopo l'altro, tutti gli strati della vita umana vengono così assorbiti dalla vita divina attraverso un processo d' annichilimento totale e trasformati nell'irresistibile dinamica dell'amore divino. Qui l'uomo si perde sempre di più nell'oscurità impenetrabile della divinità, che lo abbraccia da tutte le parti. L' esperienza mistica d'amore si realizza come strada nel deserto, spingendo l'uomo all'irrecuperabile autotrascendenza che lo fa sprofondare sempre più in Dio, attraverso l' amore puro. Secondo G., la vita contemplativa e mistica si approfondisce con l'aiuto di una preghiera specifica, che trascina l'uomo in uno spiraglio spirituale infinito. L'aspirazione prende il suo punto di partenza nella lettura e nella meditazione, con l'aiuto di riflessioni e di parole. Pian piano, questa preghiera esteriore e umana si restringe alla dinamica interiore del desiderio silenzioso, fino a diventare contemplazione pura del movimento dell'amore divino, che trascina passivamente il cuore dell'orante.

Bibl. Opere: Jean de Saint-Samson, Oeuvres Mystiques, Sagesse chrétienne, Texte établi et présenté par H. Blommestijn et M. Huot de Longchamp, Paris 1984; Jean de Saint-Samson (1571-1636), L'Éguillon, les Flammes, les Fleches et le Miroir de l'Amour de Dieu en Dieu mesme, Ed. du manuscrit de Rennes, Introduction et commentaire par H. Blommestijn, Romae 1987; Id., La pratique essentielle de l'amour, Sagesses chrétiennes, Textes établis et présentés par M. Huot de Longchamp et H. Blommestijn, Paris 1989; Id., Oeuvres complètes 1, L'éguillon, les flammes, les fleches, et le miroir de l'amour de Dieu, propres pour enamourer l'âme de Dieu en Dieu mesme, Ed. critique par Hein Blommestijn, Rome-Paris 1992; Id., Oeuvres complètes 2, Méditations et Soliloques 1, Ed. critique par Hein Blommestijn, Rome-Paris 1993; Id., Esperienza di amore totale. Lo sprone, le fiamme, le frecce e lo specchio dell'amore di Dio, propri per innamorare di Dio l'anima in Dio medesimo, Napoli 1983 (Prima versione italiana del P. F. Sorrentino). Studi: S.M. Bouchereaux, s.v., in DSAM VIII, 703-710; Ead., La Réforme des Carmes en France et Jean de Saint-Samson, Paris 1950; C. Janssen, s.v., in DES II, 1168-1169; P.W. Janssen, L'oraison aspirative chez Jean de Saint-Samson, in Carm 3 (1956), 19-48; Id., Les origines de la Réforme des Carmes en France au XVIIe siècle, La Haye 1963.

H. Blommestijn

GIOVANNI EVANGELISTA (santo). (inizio)

Premessa. La tradizione cristiana identifica l'autore del quarto Vangelo con uno dei Dodici, G. il fratello di Giacomo, figlio di Zebedeo, menzionato indirettamente con l'espressione " il discepolo che Gesù amava ".1 A parte i problemi sull'identità dell'autore e sulle fasi della formazione del testo,2 il quarto Vangelo s'impone come un libro di altissimo livello dottrinale e contemplativo. I Padri della Chiesa, infatti, lo hanno considerato il Vangelo spirituale per eccellenza.3

I. Dalla storia al simbolo.4 G. propone un'interpretazione teologica e mistica, basata sui fatti e sulle parole del Gesù terreno. Il suo Vangelo mira non soltanto a trasmettere la fede, ma a provocare quella percezione che il credente può avere della sua unione intima con Cristo. Infatti, Gesù è presentato come il vero Rivelatore del Padre (cf Gv 1,18; 14,9-10) e la sua umanità è descritta come l'espressione dell'essere e dell'agire di Dio (cf 10,30). Per condurre il lettore alla sfera della contemplazione e dell'intimità con lui, il racconto evangelico adopera un linguaggio simbolico altamente significante attraverso i simboli archetipi come luce (cf 8,12; 9,5), acqua (cf 4,10.14), pane (cf 6,35.48.51-58); arricchisce alcune parole con un doppio senso: elevare = crocifissione e esaltazione (cf 3,14; 8,28; 12,32), ora = momento presente ed evento salvifico (cf 2,4; 4,21; 5,25; 12,23), l'uso di forme retoriche tra le quali il dialogo, (cf 14,5-11; 18,28-40), l'ironia (cf 8,56-59; 19,1-3), il malinteso (cf 3,3-5; 4,10; 20,14-16).

Per esprimere, inoltre, la pienezza di grazia e di verità presente in Cristo, G. evoca personaggi ed eventi veterotestamentari (cf 3,14; 4,12; 6,32; 8,58), insiste sulla celebrazione delle festività liturgiche d'Israele (cf 2,23; 5,1; 6,4; 10,22) e parla delle tradizioni giudaiche (cf 2,2.6; 19,31.40) come simboli dell'avvenimento nuovo che oltrapassa l'antica alleanza. I miracoli stessi di Gesù sono " segni " (semeia) che rivelano la sua " gloria divina " (doxa) (cf 2,12) e allo stesso tempo sono i simboli della salvezza che si attua mediante la fede sacramentale all'interno della nuova comunità, la Chiesa.5 Miracoli, gesti e parole di Gesù diventano per G. simboli della vera realtà, quella spirituale, trascendente, eterna, comunicata ormai agli uomini, simboli che debbono condurre il credente alla contemplazione di Cristo, Verbo eterno, all'esperienza di Dio e all'intimità di vita con lui (cf 10,4.9.14.15; 15,1-5). Ogni credente è chiamato all' unione mistica, a quella comunicazione interpersonale con il Signore che l'evangelista manifesta con espressioni di immanenza: " rimanere in " (6,56; 15,4.16), " dimorare presso " (14,23), " vederlo " (14,9), " conoscerlo " (10,4.14-15), " amarlo " (14,21-28), " essere con lui " (17,21).

II. Fede e conoscenza. " Credere ",6 infatti, tema chiave del Vangelo, esprime non soltanto l'adesione del discepolo alla parola di Cristo ma quel contatto esistenziale, quell'atteggiamento personale, dinamico, progressivo, non stabile né definitivo, ma che tende all'unione piena con il Signore. I personaggi del Vangelo (Natanaele, Nicodemo, la samaritana, Giuseppe d'Arimatea, Pietro, Marta, Maria, Maddalena, il discepolo amato...) esprimono, ciascuno a suo modo, varianti di quella fede che va da una prima accettazione di Gesù alla conoscenza per connaturalità e alla più intima unione con lui. Altri personaggi (i giudei, Pilato, Giuda) evocano atteggiamenti umani, anch'essi persistenti, nei confronti del Verbo di Dio fatto carne, il dubbio, la confusione, la superficialità e il tradimento. L'ideale del credere, dono di Dio, consiste quindi in un rapporto personale tra Cristo e il discepolo al punto da coinvolgere tutto il suo essere umano e richiedere una risposta che coinvolge tutte le sue facoltà: ascolto, obbedienza, fedeltà, amore. Il progredire nella fede conduce alla conoscenza (gnosis), a un più alto grado di unione con il Cristo. Conoscere è più che credere. Il modello della conoscenza è la fusione di quella gnosis sublime e di quell'amore che si stabilisce tra il Padre e il Figlio. Si tratta della partecipazione intima del credente alla vita divina. Il conoscere giovanneo si esprime anche con i verbi udire, vedere, intuire, che evocano la dimensione globale, sperimentale, esistenziale di questo tipo di conoscenza per sua natura ineffabile, legata intimamente all'amore (agape) e vincolata a una scelta radicale di vita. Il modello della fede-conoscenza giovannea è insito nella figura del discepolo prediletto: egli ha chinato il capo sul petto di Gesù, ha percepito nel sepolcro vuoto la sua risurrezione e nella pesca miracolosa ha detto: " E il Signore " (21,7). Pervenuto alla conoscenza per connaturalità, la sua testimonianza evangelica è veritiera. Il dono dello Spirito Paraclito mira a condurre tutti i credenti a questa conoscenza sperimentale di Cristo e di Dio che capovolge il senso della vita presente.

III. Escatologia realizzata e mistica. La conseguenza del credere e del conoscere giovannei si può riassumere nell'espressione " esistenza escatologica del credente ". Il discepolo vive nel mondo, ma non è del mondo. Per lui il " giudizio " ha avuto già luogo (3,18) ed è entrato nella vita. Ha conquistato la gioia al di là delle facoltà umane. Il credente possiede lo Spirito, il Paraclito, lo Spirito di verità (cf 14,17.25-26), cioè il dono escatologico che è principio di conoscenza e di intimità perché illumina la persona e l'opera di Gesù di Nazaret e permette di capirne il senso trascendente dell'essere e dell'agire (cf 14,26; 16,12-15). Il discepolo è liberato dalla morte, è passato dalle tenebre alla luce ed è ormai in possesso della vita eterna: " Questa è la vita eterna: che conoscano te... e colui che tu hai mandato " (17,3). Il Vangelo di G. è, in ultima analisi, una provocazione alla rilettura trascendente della persona e dell'opera di Gesù di Nazaret e a una interpretazione spirituale di tutte le realtà create. E un appello al rinnovamento, a una " rinascita " dell'essere umano che rimane sempre aperto a un'esistenza superiore che si realizza già in questo mondo, esistenza immersa nella conoscenza (gnosis) e nell'amore (agape) divini.

Note: 1 Sull'identità dell'autore e sulle fasi della formazione del testo, cf M.E. Boismard - A. Lamouille, L'Evangile de Jean, in Aa.Vv., Synopse des quatre évangiles en français, III, Paris 1977, 67-70; M.E. Boismard - E. Cothenet, La tradition johannique, in Introduction à la Bible. Edition nouvelle, in A. George - P. Grelot (edd.), Le Nouveau Testament, IV, Paris 1977, 269-292; R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto, Assisi (PG) 1982; R. Fabris, Giovanni, Roma 1992, 68-82; M. Hengel, The Johannine Question, London 1990; R. Schnackenburg, Der Jünger, den Jesus liebte, in Aa.Vv., EKK Vobereiten, Heft 2, Neukirchen 1970, 97-117; Id., Il discepolo che Gesù amava, in Aa.Vv., Il Vangelo di Giovanni, III, Excursus 18, Brescia 1980, 623-642; 2 Cf R. Fabris, Giovanni, o.c., 43-70, 71-82; 3 Cf Clemente Alessandrino, Hypotyposeon, n. 38; 4 Cf V. Mannucci, Giovanni, il Vangelo narrante, Bologna 1993, 97-133; 5 Cf O. Cullmann, I sacramenti nel Vangelo giovanneo, in Aa.Vv., La fede e il culto nella Chiesa primitiva, Roma 1974, 181-245; 6 Il quarto Vangelo non usa il sostantivo " fede "; usa invece novantotto volte il verbo " credere ". Per l'evangelista " credere " indica adesione alla parola e all'opera di Gesù, comprensione progressiva della sua dignità divina e della sua missione salvifica, intimità del credente con Cristo, amore e fedeltà verso di lui. Oltre che del verbo " credere ", il quarto Vangelo si serve di molte espressioni che significano la stessa nozione: " venire " verso Gesù (5,40; 6,35.37); " riceverlo " (1,12; 5,43); " bere " l'acqua offerta da lui (4,13-14); " mangiare " il suo pane (6,31-35); " seguirlo " (8,12; 10,5); " ascoltare " la sua voce (10,1-5); " accettare " la sua testimonianza (3,11); " vedere " (6,40; 12,44-45); " conoscere " (6,69; 8,31-32).

Bibl. Commenti patristici: Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Roma 1968; Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, a cura di E. Corsini, Torino 1968. Commentari moderni: M.E. Boismard, L'évangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatre évangiles en français, III, Paris 1977; L. Bouyer, Il quarto Vangelo, Torino 1964; R.E. Brown, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Assisi (PG) 1979; O. Cullmann, La fede e il culto della Chiesa primitiva, Roma 1974, 181-295; C.H. Dodd, L'interpretazione del quarto Vangelo, Brescia 1974; R. Fabris, Giovanni, Roma 1992; M. Figura, s.v., in WMy, 268-270; J. Huby, La mistica di s. Paolo e di s. Giovanni, Firenze 1950; M.J. Lagrange, Evangile selon Saint Jean, Paris 19484; X. Leon-Dufour, Lettura del Vangelo secondo Giovanni, 3 voll., Roma 1990-1993; B. Maggioni, La mistica di Giovanni evangelista, in La Mistica I, 223-252; D. Mollat, Giovanni maestro spirituale, Roma 1980; A. Omodeo, La mistica giovannea, Bari 1930; S.A. Panimolle, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voll., Bologna 1978-1984; Id., L'evangelista Giovanni, Roma 1985; G. Ravasi, Il Vangelo di Giovanni, 2 voll., Bologna 1989; R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni. Commentario teologico del Nuovo Testamento Gv 1-4, 4 voll., Brescia 1973-1987; A. Wickenhauser, L'Evangelo secondo Giovanni, Brescia 1966.

P.-R. Tragan

GIOVANNI SCOTO (ERIUGENA). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce nel primo quindicennio del sec. IX e muore nell'870 circa.

In seguito alle invasioni danesi nell'Irlanda (Eriu, da cui l'appellativo di Eriugena) si rifugia in Francia ed intorno all'846-847 è accolto alla corte di Carlo il Calvo ( 877), diventando maestro nella scuola palatina. Nell'850 partecipa alla controversia sulla predestinazione con uno scritto (De praedestinatione) che suscita vivaci reazioni da parte dei teologi del tempo per la sua impostazione nettamente razionalistica. Successivamente, Carlo il Calvo lo invita a tradurre le opere di Dionigi l'Areopagita e di altri autori greci (in particolare di Massimo il Confessore). Queste opere, insieme a quelle di Agostino e Boezio ( 524), diventano le principali fonti della sua opera più importante, De divisione naturae, composta in forma di dialogo dall'862 all'866. In questa, con il termine " natura " G. intende tutta la realtà e la distingue in quattro " specie " o " forme ", che non sono parti di un tutto, ma solo momenti di un processo dialettico attraverso il quale la natura si svolge, passando dall'unità alla molteplicità e successivamente risalendo dall'individuale all'universale, risolvendo la molteplicità nell'unità del tutto. Infatti, la prima natura " che crea e non è creata " è Dio, il quale è inconoscibile, secondo l'istanza della teologia negativa, che risale a Dionigi Areopagita; la seconda natura " che è creata e crea " è costituita dalle cause primordiali, che sono, secondo la tradizione platonica, gli archetipi delle cose, mentre il mondo materiale (ovvero la terza natura, " che è creata e non crea ") è concepito come una caduta e una corruzione del mondo intelligibile, conseguenza del peccato originale. Questo mondo, tuttavia, tende a tornare a Dio il quale, in quanto concepito come il fine ultimo di tutta la creazione, costituisce la quarta natura " che non crea e non è creata ".

G. scrive, inoltre, un commento alle opere di Dionigi Areopagita e al Vangelo di Giovanni, ma di quest'ultima opera non rimangono che frammenti.

I suoi scritti, nei quali talune espressioni possono essere interpretate panteisticamente (certamente contro ogni intenzione dell'autore), vennero condannati nel 1225.

II. Dottrina. Il contributo più importante di G. alla storia della mistica è quello di aver introdotto la via negationis per la conoscenza di Dio, cui l'uomo è chiamato. Poiché la dignità dell'uomo deriva dall'essere fatto a immagine di Dio (cf De divisione naturae IV), la verità diventa il bene supremo dello spirito. Per questo motivo, la sapienza è il termine ultimo di ogni processo speculativo. L'uomo, infatti, raggiungerà la vera unione con Dio nella purezza della conoscenza (cf Ibid. V), diventando una lode del sommo Bene (cf Ibid.).

Per G. si conosce Dio attraverso la Scrittura, ma ciò richiede sia un grande sforzo da parte dell'uomo sia un'illuminazione, cioè una rivelazione dell'essenza divina mediante le teofanie. Dio, però, permette allo spirito umano di andare oltre il significato morale e allegorico della Scrittura e alcune teofanie sono di uno splendore tale da innalzare la contemplazione ad uno stadio molto vicino a lui (cf Ibid. V). Ma per giungere ad una contemplatio theologica, cioè una conoscenza superiore sostenuta dalla fede, occorre passare attraverso tre stadi: il primo è quello della conoscenza sensibile; il secondo è quello in cui la ragione distingue le realtà nascoste di cui sono segno le creature visibili; il terzo è una conoscenza totalmente semplice e soprannaturale che s'identifica con il ritorno a Dio. Questo cammino può essere compiuto solo nel Cristo, che assume in sé l'essere divino e la natura umana, e in modo particolare nel Cristo dell' Eucaristia. E il Cristo redentore che ha salvato e santificato tutto, donando agli eletti la deificazione. A esemplificazione di questa asserzione, G. rimanda a s. Giovanni che ha posato il capo sul petto del Signore ed ha ricevuto la rivelazione segreta, perciò l'apostolo prediletto diventa per G. l'ideale del mistico.

G. assume da Dionigi Areopagita la distinzione fra le due teologie, cioè le due maniere di parlare di Dio, quella affermativa e quella negativa. Conoscere Dio significa, innanzitutto, sapere che egli sorpassa ogni scienza, perciò l'ignoranza a cui si è condotti è la vera sapienza. Lo sforzo dello spirito trova il suo vero appagamento in questo progresso negativo (cf Ibid. II) (teologia negativa), ma Dio si mostra a chi lo cerca e si lascia trovare da chi lo desidera (teologia positiva).

Erede della tradizione neoplatonica, G. descrive il processo circolare che da Dio Padre si sviluppa attraverso il Figlio e il mondo materiale per ritornare al Padre, introducendo sulla scia dei Padri, il platonismo nel pensiero cristiano d'Occidente.

La sua concezione della conoscenza di Dio influenzò la spiritualità successiva sia per l'accento posto sulla verità da conoscere in sé, dal momento che essa è semplicemente oggetto di contemplazione, sia per il suo " tentativo, che è unico, tra Agostino e Nicolò da Cusa, di utilizzare un sistema filosofico, o piuttosto una concezione generale del mondo in gran parte desunta da Plotino, per esprimere la totalità della teologia cristiana ".1

Note: 1 D. Knowles, La teologia, in D. Knowles - D. Obolensky, Nuova storia della Chiesa, II, Torino 1971, 157.

Bibl. Opere: PL 122; SC 151, 180; E. Jeaumeau (ed.), Homélie sur le Prologue de Jean, Paris 1969; J. Sheldon-Williams (ed.), Periphiseon, Dublin 1968-1981. Studi: M. Cappuyns, Jean Scot Erigène, Louvain-Paris 1933; M. Dal Pra, Scoto Eriugena e il neoplatonismo medievale, Milano 1951; P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 272-273; A. Forest, La sintesi di Giovanni Scoto Eriugena, in A. Fliche - V. Martin (cura di), Storia della Chiesa, XIII, Torino 1965, 15-44; A. Haas, Eriugena und die Mystik, in Aa.Vv., Eriugena redivivus, Heidelberg 1977, 254-278; P. Mazzarella, Il pensiero di Giovanni Scoto Eriugena, Padova 1957; R. Roques, s.v., in DSAM VIII, 735-762.

M.R. Del Genio

GIROLAMO (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Eusebius Hieronymus nasce tra il 340 e il 347 da famiglia cristiana benestante a Stridone, località ai confini tra la Dalmazia e la Pannonia, nella Croazia settentrionale. Adolescente, verso il 359, è inviato a Roma per studiare grammatica, retorica e filosofia. Acquisisce tutto ciò che le lettere profane possono offrire.

Maggiorenne, verso il 366, comincia per lui un periodo di ansiosa ricerca religiosa. Si fa battezzare a Roma. Viaggia nelle Gallie, e a Treviri sente il richiamo del monachesimo. Ad Aquileia si associa ad un gruppo di entusiasti della vita cenobitica. Non ancora soddisfatto, si dirige verso il Medio Oriente. Affaticato nella mente e nel corpo, sosta ad Antiochia (374-375). Ascolta con discernimento le spiegazioni bibliche di Apollinare di Laodicea. Prosegue verso il deserto di Calcide (375-378), dove studia l'ebraico. Le lotte per l'episcopato lo richiamano ad Antiochia, dove viene ordinato sacerdote nel 378. Si trasferisce a Costantinopoli (379-382). Ascolta le spiegazioni bibliche di Gregorio Nazianzeno, e si addentra nelle opere di Origene.

Dal 382 in poi, si prodiga in un'attività intensamente produttiva. Trasferitosi a Roma fa da segretario a papa Damaso ( 384): prepara lettere e trattati, diviene maestro per il clero romano, ne castiga i costumi, corregge il testo latino dei Vangeli e dei salmi, edifica donne pie, spiega la Bibbia, offre consigli religiosi. L'ambiente romano non gradisce la sua opera, sicché alla morte del papa, gli fa un'opposizione sistematica e sleale. Allora G. parte per il Medio Oriente, nel 385, e nel 386 si stabilisce a Betlemme dove fino alla morte, nel 419 o 420, continua la sua opera di maestro e di consigliere spirituale.

La vastità e la profondità della sua cultura, soprattutto in campo biblico, storico, geografico e filologico, fanno di lui un grande maestro tra i Padri del IV e V secolo. In qualità di fecondo esegeta resta un valido referente perché commenta i libri sacri in chiave letteraria e allegorica, in modo da offrire considerazioni scientifiche e spirituali al tempo stesso. Della sua vasta produzione ricordiamo, oltre ai lavori di revisione e di traduzione dei libri sacri, i commenti a diversi libri della Sacra Scrittura. Tra gli scritti storici va ricordata soprattutto la preziosa opera, nonostante le imprecisioni, le parzialità e a volte le confusioni, De viris illustribus. Di non minore importanza è il suo epistolario che comprende 125 Lettere a vari destinatari. Tra queste particolare menzione meritano quelle ascetiche. Vanno, infine ricordati i Discorsi ai monaci, raccolti dal Morin nel 1895, 1897 e 1901 1 che comprendono commenti spirituali ai salmi, al Vangelo di Marco e diverse omelie.

II. Insegnamento spirituale. L'itinerario spirituale personale di G. si sviluppa attraverso tre tappe. Adolescente, gusta i piaceri della mente (lettere profane) e del corpo (cibo lauto, sensualità). Maggiorenne, intraprende un lungo cammino di distacco dai piaceri e di avvicinamento a Cristo. Il distacco comincia con la prima partenza da Roma per decisione propria e si completa ad Antiochia con la rinuncia alle lettere profane per intervento di Cristo che gli appare in sogno e lo accusa di essere ciceroniano, non cristiano. Nel deserto di Calcide vive questo distacco, penoso ma gratificante. " Nudos amat eremus ", il deserto, l'eremo predilige gli uomini nudi, scrive in questo periodo G. L'avvicinamento a Cristo va di pari passo con il contatto con la Bibbia. Prima del sogno, nei momenti di ravvedimento, invece di Tullio o Platone legge i profeti, ma il loro discorso incolto lo disgusta. Dopo il sogno s'immerge nella lettura della Bibbia, sforzandosi di cogliere il senso cristiano dell'AT. In questo modo tenta una vera e propria esegesi del testo sacro, cercando di condurre fuori dal testo i suoi contenuti effettivi, il suo messaggio spirituale, la sua verità. Lo sforzo diventa delizia quando assapora i commentari biblici di Origene.

Adulto, diviene veramente cristiano. Vive il mistero di Cristo e cerca di comunicarlo agli altri. A Roma lo addita al clero e alle donne pie. A Betlemme lo spiega con la parola ai monaci vicini, con le lettere alle pie donne lontane, con i commentari biblici a tutti. Lo difende con le opere polemiche, lo illustra con le opere storiche e lo fa passare nell'AT con la nuova versione latina (Volgata). La sua ricetta: non deporre mai i Vangeli.2

Ma è soprattutto nell'epistolario che G. manifesta la profondità del suo pensiero spirituale. A parte il suo richiamo continuo alla rinuncia per il regno, egli indica il cammino verso Dio nello studio e nella meditazione della Parola. E proprio il contatto con la Parola che rivela i segreti di Dio e rende capaci di dedicarsi alla preghiera e al digiuno che, a loro volta, alimentano la carità e reprimono le tentazioni rafforzando lo spirito. E ancora la Parola fatta carne, cioè l' Eucaristia, che offre al credente sicurezza nel suo cammino spirituale. Partecipando alla vita del Cristo, il cristiano otterrà il premio della corona. Quest'ultima è riservata in particolare ai vergini che, come Maria, sono gli sposi fedeli che, con purezza, offrono tutto se stessi a Cristo. Per questo motivo, egli considera la verginità superiore al matrimonio per il suo carattere di donazione totale e di condivisione piena della vita del Cristo.

Note: 1 Anedocta Maridsolama, III; 2 Ep CVIII: PL 22, 876.

Bibl. J.B. Bauer - L. Schade, Hieronymus, Briefe über die christliche Lebensführung: Schriften der Kirchenväter, München 1983; S. Cola (cura di), S. Girolamo. Le Lettere, 4 voll., Roma 1962-1964; J. Gribomont, s.v., in DSAM VII, 901-912; Id., Lavoro e Parola di Dio in S. Girolamo. Spiritualità del lavoro nella catechesi dei Padri del III-IV secolo, Roma 1986, 205-212; I. Griego, San Girolamo maestro di spiritualità, in Asprenas, 33 (1986), 305-329; J.N.D. Kelly, Jerome: His Life, Writings and Controversies, London-New York 1975; L. Laurita, Insegnamenti ascetici nelle lettere di s. Girolamo, Nocera Superiore (SA) 1967; A. Penna, s.v., in BS VI, 1109-1132; V. Recchia, Verginità e martirio nei " colores " di s. Girolamo, in Vetera christianorum, 3 (1966), 45-68; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1173-1176; J. Steinmann, Saint Jérome, Paris 1985.

J. Zerafa

GIULIANA DI NORWICH. (inizio)

I. Vita e opere. Mistica inglese, nasce nel 1342 e muore nel 1420 ca. A trent'anni, gravemente ammalata, ha una serie di visioni sulla passione di Cristo. Le notizie sulla sua vita sono molto scarse. Nel suo libro Rivelazioni dell'amore divino si legge: " Questa rivelazione fu fatta a una creatura semplice e illetterata mentre viveva ancora nella sua carne mortale, nell'anno di nostro Signore 1373, il 13 di maggio ". Più avanti, ricordando la gravissima malattia durante la quale è stata favorita da visioni, dice di avere " trent'anni e mezzo ". Il suo nome è da collegare con Norwich (Inghilterra), dove visse da reclusa.

G. evidenzia una solida educazione intellettuale legata alla prosperità della città di Norwich. Questa, infatti, al tempo di G, è una città ricca di risorse materiali e spirituali, sicuramente un crocevia nel quale si intrecciano diverse correnti culturali e varie scuole di spiritualità. A Norwich sono presenti diversi Ordini mendicanti: i domenicani e i francescani vi si stabiliscono nel 1226; nel 1256 arrivano i carmelitani; nel 1272, gli agostiniani. Il convento di questi ultimi si trova proprio di fronte alla chiesa di San Giuliano dove sorge il romitorio di G. Ciò spiega dove questa reclusa abbia potuto attingere la sapienza e la profondità teologica che la caratterizzano.

E probabile che al tempo delle rivelazioni non fosse ancora reclusa. G. potrebbe, dunque, essere entrata presto in una comunità religiosa, forse in un monastero di benedettine e lì avrebbe avuto rivelazioni da lei messe per iscritto in una prima redazione, quello che oggi si suole chiamare Testo breve, giunto a noi in un solo manoscritto. Dopo l'avvenimento, potrebbe aver scelto la vocazione di reclusa, andando ad abitare in una cella costruita adiacente al muro della chiesa di San Giuliano a Conisford, in Norwich.

Qualche altro dato su G. ci viene da quelle che si chiamano testimonianze esterne: il Codice Add. 37790, o Amherst Manuscript, della British Library; i quattro testamenti, il primo del 1393-94 e l'ultimo del 1415-16, in cui vengono fatte donazioni alla reclusa e alla donna che l'accudiva; e la testimonianza di Margery Kemp, di Lynn, che nel suo libro menziona una visita fatta a G. per chiederle consiglio sul come interpretare e valutare le sue visioni.

II. Esperienza mistica. G. coglie la presenza di Dio nella sua vita come quella di una madre che protegge e dalla quale si sente dolcemente protetta. Tale protezione diventa reale e concreta nell'opera redentrice del Cristo, anch'egli sperimentato come " nostra vera madre ". Su tale esperienza di maternità del Cristo Gesù, G. fonda il suo rapporto di umile confidenza con il Signore della sua vita, confidenza sperimentata ed espressa come infanzia spirituale, unione costante, fiduciosa vita di preghiera. Ne derivano atteggiamenti di semplicità, di umiltà evidenziati nel suo libro e che ricordano Teresa di Lisieux. " Mi affido alla santa Chiesa nostra madre, come deve fare un bambino innocente ".

Da giovane, G. aveva chiesto al Signore tre grazie: una grave malattia fisica come distacco da ogni cosa terrena, una visione corporale della passione di Gesù Cristo per poterne essere anch'ella partecipe ed, infine, una vera contrizione, la compassione con Cristo nelle sue sofferenze e il " desiderio volenteroso " di Dio. Al centro di queste rivelazioni c'è l'immagine di Dio Trinità, che è, insieme, padre e madre, amico familiare e cortese, pieno di tenerezza e di bontà, nonché la convinzione che nella croce di Cristo il demonio e ogni forma di male sono stati definitivamente sconfitti.

Ne deriva una spiritualità del quotidiano fatta di serenità e di equilibrio, radicata sul costante ricordo dell'amore di Dio più che non ripiegata sull'ossessione ansiosa delle proprie colpe. Il messaggio centrale e finale del suo cammino è: " Il peccato è inevitabile, ma tutto sarà bene, e ogni specie di cosa sarà bene ". L' esperienza mistica di G., pertanto, si sviluppa nella contemplazione dei diversi misteri della fede come la Trinità, l'unione ipostatica del Cristo, il rapporto tra grazia e natura, la predestinazione e il peccato. Tutto viene raccordato, poi, con una precisione teologica e un afflato spirituale che la rendono una vera e propria maestra di contemplazione mistica dell'amore.

Bibl. Opere: Libro delle rivelazioni di Giuliana di Norwich (tr. e cur. di D. Pezzini), Milano 1985; Studi: E. Colledge - J. Walsh, s.v., in DSAM VIII, 1605-1611; B. Edwards, s.v., in

DES II, 1178-1179; H.D. Egan, Giuliana di Norwich, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 428-441; D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Torino 1976, 121-136; R. Llewelyn, With Pity Not with Blame. Reflections on the Writings of Julian of Norwich and on " The Cloud of Unknowing ", London 1984; T. Molinari, Julian of Norwich: The Teaching of a 14th Century English Mystics, London 1958 (con abbondante bibl.); D. Pezzini, La luce sulla croce. La spiritualità della passione in Giuliana di Norwich, Milano 1997; E. Rope, s.v., in EC VI, 738; F. Wöhrer, s.v., in WMy, 285-288.

A. Cilia

GIUSEPPE (santo). (inizio)

I. La perfezione della carità. La circostanza che G. abbia esercitato un mestiere manuale ha portato istintivamente a collegarlo alla vita attiva; non bisogna, tuttavia, dimenticare che s. Teresa ne promosse il culto considerandolo, invece, come modello di vita contemplativa.1 Anche nella RC Giovanni Paolo II dedica un capitolo al lavoro (nn. 22-23), ma uno spazio molto più ampio al " primato della vita interiore " (nn. 25-27), affermando che, anche se " i Vangeli parlano esclusivamente di ciò che G. "fece", tuttavia, consentono di scoprire nelle sue "azioni", avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione ". Nel documento pontificio non compare la parola " mistica ", ma ne è continuamente supposta ed esposta la " res ", che è l'intima unione con Dio.

Seguendo la descrizione del CCC (n. 2014), che nella vita mistica distingue tra " grazie speciali " e " segni straordinari ", l'assenza di questi ultimi in G. è verosimilmente la causa della sua omissione nelle trattazioni specifiche. Ben diversa è, invece, la situazione, se consideriamo le " grazie speciali " a lui concesse in relazione alla sua intima unione con Cristo, che è quella della paternità, " una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cf Rm 8,28ss.) " (RC 7). La sua partecipazione come " singolare depositario " (RC 5) del " mistero nascosto da secoli nella mente di Dio " (Ef 3,9) è tale da essere ritenuto appartenente all'ordine dell'unione ipostatica. " A questo mistero G. di Nazaret "partecipò" come nessun'altra persona umana, ad eccezione di Maria, la Madre del Verbo incarnato. Egli vi partecipò con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l'eterno Padre "ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1,5) " (RC 1). Poiché la partecipazione al mistero di Cristo è il fondamento dell'unione che si chiama " mistica ", nessuno più di G., " insieme con Maria e anche in relazione a Maria " (RC 5), ha partecipato al mistero divino e ciò " sin dal primo inizio ", " chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente "ministro della salvezza" " (RC 8). Il ministero " paterno " di G., scelto da Dio per essere l'" ordinatore della nascita del Signore ",2 era necessario per " provvedere all'inserimento "ordinato" del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane " (RC 8). L'attenzione prestata dalla RC e dal CCC (nn. 522-534) ai misteri dell'infanzia e della vita nascosta di Gesù è significativa: la genealogia, il matrimonio di Maria e G., la famiglia, il censimento, la nascita, la circoncisione, l'imposizione del nome, l'epifania, la presentazione al tempio, la fuga in Egitto, la vita nascosta a Nazaret, la sottomissione ai genitori, il sostentamento e l'educazione, la permanenza nel tempio, il lavoro. La riflessione sui misteri di Cristo, mentre evidenzia l'importanza dell'umanità santa e santificante di Gesù in ordine alla salvezza, consente di scoprire sempre più il ruolo indispensabile avuto in essi da G. Proprio in considerazione di questo " compito " così sublime verso Gesù, " bisogna riconoscere che G. ebbe verso Gesù "per speciale dono del cielo, tutto quell'amore naturale, tutta quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere". Con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a G. l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre, "dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra" (Ef 3,15) " (RC 8). Impossibile valutare la " partecipazione " dell'amore paterno divino a G. e gli effetti nel suo paterno amore umano. La RC si sofferma sull'amore reciproco di Gesù e G.: " Poiché l'amore "paterno" di G. non poteva non influire sull'amore "filiale" di Gesù e, viceversa, l'amore "filiale" di Gesù non poteva non influire sull'amore "paterno" di G., come inoltrarsi nelle profondità di questa singolarissima relazione?". Di qui la riflessione: " Le anime più sensibili agli impulsi dell'amore divino vedono a ragione in G. un luminoso esempio di vita interiore " (RC 27). L'elenco dei santi devoti di G. è lungo. Padre Girolamo Gracián ( 1614) trattando dell'amore sommo di G. afferma: " Da questa cura e affanno per amare e servire Dio, G. arrivò ad amare ed essere amato con violenza e forza, e da questa violenza giunse all'aumento e, infine, alla vetta suprema dell'amore, che fu tale da non poterlo esprimere in altro modo, se non dicendo che, dopo Maria, G. amò come Gesù ".3

L'apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa si dissolve, infatti, nel possesso della perfezione della carità: " Seguendo la nota distinzione tra l'amore della verità (caritas veritatis) e l'esigenza dell'amore (necessitas caritatis), possiamo dire che G. ha sperimentato sia l'amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione della verità divina che irradiava dall'umanità di Cristo, sia l'esigenza dell'amore, cioè l'amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di quella stessa umanità " (RC 27).

II. Il matrimonio spirituale. Accanto a questa personale unione " mistica " con Cristo, somma in G. perché " diretta " è la sua partecipazione al mistero di Cristo, va considerato il matrimonio di Maria con G. La RC ne mette in particolare risalto il significato salvifico: " Il Salvatore ha iniziato l'opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell'amore e questa culla della vita " (RC 7). L'aspetto ecclesiologico era già stato posto in evidenza da s. Tommaso: " Tale matrimonio è simbolo della Chiesa universale, la quale, pur essendo vergine, è tuttavia sposata a Cristo, suo unico sposo ".4 Si tratta di una dottrina che ha il suo punto di partenza in Ef 5,32, dove il matrimonio è considerato come segno o sacramento del Mistero, ossia dell'unione di Cristo con la Chiesa.5 Poiché il matrimonio di Maria con G. è per eccellenza il segno storico del Mistero, perché santificato dalla stessa presenza dell'umanità di Gesù, strumento di ogni santificazione, non poteva non divenire uno speciale punto di riferimento nella mistica; non è mancato, infatti, chi ha assunto G. come modello del " matrimonio spirituale " dell'anima con la Vergine, facendone oggetto di esperienza cristiana. Il premostratense s. Hermann Joseph ( 1252) ne è un caso emblematico;6 un'esperienza analoga riguarda il gesuita p. Pierre Chaumonot ( 1693).7 Noto è il contratto di matrimonio spirituale di s. Giovanni Eudes con la Vergine Maria, Madre di Dio (28 aprile 1668); 8 lo stesso Eudes elenca alcuni santi che la Vergine Madre ha voluto onorare, " per un eccesso di bontà inconcepibile ", con il nome e con la qualità di suoi sposi.9 Il fondamento dottrinale di questa esperienza è stato illustrato dal belga Dionigi il Certosino,10 ma il ruolo e la funzione di G. è stato messo in evidenza soprattutto dal carmelitano scalzo Baldassare di s. Caterina di Siena ( 1673),11 il quale in " Appendice all'ultima Mansione " sviluppa come " Splendore Unico " il " Matrimonio Spirituale con la Gloriosa Vergine Madre di Dio ". L'idea di fondo è quella di presentare, partendo dall'esempio di G., l'unione dell'anima alla Vergine e a Gesù. L'aggancio con il Castello interiore che lo precede ne sottolinea lo scopo spirituale: condurre l'anima all'unione divina attraverso l'umanità di Gesù, che rimane al centro. La " visione corporale favoritissima " di s. Hermann, punto di partenza delle " riflessioni " del Baldassare, si risolve, infatti, nel dono finale che la Vergine fa al suo devoto: " Porta il mio Figlio " (Riflessioni 1 e 2). Il dono più ambito, come si rileva dai santi che ne hanno fatto l'esperienza,12 è proprio questo: ricevere in braccio Gesù, entrare in contatto con la sua umanità, dal momento che " Gesù Cristo quanto all'umanità è porta per arrivare ai misteri e alla contemplazione altissima della divinità " (Rif. 6). La singolare missione di Maria e G. nel mistero dell' Incarnazione comporta per le anime contemplative questo invito: " Chi desidera l'ingresso alla divinità, entri per l'umanità, dice s. Agostino. Ma dell'umanità sacrosanta e di tutti i suoi tesori hanno la chiave G. e la Vergine " (Rif. 6). G., infatti, come sposo di Maria, è la persona più vicina alla Madre, la cui unione con l'umanità di Gesù è somma. La santità di G. è singolare proprio in virtù della grazia e dei privilegi ricevuti non solo in vista del matrimonio con Maria, ma soprattutto attraverso il matrimonio, che consente la massima amicizia e compartecipazione. G. ha certamente donato tutto se stesso a Maria, ma ha anche ricevuto dalla sua santissima sposa tutta la grazia, che da Gesù si riverberava nella Madre. Di qui l'importanza del " matrimonio corporale " di G. con Maria, al quale " non mancò il matrimonio spirituale ed interno ", per spiegare " ad imitazione e similitudine analogica " e " a proporzione del quale " quello " spirituale tra l'anima e nostra Signora, il quale consiste nell'unione quanto all'interno, alla contemplazione, alle notizie e all'amore, nel che precisamente passò spirituale sposalizio col primo sposo G. " (Rif. 2). Quanto viene concesso dalla " gloriosissima Signora ai suoi Ermani Gioseffi " avviene, perciò, " con la proporzione e riverenza tanto dovuta al primo amatisimo sposo, che è il primo analogato e misura di tutti gli altri " (Rif. 6). Tenuto conto che " la fonte e prima origine delle illustrazioni divine " è lo Spirito Santo, che è anche " l'amore coniugale " (Rif. 3), ne consegue che il matrimonio spirituale " è la sublime contemplazione ", ne è l'" ultimo " grado. Per suo mezzo " le anime contemplative si uniscono con la santissima Vergine nella contemplazione di Gesù. La Vergine volentieri ammette e desidera la compagnia dell'anima nella visione e contemplazione intuitiva del Verbo divino suo Figlio, come praticava con il suo sposo G. in terra " (Rif. 2). Ecco allora che il ruolo di G. nella mistica, come aveva ben compreso s. Teresa, è fondamentale: " Il glorioso G., primo sposo, è il nostro esemplare e ideale in questo genere di sposalizio. E quello che si vede in esso, a proporzione, si conclude degli altri puri sposi di quella purissima Sposa " (Rif. 3).

Note: 1 Cf Es. ap. Redemptoris Custos (=RC), n. 25; 2 Origene, Hom. XIII in Lucam, 7, 214ss; 3 Josefina, 1. 2, c.3; 4 STh III, q. 29, a. 1; 5 Cf M. Lalonde, La signification mystique du mariage de Joseph et de Marie, in Aa.Vv., San Giuseppe nei primi quindici secoli della Chiesa, Roma 1971, 548-583; 6 Cf Vita, in Acta Sanctorum, 7 aprile, t. IX, Anvers 1675, c.IV, 22-23; J.B. Valvekens, Hermann-Joseph (saint), in DSAM VII, 309; 7 P. Chaumonot, Autobiographie, Paris 1885, 164ss; 8 J. Eudes, Oeuvres complètes, Vannes 1911, t. XII, 160-166. 9 Id., Le Coeur admirable de la très sacrée Mère de Dieu, VIII, c.3, sez. I: Les saints époux de la Reine des Anges, in Oeuvres complètes, t. VII, Paris 1908, 373; 10 Dionigi il Certosino, Opera omnia, Tornaci 1906, t. XXXI, 60-62; 11 F. Baldassare di s. Caterina da Siena, Splendori riflessi di Sapienza celeste vibrati da' gloriosi gerarchi Tomaso d'Aquino e Teresa di Giesù sopra Il Castello Interiore, e Mistico Giardino. Metafore della Santa, Bologna 1671, 686-694; 12 Cf T. Stramare, San Giuseppe nel mistero di Dio, Casale Monferrato (AL) 1992, 165.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM VIII, 1289-1323; Aa.Vv., San José y Santa Teresa, in Estudios Josefinos, 17 (1964), 235-842; A. Di Geronimo, s.v., in DES II, 1179-1183; Fortunato de Jesús Sacramentado, Una concepción mistica del desposorio josefino, in Estudios Josefinos, 9 (1955), 96-107, 170-179; L.-M. Herran, El matrimonio de san José y la Virgen anticipo de la Iglesia, bodas del Cordero, in Ibid., 19 (1965), 99-107; Joseph de Sainte-Marie, Saint Joseph, modèle du mariage spirituel de l'âme avec la Vierge selon le Père Balthasar de sainte Catherine de Sienne, in Cahiers de Joséphologie, 35 (1987), 163-178; M. Lalonde, La signification mystique du mariage de Joseph et de Marie, in Aa.Vv., San Giuseppe nei primi quindici secoli della Chiesa, Roma 1971, 548-563; B. de Margerie, Saint Joseph modèle et médiateur du mariage spirituel avec la Vierge Marie, in Cahiers de Joséphologie, 47 (1994), 19-52; T. Stramare, I Vangeli dell'infanzia e della vita nascosta di Gesù e il mistero in essi contenuto, in Bibbia e Oriente, 35 (1993), 201-216.

T. Stramare

GIUSEPPE DELLO SPIRITO SANTO (L'ANDALUSO). (inizio)

I. Vita ed opere. Al secolo, Giuseppe Velarde Gómez, G. nasce a Huelva in Andalusia (Spagna) nel 1667 e muore a Madrid il 2 giugno 1736. E conosciuto come l'Andaluso per distinguerlo dall'omonimo portoghese. Entra tra i carmelitani scalzi della Congregazione di Spagna, professando i voti religiosi nel 1683. Dotato di una cultura straordinaria, per nove anni insegna filosofia e teologia nei collegi di Ecija e di Siviglia, di cui diventa anche tre volte rettore; in seno all'Ordine ricopre vari altri uffici, tra cui quello di superiore provinciale (1712-1715), di definitore generale (1715-1718, 1724), ed infine di priore generale (1736) della Congregazione di Spagna. La fatale apoplessia che lo colpisce, quarantadue giorni dopo la sua elezione a priore generale, è dovuta forse ai gravi fastidi politici causati dall'individuazione del celebre " duende crítico de la Corte " nella persona dello scalzo portoghese Emanuele di S. Giuseppe ( 1770).

Oltre all'insegnamento, si dedica assai presto allo studio delle questioni riguardanti la vita mistica, analizzandole in un contesto scolastico e tomista. Su richiesta dei superiori scrive un Cursus theologiae mystico-scholasticae, che è il trattato più esteso e profondo apparso sull'argomento nel sec. XVIII, e che conosce una vasta diffusione: al tomo I, pubblicato a Siviglia nel 1720 e riedito altre tre volte (Napoli 1724, Venezia s.d., Siviglia 1730), fa seguito tra il 1721 e il 1730 l'edizione di altri quattro tomi curati dall'A. (tomi II e III Siviglia 1721, poi Napoli 1724; tomo IV Siviglia 1730; tomo V, Madrid 1730), mentre un sesto appare postumo (Madrid 1740). Una nuova edizione critica, rimasta però interrotta con il fascicolo ottavo del tomo V, è curata da Anastasio di S. Paolo (Bruges-Roma, 1924-1934). La struttura del Corso, dopo un'introduzione generale, avrebbe dovuto comprendere cinque parti, suddivise in dispute. Il lungo tempo richiesto dalla loro stesura, soprattutto per la consultazione di libri e scritti di altri autori spirituali a volte difficili da trovare, e anche i molteplici impegni che portarono G. in varie città, non gli permisero di concludere la sua opera, rimasta incompiuta nell'ultima parte.

II. Dottrina mistica. Il volume I dell'opera contiene una Mystica Isagoge o Brevis totius mysticae theologiae synopsis, in cui si trattano le questioni introduttive e fondamentali della teologia ascetico-mistica e si offrono al tempo stesso le chiavi per l'intelligenza di tutta l'esposizione. I volumi seguenti riportano le 53 dispute in cui si articola la scienza ascetico-mistica organizzata secondo i cinque predicabili aristotelici. Nel primo predicabile (" il genere ") si considera il soggetto " misticamente perfettibile " per mezzo della contemplazione e, poiché a tale perfettibilità dell'anima dispone la meditazione, ci si occupa di quest'ultima (disp. 1-6, vol. II). Oggetto del secondo predicabile (" la differenza ") è la contemplazione considerata in se stessa e conferente la perfezione all'anima (disp. 7-14, vol. II). Il terzo predicabile (" la specie ") esamina la natura della perfezione mistica prodotta nell'anima dalla meditazione e dalla contemplazione, e si sofferma ad analizzare i gradi superiori della contemplazione e dell' unione mistica (disp. 15-28, vol. III e IV). Nel quarto predicabile (" il proprio ") si parla della purificazione attiva e passiva del senso e dello spirito, inseparabile dalla perfezione mistica e, in parte, effetto della contemplazione (disp. 29-53, vol. V e VI). Infine, nel quinto predicabile (" l'accessorio ") G. intendeva trattare dei fenomeni straordinari che, pur non costituendo la perfezione né da essa necessariamente provenienti, di solito la manifestano e l'accompagnano, ossia i rapimenti, le estasi, le rivelazioni, le visioni, ecc.; ma, come detto sopra, questa parte non venne mai scritta.

L'ampio discorso così sviluppato nel Corso - che si caratterizza per lo stile conciso, chiaro ed erudito - è basato principalmente sugli insegnamenti di s. Tommaso d'Aquino, s. Giovanni della Croce, s. Teresa di Gesù e di altri scrittori della linea teresiana, tra cui Filippo della SS.ma Trinità, anche se non sempre sono accolte tutte le indicazioni di questi ultimi.

Giustamente l'opera viene considerata un classico di teologia spirituale. Non si possono, tuttavia, negare alcuni limiti presenti in essa, come l'influsso della scolastica decadente, la scarsa utilità di alcune delle questioni trattate, la non coerenza tra affermazioni diverse sulla necessità della contemplazione per la perfezione cristiana e sull'umanità di Cristo come oggetto formale della contemplazione e, si potrebbe anche aggiungere, il concetto di scienza applicato alla teologia mistica.

Bibl. Anastasius a S. Paulo, s.v., in DTC VIII, 1533-1538; Crisógono de J.S., La escuela carmelitana, Madrid-Avila 1930, 216-231; E. Dalbiez, La controverse de la contemplation acquise, in ÉtCarm 28 (1949)2, 81-145; Giovanna della Croce, Der Karmel und seine Mystiche Schule, in JMT 8 (1962), 89-95; Melchior a Sancta Maria, s.v., in DSAM VIII, 1397-1402; Id., " Doctrina P. Josephi a Spiritu Sancto de contemplatione infusa ", in EphCarm 13 (1962), 714-757; Id., s.v., in DES, 1185-1186; E. Raitz von Frentz, " Wesen und Wert der Beschauung nach Joseph a Spiritu Sancto C. D. ", in ZAM 3 (1928), 1-28; Simeone della S. Famiglia, Panorama storico-bibliografico degli autori teresiani Roma 1972, 26, 46-49, 107, 113, 116.

E. Boaga

GIUSEPPE DELLO SPIRITO SANTO (IL PORTOGHESE). (inizio)

I. Vita e opere. Al secolo Giuseppe Barroso, divenuto poi G. dello Spirito Santo, nasce a Braga (Portogallo) il 26 dicembre 1609 e muore a Madrid il 27 gennaio 1674. E conosciuto come il Portoghese per distinguerlo dall'omonimo andaluso. Entrato tra i carmelitani scalzi di Lisbona, emette la sua professione religiosa il 30 maggio 1632. Dopo l'ordinazione sacerdotale, dedicatosi alla pratica e allo studio della vita spirituale, diventa ricercato ed apprezzato direttore d'anime. Professore di teologia per molti anni, è anche superiore dei conventi di Cascais, Braga e Bahia (Brasile), nelle cui fondazioni ha parte attiva. Predicatore eminente, anche presso la corte reale portoghese, rifiuta l'episcopato offertogli dal re. Pieno di meriti, muore in concetto di santità nel convento di Sant'Ermenegildo a Madrid.

Oltre a molte prediche e panegirici (di cui solo 15 vennero stampati) e a varie poesie ormai perdute, ha lasciato tre trattati sulla vita spirituale e mistica: Cadena mystica carmelitana de los autores carmelitas descalzos; Enucleatio mysticae theologiae s. Dionysii Areopagitae; Cuestiones mysticas. In passato gli è stato anche attribuito un altro inedito - conservato nella Biblioteca Nazionale di Madrid (ms. 6533) e oggi attribuito dalla critica ad un altro carmelitano scalzo, Tommaso di Gesù - dal titolo: Primera parte del Camino espiritual de oración y contemplación. La Cadena viene edita postuma a Madrid nel 1678 e medesima sorte riceve la Enucleatio, apparsa a Colonia nel 1684. La diffusione di queste due opere ha una vasta risonanza negli ambienti spirituali del tempo.

II. Dottrina mistica. La Cadena, che nella forma con cui ci è trasmessa dall'edizione a stampa appare evidentemente incompleta, ha il carattere di una collazione simile a quelle della grande tradizione nella vita monastica; consta di quaranta proposte, ciascuna delle quali ha un titolo, un'introduzione o stato della questione, una serie di risposte e una conclusione. La materia trattata viene così indicata da G.: " Che cosa sia teologia mistica; quale la sua terminologia, il suo nome, la sua natura, le proprietà, le disposizioni e gli atti che la precedono, l'accompagnano e la seguono " (Titolo p. 1). Nello sviluppo organico e armonioso di questi temi, in cui emerge la profondità teologica di G. nell'affrontare le singole questioni, ricorre anche l'uso di testi e di idee di altri scrittori teresiani. Tutto questo costituisce il primo e principale merito dello scritto di G.: esso infatti è il primo tentativo - ancora oggi utile - di codificazione della spiritualità della scuola teresiana.

L'altra opera, Enucleatio, si presenta divisa in due parti. Nella prima viene commentato il libro De mystica theologia di Dionigi Areopagita, mentre nella seconda sono contenuti i commenti ad altri scritti del medesimo autore: Epistolae, De divinis nominibus, De caelesti et ecclesiastica hierarchia.

Alcuni studiosi, rapportando i due trattati tra loro, hanno insinuato che la Cadena sia una preparazione di materiale da usare nella Enucleatio. In realtà, anche se in quest'ultima vi sono cinquantasei rinvii a testi della Cadena, le due opere si differenziano per i destinatari diversi e per i distinti criteri di redazione letteraria.

Bibl. Vita et opera, in Enucleatio mysticae theologiae s. Dionysii Areopagitae, ed. critica di Anastasio di S. Paolo, Roma 1927; T. Heerinckx " Doctrina mystica Iosephi a Spiritu sancto, lusitani, O.C.D. ", in Ant 3 (1928), 485-493; Crisógono de J.S., Escuela mística carmelitana, Madrid-Avila 1930, 191-194; Id., " La vie contemplative selon l'enseignement traditionnel des Carmes dechausses. V. P. Josephus a Spiritu Sancto (Lusitanus) ", in ÉtCarm 15 (1930), 47-59; Giovanna della Croce, " Der Karmel und seine Mystische Schule ", in JMT 8 (1962), 81-82; A. Rodríguez Cuesta, " José del Espiritu Santo (Barroso) ", in Aa.Vv., Diccionario de Historia Eclesiastica de Espana, II, Madrid 1972, 1242; Simeón della S. Famiglia, s.v., in DSAM VIII, 1395-1397; Id., " Mystical Chain of Carmel ", in Spiritual Life, 8 (1962), 99-106; Id. " La primera historia y sintesis de la Escuela Carmelitana de Espiritualidad ", in El Monte Carmelo, 72 (1964), 185-195; Id., Panorama storico-bibliografico degli autori teresiani, Roma 1972, 4-5, 27, 37, 47, 82; Id., s.v., in DES II, 1186-1188.

E. Boaga

GIUSTINIANI LORENZO (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Venezia nel 1381 e muore primo patriarca di Venezia l'8 gennaio del 1456. E canonizzato da Alessandro VIII il 16 ottobre 1690.

Il suo cammino spirituale ascetico inizia nell'isola di San Giorgio in Alga, in seno ad una piccola comunità di giovani, sacerdoti e laici, dediti alla preghiera e alla penitenza.

Nel 1404, Lorenzo fonda la Congregazione dei canonici secolari di San Giorgio, in Alga: egli è già diacono a quest'epoca e nel 1407 è ordinato sacerdote.

Priore di San Giorgio nel 1409, conserva il priorato, per successive elezioni, fino al 1419 e quando la Congregazione, che si è diffusa oltre Venezia, richiede un superiore generale, gli è affidato l'incarico del generalato.

La profonda stima che nutre per lui Eugenio IV ( 1447) lo conduce alla consacrazione episcopale il 5 settembre 1433.

Istituito il patriarcato di Venezia, G. ne diventa il primo attivissimo patriarca anche se, mentre pone mano alla convocazione del Concilio provinciale per rimediare ai molti abusi della sua diocesi, è colto dalla grave infermità che lo condurrà alla morte.

Instancabile nell'azione apostolica, G. vive l'ascetica del " servo " per ogni bisogno che gli si presenti nell'ambito in cui si trova a vivere, che si tratti della questua per le vie della città, come all'inizio, o della cura degli appestati in più occasioni, o della disciplina dei costumi, fermissimo in questo campo, sia con le claustrali che sono sotto la sua responsabilità, sia con i sacerdoti della sua diocesi. Questa fermezza, tuttavia, si accompagna ad una profonda carità e mitezza, frutto di un cammino interiore di grande umiltà e sapienza.

Tra le sue opere ricordiamo: De casto connubio Verbi et animae (1425), De disciplina et spirituali perfectione (1425), Fasciculus amoris (1426), De triumphali agone Christi (1426), De spirituali interitu animae (1450), De ejusdem resurrectione spirituali (1450), De gradibus perfectionis (1455) e l'ultima sua opera, vero e proprio grido di amore De incendio divini Amoris (1455).

II. La dottrina mistica di G. ha per fulcro la Sapienza eterna da cui, grado a grado, il suo spirito è afferrato in un processo d'amore. La Sapienza incarnata, il Verbo divino, prende gradatamente possesso dell'intelligenza e della volontà che a lui si aprono e si affidano e conduce la sua anima all'unione trasformante.

Nel c. 24 del De disciplina monasticae, conversationis così è descritto il percorso dell'anima verso l'unione: " Resa feconda dal Verbo di Dio e a lui aderendo, percepirà con l'intuito dell'intelligenza gli inscrutabili misteri della sua disciplina. Vedrà poi Dio in se stessa e se stessa in Dio e Dio in sé... ".

Insegna ai sacerdoti la sapienza del " farsi tutto a tutti e così guadagnare tutti a Cristo " 1 ed egli stesso si lascia " divorare " avendo imparato ciò che insegna e cioè a " salire e scendere, conquistare e disperdere, godere e piangere, abbandonare e impoverire, essere superato e vincere ".2

Il suo segreto è ch'egli ormai vede Dio nelle creature e le creature in Dio; ne è testimonianza l'ultimo suo scritto, quasi una parola d'amore gridata verso il cielo ormai vicino.

Note: 1 De oboedientia c. 28; 2 Cf Ibid.

Bibl. Opere: S. Tramontin (cura di), Lorenzo Giustiniani (quindici opere e circa quaranta sermoni), Saggio di bibliografia Laurenziana. Appunto per lo studio della vita e delle opere di s. Lorenzo Giustiniani, Venezia 1960; San Lorenzo Giustiniani, Disciplina e perfezione della vita monastica, Roma 1967. Studi: N. Barbato, Ascetica dell'orazione in s. L. Giustiniani, a cura di A. Costantini, Venezia 1960; A. Costantini, Introduzione alle opere di s. L. Giustiniani, primo patriarca di Venezia, Venezia 1960; F. De Marco, Ricerca bibliografica su s. Lorenzo Giustiniani, Roma 1962; G. Di Agresti, s.v., in DES II, 1470-1472; Id., s.v., in BS VIII, 150-156; Id., La Sapienza, dottrina di spiritualità e di apostolato in s. Lorenzo Giustiniani, Roma 1962; S. Giuliani, Vita e dottrina di s. Lorenzo, Roma 1962; A. Huerga, Presencia de las Obras de S. Lorenzo Giustiniani en la Escuela española de la oración, Roma 1962; A. Niero, s.v., in DSAM IX, 393-401; V. Piva, s.v., in EC VII, 1553-1555; N. Tiezza, La dottrina spirituale di San Lorenzo Giustiniani, Belluno 1977.

M. Tiraboschi

GIUSTINIANI PAOLO. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Venezia nel 1476; a diciotto anni frequenta l'Università per lo studio della filosofia, a ventidue, anche in conseguenza di una malattia, prende coscienza di sé e si avvicina di più a Dio; a trentuno si dà allo studio della teologia con il proposito di diventare religioso; a trentatré passa un periodo nel monastero di Pontida, per approfondire la sua vocazione. Prendendo consapevolezza della corruzione di molti ecclesiastici e della stessa Curia, decide di convertirsi e di ritirarsi in solitudine nell'eremo di Camaldoli. Nel Natale del 1510 veste l'abito bianco. Durante l'anno di noviziato (1511) si esercita nei vari aspetti della vita monastica. A Camaldoli, al tempo del G. (1510-1520) la situazione è molto confusa. Il G. organizza l'eremo facendo costruire le mura di cinta, le stalle per le bestie da lavoro e tutto il necessario per la pace e la libertà degli eremiti, in modo che negli eremi sia possibile una vita monastica completa, compresa l'ospitalità. Descrive in questo modo la spiritualità dell'eremita: " Tacendo con la lingua, tutta la tua vita, tutti i tuoi atti e tutta la tua persona annunziano il regno di Dio ". E ancora: " Chi annunzia il Vangelo parla in un luogo, in un tempo e a un gruppo determinato di persone, l'autore di un libro discorre con tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi, perciò, l'eremita non solo deve leggere e studiare ma anche comporre e scrivere ". Quell'impegno a riformare l'Ordine e il cumulo delle pratiche nell'ambito finanziario, amministrativo e organizzativo gli creano un disagio enorme tanto da spingerlo a lasciare tutto e a ritirarsi in un eremo solitario, come avvenne nel 1520. Partito, dunque, da Camaldoli per riacquistare la sua pace interiore e per riprendere i suoi studi, abita in piccoli eremi uniti nella Compagnia degli eremiti di S. Romualdo ( 1027), sempre in piena armonia con i superiori di Camaldoli. Il 28 giugno 1528, muore sul Soratte, dove era andato per fondare un eremo, assistito dal padre Gregorio dell'eremo di Camaldoli accorso al suo capezzale alla notizia dell'infermità dell'amico Paolo. E così chiude i suoi giorni, a cinquantadue anni.

Il G. ha scritto moltissimo, anche se ancora molti suoi scritti sono inediti. Tra le opere scritte prima dell'entrata in monastero ricordiamo: Cogitationes quotidianae de amore Dei; tre commenti al libro della Genesi; tra quelle scritte dopo l'entrata a Camaldoli e di contenuto prettamente spirituale: De conversione, De evangelicae doctrinae perfectione, De XII gradibus de oboedientia, De oratione, De servanda etiam cum inimiciis charitate, De vita christiana, religiosa et eremitica, De praeceptis et consiliis evangelicis, De otio religioso. Ricordiamo, inoltre, che nel 1513, insieme con l'amico e confratello Pietro Quirini, scrive il famoso opuscolo a Leone X ( 1521), considerato dagli storici il programma di riforma della Chiesa più grandioso e al tempo stesso più radicale dell'era conciliare. In esso si chiede che la liturgia sia celebrata nella lingua del popolo; che nessuno sia ammesso agli ordini sacri se non ha letto tutta la Bibbia; che venga eliminata la teologia scolastica per un ritorno alla Parola di Dio e alle esposizioni dei Padri... Però, nonostante il suo senso critico e umanistico, G. attribuisce ai " sacri canoni un'autorità che emana dalla virtù dello Spirito Santo " (Libellus, 3,1-2). I canoni del codice ecclesiastico debbono essere rispettati e osservati, ma possono anche essere cambiati da chi ha l'autorità, purché non impediscano la " grazia e la verità " che operano nella coscienza cristiana.

II. Insegnamento spirituale. Prima di partire da Camaldoli G. così prega: " Signore voi che mi avete voluto monaco, voi che mi avete voluto eremita, fate che io lo sia realmente e non solo all'apparenza, ma interiormente per le disposizioni del mio spirito, fate che io non mi allontani mai dalla vera e perfetta istituzione della vita monastica ed eremitica, ma che vi possa progredire di giorno in giorno ". E ancora: " Io vedo e conosco ciò che vedo, non con l'occhio della ragione umana, ma per ispirazione interiore, vedo che gravi mali mi minacciano, persecuzioni più dure di quelle subite mi attendono. Ma eccomi, Signore, come vostro servo non mi spavento, chiedo soltanto due cose: di non nuocere ad alcuno e di non essere mai separato da voi, mio Dio ". Riflettendo sulla comunione dei santi, insegna a confidare nella misericordia di Gesù di cui contempla la divinità e la natura umana. Come esperto umanista riconosce che dalla conoscenza filosofica di se stessi si deve arrivare alla conoscenza di Dio rivelatosi in Gesù Cristo. Pur rifacendosi alla dottrina dei Padri: Basilio, Cipriano, Atanasio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, afferma che occorre studiare un unico libro: Gesù Cristo crocifisso, uomo e Dio. Per questo motivo, il vero monaco è un martire, ossia, testimone di Cristo. Inoltre, la sua decisione di abbracciare la vita eremitica è basata sul desiderio di realizzare un otium che favorisca lo studio incessante del testo sacro e la ricerca di una comunione sempre più piena con Dio. La vita eremitica basata sull'otium non significa, comunque, fuga dalla realtà sociale, ma va considerata in una prospettiva mistico-ecclesiale, perché mentre l'azione è per sua natura limitata, la contemplazione, inserendo l'orante nella vita intima di Dio e della Chiesa, raggiunge l'intera umanità. In questa attività contemplativa risiede anche la felicità che è sapienza amorosa di Dio, raggiungibile con l'abbandono di tutto ciò che è umano per l'acquisto dell'unica realtà che è Dio.

Bibl. A. Giabbani, I Camaldolesi, Camaldoli (AR) 1944; J. Leclercq, s.v., in DSAM VI, 414-417; Id., Un humaniste ermite: le b. Paul Giustiniani, Roma 1951; Id., Il beato Paolo Giustiniani: un umanista eremita, Frascati (RM) 1975; E. Massa, s.v., in BS VII, 2-9; P. Sciadini, s.v., in DES II, 1188-1189.

A. Giabbani

GNOSI. (inizio)

I. Il termine e l'origine. Dal greco gnosis, conoscenza. Corrente spirituale e filosofica giunta alla massima fioritura e sistematizzazione nei secc. II-III, che poneva la conoscenza di se stessi, della propria origine e del proprio destino, come strumento supremo di perfezione e di salvezza.

L'origine della g. è individuabile nel sec. I a.C. in un miscuglio sincretistico di fattori propri degli ambienti giudaico, persiano, babilonese ed ellenistico, nei quali per esprimersi assunse terminologia, miti e immagini propri delle culture locali, attingendo anche dalle filosofie platonica e pitagorica. Sembra, però, che la matrice della g. sia per gran parte giudaica, ispirandosi soprattutto al Pentateuco e in modo particolare alla Genesi e a testi apocrifi, soprattutto apocalittici.

II. Alla base della concezione della g. vi è un dualismo cosmico (Dio-materia), morale (bene-male) e antropologico (spirito-corpo). Dio è inconoscibile, trascendente, del tutto estraneo al mondo materiale. Tra lui e la materia è frapposto un mondo intermedio, detto pleroma o ogdoade, abitato dagli eoni: regno luminoso, proprio dello spirito, che deriva da Dio per emanazione e progressivo degradamento.

Il mondo è stato originato da un disordine tra gli eoni e da una contaminazione tra spirito e materia. E opera di un demiurgo, uno degli eoni, di solito identificato con il Dio dell'AT, che ha plasmato la materia. Il mondo, dunque, non è dovuto al Dio supremo ma ad un essere inferiore a lui, perciò è regno di tenebra e di errore, totalmente negativo.

L'uomo è stato plasmato con la terra, ma in lui è presente, anche se nascosto e silente, un elemento spirituale, divino. Accanto e inframmezzo a questi elementi, ve n'è un terzo, quello psichico, che è inferiore allo spirituale. L'uomo si trova nel mondo in una situazione di estraneità e di carcerazione, che nelle fonti viene paragonata allo stato di ubriachezza, di sopore, di oblio, di incoscienza. Vi è quindi, nella g., una concezione pessimistica del mondo e della condizione dell'uomo, ben diversa dalla visione sostanzialmente ottimistica propria della filosofia greca.

L'unico modo che l'uomo ha per redimersi e risollevarsi da questa condizione è quello di liberare dai vincoli della materia la scintilla spirituale che è in lui e che è residuo del mondo superiore, della sua condizione originaria di nobiltà e purezza. Ciò si ottiene con la conoscenza. Questa conoscenza non è da intendersi nel senso di un comune processo cognitivo intellettivo, ma è conoscenza rivelata, o da una persona o da un'entità esterna.

La g. eleva l'uomo liberandolo da questo mondo e dal corpo, entità del tutto esecrabili, annullando le potenze negative e facendo prevalere quelle positive, entrambe presenti in lui, e reintegrandolo così nella sua condizione primigenia, con un processo di rigenerazione, di rinascita in Dio e di ricostituzione della sua essenza originaria, nella luce superiore.

La conoscenza di sé in quanto essere divino, partecipe cioè del mondo spirituale superiore, redime dal male e porta a una unione mistica con Dio, alla pura contemplazione dell'arcana maestà nel regno della luce, oltre che a scandagliare le profondità dell'Essere, il che coincide con la redenzione perfetta.

Al processo cognitivo l'uomo deve unire l' ascesi, un disincarnarsi per raggiungere l'atteggiamento gnostico della propria esistenza che gli permette di conoscere a fondo l'ingannevolezza di questo mondo dei sensi e di sottrarvisi.

Il grado supremo di questa ascesi gnostica è descritto come stato di quiete, di riposo, di estasi e beatitudine, di assenza di passioni, corrisponde alla situazione diametralmente opposta a quella passionalità degli eoni che ha determinato la caduta dello spirito nella materia.

Nel suo procedimento la g. fa uso abbondante del mito, per mezzo del quale spiega l'origine di quel senso di precarietà, angoscia e tentazione che soffre l'uomo; e appaga il suo istintivo desiderio di conoscenza.

La g. e la conseguente redenzione e perfezione sono riservate a pochi, agli uomini spirituali (pneumatikoi), con esclusione di quelli psichici, legati al mondo della psiche (psyche, elemento superiore alla materia ma non divino) e di quelli legati alla terra o ilici (hyle è il nome greco della materia). La g. è superiore alla fede, che è prerogativa della psiche ed è propria degli indotti e comunque non sufficiente a procurare la salvezza, come non lo sono le buone opere.

Sotto il profilo etico, il male non è opera di una volontà libera incline al peccato, ma è un principio metafisico autonomo e sostanziale, insito nella materia e contrapposto allo spirito. Questo sia a livello cosmico, come pure in ogni uomo. E frutto di ignoranza e di errore e vi si rimedia con la g.

Dall'antitesi e dalla scissione spirito-corpo trassero origine due atteggiamenti opposti nei confronti del proprio corpo: da un lato la pratica rigorosa dell'ascetismo, nello sforzo di liberarsi da ogni contaminazione materiale mediante rinunce e penitenze e perfino con l'astensione dal matrimonio; dall'altra una sfrenatezza carnale, dettata dalla persuasione che chi appartiene al mondo dello spirito è immune da ogni malefico influsso della materia.

Vi furono una g. dotta e una g. volgare. Quest'ultima si basava su una mescolanza di pratiche magiche e di credenze astrologiche e mitologiche e si divideva in un gran numero di sette, comunemente designate con la denominazione complessiva di ofiti o adoratori del serpente: è il serpente, infatti, l'essere che nella Genesi si contrappone a Dio, quel Dio cattivo che ha creato questo mondo. La g. dotta era più propensa alla speculazione e fiorì soprattutto in ambiente ellenistico alessandrino.

Bibl. P.T. Camelot - E. Cornelis, Gnose et gnosticisme, in DSAM VI, 508-541; Id., La gnose éternelle, Paris 1961; A.M. Di Nola, Gnosi e gnosticismo, in Aa.Vv. Enciclopedia delle religioni, III, Firenze 1971, 465-493; G. Filoramo, L'attesa della fine. Storia della gnosi, Bari 1983; R.M. Grant, La gnose et les origines chrétiennes, Paris 1964; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 192-194; L. Moraldi (cura di), Testi gnostici, Torino 1982; E. Peterson, Gnosi, Gnosticismo, in EC VI, 876-882; H. Schlier, s.v., in DTI I, 24-37; E.M. Yamauchi, Pre-Christian Gnosticism, a Survey of the Proposed Evidences, Cambridge 1973.

F. Ruggeri

GNOSTICISMO. (inizio)

I. La gnosi influenzò ampiamente l'ambiente cristiano, ponendosi nei suoi confronti in due modi differenti. Come provano alcune espressioni e concetti presenti in Paolo e Giovanni, diede al patrimonio concettuale cristiano un linguaggio e uno schema di pensiero che potevano permettergli di dialogare con la cultura coeva: questo non equivalse a una contaminazione, ma all'adozione di un linguaggio comune all'ambiente culturale dell'epoca, in cui la gnosi era diffusa.

D'altra parte, avvenne una pericolosa contaminazione di pensiero che si spinse fino a intaccare le basi della dottrina cristiana, determinando un serio pericolo di diluirla nel magma delle credenze gnostiche proprie degli ambienti pagani.

Fu così che in contrapposizione all'atteggiamento gnostico troppo esasperato insorsero alcuni Padri della Chiesa, principalmente Ireneo e Clemente Alessandrino, i quali nelle loro opere confutarono apertamente gli gnostici citando parecchi brani testuali dei loro principali esponenti. Questi frammenti costituiscono, a causa del naufragio quasi totale degli scritti gnostici, pressoché le uniche fonti per la conoscenza di questo fenomeno.

II. Gli gnostici, divisi in molteplici sette a seconda della derivazione e dell'atteggiamento culturale dei singoli pensatori o capiscuola, in sostanza demolivano radicalmente la struttura stessa delle verità cristiane, proclamando, pur con sfumature diverse: l'estraneità di Dio dal mondo, l'artificiosa struttura del Pleroma, la creazione come atto di un essere imperfetto, la natura di Cristo in quanto eone e non uomo-Dio, la mera apparenza della sua corporeità e della sua morte sacrificale, la scissione nell'uomo dello spirito dalla materia, la dissoluzione dell'anima e del corpo dopo la morte, la redenzione di se stessi come pura ascesa spirituale, l'irresponsabilità dell'uomo di fronte al peccato, la manipolazione della Scrittura secondo schemi gnostici.

III. Secondo l'interpretazione gnostica, Gesù Cristo sarebbe uno degli eoni, disceso nel mondo per comunicare all'uomo la conoscenza del proprio essere e del proprio destino, per permettergli di realizzare la propria redenzione e salvezza, liberandosi dal carcere del mondo materiale e dalla lotta tra le inclinazioni buone e cattive che lo agitano (concetti esasperati in seguito nel manicheismo). Cristo però non assunse un vero corpo umano, non si contaminò cioè con la materia ma rivestì solo una parvenza umana, come apparenti furono anche la sua passione e la sua morte (concetti propri dell'eresia docetistica).

Quanto alla Bibbia, gli gnostici non la considerarono parola di Dio, ma la usarono per trovarvi conferma alle loro tesi, interpretandola in modo forzatamente allegorico, come del resto utilizzarono anche la letteratura pagana. Nella Scrittura essi diedero la preferenza al NT, attribuendo però importanza differente alle parole attribuite a Gesù e agli apostoli, considerati questi ultimi inferiori agli gnostici.

In base alla presenza nell'uomo delle tre componenti: spirituale, psichica e materiale, gli uomini furono divisi in tre categorie tra loro isolate e senza possibilità di contaminazione reciproca (come le caste del popolo nella civiltà orientale): spirituali, psichici, ilici. Solo ai primi, tra i quali rientravano unicamente gli gnostici, la conoscenza rendeva possibile la redenzione dal carcere della condizione terrena; ad essi il caposcuola Valentino ( 161) riconosceva la funzione di rivelatori della gnosi e perciò di redentori. Ai secondi erano ascrivibili i cristiani, i quali erano destinati a una felicità intermedia in una specie di limbo. Quelli della terza classe erano legati alla materia e perciò condannati a dissolversi con essa. Il destino era insito nell'origine di queste tre caste e non derivava dal comportamento dei loro membri.

I capiscuola della gnosi cristiana eretica furono Valentino, il suo discepolo Tolomeo ( 150 ca.), Basilide ( 140 ca.), Marcione ( dopo il 144) e Carpocrate ( dopo il 135), attivi nell'ambiente alessandrino e inquadrabili nella gnosi cosiddetta dotta.

Proprio ad Alessandria d'Egitto, in contrapposizione alla gnosi eretica, Origene e Clemente Alessandrino elaborarono un sistema di definizioni razionali sulle verità di fede, una sorta di gnosi cristiana, che costituì il primo abbozzo della teologia. Si riconosce, perciò, alla gnosi il merito di aver posto dei quesiti e stimolato le relative risposte da parte cristiana, favorendo la sistematizzazione delle verità di fede in modo da poter essere in grado di rispondere alle obiezioni della cultura pagana.

L'atteggiamento gnostico perdurò in alcune sette ereticali della prima cristianità (encratismo, messilianismo) e in epoca medievale, soprattutto nei catari.

Bibl. G. Bareille, s.v., in DTC VI, 1434-1467; P.T. Camelot - E. Cornelis, s.v., in DSAM VI, 508-541 (con ampia bibl.); A.M. Di Nola, Gnosi e gnosticismo, in Aa.Vv. Enciclopedia delle religioni, III, Firenze 1971, 465-493; G. Faggin, Gnosi e gnosticismo, in Aa.Vv. Enciclopedia filosofica III, Firenze 1967, 292-298 (con ampia bibl.); H. Jonas, Le origini dello gnosticismo, Torino 1973; H. Leclercq, s.v., in DACL IV, 1327-1367; G.R. Mead, Saggi mistici e visioni gnostiche. Come in alto così in basso, La Spezia 1988; Melchiorre di S. Maria - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1193-1195; G. Sfameni Gasparro, Gnostica et hermeneutica: saggi sullo gnosticismo e sull'ermetismo, Roma 1982.

F. Ruggeri

GOLA. (inizio)

I. Con questo termine, usato in senso metaforico, s'intende abitualmente il desiderio smodato di cibi o di bevande. La smodatezza può riguardare sia la quantità che l'esigenza di raffinatezza e squisitezza. In quanto " recedit ab ordine rationis in quo bonum virtutis moralis consistit ",1 è un vero e proprio vizio che si iscrive dentro il genere più ampio dell'intemperanza e che viene considerato uno dei vizi capitali.

Naturalmente la particolare viziosità della g. non dipende tanto dalla materialità dell'eccesso nell'assunzione di cibo o di bevande (che riguarderebbe piuttosto la dietetica), quanto dall'abbandono di sé a una voglia non regolata dalla ragione,2 che è evidentemente un fatto di rilevanza morale.

E quando la persona si attaccasse ai piaceri della g. come a un fine così coinvolgente da essere disposta, per appagarlo, ad agire contro Dio e i suoi comandamenti, la g. diventerebbe un vero e proprio peccato grave, capace di separare da Dio e dal suo amore.3 Naturalmente la g. non arriva facilmente a questo eccesso se non all'interno di una storia di vita e di una personalità morale segnata dalla resa incondizionata all'immediatezza del piacere e dominata dalla tirannia di quelli che A.H. Maslow chiama i " bisogni bassi " della vita psichica.4

A sua volta il vizio della g. tiene avvinti a questi bisogni bassi e produce un più generale ottundimento dello spirito, caratterizzato da quelle che, nella letteratura spirituale, vengono qualificate come specifiche sequelae di questo vizio: tali erano considerate la inepta laetitia, la scurrilitas, la immunditia, il multiloquium e la hebetudo mentis.

In psicologia si distigue spesso tra bisogni bassi (o di omeostasi) e bisogni alti (o di autorealizzazione): gli uni sarebbero legati alla dimensione corporea dell'uomo e apparirebbero per primi all'orizzonte nella storia di vita delle persone e solo una saggia educazione aprirebbe lo spirito ad esperienze più elevate e permetterebbe, insieme con una certa " autonomia funzionale " nei loro confronti, l'emergenza di bisogni gradualmente più " alti ". Se consideriamo l' esperienza di Dio e delle realtà divine come l'esperienza più alta e più degna dell'uomo, appare chiaro quanto il vizio della g., legato a una dipendenza infantile dai bisogni più elementari, possa ostacolare questa esperienza e l'emergenza dei relativi bisogni.

II. Nella vita cristiana. Si capisce quindi come, per gli spirituali la g. non sia un vizio minore: essi la vedono come parte integrante della concupiscenza carnale che ogni uomo porta in sé.

E resta naturalmente vero anche l'inverso: soltanto la dedizione a interessi degni dell'uomo e veramente capaci di appagare il suo bisogno di espansione e di pienezza di vita potrà svuotare dal di dentro la schiavitù nei confronti della g.: come diceva Cassiano: " Noi non potremo mai disprezzare i piaceri dei nutrimenti presenti, se l'anima non troverà una gioia più grande nella contemplazione divina ".

Appare, quindi, evidente come la lotta contro questo vizio, o anche soltanto contro i suoi residui a livello di struttura psichica dei bisogni e delle motivazioni, faccia parte dell'abicì della vita spirituale e dell'esercizio della contemplazione.

Tale combattimento non potrà prescindere dalla mortificazione (dimensione repressiva o negativa), ma dovrà essere comunque sostenuta da mezzi positivi: la dedizione appassionata ed appagante a compiti " elevati " e ai beni dello spirito: sarà soprattutto l'efficacia della delectatio victrix proveniente dalle gioie dell'intimità con Cristo a svuotare della loro capacità di suggestione e di presa i piaceri della g.

Va detto a questo punto che il Dictionnaire de spiritualité, fa seguire alla voce " gourmandise ", una voce meno scontata, dedicata a quella che gli autori (W. Yeomans e A. Derville) chiamano " gourmandise spirituelle ", definibile come intemperanza nel desiderio, uso e fruizione delle gioie e delle consolazioni dello spirito. Ci può essere quindi anche una intemperanza in questo campo: il desiderio di queste consolazioni, legittimo e utile nel cammino verso la perfezione della carità, se subordinato alla ricerca di ciò che è sostanziale nell'intimità con Dio e nella tensione dell'amore verso di lui, può prendere abusivamente il posto di direttore d'orchestra nell'esperienza spirituale, trasformando la " sobria ebbrezza dello Spirito " in una ricerca egoistica e disordinata dei sentimenti e delle sensazioni piacevoli ed appaganti che sovente accompagnano, soprattutto all'inizio, il percorso dell' itinerario spirituale.

Del resto, il loro inevitabile rarefarsi e anche il venir meno nelle lunghe stagioni di aridità (la " notte dei sensi ") sono lo strumento abituale di cui si serve Dio per educare le anime a cercare lui per se stesso e non le consolazioni che possono accompagnare la sua esperienza.

Note: 1 STh II-II, q. 148, a. 1; 2 Ibid., ad 2; 3 Ibid.; 4 A.H. Maslow, Motivazione e personalità, Roma 1983, 94-106.

Bibl. V. Oblet, s.v., in DTC VI, 1520-1525; P. Sciadini, s.v., in DES II, 1195-1196; W. Yeomans - A. Derville, s.v, in DSAM VI, 612-626.

G. Gatti

 

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