INGOLFARSI - KOWALSKA FAUSTINA - DIZIONARIO DI MISTICA

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INGOLFARSI - KOWALSKA FAUSTINA

I - K

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  ................. INGOLFARSI

I

J

K

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INGOLFARSI. (inizio)

I. Il termine. Il verbo riflessivo ha significati assai differenti. I. dice propriamente addentrarsi in un luogo stretto; figurativamente significa o porsi in situazione difficile e rischiosa, oppure applicarsi con ardore in qualche attività.

Nella letteratura mistica è stato assunto il senso più antico e meno comune, cioè quello di un oggetto, di una nave che entra nel mare infinito e, per traslato, di un'anima che si perde in Dio. Più che l'uso del verbo i. interessa il concetto mistico da esso espresso.

Se il mare in tempesta è simbolo del cuore dell'empio (cf Is 57,20) o di un esercito di nemici (cf Ger 50,42) oppure di una forza immane pericolosa, il mare o l'oceano tranquillo, per la sua vastità, è richiamo biblico della potenza meravigliosa di Dio che ha creato il mare e lo domina.

II. Nell'esperienza mistica. Da questo concetto a un significato tropologico il passaggio è facile. Dio, per mezzo dello Spirito Santo, dona aumento di fede e di carità all'anima, e nella misura dello spazio che ella fa all'azione santificante, Dio la conduce a una sapienza segreta fino all'unione.1 Giovanni della Croce paragona al mare l'abbondanza di pace, di soavità e diletto, nella quale lo sposo divino immerge la sposa 2 durante l'amplesso amoroso. Anzi questa è come il mare investito " in pieno dal sole (Dio) che la rischiara fino ai profondi seni e caverne, facendo scoprire le perle e le ricchissime vene di oro e di altri minerali preziosi " che ha depositato. Il mistico poeta conclude: all'anima, ferita dal dardo infuocato dell'amore e ineffabilmente felice, " sembra che tutto l'universo sia un mare d'amore (divino) dove ella si trova immersa " (parece al alma que todo el universo es un mar de amor en que ella està engolfada).3

Note: 1 Giovanni della Croce, Notte oscura II, 27,8; 2 Cf Cantico spirituale 20,11-14; 3 Fiamma viva d'amore II, 10.

Bibl. Cf rimandi nel testo.

G.G. Pesenti

INSTASI. (inizio)

I. Il termine non compare nei comuni lessici italiani; vien fatto derivare dal verbo latino instare, che significa " stare in o sopra ", cioè premere o incombere o insistere.

Nel linguaggio mistico il significato di i. viene evidenziato dal termine ad esso contrario di estasi. Questo che in senso peggiorativo significa alienazione, in quello positivo può designare, dapprima, l'esaltazione dell'anima che si concentra e si bea dell'oggetto naturale amato o contemplato o creato; in secondo luogo, può indicare una particolare donazione di Dio che, offrendosi all'anima in bellezza e bontà, l'attira, la fa uscire da se stessa, per fissarla in sé e farle conoscere e godere una ineffabile intimità amorosa.

II. Nell'esperienza mistica. L'i., invece, è un processo che, pur avendo principio e termini analoghi all'estasi, porta al centro dell'anima, al suo profondo interno, in cui sta il sacrario della Divinità e dove si può rilevare l'immagine divina impressa nella creazione della singola anima e adorarvi la Trinità SS.ma che, per il battesimo, ivi ha preso dimora. Di fatto, è una grazia divina quella che guida la mente e il cuore d'una persona a sondare nella propria intima realtà per scoprirvi l'immagine divina, per incontrare le tre ipostasi che vi inabitano e unirsi con stupore e diletto agli ospiti divini.

La maestra dell'orazione contemplativa, Teresa d'Avila, offre una descrizione esperienziale dell'i. nella sua opera, Il Castello Interiore. Teresa allegoricamente attribuisce all'anima umana una duplice funzione: statica e dinamica. Con la prima immagina l'anima quasi fosse un castello, costituito da mansioni o appartamenti circolari e concentrici. Nel più centrale appartamento c'è la dimora di Dio, il sole regale, la Trinità. Con la seconda funzione attribuisce all'anima la condizione di ospite, di visitatore, di invitato all'incontro con il Re. L'anima, interiorizzandosi, si muove dall'esterno verso il centro di se stessa, cioè più si distacca dal peccato e dalle imperfezioni volontarie (percorrendo le prime tre mansioni e la quarta che è di transizione dallo stato ascetico a quello mistico) più si interiorizza e si dirige verso il suo centro. Nell'esercizio dell'orazione contemplativa che porta al raccoglimento interiore, all'unione sponsale e matrimoniale (le altre tre mansioni), l'anima si colloca nel più profondo di se stessa per unirsi, mediante la sacra umanità di Cristo, a Dio. Ivi è investita dalla luce e dall'amore di Dio che la unisce a sé sempre più radicalmente. Dio può avvalersi di favori speciali (rapimenti, visioni, desideri impetuosi, ecc.) per centrare l'anima nella visione della stabile presenza della SS.ma Trinità.

Sebbene nella descrizione dell'i. Teresa parli nelle Seste Mansioni di estasi violente e di purificazione profondissima, l'allegoria del castello nella sua duplice funzione, offre un seducente prospetto dell'i., descritto come esperienza dell'anima all'interno di se stessa, fatta sacrario della Trinità.

Anche Giovanni della Croce, dopo aver detto che lo spirito umano non ha dimensioni quantitative,1 assume analoghi concetti e scrive 2 che il centro dell'anima è Dio e a questo centro essa deve tendere con crescente amore, finché con tutte le sue forze (di natura e di grazia) " intenda e ami e goda Dio ". Perviene così a quella simbiosi d'amore in cui si trasforma in Dio " nel suo essere, potenza e virtù, gusta la sua capacità recettiva, tanto da farla sembrare Dio ". Il Dottore mistico usa l'immagine del cristallo " limpido e terso " investito dalla luce: quanta più ne riceve, tanto più si illumina e può arrivare a tal punto che il cristallo " appaia tutto luce e da essa non più si distingua ".

Il procedimento di i. ha la caratteristica di accentuare il processo di interiorizzazione, di intimità dell'anima mediante la visione e l'amore a Dio, sperimentati nel cielo interiore della propria personalità, rendendo quasi superflui i fenomeni estatici che comportano " un uscire da sé ", quasi scissione misteriosa dentro l'intimità psichica. Sono chiamati ratti, trasporti, voli di spirito, impeti, trasverberazione, levitazione. Ovviamente l'i. determina correlativa riduzione delle funzioni sensoriali e somatiche; sicché quanto più essa si instaura, tanto meno la persona pone attenzione e interesse agli oggetti della sensibilità, dell'affettività, ecc. Di fatto l'i. si caratterizza per un procedimento silenzioso, tranquillo, progressivo, in cui l'azione dello Spirito Santo che opera in conformità alla natura psichica della persona, meno dinamica ed effervescente, inclina invece a un rapporto pacifico e soave.

Gli effetti dell'i. sono identici a quelli che si conseguono nello stato mistico estatico: esperienza teologica della sapienza di Dio che dischiude all'anima gli attributi della propria essenza, riflessi nei doni di natura e di grazia posseduti dall'anima, situata nell'i. mistica.

Note: 1 Fiamma viva d'amore I, 10; 2 Ibid., 12.

Bibl. Cf rimandi nel testo.

G.G. Pesenti

INTELLETTO. (inizio)

I. Il termine i. deriva dal latino intelligere ossia intus legere, scoprire l'intimo della realtà. Nel linguaggio comune i. designa la capacità umana d'intendere, di avere idee, concetti per rendere possibili intuizioni ulteriori e ragionamenti induttivi e deduttivi. L'i. è sostituito dai sinonimi intelligenza (parola oggi più usata), intendimento, ragione. Si oppone di solito al sentimento, alla fantasia, alla volontà, alla memoria. In senso figurato l'i. è: per metonimia, l'uomo stesso (Tizio è un bell'i.) o gli Angeli (i. celesti) o Dio (il primo I.); per sineddoche, può esprimere una particolare capacità di conoscere qualcosa (i. d'amore) oppure equivocamente il contenuto di una frase, di un discorso; parimenti viene riferito al complesso delle facoltà mentali.

II. Nella filosofia. L'i. ebbe importanza e fu oggetto di valutazioni diverse. In quella greca, per Anassagora ( 428 a.C.), l'i. è infinito e assoluto, presente pure nei viventi; per Aristotele ( 322 a.C.) l'i. è nell'uomo, anzi nella sua anima che dà vita al corpo ed è distinto da essa e disimpegnato dalla corporeità, proteso a tutte le cose, fatto luogo di esse, cioè sede delle loro idee, manifestando un aspetto attivo e passivo in riferimento a queste.

La filosofia araba (Al-Farabi, Avicenna, Averroè), commentando Aristotele, offre generalmente la netta distinzione di un i. attivo, creatore (dator formarum) e di un i. passivo, recettivo delle forme o intelligibili che derivano da quello creatore. La preoccupazione religiosa indusse i pensatori arabi a ritenere l'i. attivo, eterno e divino unico, proprio di Dio, e l'i. passivo proprio dell'uomo.

La filosofia scolastica, dapprima simpatizzò con quella araba (R. Bacone, s. Bonaventura) circa l'i. attivo poi (Alberto Magno, Tommaso d'Aquino) accettò la distinzione di i. agente che astrae mediante la cooperazione dei sensi esterni e interni (immaginativa, memoria, estimativa, senso comune) le forme o essenze delle cose, e di i. passibile che riceve le forme astratte e si attiva nelle idee e nei concetti. Ambedue sono potenze dell'anima umana, anzi la stessa facoltà intellettiva con due momenti operativi.

Nella filosofia moderna (Spinoza, Locke, Leibniz, Kant) l'i. è in genere riconosciuto come facoltà umana che scopre la verità delle cose, sia essa empirica o metafisica, in modo più chiaro e distinto della conoscenza sensitiva. Al termine i. viene preferito quello di intelligenza, intendimento, intendere. L'idealismo ridusse l'i. a capacità di fissaggio e di contenimento dei prodotti dell'immaginazione, facendo così dell'ideale il reale (Fichte), oppure a una conoscenza di fenomeni (Hegel), di essenze interiori, di universali e non di realtà concrete. Altri (Schelling, Schopenhauer, Rosmini) ridanno all'i. la funzione di conoscere Dio, il mondo, i rapporti tra causa ed effetto, l'essere indeterminato. In definitiva l'i. è una funzione che offre alla ragione la possibilità di scoprire la natura delle cose e di costruire le scienze.

III. La teologia cattolica si rifà alla terminologia biblica che usa la parola i. nelle accezioni popolari di facoltà d'intendere in opposizione all'irrazionalità dei bruti; conoscenza della legge divina; mentalità etica. Riconosce a Dio, tra gli altri attributi, l'i. che conosce tutto il passato, il presente e il futuro, anche le azioni libere dell'uomo. Realmente però l'i. divino è la stessa sostanza di Dio. L'i. umano (chiamato anche ragione, mente) è stato " ottenebrato dalla colpa del primo uomo, non però del tutto spento " (DS 1627, 1670) e resta capace di conoscere l'esistenza, la natura di Dio, disponendosi alla fede soprannaturale delle verità rivelate. L'i. può essere definito speculativo e pratico, a seconda che prevalga l'aspetto contemplativo oppure quello di conoscenza dell'opera e della sua attualizzazione; ne deriva un giudizio speculativo oppure pratico.

I teologi d'ispirazione tomista danno una prevalenza di ordine e di prestigio all'i. sulla volontà; quelli di tendenza francescana, pur riconoscendo all'i. una priorità di funzione (nihil volitum quin praecognitum) riconoscono alla volontà un primato di valore: sicché per i primi Dio vuole il bene perché lo conosce tale, e l'uomo parimenti conosce il bene, oggetto poi della sua volontà; per gli altri (Occam, Scoto) Dio vuole il bene, poi, tale lo riconosce, e l'uomo può rifiutare con la volontà quanto l'i. riconosce come il meglio. Comune a tutti i teologi cattolici è la dottrina dei sette doni dello Spirito Santo, secondo dei quali è il dono dell'i., che abilita il credente ad approfondire i misteri della rivelazione e le stesse verità naturali relazionate a Dio.

IV. Nella dottrina mistica le valutazioni circa l'i. non si discostano dalle posizioni dei teologi. I principali dottori mistici (Teresa d'Avila e Giovanni della Croce) riprendono i termini e le categorie ricorrenti. Accanto alla valorizzazione dell'i. per conoscere le verità di Dio e del mondo, ribadiscono l'indefinita distanza tra la conoscenza naturale e quella soprannaturale (per fede o per luce divina) di cui quella mistica o di contemplazione infusa è l'apice. Viene richiesta una purificazione attiva dell'i., mediante l'esercizio della fede che è il mezzo prossimo per conoscere Dio nella contemplazione e per unirsi amorosamente a lui. Nessuna forma o idea naturale è mezzo proporzionato alla conoscenza del Dio della Rivelazione.

All'ascesi purificante della persona segue l'azione divina che ulteriormente purifica l'i. con una notte profonda la quale oscura i concetti naturali, impedisce i ragionamenti e gli comunica sapienza amorosa che consente di accettare le motivazioni e il piano divino.1 Nelle grazie mistiche straordinarie (rapimenti, estasi) l'i. viene sospeso nella sua attività naturale, perché inondato di luce dall'alto. Nel cammino dell'orazione contemplativa, più la persona si addentra, meno l'i. è operante.2

Note: 1 Cf Giovanni della Croce, Notte oscura I, 11,12; 2 Cf Teresa d'Avila, Castello interiore I, 3,6; VI, 1,9 e 4,14.

Bibl. H.J. Butcher, L'intelligenza umana, Roma 1974; W. Doise - G. Mugny, La costruzione sociale dell'intelligenza, Bologna 1982; S. Gatto - M. Caprioli, s.v., in DES II, 1325-1329; S.L. Gould, Intelligenza e pregiudizio, Roma l985; J. Guitton, Il lavoro intellettuale, Roma 1955; A. Huerga, Querelle entre vida espiritual y vida intelectual, in TEsp 5 (1961), 287-321; S. Monti Condorelli, L'intelligenza umana, Catania 1980; R. Moretti, L'amore stimola e feconda l'intelligenza della fede, in Aa.Vv., La vita della fede, Roma 1972, 113-136; C. Pontecorvo (cura di), Intelligenza e diversità, Torino 1981; R.L. Stenberger, Teorie dell'intelligenza, Milano 1988.

G.G. Pesenti

INTUIZIONE. (inizio)

I. Il termine i. in teologia è legato, prevalentemente, alla riflessione sulla visione intuitiva di Dio da parte dei beati, cioè all'" atto dell'intelligenza per mezzo del quale i beati conosceranno Dio in se stesso, chiaramente e immediatamente ".1 Il termine viene frequentemente usato nella prima metà del '900 anche per indicare " la nota essenziale e specifica, necessaria e sufficiente, l'ultima perfectio della mistica cristiana ".2 Con esso si vuole esprimere il carattere particolare della conoscenza mistica: in senso stretto - osserva J. de Guibert - indica una " conoscenza in certo modo immediata " e, in senso lato, una conoscenza " mediata ", contrapposta alla " conoscenza discorsiva " e al " raziocinio ".3

II. Interpretazioni. Varie sono state, però, le interpretazioni dell'oggetto dell'i. nell'ambito della teologia spirituale. Un primo gruppo di autori ritiene che l'i. mistica possa percepire immediatamente e realmente l'essenza divina, anche se con alcune limitazioni: L. Reypens pensa che al vertice della contemplazione mistica sia possibile intuire l'essenza divina, con una i. " reale ", anche se raggiungibile solo " raramente " e in maniera " imperfetta quanto all'intensità "; 4 secondo J. Maréchal l'i. è la " visio Dei per essentiam, cioè una conoscenza soprannaturale di Dio nel senso più stretto del termine ", diversa dalla visione beatifica, ma da interpretare nella stessa linea; 5 nella polemica con C. Butler - per il quale l'esperienza mistica non è la visione dell'essenza di Dio, ma solo " la "percezione" sperimentale, diretta, "sovraconcettuale", "sovrintenzionale" del suo Essere e della sua Presenza " 6 - J. Maréchal precisa, però, che il suo uso del termine i. è solo " in senso psicologico, in opposizione a: conoscenza astrattiva o discorsiva, e non nel senso teologico ristretto di: "visione intuitiva" "; 7 per G. Picard, infine, l'" apprensione immediata di Dio " nell'esperienza mistica è una " i. oscura " o " i. confusa di primo grado ", cioè in grado di " rivelarci sicuramente ed esplicitamente l'esistenza dell'oggetto senza farcene conoscere la natura ".8

Un secondo gruppo di autori ritiene che l'i. sia immediata ma non raggiunga l'essenza divina, bensì soltanto la sua presenza e la sua azione nell'anima: per A. Gardeil l'anima può avere la " percezione immediata e sperimentale di Dio sostanzialmente presente nell'anima giusta "; 9 per M. de la Taille " il "contatto sostanziale", l'unione abituale dell'essenza dell'anima con l'essenza divina " è immediatamente presente " all'intelligenza ", non " di fronte " ad essa; 10 per J.V. Bainvel " una luce speciale infusa (influxus luminis intellectualis) vagamente analoga alla luce di gloria " può elevare e fortificare l'intelligenza e " renderla capace di apprendere direttamente, senza specie infuse, le realtà soprannaturali inerenti all'anima e facenti parte della sua vita: i suoi atti soprannaturali, la grazia e le virtù infuse, con i doni dello Spirito Santo, la presenza oscura di Dio e il suo contatto intimo con la sostanza dell'anima, gli effetti creati dell'azione divina nel fondo di quest'anima "; 11 J. de Guibert, riprendendo il pensiero di J.V. Bainvel, ritiene plausibile " parlare di una i. più o meno oscura della grazia santificante presente nell'anima (la grazia, gli atti soprannaturali) ".12

Un terzo gruppo ritiene che l'i. mistica possa essere solo mediata: R. Garrigou-Lagrange prende le distanze da J. de Guibert sostenendo che non si può dare i. diretta e immediata dei doni soprannaturali che ci uniscono a Dio, poiché se l'i. è immediata è percezione immediata di Dio, se, invece, è relativa agli effetti della grazia in noi non può che essere mediata; 13 nella stessa linea si muovono F.-Donatien Joret, per il quale l'i. mistica di Dio è " oscura ", cioè " transitoria ", " mediata ", " negativa ",14 e J. Huby, secondo il quale è " conoscenza non discorsiva e tuttavia mediata "; 15 il più deciso nell'escludere la possibilità di una i. immediata di Dio è A. Saudreau: rifiuta l'affermazione " che la caratteristica dello stato mistico sia la percezione immediata di Dio " 16 e sostiene che " nello stato mistico come in quello ascetico, l'anima ha dei concetti di Dio, grazie ai quali pensa a Dio, ma non ne ha la percezione ".17

III. Nel dibattito contemporaneo. Questi i punti di riferimento fondamentali del dibattito che ha animato i primi decenni del '900. Abbandonata l'impostazione teologica neoscolastica, quel dibattito appare ormai superato. Il desiderio di rinnovamento ha portato spesso ad accentuare il carattere " sovraconcettuale " e " anti-intellettualista " della conoscenza mistica, non sempre, però, con il necessario rigore critico. Per questo motivo appaiono ancora illuminanti alcuni passaggi della questione 180 della II-II della Summa Theologiae di s. Tommaso d'Aquino, dedicata alla presentazione della vita contemplativa. Citando Riccardo di san Vittore,18 egli afferma che la " contemplazione " si riferisce (pertinet) alla semplice intuizione della verità (ad ipsum simplicem intuitum veritatis);19 precisa che nella vita presente la contemplazione in atto (secundum actum) non può in alcun modo giungere a vedere l'essenza di Dio, mentre in potenza (potentialiter) può, nel rapimento (in raptu), giungere alla visione dell'essenza di Dio, come accadde a s. Paolo (cf 2 Cor 12,2ss.) quando fu rapito tra lo stato della vita presente e quello della vita futura; 20 spiega, infine, che sebbene la vita contemplativa consista essenzialmente nell'intelletto (in intellectu) essa ha il suo principio anche nell'affetto (in affectu), infatti l'amore di Dio spinge alla contemplazione e, poiché il fine corrisponde al principio, anche l'affetto è termine e fine della vita contemplativa, così, mentre uno gode (delectatur) nella visione della realtà amata, lo stesso godimento (delectatio) della realtà vista eccita maggiormente l'amore: " Questa è la perfezione ultima della vita contemplativa: non solo vedere la verità divina, ma amarla ".21

Note: 1 A. Michel, Intuitive (Vision), in DTC VII, 2351; 2 J. Maréchal, L'intuition de Dieu dans la mystique chrétienne, in RSR 5 (1914), 161; 3 J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Roma 1952, n. 250; cf anche G. Picard, La saisie immédiate de Dieu dans les états mystiques, in RAM 4 (1923), 40, nota 1; 4 Cf L. Reypens, Le sommet de la contemplation mystique chez le bienheureux Jean de Ruusbroec, in RAM 3 (1922), 251-272; 4 (1923), 256-271; 5 (1924), 33-39; 5 J. Maréchal, L'intuition..., a.c., 161-162; 6 C. Butler, Il misticismo occidentale. Contemplazione e vita contemplativa nel pensiero di Agostino, Gregorio e Bernardo, Bologna 1967, 95, cf anche 89-94; 7 J. Maréchal, Sur les cimes de l'oraison, in NRTh 56 (1929), 126, nota 1; 8 G. Picard, La saisie..., a.c., 56; 9 A. Gardeil, La structure de l'âme et l'expérience mystique, II, Paris 1927, 231; 10 Cf M. de La Taille, Théories mystiques, in RSR 18 (1928), 310-315; 11 J.V. Bainvel, Introduction à la dixième édition, in A. Poulain, Des grâces d'oraison. Traité de théologie mystique, Paris 1922l0, XXXII, nota 2; 12 J. de Guibert, Études de Théologie mystique, Toulouse 1930, 88; 13 Cf R. Garrigou-Lagrange, Les trois âges de la vie interieure prélude de celle du ciel, II, Paris-Montréal 1938, 424-427; 14 Cf F.-D. Joret, La contemplation mystique d'après saint Thomas d'Aquin, Lille-Bruges-Bruxelles 1923, 243-245; 15 J. Huby, Foi et contemplation d'après saint Thomas, in RSR 9 (1919), 152; 16 A. Saudreau, Grâces d'ordre proprement mystique et grâces d'ordre angéliques, in RAM 4 (1923), 74; 17 Id., L'état mystique. Sa nature, ses phases et les faits extraordinaires de la vie spirituelle, Paris-Arras-Angers 1921, 304-356:306; 18 Cf Benjamin maior, l. I, cc. III-IV; 19 STh II-II, q. 180, a. 3, ad 1; 20 Ibid. q. 180, a. 5, resp.; 21 Ibid., q. 180, a. 7, ad 1.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in Aa.Vv., Enciclopedia filosofica, III, Firenze 19672, 1015-1029; J. Maréchal, Dalla percezione sensibile all'intuizione mistica. Contributo allo studio comparato del misticismo, Firenze 1913; Id., L'intuition de Dieu dans la mystique chrétienne, in RSR 5 (1914), 145-162; R. Moretti, s.v., in DES I, 1015-1016.

C. Stercal

INVIDIA. (inizio)

I. Nozione. L'i. è quell'ignobile, ma diffuso sentimento per cui si prova dispiacere per il bene altrui, come fosse male proprio. Non va confusa con l'emulazione o la rivalità, che pongono le persone in competizione reciproca, per il raggiungimento di scopi e per la conquista di beni, che non possono essere ugualmente condivisi tra tutti i concorrenti. Dello spirito di rivalità e di competizione l'i. rappresenta piuttosto una degenerazione radicale. S. Tommaso la collega al desiderio sfrenato di autoaffermazione e di gloria: " Amatores honoris sunt magis invidi ": 1 spesso, infatti, la riuscita, la buona fama, la gloria altrui sono percepite dall'assetato di successo e di onori come " diminutive della propria gloria ".2 In realtà tutte le cose che possono essere ambite dagli uomini, dal denaro allo status sociale, dal successo in amore alla salute, possono scatenare in chi è ossessionato di sé questo ignobile sentimento.

S. Tommaso la considera qualcosa di semper pravum, poiché consiste nel provare dispiacere per ciò di cui si dovrebbe invece godere, vale a dire del bene altrui.3 Del resto, l'i. porta facilmente all'insofferenza e all'ostilità verso i fratelli, alla detrazione e alla calunnia e sfocia alla fine nell'odio.4

II. Nell'ambito della vita spirituale. Nella misura in cui sia pienamente consapevole e libera e possieda una sufficiente consistenza psicologica, l'i. costituisce peccato grave poiché si oppone direttamente alla carità, principio e fondamento di tutta la vita morale.

Ma s. Tommaso avverte che si danno facilmente in questo campo impulsi incontrollati (primi motus) anche in persone altrimenti perfette; in questo caso la minore volontarietà diminuisce la responsabilità ed esclude la gravità del peccato.5 A questo proposito si impone una considerazione più approfondita e di maggiore ampiezza: la presenza di sentimenti di avversione e di ostilità legati all'i. è probabilmente più frequente di quanto ordinariamente si pensi; l'i. è un sentimento molto diffuso anche se poco avvertito e meno ancora confessato. Esso avvelena poco o tanto, operando da dietro il velo della inconsapevolezza o almeno della minore consapevolezza, la vita di molte persone, anche tra quelle consacrate e dedite all'impresa spirituale.

Il carattere particolarmente odioso e vergognoso di questo vizio ne favorisce la rimozione dall'orizzonte della coscienza e spinge il soggetto a negare disperatamente a se stesso la sua esistenza. L'onesto riconoscimento della presenza di sentimenti che, come l'i., possono albergare in noi anche senza di noi e perfino nonostante noi e non essere considerati peccaminosi, se non nella misura in cui sono volontariamente consentiti, è comunque una condizione previa per ogni serio impegno di crescita spirituale, ma anche per l'acquisizione o la conservazione di una soddisfacente sanità ed equilibrio psicologico. La prima vittima dell'i. è, infatti, lo stesso soggetto che se ne lascia dominare e che finisce per ripiegarsi su se stesso, venendo interiormente logorato dal carattere, tutto sommato impotente, della sua passione.

S. Tommaso ritiene necessario mettere in guardia anche contro una forma di i. " quae inter gravissima peccata computatur ", vale a dire l'i. della grazia concessa ai fratelli: in questo caso, l'ostilità e l'avversione verso i fratelli diventano un peccato contro lo Spirito Santo, poiché con esse in qualche modo si avversa lo Spirito Santo che glorifica se stesso nella sue opere.6

Il segreto della lotta contro questo sentimento resta naturalmente l'impegno per maturare in sé autentici sentimenti di amore per i fratelli, sentimenti che, a loro volta, possono trovare alimento e sostegno solo nell'amore di Dio. Un atteggiamento di povertà interiore nei confronti di Dio, fatto del riconoscimento che ogni valore viene da lui, e dall'affidamento incondizionato al suo amore, per quanto riguarda la valorizzazione personale di ciascuno, è l'atteggiamento religioso esattamente contrario al sentimento dell'i. e la migliore garanzia che essa non possa trovare ascolto nel cuore dell'uomo, che, nel piano di Dio deve " superare " gli altri solo nell'oblio di sé e nella benevolenza (cf 1 Cor 12,31- 13,13; Gal 4,18; Fil 2,3).

Note: 1 STh II-II, q. 36, a. 1, ad 3.; 2 STh II-II, q. 36, a. 1, c; 3 Cf STh II-II, q. 36, a. 2.; 4 Cf STh II-II, q. 36, a. 4, ad 3.; 5 Cf STh II-II, q. 36, a. 2.; 6 Cf STh II-II, q. 36, a. 4, ad 2.

Bibl. L. Desbrus, s.v., in DTC V, 131-134; M. Klein, Invidia e gratitudine, Firenze 1967; D. Milella, s.v., in DES II, 1336; H.D. Noble, L'envie et la haine, in VieSp 20 (1929), 32-42. E. Ranwez, s.v., in DSAM IV1, 774-785.

G. Gatti

INVISIBILITÀ. (inizio)

I. È il fenomeno di rendersi misteriosamente invisibili, superando le leggi fisiche necessarie perché possa esserci la visione materiale della persona. Può essere una i. reale della persona non vista, oppure può riguardare una sorta di cecità che può colpire tutte o alcune delle persone che circondano il soggetto invisibile, come si è verificato nella vita di alcuni santi.

II. Esemplificazioni. S. Francesco di Paola ( 1507), per sottrarsi a un drappello di soldati, inviato dal re di Napoli, Ferdinando I ( 1416), per arrestarlo, si rifugiò in una chiesa. I soldati entrarono, ispezionano ovunque, ma non lo trovarono. Questo più volte. Un operaio indicò dove si trovava: era dinanzi al tabernacolo, ma nessuno lo vedeva.1 S. Gerardo Maiella ( 1755), per prepararsi meglio alla Comunione, si ritirò nella sua cella e chiese la grazia di non essere disturbato, di diventare, se necessario, anche invisibile. Infatti, entrati nella cella più volte alcuni confratelli e il medico non lo videro. Eppure egli asserì di essere rimasto nella sua cella, seduto su una poltrocina.2 Un giorno, padre Pio da Pietrelcina era assediato da una comitiva mondana che voleva prendersi gioco di lui. Egli era nel mezzo, ma nessuno lo vedeva. Quando il gruppo si allontanò, le persone devote rimaste gli chiesero dove fosse andato. P. Pio rispose: " Passavo e ripassavo davanti a voi ".3

L'invisibilità è, pertanto, un fatto preternaturale, che il Signore dona secondo le circostanze o le esigenze.

Note: 1 Vita di s. Francesco di Paola, scritta da un discepolo anonimo contemporaneo, Paola (CS) 1967, 65-66; 2 Sommari, estratti dai Processi ordinario e apostolico della curia vescovile di Muro Lucano e arcivescovile di Conza: Somm. n. 21, par. 91, in Apostol. n. 7, par. 108.328; P. Claudio Bendetti, Vita di S. Gerardo Maiella, Roma 1904, 114-115; 3 M. Winowska, Il vero volto del P. Pio, Roma 1972, 104-105.

Bibl. I. Rodríguez, s.v., in DES II, 1336-1337; V. Vezzani, Mistica e metapsichica, Verona 1958, 196-198.

V. Marcozzi

IPPOLITO DI ROMA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Forse originario della Grecia, è ordinato sacerdote a Roma durante il pontificato di Zefirino ( 217). Divenuto papa Callisto ( 222), dopo la morte di Zefirino, I. comincia ad avversarlo, giudicando troppo indulgente la condotta disciplinare del vescovo di Roma nei riguardi della penitenza e del matrimonio. La maggior parte degli studiosi ritiene che egli sia il primo antipapa della storia in quanto spinge a tal punto la sua opposizione a Callisto da creare uno scisma che dura fino al 235. In quell'anno, infatti, l'imperatore Massimino il Trace ( 238), nemico dei cristiani, scatena una persecuzione contro di loro facendo arrestare sia I., conciliatosi con la Chiesa, che il nuovo vescovo di Roma, Ponziano ( 235). Entrambi, deportati in Sardegna, muoiono martiri della fede. I loro corpi sono trasportati a Roma dalla pietà di papa Fabiano ( 250), successo a Ponziano. Nel 1551, nella zona dell'antico cimitero di via Tiburtina, viene scoperta una statua senza testa, assisa in cattedra: su uno degli stipiti del trono è inciso il catalogo delle opere che si riferiscono al periodo degli scritti di I. pubblicati prima del 224, anno in cui è eretto il monumento. Per questa ragione, la statua viene identificata come quella di I. e sistemata nell'atrio della Biblioteca Vaticana.1

Soggetto discusso per le posizioni assunte, I., rappresentante del vecchio presbiterato romano, è messo in discussione anche per le opere molto numerose, alcune in frammenti (De Christo et Anticristo [L'Anticristo] è la sua sola opera che ci sia pervenuta completa) che gli sono state attribuite, ma sull'autenticità delle quali non sempre il parere degli studiosi risulta concorde. Oltre al Syntagma, o Riassunto contro trentadue eresie, un breve trattato del primo periodo dell'attività di I. e al Contra Noetum (Contro Noeto), i Philosophumena (Esposizione delle dottrine filosofiche) è l'opera più importante di quest'autore. Intitolata dallo stesso I. Elenchos, o Confutazione di tutte le eresie, l'opera comprende complessivamente dieci libri, di cui i primi quattro trattano della filosofia dei greci, mentre i restanti tendono a dimostrare che tutte le eresie non fanno che attingere alle dottrine dei filosofi pagani, ai misteri e all'astrologia, e non alla Scrittura e alla Tradizione della Chiesa.

La Traditio apostolica (Della tradizione apostolica) risulta anzitutto un testo di liturgia eucaristica (consacrazione del vescovo, messa pontificale, amministrazione del battesimo) destinato ad avere grande influsso sulla tradizione liturgica posteriore, soprattutto in Occidente. In quest'opera si trova la preghiera eucaristica che rappresenta il canone più antico che si conosca, a cui s'ispira direttamente la seconda preghiera eucaristica della liturgia oggi introdotta. Parecchie Omelie e alcune opere più brevi, di carattere esegetico, come il Commento a Daniele (Commentari in Danielem), le Benedizioni di Mosè (Benedictiones Moysis) e il Commento al Cantico dei cantici (Intepretatio Cantici Canticorum) completano il panorama degli scritti di questo grande dottore della Chiesa, che ebbe il torto di non accorgersi che lo sviluppo del popolo di Dio porta con sé situazioni nuove e che il cristianesimo non è una setta di puri, ma la città di tutti gli uomini. A parte questo, non c'è nessun motivo per farne uno scismatico. Anche se rappresentante di un " integrismo ", che la gerarchia ha avuto ragione di non accettare, la sua violenza dipende in gran parte dal genere letterario. I suoi scritti respirano, dunque, la più pura tradizione.

II. La dottrina. Uomo concreto e sospettoso verso ogni filosofia, I. ha trovato nell'esegesi di tipo storico-tipologico, la sua dimensione di commentatore della Parola di Dio in modo sistematico, in una dimensione pastorale liturgica, in accordo con il suo ministero. A conclusione dei Philosophumena,2 egli esorta i suoi lettori, di qualunque cultura e di qualunque nazione, a prestare orecchio ai suoi consigli: solo presso i cristiani, discepoli di Cristo e amici degli uomini, è possibile conoscere il vero Dio, nella Scrittura e nella Chiesa.

La Scrittura, destinata all'edificazione dei fedeli, esige però delle anime che ascoltino, anime docili che sappiano, sotto l'influsso della grazia, passare dalle cose terrestri alle cose celesti, dalle cose sensibili alle cose spirituali.3 La Scrittura è l'unica sorgente della verità tutt'intera, che non inganna.4 E la Chiesa è la santa assemblea di coloro che vivono nella giustizia; come un giardino, in cui sono piantati alberi di varie specie, ma in cui non a tutti è permesso entrare; come una nave, continuamente in balia delle tempeste del mondo, alla cui guida c'è Cristo, come albero di vela la croce santa e come ancora ha il comandamento dell'amore. Il carico che porta è un carico di santi, santificati dall'acqua del battesimo, senza più alcuna impurità, destinati alla patria celeste.5

Ma la Chiesa è soprattutto sposa. E nel commento al Cantico dei Cantici I. trova accenti di vera spiritualità in cui sviluppa il processo mistico attraverso cui la Chiesa si fa sposa di Cristo. Ancora legata alla vecchia alleanza, Eva e Sinagoga a un tempo, essa è resa bella dall'Amato che la predilige, che la riveste di sole e le circonda il viso con dodici stelle che le fanno corona. Lo Sposo è il profumo che, contenuto nel cuore del Padre, sparge ovunque la sua gioia, ispira i profeti, ricolma le anime dei giusti, conquista docili ed indocili: ha raccolto i giusti dell'AT, ha reso Giuseppe suo consigliere, ha reso madre la vergine Maria. Giuda, che voleva vendere il profumo per trenta denari, è stato costretto a vendere per trenta denari il Cristo stesso. I. dice: " La verità ha voluto essere venduta ad un prezzo vile, per essere alla portata dei poveri. E il povero allora deve accostarsi con il suo vaso al profumo di Cristo, per raccoglierne e poi riversarlo sul capo del Signore, al fine di attirare Cristo in sé ".6

Alla Chiesa è affidato il compito di far nascere Cristo nel cuore dei credenti, di formare nel proprio cuore il Verbo di Dio, principio di santità, di rigenerarsi nello Spirito Santo, perché ogni suo membro divenga una creatura perfetta e celeste. A Cristo spetta il compito di raccogliere tutti gli uomini, per ricostituirli nell'unità violata da Adamo, stendendo le braccia sulla croce, in segno di abbraccio. Come un tessitore, egli ha tessuto la salvezza sul legno della croce, compiendo le opere per volontà del Padre, " soffrendo per penetrare con la sua virtù, i nostri corpi di morte, per trasformarci da corruttibili a incorruttibili, da deboli a forti, per salvare l'uomo che s'era perso ".7 E la Sposa dice al suo Cristo: " Prendi il mio cuore, riempilo del tuo Spirito... perché sia una cosa sola con la tua carne celeste ".

Note: 1 Tale ipotesi è stata ora rimessa in discussione dalla Guarducci che vede nella statua la figura di una donna (Il contributo di M. Guarducci è inserito in Nuove Ricerche su Ippolito [Sea 30], Roma 1989, 61ss.). Da segnalare la questione ippolitea. Dopo la ricostruzione biografica ottocentesca, tutto è stato rimesso in discussione dagli studi di P. Nautin nel 1947. Sarebbero esistiti tre personaggi: Giosippo (cf Fozio, Bibl. cod. 48), il martire romano Ippolito, il vescovo di una sede orientale (autore di opere esegetiche e di Contro Noeto). La critica recente elimina il fantomatico Giosippo ed inverte il rapporto cronologico fra i due Ippolito: il romano sarebbe posteriore all'orientale, di cui avrebbe conosciuto ed utilizzato l'opera; 2 Philosoph. 10,34; 3 In Dan I, 17; 4 In Dan I, 10,1; II, 8,2; IV, 6,1; In Cant. I, 12; 5 In Dan I, 17; De Ant. LIX; 6 Cant. I, 3-I,4; 7 De Ant. III-IV.

Bibl. L'accesso più comodo alla bibliografia generale ippolitea è costituito dai due voll.: Ricerche su Ippolito (Sea 13), Roma 1977 e Nuove ricerche su Ippolito (Sea 30), Roma 1989, che forniscono anche le più aggiornate prospettive di ricerca. Studi: A. Amore, s.v., in BS VII, 868-875; G. Bardy, La vie spirituelle d'après les Pères des trois premiers siècles, II, Tournai 1968, 177-181; I. Bessarione, La cristologia nei Padri della Chiesa, Roma 1979; Melchiorre di Santa Maria - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1339-1340; M. Metzger, A propos des règlements ecclésiastiques et de la prétendue Traditio Apostolica, in RSR 66 (1992), 429-461; M. Richard, s.v., in DSAM VII1, 531-571; C. Savatos, Le vocabulaire trinitaire d'Hippolyte de Rome et son contenu théologique, in Theologia, 61 (l990), 698-712; M. Simonetti, Prospettive escatologiche della cristologia di Ippolito, Roma 1993; M.S. Troiano, Alcuni aspetti della dottrina dello Spirito Santo in Ippolito, in Aug 20 (1980), 615-632; A. Zani, La cristologia di Ippolito, Brescia 1984.

L. Dattrino

IRA. (inizio)

I. Il termine rimanda a due capitoli diversi del discorso morale tradizionale: quello, per sé eticamente neutrale, delle passioni e quello eticamente negativo dei peccati e dei vizi capitali.

II. In quanto passione, essa è costituita da quel misto di aggressività, di coraggio, di tenacia, che fornisce alla volontà la forza d'intraprendere imprese ardue e di perseverare nel perseguimento degli obiettivi che ci si propone, vincendo le difficoltà che si incontrano. Oggetto di questa passione sono, quindi, il bene da perseguire e il male da combattere in quanto " ardui ", cioè contrassegnati da una qualche particolare difficoltà.1

Come ogni altra passione, se considerata in se stessa, in quanto energia psichica pre-razionale, non è moralmente né buona né cattiva, ma considerata nel suo rapporto con la ragione e la volontà, essa è soggetta a valutazioni morali.2 L'i. rappresenta, quindi, una di quelle pulsioni o energie fondamentali della vita psichica umana che sono dotate di particolare rilevanza nell'ambito dell'impresa morale.

Nella misura in cui questa passione si rivolta contro il male subito, cercando non solo di contrastarlo, ma anche di vendicarlo, magari al di là di quella che potrebbe essere in qualche modo considerata giusta repressione e legittima punizione dell'ingiusto aggressore, diventa un peccato. A sua volta, l'abituale debolezza della volontà nei confronti di questa passione e la frequente ricaduta in questo peccato mette in essere quello che è il vizio dell'i., un vizio che la tradizionale riflessione morale pone tra quelli considerati " capitali ".

Ciò che muove a questo peccato è la gioia amara della vendetta insieme alla speranza che essa ripaghi la sofferenza del torto subito. Esso oltrepassa i confini (del resto estremamente labili e imprecisi) del desiderio di una giusta riparazione ed espiazione da parte del colpevole e, violando l'ordine della ragione, sfocia nel desiderio distruttivo di una vera e propria vendetta.

Si tratta, comunque, di un peccato meno grave di quello dell'odio. Anzi, volere il male altrui sub ratione iusti può contenere un certo valore etico di giustizia che lo rende accettabile, se resta nell'ambito dell'ordine della ragione: la negatività morale dell'i. risiede, quindi, nel fatto che il soggetto non ubbidisce in questa ricerca di restituzione dell'ordine violato alla misura imposta dalla ragione.

D'altronde, sempre secondo s. Tommaso, si può peccare nel campo dell'i. non soltanto per eccesso, ma anche per difetto: sarebbe peccato cioè sia l'assenza della volontà razionale di punire in modo giusto, sia l'assenza della passione relativa.3

L'idea di una giustizia vendicativa e del diritto, soprattutto privato, a infliggere giuste punizioni è oggi motivatamente messo in dubbio e questo obbliga naturalmente a un ripensamento del pensiero tradizionale in proposito. Resta vero, comunque, che non può essere considerata come qualità positiva l'assenza di una misurata e bene indirizzata aggressività che finisca per sfociare nell'indifferenza e nell'ignavia.

III. Le emozioni proprie dell'i. hanno profonde radici nella dimensione corporea della persona umana, ne mobilitano i dinamismi biopsichici e scatenano perturbazioni organiche chiaramente percepibili anche dall'esterno, più di quanto non avvenga per altre passioni. E la prova di quanto facilmente l'i. oscuri la capacità di valutare la realtà in maniera obiettiva, impedisca l'uso della ragione e sopraffaccia la libertà, perciò i suoi eccessi si accompagnano spesso a una certa diminuzione della responsabilità morale e della colpevolezza.4

Ma le possibili gravi conseguenze dell'i. devono mettere seriamente in guardia coloro che vi sono, per temperamento, più proclivi.

IV. Contraria al vizio dell'i. è la mansuetudine, virtù che appartiene al campo della temperanza e controlla e reprime i moti disordinati della passione dell'i.5 Virtù tipicamente evangelica, cui è promessa la beatitudine del possesso della terra, ha le sue espressioni nel perdono delle offese e nell'amore dei nemici: non ha nulla a che fare con quella acquiescenza che segnala debolezza e assenza di virilità e di coraggio: è il modo più vero di essere forti di quella forza illuminata dalla fede, che è capace di vincere anche la violenza più bruta per tendere con tutto se stesso alla comunione con Dio e con i fratelli.

La via per la conquista della mansuetudine passa attraverso l'educazione all'autocontrollo, la crescita nell'umiltà, la fuga dalle occasioni e naturalmente il ricorso a quella fortezza interiore che può venire solo dalla fede e dall'intimità con Dio.

Note: 1 STh I-II, q. 46, a. 3; 2 STh I-II, q. 24, a.1; 3 STh II-II, q. 158, a. 8; 4 STh I-II, q. 47, a. 1; 5 STh II-II, q. 157, a. 3.

Bibl. G. Blanc, s.v., in DTC II, 355-361; D. Milella, s.v., in DES II, 1340-1341; H.D. Noble, s.v., in DSAM II, 1053-1068.

G. Gatti

IRENEO DI LIONE (santo). (inizio)

I. Cenni biografici I. nasce verosimilmente verso l'anno 130, in Asia Minore; si forma alla scuola di Policarpo ( 155), vescovo di Smirne, che ha conosciuto i discepoli del Signore e ha subito il martirio verso il 160. E lui stesso a farne menzione nelle sue opere 1 ed anche Eusebio ( 339) ce lo conferma.2 Nel 177 è ordinato presbitero da Potino ( 177), vescovo e martire della città 3 tra i fratelli di Vienne, a Lione, nella Gallia, in un periodo di dura persecuzione. Quando il vescovo Potino muore di stenti in prigione, I. ne prende il posto come vescovo della città: egli svolge un'intensa attività missionaria tra le popolazioni dell'interno e combatte strenuamente gli eretici che, in quel tempo, sostengono una decisa propaganda. E per due volte a Roma, incaricato presso papa Eleuterio ( 189), per definire la data della celebrazione della Pasqua.4 Una leggenda tardiva lo pone tra i martiri: muore forse al tempo della persecuzione di Settimio Severo ( 211), negli anni 202-203.

II. Opere e dottrina. I. non è un filosofo, ma un pastore e un uomo di Chiesa, anche se in lui si congiungono felicemente una buona formazione retorica, secondo la migliore tradizione ellenistica, ed una solida formazione cristiana. Autore di una dogmatica relativamente completa, gli unici libri giunti a noi, in traduzione latina, tra i molti scritti da lui redatti, sono l'Adversus haereses, (Contro le eresie. Denuncia e confutazione della falsa gnosi) e la Demonstratio praedicationis apostolicae (Esposizione della predicazione apostolica). Se quest'ultimo libro è scritto per l'amico Marciano ed è, secondo il titolo, un'esposizione breve (una sorta di " catechismo " per gli adulti) della verità su Dio e sul destino umano, il primo fine propostosi da I. nella composizione dell'Adversus haereses è quello di smascherare lo gnosticismo e di metterne in piena evidenza i vari sistemi. Egli, che già ne ha ravvisato il pericolo nel suo soggiorno romano, quando il contagio raggiunge le regioni della Gallia, pone ogni sua preoccupazione pastorale ed ogni energia nel reprimere quegli errori non rimproverando gli avversari di tendere alla gnosi, ma di tendervi, camminando fuori dalla giusta via. I. insegna che la salvezza si ottiene non in forza della conoscenza (gnosi), ma grazie al fatto storico dell'Incarnazione.

Se i primi due libri formano un compiuto sistema apologetico (esposizione e confutazione dei sistemi gnostici), il resto dell'opera comprende un'esposizione delle grandi tesi teologiche, su cui si basa tutto l'edificio della fede cristiana, cioè le Scritture e la tradizione, oltre all'unità del piano divino nella storia della rivelazione e della salvezza fino alle cose ultime, in particolare la risurrezione, per dimostrare come la carne sia suscettibile di redenzione e di salvezza.

Contro il dualismo degli gnostici, I. affronta direttamente il tema della bontà della carne. Gli eretici consideravano il corpo umano come un principio essenzialmente cattivo: proveniente dal mondo terrestre, opaco e pesante, incapace di accogliere la salvezza, destinato quindi alla distruzione e non ad essere elevato alla sfera del divino. La risposta di I. parte anche qui dal principio che l'onnipotenza divina dev'essere concepita in modo nuovo. Inoltre, egli insiste sul concetto che l'uomo deve crescere nella sottomissione a Dio attraverso la libera scelta del bene, lottando contro il male. Dopo tutto, l'uomo è artefice del suo destino.

I. trova il fondamento dell'essere cristiano nella regola di verità, ricevuta con il battesimo (cf Dem. 6). L'uomo è stato fatto dalle mani di Dio, che ha preso la terra più pura, la terra vergine, non ancora irrigata dalla pioggia né lavorata da alcuno (cf Ibid., 11). Ma, contrariamente al tricotomismo platonico, egli afferma l'uguaglianza di tutti gli uomini. L'uomo può divenire immortale, divino, spirituale, ricevendo lo Spirito di Dio (cf Adv. haer. III, 22,1; 20,2; V, 6,1; 8,1-3; 16,2), perché è la grazia di Dio che deifica l'uomo. Ma l'uomo, da parte sua, deve fare la volontà di Dio, se vuole partecipare alla vita trinitaria. Se l'uomo Adamo fu elevato allo stato soprannaturale, Cristo ha fatto di più: ci ha resi figli. Ha fatto ciò che l'uomo non poteva fare: " Come potrebbe l'uomo andare a Dio, se Dio non fosse venuto all'uomo?... E questa è la ragione per cui il Verbo di Dio si è fatto carne e il Figlio di Dio, Figlio dell'Uomo, affinché l'uomo entri in comunione con il Verbo di Dio e, ricevendo l'adozione, diventi Figlio di Dio " (Ibid. IV, 33,4; III, 19,1). Ma fortezza per l'uomo è anche l'Eucaristia: " ...Siamo nutriti per mezzo del creato... il calice, tratto dal creato, egli lo ha dichiarato suo proprio sangue, mediante il quale il nostro sangue si fortifica e il pane, tratto dal creato, egli lo ha proclamato suo proprio corpo, mediante il quale si fortificano i nostri corpi " (Ibid. V, 2,2).

Per I. è importante il dono della carità, che è più preziosa delle scienze e della profezia: importante è relazionarsi a Dio. " La visione di Dio è la vita dell'uomo e la vita dell'uomo è la gloria di Dio " (Ibid. IV, 20,5). Vivere è partecipare alla vita di Dio, cercare di conoscerlo, essere rischiarati dalla sua luce: " Dio è lui stesso la vita di quelli che partecipano di lui " (Ibid. V, 7,1). Se la ragione è incapace di afferrare Dio, l'amore può intenderlo ed avere esperienza della sua presenza. Secondo la Scrittura, è impossibile vedere Dio e restare in vita, ma Dio si mostra a coloro che l'amano, quando vuole. Allo stesso modo, quelli che vedono la luce sono nella luce e partecipano al suo splendore: così quelli che vedono Dio, partecipano alla Vita.

E il modello della creazione, che l'uomo deve imitare per ritornare al Padre da cui si è allontanato: questi progressi si compiono per la grazia dello Spirito Santo, poiché lo Spirito assorbe la debolezza della carne (cf Ibid. V, 12,4). L'uomo che si comunica allo Spirito, non è più carnale, ma diviene spirituale e perfetto. Il punto culminante è divenire Dio, con un processo che continua oltre la morte, che si perfeziona dopo, perché la morte non è che una tappa nel divenire perfetti. Niente sfugge a questa legge dell'ascensione verso Dio. Nella nuova economia, Cristo ricapitola, riassume tutta la creazione, comunicandole ciò che aveva perduto per colpa di Adamo, riprende tutto sul suo conto, anche la nascita del primo uomo.

Sulle orme di s. Paolo (cf Ef 1,9; Rm 8), I. concepisce la dottrina della " ricapitolazione ". In essa elabora la storia della salvezza, ravvisandola nel mutuo adattamento da parte di Dio e dell'uomo, del progresso e dell'educazione. Egli presenta l'Incarnazione, in quanto essa riassume e compie tutta la storia precedente dell'uomo, l'istituzione di Cristo come capo di tutto l'universo nel fatto che Cristo e Maria, con la loro obbedienza hanno riparato la disubbidienza di Adamo e Eva.

Tutta la creazione si rinnova per mezzo di Cristo: il nuovo Adamo restaura il primo. L'itinerario che segue porta alla dimensione trinitaria: per mezzo dello Spirito, l'uomo contempla il Figlio e, attraverso il Figlio, il Padre. Il senso trinitario della dottrina sottolinea l'orientamento costante verso la Trinità che sarà caro ai mistici di tutti i tempi. " Al di sopra di tutto, il Padre, ed è lui il capo del Cristo. Attraverso tutto, il Verbo, ed è lui il capo della Chiesa. In tutto, lo Spirito, ed è lui l'acqua data dal Signore a coloro che credono in lui, lo amano, e sanno che "c'è un solo Dio Padre, che è al di sopra di tutto, attraverso tutto e in tutto" " (Ibid. V, 18,2).

In questo suo divenire continuo, l'uomo ha per compagne, non solo il Padre, ma anche le mani di Dio, il Verbo e la Sapienza. E proprio queste mani, che lo hanno plasmato fin dall'inizio, a immagine e somiglianza del Creatore, lo collocheranno nuovamente nel paradiso, come hanno fatto per Elia ed Enoch.

Note: 1 Cf Adv. Haer. IV, 30,3; 2 Cf Hist. Eccl. V, 20; 3 Cf S. Girolamo, Vir. III, 35; Hist. Eccl. V, 1,53-54; 4 Cf Hist. Eccl. V, 23-24.

Bibl. Y. de Andia, Homo vivens: incorruptibilité et dimension de l'homme selon Irénée de Lyon, Roma 1982; J.E. Anourz, Homo spiritualis en la teologìa de S. Ireneo, Victoria 1966; H.U. von Balthassar, La Gloire et la Croix, Paris 1968, 27-84; E. Bellini, Ireneo di Lione. Contro le eresie e gli altri scritti, Milano 1981; A. Benoit, Saint Irénée: Introduction à l'étude de sa théologie, Paris 1960; G. Bentivegna, Economia di salvezza e creazione nel pensiero di s. Ireneo, Roma 1973; R. Berthauzoz, Liberté et grâce suivant la théologie d'lrénée de Lyon, Paris 1980; L. Bouyer - L. Dattrino, La spiritualità dei Padri, 3A, Bologna 1984, 18ss., 136ss., 167ss., 183; M.N. Brox, Offenbarung, Gnosis und gnostischen Mythos bei Irenaus von Lyon, Salzburg 1966; J. Daniélou, St. Irénée et les origines de la théologie de l'histoire, in RSR 34 (1947), 227-231; L. Dattrino, La dignità dell'uomo in Giustino martire e Ireneo di Lione, in Lat 46 (1980), 209-249; A. Faivre, Irénée, premier thélogien sistématique?, in RSR 65 (1991), 11-32; A. Haussiau, La christologie de saint Irénée, Louvain l955; H.J. Jascke, Irenaeus von Lyon, die " ungeschmuckte Wahrheit ", Roma 1980; Melchiorre di S. Maria - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1341-1343; J.T. Nilsen, Adam and Christ in the Theology of Irenaeus of Lyons, Assen 1968; A. Orbe, Antropología de S. Ireneo, Madrid 1969; Id., Teologìa de S. Ireneo, Madrid 1985-1988; Id., Espiritualitad de S. Ireneo, Roma 1989; E. Peterson, L'immagine di Dio in S. Ireneo, in ScuCat 69 (1941), 46-54; L. Regnault, s.v., in DSAM VII, 1923-1969; R. Tremblay, La manifestation et la vision de Dieu, selon Irénée de Lyon, Münster 1976.

L. Dattrino

IRLANDA E INGHILTERRA. (inizio)

Premessa. La storia della mistica in Irlanda e in Inghilterra inizia nel III secolo, ma occorre precisare che i confini geografici di queste regioni non coincidevano con quelli attuali. Ci si riferiva soltanto all'insieme dei territori abitati dai Celti. All'inizio l'esperienza cristiana fu soprattutto ascetica, particolarmente intorno al sec. VIII, quando fiorì un movimento di riforma monastica, che alla cultura univa un'austera penitenza. La vita ascetica veniva partecipata anche ai laici. Intorno al sec. X, anche queste terre conobbero una certa decadenza spirituale, per rifiorire nel XII sec. con sant'Anselmo di Canterbury e s. Beda il Venerabile. L'acme si raggiunse a metà del sec. XIV con la cosiddetta " scuola mistica inglese ", che ebbe tra i maggiori suoi rappresentanti Rolle, Hilton, Giuliana di Norwich, Margery Kempe e i maestri secolari. Questi ultimi incarnarono la diffidenza nei confronti della speculazione astratta e della vita conventuale di tipo tradizionale, per cui si può dire che nella vasta " letteratura del tempo si intravede uno dei tratti caratteristici della psicologia anglosassone: volentieri pragmatista e particolarista, poco portata a teorie astratte ".1 Ciò nonostante, nel sec. XIV si ebbe dei più bei trattati spirituali del tempo: La nube della non-conoscenza, vero e proprio caposaldo della mistica di tutti i tempi.

I. Irlanda. Nonostante alcune comunità cristiane esistessero nella provincia romana della Britannia almeno dall'epoca di Tertulliano ( 220 ca.), sappiamo poco su di esse e sulla vicina isola d'Irlanda che non fu mai soggetta al dominio romano. L'inizio del cristianesimo in quelle terre è ugualmente oscuro. Sembrerebbe, comunque, che si siano formate lì alcune piccole comunità cristiane alle quali fu inviato da Roma il vescovo Palladio ( 431) nella terza decade del sec. V. La Chiesa britannica, esistente dal periodo successivo a quello romano, si rese conto di avere qualche responsabilità verso i cristiani irlandesi e forse la missione di s. Patrizio ( 461) fu un'iniziativa di questa Chiesa. Patrizio è un bretone romano che passa qualche tempo in Irlanda come schiavo, più tardi fugge e probabilmente vive per un po' al monastero di Lerins. Il suo ministero missionario in Irlanda si ferma al nord dell'isola, per cui tutta l'isola è evangelizzata completamente solo nel sec. VII. L'esatta derivazione delle strutture e degli accenti spirituali patriziani della più tarda Chiesa irlandese è abbastanza oscura, ma è certo che circa un secolo dopo la morte di Patrizio, le strutture del governo della Chiesa furono organizzate in modo più monastico che episcopale. Le maggiori guide della Chiesa erano abati di ampi complessi monastici e costoro potevano essere sia in ordini episcopali sia avere vescovi al loro servizio. Tra i centri più vivi di fervore spirituale c'era il monastero di Bangor, da cui partì s. Colombano per il continente nel 591 ed estese notevolmente la diffusione delle pratiche religiose della Chiesa irlandese nell'Europa continentale. Il nome di Mal-Ruain ( 792) è associato alla fondazione di una comunità a Tamlachta o Tallaght alla periferia dell'odierna Dublino e al crescente movimento di riforme di religiosi quasi-eremitici conosciuto come il Cèli Dè che sembra aver avuto una vasta influenza agli inizi del sec. IX. La spiritualità irlandese mostrò caratteristiche peculiari che contrastavano, nella loro omogeneità, con l'eclettismo delle forme liturgiche. I dati principali erano: ampiezza, semplicità e fervore, un amore per lo studio e per le espressioni artistiche, un profondo entusiasmo per i libri dell'AT e per i salmi come veicolo di preghiera e in generale una rigorosa pratica ascetica. Uno dei maggiori ideali era la trasmutazione della nozione di deserto come esilio volontario e pellegrinaggio lontano dalla patria, in una simbolica richiesta spirituale per la loro paradisiaca terra di origine. Tale esilio fu interpretato come una sorta di martirio incruento. Questa prima caratteristica fu combinata ad una motivazione secondaria, cioè all'attività missionaria. Il rigore della pratica ascetica fu anche accompagnato da un accurato esame della coscienza e della ragione, quindi, ad uno sviluppo dei libri penitenziali che rappresentavano l'ideale di pena proporzionata per scontare e rimediare alle colpe individuali.

L'impegno nello sforzo ascetico condotto dai monaci spiega i casi di eccessi che oggi potrebbero sembrare troppo duri per il conseguimento della santità. Privazioni ascetiche, come la veglia della croce, in cui l'asceta rimaneva per lunghe ore in preghiera con le braccia aperte a forma di croce, non raramente conducevano ad un rapimento mistico, anche se non possediamo molte informazioni sui testi di preghiera mistica. I testi delle preghiere esistenti nel primo periodo irlandese presentano reminiscenze delle Sacre Scritture, specialmente dei salmi, litanie o reiterazioni, prolissità e una gioia nel piacere di enumerare le parti del tutto: le parti del corpo, i diversi sensi, le varie categorie di santi, le varie possibili direzioni nello spazio e così via. La fede in tale spiritualità era diretta verso un darsi pienamente alla totalità e all'interpretazione della vita sotto la regola di Dio e di Cristo, spesso chiamato Re, quindi verso vari punti di vista mistici. E anche certo che il relativamente semplice esercizio di costante recita dei salmi a memoria ci informa sull'ampio uso di " titoli " (o frasi usate come indici del loro contenuto cristiano) che produce una profonda unione di cuore e mente con Cristo e il Padre. Inoltre, malgrado l'esteriore austerità, i testi rimasti presentano una grande bellezza lirica e una grande espressione affettiva per la persona di Cristo, i santi e anche per gli animali, creature di Dio. Anche se in questa tradizione spirituale e mistica dei primi secoli non vi fu una teorizzazione altamente sviluppata, nei secoli successivi l'irlandese Scoto Eriugena offrì importanti e saggi contributi all'elaborazione e alla diffusione della dottrina mistica. Vivendo alla corte del re franco Carlo il Calvo ( 877) nell'850 egli interpretò il pensiero mistico greco per l'Occidente latino, traducendo Dionigi Areopagita, Gregorio di Nissa e Massimo il Confessore e facilitando una reintegrazione delle diverse tradizioni. Per Scoto, la " natura " fondamentalmente abbraccia allo stesso tempo Dio e le creature, quindi egli cerca di superare il dualismo che oppone i due, preferendo piuttosto costruire un punto di vista in cui il mondo e gli esseri viventi, che esso contiene, siano gli elementi di una teofania. Il suo ricorso agli scrittori greci gli procurò non pochi sospetti e le sue posizioni furono, nei secoli successivi, ereticamente estremizzate, in modo tale da far guadagnare anche ad Eriugena, per molti anni, l'immeritata reputazione di eretico. Mentre l'influenza dei primi scrittori cristiani irlandesi e della loro tradizione ascetica continuò fino ai tempi moderni, le circostanze della Chiesa irlandese, dalle invasioni barbariche alla conquista normanna dell'Inghilterra e i tentativi dei re inglesi di sottomettere l'Irlanda e le lotte che seguirono alla protestantizzazione dell'Inghilterra, non permisero una successiva rinascita dei suoi ricchi e promettenti inizi.

II. Britannia. Sulla Chiesa della Britannia romana non abbiamo nulla se non dei resti frammentari per cui la nostra conoscenza è molto imperfetta. I vescovi britannici parteciparono ai Concili di Arles (314) e di Ariminum (360), ma gli anni 360-367, videro l'inizio di forti assalti in Britannia da parte dei Pitti pagani, scozzesi e sassoni, e nel 401 ebbe inizio la conquista romana. Le invasioni anglosassoni, nella seconda metà del sec. V, portarono alla devastazione completa di quasi tutte le aree urbane e alla resa di quei cristiani decimati, esacerbati dall'avvento del pelagianesimo. Inoltre, nel sec. VI la Chiesa della Britannia, spinta dagli stessi bretoni ai confini del Galles e della Cornovaglia venne in contatto con la Chiesa della Bretagna e della Gallia e rimase sufficientemente intatta cercando di dare sostegno ai cristiani d'Irlanda. La sopravvissuta Chiesa della Britannia, d'ora in avanti limitata ampiamente a Galles e Cornovaglia, condannò l'invasione degli Anglosassoni e si dedicò soprattutto alla loro evangelizzazione o ai contatti con altri cristiani della loro razza.

III. Inghilterra. La nuova popolazione degli Anglosassoni fu evangelizzata da una varietà di fonti, inclusi sporadici contatti con i principi cristiani della Gallia, la penetrazione dei monaci irlandesi in Scozia e in quella che ora è l'Inghilterra del nord. Significativa fu la missione del monaco romano Agostino più tardi conosciuto con il nome di s. Agostino di Canterbury ( 604 ca.), che fu inviato nel 597 con consegne precise per un programma di evangelizzazione inculturata di quella che stava per divenire la nazione inglese. Nel 664, il famoso Sinodo di Whitby decise tra la disciplina e il calendario della Chiesa irlandese, in vigore nel Northumbria e l'entusiastica fede pro-romana della più attiva sezione della Chiesa inglese al sud, legata alla pratica religiosa romana. Comunque, ciò non vanificava la considerevole influenza spirituale dei grandi santi precedentemente di disciplina celtica, come s. Cutberto di Lindisfarne ( 687), e la rapida cristianizzazione dell'Inghilterra che negli anni seguenti dovette molto a questi. In termini istituzionali e culturali, nonostante non possa essere negata una certa generale influenza della cristianità celtica, ciò non fu in realtà così significativo come potrebbe apparire ad una prima analisi. Una semplice dimostrazione di questa affermazione è la scarsa quantità di termini di derivazione celtica nel vecchio vocabolario religioso inglese. L'influenza predominante in Inghilterra la ebbero Roma e quella moderata cultura religiosa esemplificata dalla Regola di s. Benedetto.

Un insieme di influenze si deve, senza dubbio, riconoscere in forti figure come quella di s. Aldelmo ( 709) che potrebbe aver studiato con uno scolaro irlandese, prima di entrare come allievo a Canterbury sotto la guida dell'arcivescovo di origine greca Teodoro di Tarso ( 690) e l'abate africano Adriano ( 710). Aldelmo fu ritenuto un maestro di versi lirici vernacolari di contenuto religioso di cui fece un uso pastorale, sebbene le opere pervenuteci siano in latino. Aldelmo diventò nel 673 o 674 abate di Malmesbury prima di finire i suoi giorni come vescovo di Sherborne. Tra i dogmi chiave dell'insegnamento di s. Aldelmo ci fu il contributo che egli diede al costume diffuso delle coppie sposate separate per cui la moglie in particolare poteva entrare in monastero. In altri punti egli pose l'accento insistente e ripetuto sulla fedeltà del clero al vescovo ed espose il significato simbolico dei numeri. Aldelmo, nonostante possa essere considerato una figura di rilievo, fu messo in ombra dal suo più giovane contemporaneo, Beda il Venerabile, un monaco di Wearmouth-Jarrow, storico eminente, scrittore di omelie, esegeta e dottore monastico. Conformemente alla tradizione dei Padri, ma anche influenzato dalle correnti devozionali celtiche, Beda espone le Scritture come il fulcro della vita spirituale ed interpreta la realtà proprio attraverso le Scritture. Egli si esprime spesso in uno stile enfatico che riflette un progresso nella preghiera verso un'immediata percezione della natura di Dio. Beda ha poco da dire in forma sistematica riguardo alle più alte mete della preghiera mistica, ma essendo un insegnante monastico, ha molto da dire con enfasi sul pluralismo dei carismi nell'unità della Chiesa e sulla dignità e sul ruolo dei fedeli laici. Tendere alla perfezione per Beda significa non perdere mai di vista il prossimo che ci circonda ed ha bisogno di raggiungere il suo obiettivo proprio come noi. Non sorprende che Beda ponesse l'accento su tre punti della pratica ascetico-morale: 1. il tenere la lingua a freno; 2. la correzione fraterna; 3. il fare l'elemosina. L'epoca contrassegnata da figure come Beda fu un'epoca considerevole e dal sec. VIII alcuni, come Alcuino di York ( 804), esercitarono grande influenza sul continente europeo. Già nel 793 un devastante attacco dei Vichinghi all'isola di Lindisfarne segnò l'inizio di una nuova minaccia pagana a questa nascente cultura cristiana che si protrasse per quasi un secolo, spingendo gli inglesi e la loro Chiesa verso le aree del sud e minacciando di cancellare tutto ciò che era stato raggiunto. I sistemi culturali declinarono e aiutarono i tentativi del re Alfredo il Grande ( 899) nel regno di Wessex di tradurre in inglese antico importanti opere di letteratura spirituale e pastorale in un'ottica che assicurasse la continuità con la saggezza dei Padri. Una rinascita dei costumi di una riforma monastica condotta da figure come quella di san Dunstano ( 988) indirizzò l'interesse religioso verso la reale celebrazione della liturgia alla fine del sec. X e diede anche vita a un considerevole corpo di letteratura sermonica e devozionale in lingua inglese antica, molta di essa dai toni apocalittici, insistendo sul ritorno alla rettitudine in previsione dell'anticristo e del giudizio finale.

Un altro importante spartiacque fu l'invasione normanna del 1066. Nel giro di una ventina d'anni quasi tutti i vescovi e gli abati erano normanni, nel giro di un secolo il numero di case religiose maschili aumentò di dieci volte e l'Inghilterra cominciò ad essere inserita all'interno della vita europea. La dominazione normanna contrassegnò virtualmente la fine delle tradizioni liturgiche spirituali in Irlanda, Scozia, Galles e Cornovaglia. Allo stesso tempo grandi figure come quella di Anselmo di Canterbury, instillarono un nuovo vigore nella vita spirituale inglese. Anselmo di Aosta, poi di Bec e di Canterbury (dal 1033 al 1109), anche se non di sangue inglese era un teologo e filosofo religioso, dotato ed originale, che lasciò dietro di sé molti trattati influenti che contraddistinsero l'inizio di una nuova epoca del pensiero scolastico. Una considerevole caratteristica, tra i fautori più convinti della Chiesa inglese fino a che essa fu virtualmente cancellata dall'imposizione dello scisma e dal protestantesimo, fu il ruolo occupato dall'eremita, dal recluso e dal pellegrino soprattutto nella vasta diocesi di York. Una testimonianza letteraria di ciò è la grande opera in inglese medievale: Ancrene Riwle o Ancrene Wisse, che ebbe una notevole influenza. In verità, c'erano anche alcuni eminenti personaggi della vita monastica e all'interno dell'episcopato, soprattutto nello splendido sec. XIII che vide tre eminenti vescovi: Riccardo di Chichester ( 1253), Edmondo di Abingdon ( 1240) e Tommaso Cantelupe ( 1282), canonizzati subito dopo la loro morte (rispettivamente nel 1262, 1246 e 1320) e l'esplosione di vitalità rappresentata dall'arrivo dei frati mendicanti. Comunque, molti sembrano legati alla vita eremitica o anacoretica, finché nel sec. XIV vennero alla ribalta con una letteratura esplicitamente mistica e allo stesso tempo prolifica, sana e di una qualità letteraria relativamente alta, sia nella lingua latina che in quella vernacolare. I nomi di Riccardo Rolle, dell'anonimo autore della Nube della non-conoscenza, di Walter Hilton, dell'estatica Giuliana di Norwich, stanno a rappresentare vigorosi diffusori di un'intensa e sofisticata serietà spirituale, non intaccata dall'eterodossia. Inoltre, essi e la strana mistica Margery Kempe stanno fuori da ogni sistema di vita religiosa organizzata come quella monastica o quella degli Ordini mendicanti. Infatti, le correnti di spiritualità associate ai nuovi Ordini religiosi ebbero poco impatto in Inghilterra con la discutibile eccezione di Citeaux. Quando incontriamo un mistico come William Flete ( 1382) in un Ordine mendicante, è nella anomala situazione di un eremita che visse in esilio a Lecceto vicino Siena. Citeaux, sulla cui fondazione l'inglese s. Stefano Harding ( 1134) giocò un ruolo decisivo, fu rappresentato in Inghilterra soprattutto da Aelredo ( 1167), abate di Rievaulx. Aelredo è specialmente ricordato per i suoi attacchi al ruolo spirituale che può essere giocato dall'amicizia nell'avvicinare i cristiani a Dio e in questo modo egli rinforzò la corrente affettiva nella spiritualità inglese. Questa divenne poi una stravagante pratica esteriore, poco rispondente al gusto inglese. Con ciò non si vuole negare una forte e persistente tendenza affettiva che va da Beda fino alla distruzione della cristianità cattolica in Inghilterra e che fu rinforzata da personaggi come Anselmo.

Altre figure di rango minore popolavano la scena. Tra queste c'era l'interessante Adamo di Dryburgh ( 1212), prima premostratense poi certosino, che produsse molti scritti che includevano un'esplicito trattato mistico, il De triplici genere contemplationis. I problemi generali della Chiesa dell'Occidente e dell'insularità inglese, oltre agli influssi eterodossi di Giovanni Wycliff ( 1384) e dei suoi seguaci indebolirono la Chiesa inglese, ma il regno di Enrico V ( 1422) fu caratterizzato da una rinascita, promossa dal re, con la fondazione, nei dintorni di Londra, della Certosa di Sheen e del monastero brigidino, l'abbazia di Syon. Questi rimasero due fulgidi centri di integrità spirituale fino alla fine del cattolicesimo in Inghilterra e contribuirono molto alla diffusione dell'influenza della mistica medievale all'interno della vita spirituale inglese. Quando alla fine del 1558, Elisabetta I Tudor ( 1603) salì sul trono, tutto fu perduto per la Chiesa cattolica in Inghilterra. Già una generazione prima le consuetudini della vita mistica medievale erano state sistematicamente e deliberatamente sradicate. Ora, tuttavia, piccoli gruppi di cattolici persistevano nel nord principalmente raggruppati intorno a dei nobili; la popolazione fu minacciata e perseguitata durante il protestantesimo. Di conseguenza, la storia della Chiesa inglese fu quella di religiosi e preti in esilio nel continente, e quella di magnifici atti eroici nel ministero ma, in larga parte, spasmodici, da parte di un clero clandestino inviato dall'estero. Una delle ultime figure che intervengono nella storia della mistica inglese, è Agostino Baker, non da tutti considerato mistico, ma che sicuramente contribuì a diffondere un rinnovato interesse per i mistici inglesi, renani e spagnoli in una Chiesa cattolica inglese ormai divisa tra l'esilio continentale e la clandestinità.

Mentre l'autentica tradizione della spiritualità irlandese ha continuato, in tempi recenti, a nutrire la pietà del popolo irlandese, l'influenza in Inghilterra del suo ricco passato di misticismo, oggi è, tristemente, poco altro che un esotico ricordo letterario.

Note: 1 F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 4B, Bologna 1991, 341.

Bibl. T.W. Coleman, English Mystics of the Fourteenth Century, London 1938; M. Glasscoe, The English Medieval Mystics, London 1993; J. Hughes, Pastors and Visionaries: Religious and Secular Life in Late Medieval Yorkshire, Woodbridge 1988; D.N. Kissane, Irlandese (monachesimo), in DIP V, 5-14; D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Torino 1976; J. Leclercq, La spiritualità del Medioevo, 4A, Bologna 1986; J.T. MacNeil, The Celtic Churches, a History: A.D. 200 to 1200, Chicago 1974; E. Malaspina (cura di), Scritti di san Patrizio. Alle origini del cristianesimo irlandese, Roma 1985; D. O'Laoghaire, Irlande, in DSAM VIIII, 1971-1986; F. Vernet, Anglaise, Écossaise, Irlandaise (spiritualité), in DSAM I, 625-659; F. Wöhrer, Englische Mystik, in WMy, 138-143.

A. Ward

ISACCO DELLA STELLA. (inizio)

I. Vita e opere. La fisionomia, la persona e l'opera di I. restano a tutt'oggi misteriose per molti versi. Certamente nasce in Inghilterra tra il 1100 e il 1110 forse da famiglia nobile che gli permette di beneficiare di un'educazione e di una cultura molto accurate e muore nel 1178 ca. Per completare la sua formazione si reca in Francia dove presumibilmente segue i corsi di Abelardo ( 1142), di Gilberto de la Porrée ( 1154) e di altri maestri. A Chartres conosce T. Becket ( 1170) che sosterrà ardentemente quando questi entrerà in conflitto con Enrico II d'Inghilterra ( 1189). Sembra che abbia conosciuto l'Ordine cistercense e professato a Pontigny, ma è possibile che sia entrato direttamente nel monastero della Stella di cui è eletto abate nel 1147. Conosce certamente s. Bernardo che incontra personalmente. Dopo aver curato l'amministrazione temporale e spirituale del monastero della Stella con alcuni monaci e abati cistercensi (amici di T. Becket, contro i quali Enrico II reclama sanzioni) va a cercare in una piccola isola sperduta, Ré, una solitudine inviolabile e i rigori di una povertà assoluta. Muore in quest'isola sperduta al centro dell'oceano senza aver rivisto la Stella.

Conserviamo sotto forma di lettera indirizzata ad Alcher de Clairvaux un trattato De anima, sviluppato non secondo un punto di vista teologico, ma filosofico. Un piccolo capolavoro di fenomenologia che abbozza un'analisi della contemplazione mistica. Un'altra Lettera sul canone della Messa, indirizzata a Jean vescovo di Poitiers, paragona il dinamismo interno dell'anafora eucaristica alle tappe fondamentali della vita spirirituale sino alla divinizzazione che la preghiera del canone realizza.

L'Opus magnum di I. è il corpo dei suoi cinquantaquattro sermoni composti tra il 1147 e il 1169. Pur conservando il genere letterario del sermone, in realtà essi non sono una " predicazione devota ", ma piccoli trattati che sviluppano, in crescendo, temi teologici e spirituali in un intreccio che culmina nella contemplazione del mistero della trascendenza divina.

II. Dottrina. Oltre alla solida formazione teologica e filosofica, ottenuta nelle migliori scuole del suo tempo, la brillante educazione ricevuta permette ad I. di citare poeti e autori classici. Per questo motivo, i suoi sermoni, debitori dei procedimenti e degli schemi che fanno parte della retorica del suo tempo, assumono a volte un tono didattico. Tuttavia, questi sermoni non hanno la chiarezza un po' fredda tipica dei sermoni scolastici del XIII secolo perché egli si ispira alle omelie dei Padri. Dimostra un raro equilibrio tra cultura umana, pensiero filosofico, formule dogmatiche, conoscenza intima della Bibbia e inquietudine mistica. Conosce la dottrina dei sensi della Scrittura tra i quali privilegia l'allegorico che gli permette di assecondare lo Spirito che suggerisce sempre nuove interpretazioni della lettera. Sul piano teologico si pone sulla scia dei teologi apofatici: invita non alla speculazione su Dio, ma a conformarsi a lui nella carità che conduce alla verità. Queste due, insieme, costituiscono la beatitudine. Ispirandosi al pensiero paolino e patristico, I. ama considerare la Trinità nella prospettiva dell'economia della salvezza. In questa contempla l'intera creazione come ordinata all'uomo predestinato e accompagnato dall'amore di Dio da un capo all'altro dell'esistenza. La redenzione, come solidarietà profonda tra Cristo Salvatore e il genere umano, fa di I. un teologo eminente del Corpo mistico: " Cristo è vissuto, ha sofferto, è morto, è risuscitato, non solo per noi, a nostro vantaggio e come nostro modello, ma come nostro capo, colui che ha assunto tutto l'uomo eccetto il peccato; e di conseguenza, noi dobbiamo vivere, soffrire, morire, risuscitare non solo come lui e con lui, ma in lui ". Nella prospettiva del Cristo totale si trova il fondamento della carità fraterna: bisogna cercare Cristo nella sua Unicità di persona con la contemplazione, ma anche nella molteplicità delle sue membra con le azioni caritatevoli. Poiché il Capo e le membra sono un solo Figlio e molti figli, dal punto di vista della maternità, Maria e la Chiesa sono una sola madre e due madri distinte, una sola vergine e due vergini distinte. Nessuna delle due, considerata isolatamente, dice I., fa nascere Cristo tutto intero. La mariologia di I. sviluppa in maniera originale il rapporto Maria-Chiesa: entrambe concepiscono dallo Spirito Santo e generano l'una il Figlio di Dio, l'altra i figli di Dio che sono uno con il Figlio unico.

Bibl. Opere: Sermones, Liber de Missa, De officio Missae, in PL 194, 1689-1896. Cf M.R. Milcamps, Bibliographie d'Isaac de l'Étoile, in Collectanea Ordinis Cistercensium reformatorum, 20 (1958), 175-186. Studi: E. Baccetti, Gli studi recenti intorno alla spiritualità dei Cistercensi del sec. XII, in Aa.Vv., Problemi e orientamenti di spiritualità monastica, biblica, liturgica, Roma 1961, 313-315; J. Debray-Mulatier, Biographie d'Isaac de Stella, in Citeaux, 10 (1959), 178-198; F. de Place, Bibliographie pratique de spiritualité cistercienne médiévale, La May-sur-Eure 1987; G. Raciti, s.v., in DSAM VII2, 2011-2038.

G. Gaffurrini

ISTERIA. (inizio)

I. Sindrome psicopatologica appartenente al gruppo delle nevrosi, caratterizzata da un insieme di sintomi organici e psichici. Si tratta di una forma psicopatologica conosciuta dai tempi più remoti. Deve, infatti, il suo nome ad Ippocrate ( 377 ca. a.C.), il quale riprese una teoria già enunciata da Pericle ( 429 a.C.), secondo cui l'i. era dovuta ad una sofferenza dell'utero (hysteros). Si credeva, pertanto, una malattia esclusivamente femminile a sfondo sessuale. Nel Medioevo, l'i. venne ritenuta uno dei segni della possessione diabolica. Tipica a tal riguardo fu l'affermazione di Benedetto XIV: " La convulsione delle membra è il segno dell'azione demoniaca ". Le credenze relative all'i. come malattia tipicamente femminile e a sfondo sessuale, strettamente collegata al " soprannaturale " (le isteriche venivano considerate o sante o streghe), resistettero fino al sec. XVIII. E, infatti, dalla fine del 1700 che vengono descritti i primi casi di isterici e iniziano le prime osservazioni mediche circa le possibili cause organiche dell'i.

Con gli studi di Charcot e Janet, prima, e di Freud e la psicanalisi in un secondo momento, l'i. si definisce sempre di più come una sindrome complessa le cui cause sono di natura psicologica. Il concetto classico di malattia isterica tende gradualmente a scomparire lasciando il posto ad interpretazioni che pongono in primo piano la personalità del paziente isterico e il suo rapporto con il mondo. La personalità isterica viene oggi descritta essenzialmente attraverso tre caratteristiche principali (De Santis, 1982): a. il modo di mettersi in rapporto con la realtà: l'isterico è sempre molto vulnerabile di fronte ad essa e può apparire o eccessivamente timoroso e timido o eccessivamente sicuro e forte; b. lo stile nei rapporti interpersonali, caratterizzato da suggestionabilità e volubilità che manifestano una profonda immaturità; c. il rapporto con se stesso, caratterizzato da un sentimento di autosvalutazione personale.

II. I quadri clinici attraverso cui si manifesta l'i. sono alquanto vari. Per comodità possiamo ricondurli a due principali manifestazioni: la conversione organica e la conversione psichica del conflitto psichico di base. Nella conversione fisica si evidenziano fenomeni molto simili a vere malattie neurologiche, come ad es. l'epilessia; è fondamentale, pertanto, per parlare di i. assicurare l'assenza di un evidente substrato organico che giustifichi la sintomatologia. I sintomi maggiormente riscontrati sono: paralisi persistenti anche se spesso irregolari come astasia, abasia, afasia, contratture muscolari, tremori; alterazioni della sensibilità che assumono le caratteristiche di vere e proprie anestesie; alterazioni sensoriali come cecità parziale, restringimento del campo visivo; manifestazioni viscerali, spasmi, alterazioni trofiche; astenia; disturbi sessuali come frigidità e vaginismo nelle femmine e impotenza ed eiaculatio precox nei maschi. Anche se oggi meno frequente, ciò che ha da sempre definito l'i. è l'attacco isterico, un episodio simile al " grande male epilettico ", ma caratterizzato da una grande teatralità. Esso è preceduto da fenomeni come palpitazioni cardiache, dolori addominali, bolo: il soggetto cade a terra in apparente stato di incoscienza. L'attacco continua con un periodo, di una ventina di minuti, di irrigidimento completo di tutto il corpo seguito da urla e movimenti che sembrano imitare scosse cloniche generalizzate. Nella conversione psichica si osservano frequentemente amnesie parziali riferite in modo particolare ad avvenimenti dolorosi (lutti, perdite, ecc.), o in rari casi globali: depressione, tono dell'umore triste accompagnato da forte ansia; stati crepuscolari.

G. Froggio

III. Nell'esperienza religiosa. I sintomi isterici, da un punto di vista diagnostico, a volte non sono facili da individuare perché hanno la funzione di mascherare qualcos'altro. La personalità isterica tende a simulare e inconsciamente usa la propria sintomatologia per nascondere (per evitare di riconoscere e di far riconoscere) la vera natura dei propri conflitti, bisogni e disagi.

Questa difficoltà psicodiagnostica si può ritrovare con una particolare complessità nella personalità isterica a orientamento religioso. L'isterico religioso manifesterà la sua difficoltà a riconoscere la natura dei suoi impulsi attraverso la proclamazione pubblica di principi morali rigidi e una religiosità integralista. Le sue liturgie saranno teatrali e tra i suoi paradossi non mancherà il proprio nascondimento esibizionista. Un'altra difficoltà psicodiagnostica dell'isterico religioso sta nelle sue manifestazioni più specificamente cliniche: presunti contatti con l'aldilà attraverso sogni, visioni e ispirazioni nei quali la propria persona ha sempre un ruolo di " tramite " tra la divinità e il suo popolo. In queste manifestazioni la personalità isterica a orientamento religioso si aspetta di essere creduta perché non accetta la possibilità che stia recitando un ruolo per nascondere il ruolo opposto. Una terza difficoltà diagnostica è quella pertinente il suo presunto misticismo con i fenomeni specifici che lo accompagnano: estasi, stimmate, sudori sanguigni e molte altre manifestazioni psicofisiologiche. In tutti questi fenomeni la sofferenza ha sempre un ruolo primario ed è importante prestare attenzione al significato che l'isterico presunto mistico dà al dolore proprio e altrui.

Le più recenti acquisizioni della psicologia clinica mostrano che molti fenomeni mistici possono essere riprodotti sia spontaneamente che artificialmente da personalità isteriche. Questo non può portare a concludere frettolosamente che tutti i mistici hanno una personalità isterica o che tutti i fenomeni mistici possono essere riprodotti artificialmente. Uno dei setting più frequenti nei quali si cerca di riprodurre artificialmente i fenomeni mistici è quello della trance ipnotica, nella quale la suggestionabilità del soggetto è molto più elevata. Un altro dato acquisito è la relativamente facile ipnotizzabilità della maggior parte degli isterici. Anche in questo caso, sarebbe frettoloso concludere che i mistici siano facilmente ipnotizzabili. Bisogna riconoscere che c'è ancora molto da approfondire.

La psicologia della religione, che è la disciplina di maggiore competenza in questo settore, ha un futuro arduo nel rispondere a quesiti tutt'altro che facili: se a nessuno è preclusa la via della mistica allora un isterico potrebbe essere un mistico " autentico "? In questi casi, una diagnosi differenziale è più che ardua. Anche dal punto di vista religioso, sia per le autorità che per i fedeli, una personalità isterica potrebbe contribuire a deviare dalla dottrina e dalla prassi originale, ma, allo stesso tempo, non si può escludere che Dio si serva anche di isterici per realizzare il suo piano di salvezza.

La collaborazione interdisciplinare e l'onestà dell'intelletto e del cuore sono i presupposti per un'adeguata impostazione di questi problemi.

A. Pacciolla

Bibl. D.W. Abse, L'isteria, in S. Arieti (cura di), Manuale di psichiatria, I, Torino 1969, 284-304; C. Brutti, L'isteria, in A. Massone (ed.), Elementi di medicina e psicologia pastorale, Varese 1969, 89-108; S. De Santis, L'isteria, in G.C. Reda (cura di), Trattato di psichiatria, Firenze l982, 163-179; J. Lhermitte, Mistici e falsi mistici, Milano 1955, 145-181; G.G. Pesenti, Isterismo, in DES II, 1359-1360; H. Thurston, Fenomeni fisici del misticismo, Alba (CN) 1956, 167-173; R. Zavalloni, Le strutture umane della vita spirituale, Brescia 1971.

ITALIA. (inizio)

Premessa. Nei primi secoli dell'era cristiana, con la diffusione e il consolidamento della fede nelle regioni della penisola italiana si ha il formarsi, in ognuna di esse, di un patrimonio proprio cristiano segnato, in un primo momento, dall'incontro tra la fede cristiana e il carattere delle singole popolazioni, sviluppato poi negli aspetti concreti del rapporto fede e vita.

La pietà di queste popolazioni si sviluppa come altrove nel mondo cristiano, mentre l'ascesi e la ricerca più profonda di Dio si nutrono con la spiritualità del martirio e della verginità, presente nelle prime generazioni cristiane e ripresa poi anche dal movimento monastico che, con la sua ampia diffusione nell'antichità cristiana e nell'alto Medioevo, svolge il ruolo di protagonista e guida della vita spirituale, legata profondamente alle fonti biblico-patristiche.

Se, nell'alto Medioevo, da una parte è possibile conoscere le più cospicue espressioni della spiritualità monastica, d'altra parte non sono molte le testimonianze sulla vita di pietà delle popolazioni italiane. Tale silenzio esprime anche l'esistenza di un diffuso scarso interesse per la vita spirituale. Ciò è dovuto, infatti, non solo alla distruzione di gran parte della documentazione relativa ad essa, ma anche all'ignoranza, alle precarie condizioni di vita, al basso livello di aspirazioni spirituali, a numerosi comportamenti immorali nel clero, a diffusa superstizione, contro cui lottavano Concili e Sinodi provinciali e locali.

I. I secc. IX-X. Già dal sec. IX, comunque, è possibile notare una caratterizzazione della vita di pietà del popolo attraverso il crescente culto mariano, il dilagante fenomeno delle reliquie e il devoto pellegrinaggio. Per la devozione mariana si può ricordare l'opera di monaci greci in Roma. L'interesse e il culto delle reliquie assumono aspetti eclatanti rispetto alle forme precedenti; si registrano così clamorose traslazioni di reliquie (per es. nell'anno 829 il corpo di s. Marco da Alessandria a Venezia, nel 1087 quello di s. Nicola da Mira a Bari); non mancano sensazionali furti di reliquie e si ha pure la propagazione di false reliquie, come quella del Sangue di Cristo a Mantova, di cui lo stesso Carlo Magno ( 814) chiedeva informazioni a papa Leone III ( 816). Meta dei pellegrini, che trovavano ospitalità presso i monasteri ubicati lungo le strade più frequentate, erano i santuari dispersi lungo la penisola che di fatto costituivano centri di pietà e di fede. E il pellegrinaggio verso Roma, in cui la tradizione cristiana si univa, esaltandola, a quella imperiale, continuava il ricordo e la celebrazione della romanità.

Sul finire del primo millennio la cristianità italiana, specialmente nel meridione con l'incontro di civiltà e di popoli diversi, accosta tra loro varie tradizioni spirituali. Un indizio di ciò è la diffusione, in traduzione, di due testi greci (la Vita di S. Maria Egiziaca, e la Penitenza dell'arcidiacono Teofilo). La rifioritura di queste e di altre forme letterarie intese a edificare l'animo devoto e popolare, dev'essere inquadrata nel rinnovato fervore religioso che rianimava, sotto la spinta di papi e sovrani franchi, tutta la " societas christiana ", con riflesso anche nell'arte religiosa, collegata alla tradizione paleocristiana e su cui si innesterà lo sviluppo vigoroso dell'architettura sacra nello stile preromanico e poi romanico.

II. I secc. XI-XII. L'evoluzione delle condizioni generali di vita, la maturazione della coscienza religiosa, lo sviluppo delle scuole e delle Università, l'affermarsi della riforma gregoriana e la diffusione di nuove istituzioni in campo ecclesiastico e civile costituiscono i fattori che determinano nei secc. XI-XII lo sviluppo in Italia di un ricco e complesso mondo spirituale, legato ancora all'universalismo medievale. Nelle sue espressioni più rilevanti e multiformi è possibile cogliere alcune costanti.

La tradizione biblica e patristica viene riassimilata nel quadro di una " dottrina sacra ", base e coronamento della vita spirituale. Alla riflessione si unisce un tono di " affetto ", in cui affiora una nuova sensibilità religiosa, come sta accadendo parallelamente in Francia. Alla riflessione sull'Incarnazione si unisce la discussione sulla creazione dell'uomo, sul senso della vita e sulla posizione delle singole categorie dei fedeli nell'unica società dei credenti. Ci si interroga pure circa i rapporti tra il potere ecclesiastico e quello civile, tra storia ed escatologia e si partecipa in modo vasto e con passione al dibattito suscitato da voci di dissenso in campo dottrinale e teologico e dai vasti movimenti socio-religiosi del tempo; mentre si centra anche l'attenzione sul problema dello studio delle lettere e del suo ruolo nell'ascesa verso Dio. In questo contesto non mancano scrittori che, nel solco dei Padri della Chiesa, cercano un accordo tra cultura e desiderio di Dio, tra speculazione filosofico-teologica e vita interiore.

Negli ambienti monastici e canonicali del tempo, e in particolare in quello cistercense, è uso comune la riflessione sapienzale sulle Sacre Scritture, commentando il testo sacro con la Bibbia stessa, e al tempo stesso si assicura l'unione tra teologia e spiritualità, tra fede e contemplazione. Gli sviluppi della cultura religiosa, con i contributi di s. Bruno di Segni ( 1123) e di s. Pier Damiani, orientano verso l'approfondimento dei testi biblici in senso spirituale ai fini di una contemplazione che anima le numerose correnti ascetiche del tempo e che si rifà alla concezione origeniana. La familiarità con la Bibbia aiuta anche a trasformare in immagini mistiche ogni realtà. E, con base nella tradizione classica e alla luce della rivelazione cristiana, si considera e si contemplano la natura e il creato, giungendo alla scoperta di un universo simbolico, dal pregnante significato spirituale, allusivo di realtà superiori.

Da un punto di vista generale, quindi, pur non mancando zone d'ombra, si può affermare che nei secc. XI-XII la cultura e la spiritualità dell'ambiente italiano dipendono da tre fonti: natura, tradizione letteraria e rivelazione (Bibbia e Tradizione-Padri). Nel meridione, poi, ancora si avvertono gli influssi di origine bizantina.

Lo sviluppo della cultura e delle discipline sacre in quel tempo però non esauriva tutti i problemi della riforma della Chiesa in relazione alla vita spirituale del popolo di Dio. In particolare quello della cura delle anime da parte di zelanti e santi pastori, e in questo contesto si rifletteva sulla funzione regale, sacerdotale e profetica della Chiesa, di cui i santi e gli uomini spirituali erano considerati i principali esponenti. Tra questi emerge la figura emblematica, anche se ambigua, di Gioacchino da Fiore ( 1202).

Ad alimentare la pietà individuale iniziavano poi a circolare raccolte di preghiere, che si aggiungevano alla diffusione dei " miracula et exempla " e dei " leggendari ". In mezzo al popolo, oltre a continuare la devozione mariana stimolata pure dalla nascita di nuovi santuari, si diffondono le correnti dei pellegrinaggi a Compostella e a Roma, nonché in Terra Santa, mentre la considerazione dell'umanità di Cristo spinge al desiderio di associarsi alla sua passione, specialmente attraverso la flagellazione, la cui pratica avviene non solo fra i monaci e gli eremiti, ma anche fra ecclesiastici e laici, nobili e non. E sono proprio i laici ad acquistare, nella vita spirituale del tempo, un posto sempre più significativo nella Chiesa e un ideale comunitario, caratterizzato da precisi impegni di preghiera e di carità, di assistenza e di ospitalità, specialmente attraverso la vita associativa in confraternite già dal sec. XI e in altri gruppi di uomini e donne, coniugati e celibi, nella seconda metà del sec. XII.

III. Dal sec. XIII al XV. Nel corso del sec. XIII, segnato da un forte clima estatico ed ascetico, si presentano soprattutto il grandioso fenomeno della nascita e del rapido sviluppo degli Ordini mendicanti e l'altro, non meno complesso, dei moti pauperistici e caritativi e degli sconvolgimenti mistico-sociali. Ai mendicanti si deve un particolare e notevole apporto nel rendere più accessibile il patrimonio spirituale della tradizione cristiana con traduzione di testi in volgare. E i maestri di questi stessi Ordini contribuiscono non poco allo sviluppo della teologia, che giunge al suo culmine nelle grandiose sintesi di cultura e di pensiero di s. Bonaventura e di s. Tommaso d'Aquino, pur diverse tra loro. Accanto a questo poderoso sviluppo del pensiero teologico - che si andava però articolando verso indirizzi e metodi sempre più speculativi, i quali con il passare del tempo condurranno ad una scissione tra teoria e prassi di vita - nello stesso sec. XIII si ebbe una vasta fioritura della spiritualità.

Con il Cantico delle creature e con altri scritti s. Francesco viene ad offrire una nuova visione globale e radicale del creato, con superamento della precedente tradizione ascetica del " contemptus mundi ": egli contempla e canta con piena libertà tutto il creato, e pone in evidenza il rapporto nativo tra Dio e la creazione, la fiducia nella paternità divina con cui l'uomo può rivolgersi a Dio, sperimentare e costruire la fratellanza universale. Le prime generazioni francescane, infiammate dall'esempio e dall'insegnamento del loro padre serafico, sviluppano " il sentire vicine tutte le cose e il farsi sentire vicine ad esse, il partecipare di ogni gioia e di ogni dolore, il risolvere ogni contrasto nella pacificazione dell'animo ", quindi attuano, in opposizione alla dottrina catara, la riconciliazione con il creato, che diviene passo verso la contemplazione divina e rivivono nella preghiera e nell'amore, le sofferenze di Cristo crocifisso.

Su queste linee Bonaventura da Bagnoregio giunge, poi, a costruire un vero e proprio sistema o itinerario spirituale di cui la chiave è il desiderio di Dio. Tale percorso è intrapreso dall'uomo spirituale nell'ascesa dal creato all'increato e si nutre di devozione e ammirazione all'umanità di Cristo. Altra espressione vigorosa della spiritualità fiorita nella famiglia francescana è quella della b. Angela da Foligno, dalla forte e ricca esperienza estatica e dall'originalità e singolarità della concezione cristocentrica del cammino ascetico che sfocia nell'unione mistica con Cristo stesso mediante un'integrale e perfetta unità con Dio concepito come Bontà e Bellezza, mentre, all'interno della corrente degli spirituali, uno dei più noti laudesi del Medioevo, il poeta mistico Jacopone da Todi, riprende il motivo ricorrente dell'epoca sull'" albero della contemplazione ", in cui è simbolizzato l'itinerario spirituale nell'ascensione a Dio fino all'unione con lui. Lo stesso Jacopone sottolinea la considerazione delle sofferenze di Cristo come invito alla penitenza rigorosa, al distacco e all'annichilimento. Voce dello spiritualismo minoritico del tempo, contribuisce all'accentuazione dell'amore fino a piangere perché " l'Amore non è amato". L'unione mistica si effettua per mezzo dell'amore.

Sulla scia di questo tipo di letteratura, pie donne, specialmente terziarie, sono promotrici di una mistica pratica, fondata sulla consacrazione a Cristo attraverso la penitenza e la contemplazione estatica, come ad esempio è dato riscontrare in s. Margherita da Cortona ( 1297).

L'apporto, invece, più cospicuo nell'ambito dei domenicani è rappresentato dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze ( l298). Tale opera, dal tenue e delicato gusto evocativo cui si aggiungono in qualche momento elementi drammatici ed ingenui, conosce una vasta diffusione nei secc. XIII-XIV anche per via d'un volgarizzamento italiano, cui tennero dietro traduzioni in tutte le lingue.

È pure da ricordare come nel sec. XIII, per vari fattori tra cui il miracolo di Bolsena (1263) e altri simili in altre località, si ha una crescita e uno sviluppo decisivo del culto eucaristico. In breve, si avverte il problema della frequenza alla Comunione, di cui tratta anche s. Bonaventura. Comunque, la Comunione quotidiana o frequente rimane ancora un fatto non comune. La devozione all'umanità di Cristo, che si afferma sempre più anche per i rinnovati contatti con i luoghi santi della Palestina, viene testimoniata da intitolazioni di chiese e di monasteri, mentre con esplicito richiamo alla devozione mariana, incrementa le forme di pietà, come quelle tipiche della " compassio " e del " planctus ".

Rispetto a questo altissimo clima estatico ed ascetico, l'atmosfera del sec. XIV appare caratterizzata da una maggiore calma. Certamente non mancano personaggi e slanci di vibrante ardore mistico (è sufficiente qui ricordare s. Caterina da Siena) o di accesi momenti pauperistici (come fu l'azione dei gesuati). Nel suo complesso però la vita religiosa e spirituale si esprime all'interno di una società borghese e comunale più solida e compatta, favorendo, con il superamento di molti conflitti rivoluzionari, un maggior peso della meditazione ascetica rispetto all'entusiasmo e al fervore nascenti dalle visioni mistiche ed estatiche. Ciò viene confermato dal paragone tra la visione poetico-religiosa della Commedia di Dante ( 1321) (con cui si può ritenere conclusa la letteratura religiosa del Duecento) e quella di Petrarca ( 1374), priva di slanci eccelsi e tutta raccolta in sé, in un'analisi-colloquio della propria coscienza che vuole collegarsi spiritualmente e culturalmente con il " classico " della confessione ascetica, s. Agostino. I commentatori della Commedia dantesca, accanto ad influssi e imitazioni, si mostrano nei riferimenti religiosi più attratti da aspetti allegorici o da alcuni elementi sparsi. Si diffondono anche poemi allegorico-didattici, come il Quadriregio del vescovo domenicano Federico Frizzi, le rime di Simone Serdini, e persino la poesia giocosa di Pieraccio Tebaldi. Non mancano poi accenti religiosi, seppur frammentari e saltuari, in altra produzione poetica del tempo, come nelle liriche di Giannozzo Sacchetti o nei versi freschi ed ingenui di Antonio Pucci.

Guardando alla vera e grande letteratura religiosa del sec. XIV si può notare che continuano le laudi sacre, di ispirazione teologica precisa e di pregevole espressione linguistica (come ad esempio la produzione di Bianco da Siena e quella fiorita negli ambienti dei flagellanti). Contemporaneamente, si accentua il carattere della spettacolarità delle rappresentazioni sacre, come avviene ad esempio ad Orvieto e in altre città. Contro tale tendenza si ha la reazione della corrente devota dei Bianchi, che tenta anche di rinnovare questa produzione sacra improntandola maggiormente al rinnovamento della società cristiana, da esprimersi in precise attività caritative.

È anche da segnalare la diffusione della traduzione in volgare di capolavori dell'epoca, quali la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia ( 1378), e la volgarizzazione di antiche Regole e costituzioni monastiche. Specialmente in Sicilia si hanno pure versioni delle opere di s. Gregorio, mentre in altre regioni si hanno traduzioni di s. Agostino e di Padri greci, apocrifi e di preghiere (tra cui Anima Christi). Pure significative per l'influsso esercitato in correnti eterodosse sono le versioni dello Specchio delle anime semplici, e di scritti di Arnaldo da Villanova ( 1311), caratterizzati da uno spiritualismo esagerato e da mistica iniziatica e che hanno una discreta accoglienza in alcuni ambienti religiosi.

Gli aspetti e le forme della migliore produzione letteraria religiosa si colgono negli ambienti degli Ordini religiosi, soprattutto tra i domenicani e i francescani. Di questa produzione senz'altro la più notevole è quella legata a s. Caterina da Siena, dall'ammirevole comunicazione della sapienza acquisita nell'assimilazione dei misteri della fede rivissuti mediante carismi particolari. Vicino ad essa è da ricordare il suo fedele discepolo Neri Paliaresi.

Ancora nell'ambito domenicano, con notevole capacità di rendere i fatti religiosi materia quotidiana d'esperienza e di vita, senza con questo allontanarsi da solida dottrina, è da ricordare Domenico Cavalca, con la sua volgarizzazione delle Vita dei santi Padri e i suoi scritti ascetici originali; Jacopo Passavanti ( 1357), a cui si deve lo Specchio di vera penitenza. E infine: Bartolomeo di S. Concordio, autore di scritti didattici, e il predicatore Giordano da Pisa, dall'ampia cultura e ricchezza spirituale, che diffuse in meditazioni ascetiche e nella fustigazione dei costumi della società del suo tempo.

Un cospicuo numero di autori spirituali caratterizza, con gli aspetti della passione, lo svolgimento della mistica in ambito francescano, come Giacomo da Milano, con il suo Stimulus amoris; Giovanni della Verna ( 1322), coi Gradi dell'anima; Ubertino di Casale ( 1328 ca.), autore dell'Arbor vitae crucifissae e Angelo Clareno ( 1337) con le sue profonde meditazione politico-ascetiche. Si può anche ricordare Ugo Panziera ( 1330), che tratta dei rapporti tra vita attiva e vita contemplativa. Invece, al ricordo e alla trasmissione del messaggio di s. Francesco sono legati i celebri Fioretti e lo Speculum perfectionis.

Tra gli agostiniani si diffondono le prime opere spirituali scritte da membri del loro Ordine, tra cui quelle dovute a Anselmo da Treviso, Simone Fidati, Gerolamo da Siena, Filippo degli Agazzari. Proviene invece dall'ambiente carmelitano Guido da Pisa, mentre all'interno dei servi di Maria si diffonde la gentile e preziosa Legenda de origine. Per il mondo monastico si può ricordare il vallombrosano Giovanni dalle Celle ( 1396 ca.). Il riferimento alle figure più notevoli del sec. XIV può chiudersi con il ricordo del fondatore dei gesuati, il b. Giovanni Colombini, dal marcato cristocentrismo e della conciliazione della vita ascetica ordinaria con quella mistica fino all'unione.

Nel campo della pietà popolare, la devozione eucaristica continua a diffondersi, seppure in modo diverso secondo le regioni. Grande diffusione hanno poi nel frattempo confraternite, terz'ordini e pie congregazioni laicali, mentre centri di pietà e meta di pellegrinaggi continuano ad essere i santuari sparsi per la penisola, tra cui emerge quello di Loreto. L'origine di questi santuari era spesso legata al ritrovamento di qualche immagine mariana, come a Cesena (1318), a Montenero (1345), a Bonaria (1370). A volte lo sviluppo del culto mariano era tributario dell'opera svolta da zelanti pastori, come fece s. Andrea Corsini ( 1373) per il santuario di Primerana.

Nel sec. XV, pur nella continuità degli influssi della letteratura religiosa e spirituale precedente, spesso ricorrono, in ambito claustrale e anche in quello laicale, termini nuovi come " devozione ", " vita devota " e simili, con cui si indica quel particolare atteggiamento spirituale che va diffondendosi e che si caratterizza in senso più individualistico e intimo, meno sacramentale e comunitario, e che è debitore almeno in parte della corrente della Devotio moderna diffusa specialmente attraverso la Imitazione di Cristo, i cui primi volgarizzamenti avvengono nelle regioni del Veneto e della Toscana, e nel bolognese e nel mantovano.

Pur con i limiti sopra evidenziati, l'atteggiamento " devoto " non ripiega su se stesso, ma diviene spinta alle più svariate opere caritative e apostoliche. La pietà e la carità vengono strettamente unite tra loro e suscitano anche nuovi fermenti nel mondo monastico e laicale e la loro attuazione costituisce una delle pagine più belle della spiritualità di quest'epoca.

Le principali questioni dell'epoca trovano un buon approfondimento negli scritti più in voga. Tra gli autori, prima di tutto, è da ricordare il domenicano b. Giovanni Dominici ( 1419), figura complessa di predicatore, letterato, riformatore, mistico e uomo di governo. Oltre alla sua pietà mariana, che raggiunge il vertice d'espressione nel suo commento al Magnificat, egli svolge un ampio programma ascetico in cui si vedono l'eredità cateriniana e quasi un anticipo dell'ideale riformatorio savonaroliano.

Girolamo Savonarola ( 1498), dalla personalità complessa e oggetto di valutazioni contrastanti tra gli studiosi, pur ancorato alla concezione medievale apre e prelude a nuovi temi (tra cui per esempio quello sulla preghiera in cui è uno dei precursori dell'orazione metodica) in più punti del suo programma ascetico e del suo misticismo. Nel contesto del dibattito spirituale dell'epoca egli difende in modo tenace e impetuoso il primato assoluto del soprannaturale, contemplato nel Vangelo e in Cristo. Infatti, la maggioranza dei motivi spirituali ricorrenti nei suoi scritti è legata profondamente all'ansia di rinnovamento etico-religioso che ha caratterizzato la sua azione in Firenze e che fa rivivere in lui, sotto certi aspetti, uno spirito agostiniano nell'accentuazione soteriologica del problema dell'uomo e della vita pur in un contesto dottrinale tipicamente scolastico e quasi in risposta ad esigenze dell'umanesimo fiorentino del tempo.

Negli scritti di s. Bernardino da Siena, invece, si colgono figure e apologhi della quotidianità sulle vie e sulle piazze. Attraverso un linguaggio che si fa eco profonda dell'animo popolare, egli sviluppa un forte cristocentrismo espresso nella devozione al Nome di Gesù mediante il trigramma iscritto nel sole. Tra gli altri temi ricorrenti la letizia e la semplicità, messe in opposizione ai vizi del tempo denunciati senza mezzi termini.

S. Lorenzo Giustiniani dà ampio spazio, nel suo pensiero dottrinale, ad una problematica della vita spirituale su cui viene attirata l'attenzione degli spirituali: gli aspetti affettivi o quello devozionale; si può notare anche in lui ancora l'influsso di filoni precedenti risalenti a s. Bernardo e a s. Benedetto. Nelle sue opere ascetiche, in cui rivisita in modo ancora valido e realista tutto il patrimonio ascetico tradizionale, reagisce al clima mondano che si andava diffondendo nei chiostri a causa del conventualismo e, d'altra parte, cerca di evitare infiltrazioni di correnti spiritualistiche anch'esse pericolose.

Al superamento di una certa dicotomia negli stili di vita, si pone l'esempio dato da una santa, Francesca Romana, la quale concilia al massimo l'ardore della carità con la vita contemplativa.

Sul piano letterario abbondano sermoni, testi originali e versioni dal latino, commenti in volgare del Cantico dei Cantici (come quello composto da Isaia d'Este), regole e statuti di confraternite, compilazioni di carattere antologico e scritti di edificazione per gruppi ruotanti all'ombra degli ordini mendicanti. Così al servita Ambrogio Spiera da Treviso ( l455) si deve una " riegola " in volgare ad uso di gruppi femminili all'ombra del suo Ordine; e al carmelitano Nicolò Calciuri ( 1456) si deve una Vita Fratrum de sancto Monte Carmelo, dal tono edificante e in cui sviluppa, sulla scorta del simbolismo della salita al monte, un dialogo sulla vita spirituale, divisa nei tre gradi tradizionali degli incipienti, proficienti e perfetti.

Nell'ambito della devozione mariana si producono varie parafrasi dell'Ave Maria, fino a giungere alla fine del sec. XV alla sua forma completa composta dal servita Maria Gasparino Borro. Da Sisto IV ( 1484) in poi i papi favoriscono la diffusione della devozione del rosario come salterio mariano. Assai copiosa risulta pure tutta una produzione di testi devozionali mariani, tra cui laudi e uffici liturgici prodotti specialmente dai servi di Maria che diffusero pure la devozione ai sette gaudi della Vergine. Nel campo artistico e iconografico si diffonde molto il tipo della Misericordia, e continua la progressiva umanizzazione della figura della Madonna, mentre ricevono incremento pure le rappresentazioni dell'incoronazione della Vergine e il tema dell'Immacolata Concezione, in parallelo alla pietà popolare e alle discussioni teologiche del tempo.

In campo cristologico, la devozione al Nome di Gesù, diffusa ampiamente, come ricordato, da s. Bernardino da Siena e dai suoi discepoli, nonostante incomprensioni e difficoltà, viene fatta propria da alcune correnti riformiste, mentre la devozione a Gesù Bambino è assai viva nell'ambiente domenicano in Firenze. Sul tema della passione non mancano testi significativi di predicazione a cui vanno aggiunti un poemetto in volgare dovuto a Antonio Cornazano, il maggiore umanista piacentino di quel tempo, e l'opuscolo, di pura marca francescana, I dolori mentali di Gesù nella sua passione scritto dalla b. Camilla Battista da Varano e che ebbe una larga diffusione.

Nella spiritualità del tempo è pure forte il senso della morte con la conseguente vasta diffusione di un proprio genere letterario, le varie " Ars moriendi ", di cui si ricorda specialmente quella dovuta al card. Capranica. Con l'esame della produzione italiana, si può però affermare che questo fenomeno assume aspetti di maggiore serenità e pacatezza rispetto ai relativi esempi d'Oltralpe.

Come nel secolo precedente, è assai rara la frequenza alla Comunione, anche presso i fedeli più praticanti e gli stessi religiosi. Singolare appare ancora la consuetudine di comunicarsi quotidianamente, come faceva ad esempio s. Caterina da Genova, mistica più teocentrica che cristocentrica, dalle intuizioni vertiginose.

IV. I secc. XVI-XIX. La spiritualità italiana nel sec. XVI appare in continuità con il periodo precedente e presenta anche un rapporto, a volte non molto diretto e immediato, con le vicende contemporanee e con la mentalità che si va formando. L'anima religiosa italiana di quest'epoca si esprime maggiormente rispetto al passato in una vasta fioritura di santità e di esperienze mistiche, con ricchezza di correnti e di figure più o meno grandi, di uomini e donne, di laici ed ecclesiastici. Rilevanti in questo contesto sono le esperienze di gruppi e il sorgere di centri di spiritualità, specialmente nella fase immediatamente pretridentina. Tra questi centri, che spingono alla riforma della Chiesa, sono l'Oratorio del Divino Amore, il gruppo di Brescia, il circolo del Giustiniani, l'oratorio dell'Eterna sapienza, nonché le tendenze molteplici presenti nell'evangelismo italiano, che si alimentava con la lettura di un testo divenuto punto di riferimento di tali tendenze: il Trattato utilissimo del beneficio di Gesù Cristo Crocifisso verso i cristiani composto sembra da Benedetto da Mantova verso il 1540. In questo discorso possono anche ricondursi le riforme interne degli Ordini monastici e mendicanti e l'impulso costituito dalle nuove istituzioni religiose.

Anche se esistono aree ancora in parte non esplorate dagli studiosi, è dato cogliere non pochi campi ricchi di suggestioni, di prospettive e di ipotesi di lavoro. In base alle attuali conoscenze è possibile avere già una sintesi orientativa a largo raggio sulla spiritualità italiana di quest'epoca che riflette le tematiche più ricorrenti negli autori spirituali.

Vi è una maggiore attenzione, rispetto ai periodi precedenti, a Cristo redentore e capo del Corpo mistico, e in particolare il discorso s'incentra sulla sua umanità e sulla sua passione. Il ritorno, poi, alle fonti della fede cristiana trova il suo centro di maggiore interesse nella persona, nel pensiero e nell'attività di s. Paolo. L'accento posto contro l'edonismo rinascimentale conduce ad un disprezzo del mondo, della gloria e delle gioie terrene, con conseguente distacco da esse unito alla mortificazione e alla penitenza. Il combattimento spirituale viene presentato come lotta contro l'amor proprio, la tiepidezza e la curiosità, e come esigenza di purificazione totale per imitare la passione e la morte di Gesù Cristo, Figlio di Dio. La corrente volontaristica appare la più diffusa tra gli autori del tempo, mentre è scarsamente presente la corrente a carattere dionisiano o contemplativo o dianoetico. La pratica della virtù, l'unione con Dio e, di conseguenza, la conoscenza dei misteri divini sono subordinate all'amore. Si hanno così le affermazioni vigorose del " tenero amore " nei misteri e nelle mistiche dell'epoca, mentre si sviluppano nuovi esercizi della vita interiore e si diffonde la meditazione metodica. L'orientamento gesuitico determina una nuova impostazione della direzione spirituale. L'" ars moriendi ", che subisce una evoluzione nella sensibilità collettiva, determina una spinta o stimolo al " ben vivere ", tenendo conto non solo del proprio cammino individuale, ma anche del bene comune; e ciò è dato osservare specialmente in pratiche e scritti diffusi nell'ambito claustrale maschile e femminile.

L'esperienza spirituale continua ad esser resa fattiva con la carità e l'azione apostolica. In questo contesto, specialmente dopo il Concilio di Trento, specifiche tematiche sono svolte attraverso la predicazione, la catechesi e l'ideale sacerdotale. Appaiono anche elementi nuovi con riferimento alla donna e alla vita consacrata, prima e dopo Trento.

L'aspirazione però più profonda, pratica e vitale, tesa anche all'azione, alla visione e all'acquisto delle virtù e alla salvezza delle anime, è la riforma della Chiesa, anche come reazione alla crisi protestante. Allo stesso tempo, la diffusione di notizie sull'evangelizzazione fuori Europa nutre uno spirito missionario che spesso ha riflessi sulle vocazioni religiose.

Riguardo alle forme di pietà, oltre all'incremento delle precedenti, si assiste alla fioritura di nuove devozioni. La pietà eucaristica conduce sempre più alla comunione frequente, e incrementa il culto eucaristico (Quarantore, processioni, confraternite del SS.mo). L'amore al Crocifisso viene espresso continuando e sviluppando i precedenti ricordi devozionali, drammatici e musicali della passione e si hanno pure l'origine e la diffusione della pratica della Via Crucis.

Il Cinquecento italiano è assai fecondo di scrittori spirituali. Tra i minori appaiono maggiormente aspetti moraleggianti, mentre negli autori maggiori sono più presenti gli orientamenti mistici. La circolazione di testi spirituali e il viaggiare favoriscono gli scambi con le realtà spirituali di altri paesi.

Tra le figure emblematiche della spiritualità italiana del Cinquecento si possono ricordare: Battista da Crema, per l'atteggiamento combattivo, sacramentale, cristocentrico, apostolico, volto all'interiorità e sfociante nell'amor puro; Paolo Giustiniani, per il ripudio della mentalità e dei costumi umanistici; Gaetano da Thiene ( 1547), per la sua grande austerità; s. Caterina da Genova, per l'amor puro di Dio; s. Caterina de' Ricci, per l'amore al Crocifisso; Achille Gagliardi, per l'annichilazione più profonda dell'uomo e la sua deificazione; Lorenzo Scupoli per la lotta all'amor proprio fino all'amor puro di Dio; Filippo Neri come il paradosso della riforma cattolica; Maria Maddalena de' Pazzi, per le estasi in cui la contemplazione dell'amore di Dio, della Trinità e di Cristo si unisce ad una profonda preoccupazione per il rinnovamento della Chiesa.

Contrariamente a quanto spesso si afferma (a causa del preconcetto secondo cui la controriforma e il barocco avrebbero ucciso lo slancio interiore e ridotta la vita spirituale a puro conformismo e legalismo senz'anima e senza convinzioni), studi recenti hanno posto in luce come nella fase immediata post-tridentina e nella prima parte del sec. XVII l'apporto di questi autori spirituali sia influente in maniera cospicua, mentre si vengono a collegare ad essi nuovi indirizzi e progressivi sviluppi. Non pochi dei nuovi autori sono mossi da una fertile inventività che, pur muovendosi nel pieno sviluppo della cultura barocca e anche in confronto con la pietà popolare, presenta una propria visione del mondo spirituale e tende a superare ogni limite per l'appagamento dei più profondi desideri dell'anima nel cammino dell'unione con Dio.

L'ingente e molteplice produzione in Italia di scritti religiosi e spirituali, che caratterizza quasi tutto il sec. XVII, viene affiancata anche, in risposta ad una grande fama di conoscenza della vita interiore, da una larga diffusione nella penisola di traduzioni di opere dei mistici stranieri. Tutto ciò determina una carica spirituale che si diffonde con spinta verso i supremi vertici dell'esperienza spirituale " cercando più d'amare che di sapere ". In tale contesto si attenuano le preoccupazioni d'ordine dogmatico, si accentuano le preoccupazione ascetico-morali e l'attenzione ai desideri spirituali fino al paradosso, e si alimenta un vivissimo senso religioso caratterizzato dai contrasti: gioia-dolore, grazia-peccato, luce-oscurità. Caratteristico è pure l'apporto delle donne consacrate, sostenute da una notevole quantità di operette devozionali: le loro cospicue testimonianze spirituali affidate spesso in forma di diario e di meditazioni-elevazioni vengono a formare un filone letterario destinato ad un notevole sviluppo.

In larghissimi strati della popolazione, sotto l'influenza dell'indirizzo moraleggiante ed ascetico, la pietà assume un tono ancor più spiccatamente devozionale, come avviene nelle pratiche verso l'Eucaristia, l'infanzia di Gesù, le piaghe del Signore, la Vergine Santa, s. Giuseppe e i santi, le anime purganti, e in quella dell'angelo custode caratteristica di quest'epoca, come pure nella ricerca di scapolari, abitini, medaglie e altri oggetti di devozione. Tale pietà popolare, alimentata anche dalla nuova fioritura delle confraternite e dall'incoronazione delle icone mariane, lascia le sue tracce anche nell'arte, nei complessi architettonici e nell'iconografia, soprattutto nelle stampe popolari.

Nella mistica si viene, invece, osservando sempre più il crescere fino a diventare dominante della partecipazione attiva e passiva alle sofferenze di Cristo, ai suoi sentimenti più intimi fino a giungere all'unirsi alla sua espiazione per i peccatori e per tutto il mondo. In questo contesto, la contemplazione dell'amore del Salvatore porta a valorizzare ancor più la devozione del Cuore di Gesù, che ne è simbolo. In questo sviluppo, pur continuando l'influsso proveniente da s. Bonaventura, dalla b. Angela da Foligno e da altri autori precedenti, si vengono a connotare aspetti propri e caratteristici e il discorso viene impiantato e centrato su Cristo redentore e Capo del Corpo mistico, luce divina e verità dell'anima, ma anche non dimentica l'aspetto trinitario, come ben esprime il Breve trattato sulla vita commune de' regolari della monaca carmelitana Serafina di Dio ( 1699), sulla comunità religiosa a immagine della SS.ma Trinità.

Nel corso del sec. XVII si sviluppano anche numerose scuole di spiritualità, sovente legate ad un ordine religioso particolare e influenzate anche dalla produzione mistica spagnola, tedesca, francese e fiamminga. Assai interessanti sono le tipologie spirituali svolte da vari autori di queste scuole. La famiglia francescana, oltre a Mattia Bellinanti da Salò ( 1611), forse il maggior teorico della contemplazione discorsiva a cavallo tra il sec. XVI e il seguente, presenta: il conventuale s. Giuseppe da Copertino ( 1663), in cui follia e idiozia sono come luogo dell'esperienza spirituale e i minori riformati Bartolomeo Cambi da Saluzzo ( 1617), indagatore attento della contemplazione infusa, e Carlo da Sezze, cantore appassionato dell'amore di Dio nel cammino verso la contemplazione nel suo Trattato delle tre vie della meditazione; e il cappuccino Tommaso da Olera o da Bergamo che, nel suo Fuoco d'amore mandato da Cristo in terra, intesse il canto della vita interiore. Sulla stessa linea si pone il Viaggio dell'anima per andare a Dio di Mattia da Parma ( 1676), anch'egli cappuccino. Tra i domenicani si notano: Ignazio del Nente, con la voluminosa opera Della tranquillità dell'animo (1642), Domenico Gravina con il suo Lapis Iydius ad discernendas veras revelationes a falsis (1638), e Giovanni Maria Bertini per la sua Teologia mistica secondo la dottrina di S. Tommaso, pubblicata nel 1668. I carmelitani scalzi sono rappresentati in modo particolare da Simeone di S. Paolo ( 1622), da Baldassare di S. Caterina ( 1673). I gesuiti, la cui scuola è orientata principalmente verso l'ascetica, si fanno presenti, oltre che con Segneri e Bartoli, anche con Nicola Zucchi ( l670), Tommaso Auriemma ( 1671) e particolarmente con Virgilio Cepari ( 1631), teorizzatore dell'esperienza di Dio nella vita spirituale, e Giovanni Pietro Pinamonti ( l703), marcato dall'ottimismo cristiano. Nuovi apporti riceve, poi, l'antica tradizione monastica dai pregevoli scritti del card. Giovanni Bona. Rapimenti, estasi ed altri fenomeni mistici presentano le esperienze di Giacinta Maresciotti ( 1640), Giovanna M. Bonomo ( 1670), Chiara Maria della Passione ( 1675) e di M. Diomira del Verbo Incarnato ( 1677).

Di fronte però al diffondersi di simili fenomeni estatici e mistici, specialmente nei monasteri femminili, si denunziano i pericoli dei " gusti " interiori e si diffonde una certa prevenzione contro le manifestazioni straordinarie nella vita spirituale e anche contro la stessa contemplazione infusa. Una crescita della diffidenza verso la mistica astratta e speculativa venne anche dalla reazione assai forte contro il movimento quietista, di cui, oltre all'avvio con il Breve compendio intorno alla perfettione cristiana di Isabella Cristina Berinzaga, il più noto rappresentante in Italia fu il vescovo di Jesi e card. Pier Matteo Petrucci ( 1701). Il quietismo, anche se contribuì a ravvivare la problematica relativa alla vita spirituale, segnò però - spesso partendo da una reazione all'indirizzo volontaristico dell'ascetica gesuitica - una certa crisi nel voler fissare la spiritualità nell'immobilità dell'abbandono passivo (l'assoluto stato di quiete), e non fu privo d'ambiguità fino all'indifferenza totale, confortata dalla certezza della propria impeccabilità, e al rifiuto di devozioni e pratiche ascetiche.

Nel decorso del sec. XVIII, anche se vi sono ancora alcune adesioni al quietismo, ormai emarginato da un clima generale ad esso contrario, si deve ricordare la vasta influenza esercitata da un'altra corrente spirituale, quella giansenista, non solo nel campo della spiritualità e della teologia, ma pure in quello della politica e della disciplina ecclesiastica, fino a giungere alla sua espressione più forte nel noto Concilio di Pistoia (1787), con rigorismo non solo morale ma anche nella spiritualità e verso la pietà popolare. Non favorevole ad uno sviluppo della vita interiore è anche il diffondersi, specialmente nella seconda metà del sec. XVIII, della mentalità razionalistica e illuministica. Con la condanna della dottrina sull'amor puro, e in questo nuovo contesto, continuano e si allargano riserve e diffidenze verso l'esperienza mistica, ritenuta ormai di fatto e di diritto un qualcosa di straordinario nella vita spirituale, se non un'illusione. Parallelamente permane anche il timore dell'influsso del demonio nella contraffazione di stati mistici: ciò porta a segregazione e inquisizione specialmente di claustrali dotate di doni spirituali straordinari, e a diffidenza verso le nuove pubblicazioni in materia di vita ascetica e mistica, come accadde per la procrastinata approvazione del Direttorio mistico di G.B. Scaramelli, avvenuta solo postuma nel 1754.

In questo stesso secolo - che non manca però di un largo fiorire della pietà e della pratica religiosa della fede, della carità e della penitenza, di magnifici esempi di santità - si mette in evidenza dell'ascesi soprattutto lo sforzo e la lotta contro le passioni, a volte con conseguente insistenza su una lettura della vita spirituale più in chiave negativa che aperta ad un ottimismo esistenziale. Si presenta la virtù come faticosa conquista e si sottolineano gli aspetti duri dell'aspra battaglia quotidiana richiesta dal cammino verso Dio e confortata dalla grazia divina. D'altra parte, la fenomenologia mistica si arricchisce di nuovi stati e descrive frequentemente le armonie provate dal cuore, le comunicazioni e locuzioni interiori, le illustrazioni e ispirazioni irresistibili. Un'attenzione favorevole a questi fenomeni e ai problemi connessi con la vita mistica è offerta nella Teologia mistica del domenicano Giovanni Maria Di Lauro, oltre al ricordato scritto di Scaramelli. L'esperienza mistica conosce pure diffuse forme di visioni visive e immaginative, in cui si collegano tra loro le varie realtà della fede, come nel caso della B. Maria Maddalena Martinengo ( 1737) e di s. Veronica Giuliani, in cui appare anche l'indirizzo di una mistica della riparazione. In quest'ultima direzione, specialmente nell'ambito femminile, l'insistenza sull'abbassamento subito da Cristo per amore degli uomini e la brama di espiazione riparatrice, mentre da una parte alimenta il tradizionale tema della lotta con i demoni per strappare loro i peccatori, dall'altra si apre ad un'espiazione intesa come vera e propria missione affidata da Dio ad alcune anime da lui elette allo scopo.

A tale tendenza si aggiunge la " mistica della conformità a Cristo paziente " diffusa da s. Paolo della Croce e dalla sua Congregazione anche con le croci piantate nei luoghi ove avevano tenuto la loro " missione ". La conformazione a Cristo crocifisso per la salvezza del mondo, attraverso l'opera paolocrociana La morte mistica, viene a costituire l'esperienza più matura di quel tempo. Anche gli altri due grandi maestri della vita spirituale del Settecento italiano, s. Leonardo da Porto Maurizio e s. Alfonso de' Liguori, richiamano l'uomo del loro tempo a confrontarsi con gli eventi decisivi della sua salvezza: l'Incarnazione e la croce. S. Alfonso medesimo, in polemica con quietisti e giansenisti, sostiene che la vita cristiana è esperienza vissuta non da alcune anime privilegiate o in momenti eccezionali, ma è esigenza di amore e fedele corrispondenza al quotidiano dono della grazia. E di questa esigenza riempì la " vita divota " o " l'esercizio divoto " con cui completava le missioni da lui promosse in mezzo al popolo. Questa pratica, iniziata da Filippo di Mura a Napoli, venne diffusa nel 1744 da Benedetto XIV ( 1758) con una sua Enciclica.

Oltre a forme sempre più segnate da devozionismo, spesso però accompagnato da un preciso programma ascetico minuziosamente fissato e osservato, alcuni esercizi o pratiche di pietà trovano nel corso del sec. XVIII l'epoca del loro più grande sviluppo, tra cui la devozione al S. Cuore, che conta tra i suoi propagatori lo scolopio s. Pompilio M. Pirrotti ( 1766) e anche lo stesso s. Alfonso, e trova senza dubbio la sua figura più rappresentativa nella carmelitana s. Teresa Margherita Redi. La pietà mariana, ormai consistente nelle manifestazioni e nelle pratiche, conosce la forma definitiva del mese di maggio, dovuta al gesuita Annibale Dionisi. Viene anche fortemente difeso il cosiddetto " voto sanguinario " legato alla diffusione della prerogativa dell'Immacolata Concezione, contro le critiche mosse dai nuovi oppositori, tra cui il Muratori che proponeva pure una restrizione del culto mariano. Tra i nuovi santuari mariani che vanno sorgendo lungo la penisola, è da ricordare quello romano del Divino Amore, subito meta di pellegrinaggi. Rinnovata sensibilità si riscontra pure nelle pratiche legate al suffragio cristiano e alla devozione verso le anime del purgatorio.

Dopo gli sconvolgimenti politico-sociali e religiosi che avevano segnato il cammino della Chiesa e della società dagli ultimi anni del sec. XVIII fino ai primi decenni del seguente, nella spiritualità italiana ad un periodo di stasi segue una lenta trasformazione e, in seguito, l'emergenza di un senso religioso in consonanza con il nuovo clima generale dell'epoca e che può essere denominato romantico. Di esso Antonio Rosmini è l'espressione più tipica, con le sue Massime di perfezione, dal saldo impianto filosofico-teologico e dall'equilibrio tra valori della natura e della grazia e nelle quali tracciava la via della salvezza, mentre nei Discorsi sulla carità proponeva decisamente Cristo modello di vita religiosa in un crescendo di amore fino al sacrificio.

Anche se non mancano figure dotate di doni mistici, come il passionista b. Domenico della Madre di Dio ( 1849) e la benedettina Maria Luisa Prosperi ( l847), gli autori e i maestri di spirito dell'epoca, più che rifarsi ad esse o all'esperienza precedente, appaiono maggiormente occupati e preoccupati nel seguire la tendenza ascetica, particolarmente favorita dall'influsso del metodo ignaziano. A soddisfare rinnovate richieste di una più intensa vita spirituale, vi è la diffusione di numerosissimi manuali, di cui il più famoso è il Manuale di Filotea, del milanese Giuseppe Riva ( 1876). Tra i testi ascetici si rivalutano gli scritti di Francesco di Sales e la stessa Imitatio Christi.

L'attivismo dei fondatori dei nuovi Istituti religiosi e di quanti sono impegnati per una pastorale più efficiente porta al congiungimento della vita attiva con quella contemplativa, anche se non sempre questo ideale viene liberato dal tipo claustrale e religioso. Altri temi ricorrenti in queste esperienze fondazionali sono: il filiale abbandono alla divina Provvidenza, una fiducia illimitata nella preghiera, il distacco dalle cose terrene, mentre la " Gloria di Dio e il bene delle anime " diviene lo slogan-programma spirituale-apostolico.

In un contesto di isolamento della Chiesa dalla società, che segna fortemente la seconda metà del sec. XIX, poco significativi appaiono gli indirizzi della spiritualità sorgenti qua e là, mentre il tradizionale contrasto spirito-carne viene applicato, accentuando fortemente l'obbedienza alla gerarchia, nel rapporto Chiesa-miscredenza. Comunque, nonostante la sincerità di afflati religiosi, lo sforzo di impegni concreti di carità e d'apostolato, la stretta unione con la gerarchia, gli atteggiamenti spirituali rimangono a lungo improntati all'individualismo, riflesso a sua volta del moralismo generalmente presente nell'azione pastorale e nella predicazione. Alla mancanza di approfondimento originale, supplisce, almeno in parte, l'influsso delle correnti spirituali francesi degli ultimi secoli.

Sul finire del secolo un impulso caratteristico alla teologia e spiritualità del laicato viene dato dalla nascita dell'Opera dei Congressi, il cui indirizzo verrà approfondito e portato a piena fioritura soprattutto dall'Azione Cattolica nel nostro tempo. Il clima favorito dalle nuove correnti sociali cattoliche alimenta una crescita del culto verso l'Eucaristia, raccomandato tra gli altri da Giuseppe Toniolo, che diffonde l'intuizione sulla funzione sociale dell'Eucaristia, per l'unificazione delle classi, delle nazioni e dei popoli. La spiritualità eucaristica trova poi sostegno in nuove iniziative come la celebrazione dei Congressi eucaristici nazionali dal 1891 e la Lega eucaristico-benedettina a cui aderiscono quasi quaranta monasteri femminili di tutt'Italia. A ciò si associano ormai le varie forme di devozione al S. Cuore, di cui si fanno promotori membri del clero e del laicato, tra cui s. Giovanni Bosco, il barnabita Antonio M. Maresca e il gesuita Secondo Franco, la ven. Caterina Volpicelli. Mentre la devozione allo Spirito Santo ricevette un particolare impulso ad opera della b. Elena Guerra, che influì anche sull'Enciclica Divinum illud di Leone XIII.

Già dall'epoca della Restaurazione si era verificata una rivalorizzazione dei santuari mariani, vecchi e nuovi, con conseguenti pellegrinaggi e incoronazioni mariane, tanto da far qualificare l'Italia come " terra delle Madonne ". Sul finire del secolo ai nuovi santuari di Maria Ausiliatrice in Torino, della Madonna della Stella in Spoleto, si aggiunge quello del Rosario costruito da Bartolo Longo a Pompei.

V. Il sec. XX. Fino ai primi decenni del nostro sec. XX lo zelo pastorale di grandi figure di vescovi, come Alfonso Capecelatro, Geremia Bonomelli, Giacomo Radini Tedeschi, Carlo Andrea Ferrari, Guido Maria Conforti, prolungarono il ricordato filone di spiritualità intonato prevalentemente alle correnti francesi. La diffusione poi anche in Italia degli scritti dell'abate Marmion, mentre richiama l'attenzione specifica sulla pietà cristocentrica, spinge pure verso una particolare devozione, la Regalità di Cristo, in cui si prospetta una nuova visione della realtà umana, posta sotto il segno della sovranità universale di Cristo. Su tale devozione trovano la propria base e origine varie istituzioni tra cui quella milanese dell'Opera della Regalità e un istituto veneziano di suore francescane, dal 1928 sotto il titolo di Cristo Re. Nel periodo tra le due guerre mondiali forti influssi sulla spiritualità italiana vennero esercitati anche dalle opere classiche di s. Teresa di Gesù, di s. Giovanni della Croce, e dalle numerosissime edizioni della Storia di un'anima di s. Teresa di Lisieux, che costituirono alimento spirituale per innumerevoli persone. La spiritualità carmelitana continuò nel secondo dopoguerra il suo influsso, soprattutto con gli scritti divulgativi e l'opera Intimità divina del padre Gabriele di S. Maria Maddalena. Un ruolo non minore ebbe anche per l'animazione spirituale del laicato, la diffusione della versione de L'anima di ogni apostolato dell'abate J.B. Chautard.

Nello stesso tempo, la vita spirituale dei fedeli rimane ancora molto legata alle pratiche e alle devozioni tradizionali. Ciò non impedisce ad alcuni di interrogarsi sull'opportunità di sfrondare da esse gli eccessi del devozionismo e di incrementare maggiormente la partecipazione liturgica. Si diffonde così il movimento liturgico, che già altrove in Europa stava dando abbondanti frutti. Nell'ambito eucaristico, oltre all'imponente frequenza ai sacramenti spinta anche dagli interventi di S. Pio X, è da ricordare la diffusione dal 1921 della crociata eucaristica, nata in Francia, mentre già all'azione svolta anni prima dalla domenicana Maria Luisa Maresca si deve l'enciclica Mirae charitatis, pubblicata da Leone XIII nel 1902. Un motivo che diviene abbastanza diffuso in Italia tra le due guerre mondiali e nel decennio dopo l'ultima di essa, è quello della riparazione, dell'attenzione al " divin prigioniero ", con stimolo a visite frequenti e alla comunione spirituale. E una pratica che porta ad attingere anche dall'Ostia eucaristica la luce e la forza necessaria nel tessuto quotidiano della propria esistenza.

Connessa con tutta questa pietà eucaristica è la devozione del Preziosissimo Sangue, che tra i suoi sostenitori ebbe in modo particolare lo stesso papa Giovanni XXIII. Anche se non molto frequenti, si hanno pure esempi di sviluppi trinitari, come quelli di mons. Ercolano Marini, arcivescovo di Amalfi, e di Itala Mela.

Nel campo della pietà mariana, uno degli eventi più notevoli è la diffusione dell'associazione del Rosario perpetuo sorta nel 1900 a Firenze e ben presto arrivata ad annoverare centinaia di migliaia di iscritti. Continuano pure a crescere nuovi santuari, come quello di Regina pacis a Fontanelle (Cuneo), quello della Madonna delle Lacrime a Siracusa e il Tempio Nazionale a Maria Madre e Regina di Trieste.

Il corposo filone della spiritualità mariana oltre a continuare ad attingere agli insegnamenti dottrinali di s. Alfonso, poteva, già tra le due guerre mondiali, sempre più contare su una vasta e crescente nuova letteratura originale e in traduzione, intesa a celebrare le grandezze della Madre di Dio, o a riflettere su aspetti dottrinali o devozionali del suo culto. Nel frattempo si verificava la diffusione nell'ambiente sacerdotale della consacrazione a Maria per influsso monfortiano, mentre si diffondevano anche associazioni e pie pratiche di espiazione mariana. Anche la stessa spiritualità dei nuovi movimenti cattolici, tra cui i focolarini, assume spesso note accentuate mariane.

Un altro filone che si viene affermando sempre più, specialmente dopo la Seconda Guerra mondiale, è la spiritualità per la santificazione sacerdotale, per la quale, accanto al sorgere di istituzioni e associazioni specifiche, si attira l'attenzione di anime generose, tra cui la mistica sarda Leontina Sotgiu. In questo contesto viene anche utilizzata in ambito femminile la santificazione della sofferenza rifacendosi anche all'esempio di Rosa Teresa Brenti ( l872) e di s. Gemma Galgani, che riscattano il dolore tramutandolo in strumento di apostolato per il bene del prossimo. Nel campo della sofferenze e delle stimmate grandeggia poi la figura del cappuccino padre Pio da Pietralcina, a cui si rifà tutto un movimento di vita e pietà cristiana.

Guardando ai predetti e ad altri sviluppi che la spiritualità in Italia ha avuto nell'arco di tempo compreso tra le due guerre mondiali e quello successivo all'ultima, si possono cogliere un nuovo slancio e una nuova visione ottimista nei confronti del rapporto Chiesa-mondo; un'attenzione e uno sviluppo della preghiera, alimentato da apposite iniziative e gruppi ecclesiali; una crescita del senso comunitario, come conseguenza del movimento liturgico e dell'approfondimento ecclesiologico; una conoscenza del sacerdozio universale dei fedeli e dell'indole secolare dei laici, con conseguenze concrete nell'impegno sociale; un superamento della pietà individualistica dominante nel periodo precedente. Certamente, in questo processo di maturazione non sono mancate e non mancano resistenze ed indifferenze. Si maturavano anche una rinnovata ripresa di contatto con le fonti e i grandi problemi della vita spirituale e l'attenzione alla rilettura delle esperienze spirituali del passato. Il richiamo di Romolo Murri al clero affinché prestasse maggior attenzione agli studi di teologia ascetica trovò con il tempo una risposta che portò non solo ad introdurre tale materia nei corsi seminaristici, ma stimolò anche opere di divulgazione di autori mistici, come fu l'attività editoriale di studiosi, tra cui Pietro Misciattelli ed Arrigo Levasti, gravitanti nell'orbita del convertito Papini a Firenze, e quella ormai classica compiuta da don Giuseppe De Luca.

Tra i maggiori scritti spirituali del nostro tempo in Italia si possono ricordare i Colloqui del convertito Giosuè Borsi, i diari personali di suor Bertilla, di mons. Adriano Bernareggi, di don Giusepppe Canovai e soprattutto il Giornale dell'anima di Giovanni XXIII, i pensieri spirituali di Vico Necchi, del card. Raffaello Rossi, e gli ultimi scritti del card. Schuster. Un posto particolare poi spetta agli scritti di don Primo Mazzolari e del card. Giulio Bevilacqua, mentre dopo la Seconda Guerra mondiale si segnala per qualità l'abbondante produzione di don Divo Barsotti, senz'altro da ritenere ed apprezzare come il più importante autore italiano del nostro secolo.

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E. Boaga

ITINERARIO MISTICO. (inizio)

Premessa. Si parla spesso della via mistica o dell'i., indicando il percorso o lo sviluppo dell'esperienza. La vita del mistico si esprime con la metafora della strada che si percorre o la montagna che viene scalata. Così, vengono raffigurati la difficoltà e il peso di una distanza che non si può percorrere per conto proprio o senza la grazia divina. Ci s'immagina un progresso che supera le forze umane da una parte, ma di cui l'uomo, dall'altra parte, deve portare la responsabilità. Il progresso è la crescita dell'esperienza ed il suo approfondimento, che vengono immaginati come punti intermedi tra lo stadio del principiante e il punto d'arrivo del perfetto. Certamente, un i. ci permette di pensare la vita mistica secondo degli stadi, gradi o passi che si susseguono progressivamente, superando la distanza tra la vita umana e la vita divina.

I. L'i. viene descritto a posteriori dalla persona che cerca di comprendere la strada percorsa e riflette sulle esperienze precedenti, che hanno segnato la sua vita d'intimità con Dio. Si potrebbe dire che questa persona quardi d'alto in basso, ritracciando con lo sguardo il sentiero tortuoso percorso finora senza comprendere e senza un'idea generale della strada da percorrere.

Dall'attuale punto d'arrivo all'altezza panoramica, perfezione o meno, ella cerca di ricostruire la strada percorsa e, facendo questo, la sistematizza in un modello ideale. Il racconto autobiografico o biografico di una persona storica è sempre una costruzione immaginaria, che cerca di indicare sviluppi, fasi e periodi, cause, prospettive e presentimenti, ecc., che forse nell'attualità della realtà vissuta non potevano essere distinte. In questo modo, si costruisce un modello della realtà vissuta, spontanea e pre-riflessa, fissando, per mezzo dell'osservazione, una sequenza di " fatti " più o meno oggettivi.

II. I. come modello. Dal momento, però, che il resoconto (auto)biografico viene costruito come realtà conscia, questo diventa necessariamente un modello per la vita, modellando le esperienze future in modo consapevole ed intenzionale. L'i. spirituale, immaginato nel tentativo di una descrizione del percorso passato, prevede e determina gli sviluppi futuri attraverso un processo di coscientizzazione.

L'i., pertanto, non è altro che la costruzione immaginaria del processo d'incontro d'amore tra Dio e l'uomo creato. L'incontro stesso si fa nello spazio vuoto, che non appartiene a nessuno dei due. L'incontro è il risultato dell'i., senza che questo produca o coincida con l'incontro.

E pensabile che l'itinerante non arrivi mai all'incontro con l'altro che gli viene incontro.

III. Sviluppi. Da parte sua, il mistico si rende conto degli sviluppi successivi che possono essere percepiti nella propria vita umana come delle tracce. Tali sviluppi s'inseriscono nel contesto della realtà fisica, storica, culturale e sociale del mistico e, inevitabilmente, ne prendono la forma. Oltre questo lato umano-storico, l'i. viene soprattutto determinato dall'iniziativa amorosa di Dio Creatore. L'amore divino non può essere ridotto alla realtà umana e al contesto storico, anche se là s'inserisce trasformandoli. Di conseguenza, la descrizione immaginaria dell'i. cerca soprattutto di raffigurare ciò che non è immaginabile, comprensibile e descrivibile: cioè Dio che s'impone per propria iniziativa e a modo suo. Un progetto che di per sé sfocia in un fallimento, come sanno tutti i mistici. Il desiderio irresistibile di voler aggirare questo scoglio del linguaggio umano, spinge a ricorrere alla metafora, al paradosso, ai superlativi e alle contraddizioni, cioè a tutti i mezzi retorici che intendono superare i limiti del linguaggio umano aderendo alla retorica sottile della Parola divina, testimoniata nella Bibbia. La via mistica non è la strada percorsa dall'uomo, ma a rovescio la parte di strada che Dio percorre per venirci incontro. Le tracce di questo incontro, fuori del controllo dell'uomo e al di fuori delle sue capacità di consapevolezza, diventano consce come impronte trasformanti. Dio, che è forma senza forma, modo senza modo, in-forma e tras-forma le modalità della vita umana de-formata fuori della relazione con Dio, unico punto di riferimento della natura umana fino al punto in cui l'uomo muore la morte mistica, quando la ’forma' umana si perde nella ’forma' della vita divina. Quest'incontro d'amore si registra nell'esperienza umana come traccia di un processo d'annientamento totale, come i. nel deserto, come notte oscura. L'i. è lo sprofondamento di Dio nella realtà umana, scavandosi come ’tomba vuota', come assenza del volto amato e desiderato, come fuoco divorante, dolce piaga e rapimento incondizionato ed irresistibile. L'i., dunque, rassomiglia piuttosto al pellegrinaggio del popolo d'Israele nel deserto - in cui viene trasformato in popolo di Dio e adattato ai comandamenti divini - che a un viaggio che l'uomo possa intraprendere per conto suo.

IV. Stadi. I numerosi tentativi di sistematizzare l'i. distinguono tra diversi stadi o fasi di sviluppo. Quest'ultimo si registra soltanto come trasformazione della consapevolezza umana, segno della trasformazione sostanziale che Dio opera gratuitamente. Tale trasformazione divina del mistico va al di là della dimensione del tempo e dello spazio, pur esprimendosi nelle categorie umane della storia della salvezza. Esistono diversi sistemi per rappresentarsi questa trasformazione amorosa. Il sistema più classico, nella tradizione cristiana, è quello proposto da Origene che distingue tra principiante, proficiente e perfetto. In ogni sistema si distingue l'origine della via mistica che sta nell'iniziativa di Dio: il tocco divino, la vocazione, la conversione o il breaktrough della realtà divina. In tanti modi si esprime il carattere istantaneo di questa esperienza, gratuita, travolgente, incondizionata, passiva, e al di fuori di ogni controllo dell'uomo. Fondamentalmente, c'è la scoperta che l'uomo è creato ad immagine di Dio. Quest'esperienza mette in moto un processo di trasformazione successiva, che si svolge nel tempo della vita umana. Nella seconda fase del progresso, la trasformazione divina viene interiorizzata, consciamente e con l'aiuto della grazia, fino al punto da determinare le strutture intenzionali del mistico. Nella terza o ultima fase della perfezione, il mistico contempla in se stesso l'opera divina, che si realizza nel suo intimo malgrado lui. Qui la consapevolezza della realtà umana, trasformata da Dio, scompare per dar luogo alla contemplazione passiva dell'amore divino, in cui l'uomo e la consapevolezza umana scompaiono per sempre. L'essenza di ogni tentativo di sistematizzazione dev'essere, però, l'abolizione necessaria del sistema, perché questo appartiene ancora alla realtà umana che viene superata in Dio.

L'i., in conclusione, non è più che un modo umano di comprendere il fatto misterioso che Dio gratuitamente viene incontro all'uomo, rendendolo partecipe della vita divina.

Bibl. H. Blommestijn, Die Schlängelwege der Mystik, in Aa.Vv., Mystik. Ihre Struktur und Dynamik, I, Düsseldorf 1983, 58-70; Id., Progrès - Progressants, in DSAM XII, 2383-2405; Id., Découverte de soi-même ou quête de Dieu: l'itinéraíre de soi en Dieu chez Maître Eckhart, in Studies in Spirituality, 1 (1991)1, 75-95; Id., Imago Dei in Guglielmo di Saint-Thierry, in Ch.-A. Bernard (cura di), L'Antropologia dei Maestri Spirituali, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 145-162; Id., Initiation into Love: The Mystical Process according to John Ruusbroec (1293-1381), in Studies in Spirituality, 2 (1992), 99-126; Id., Growing toward Likeness: Gerard Zerbolt of Zutphen, in Studies in Spirituality, 6 (1996), 73-102.

H. Blommestijn

JACOPONE DA TODI. (inizio)

I. Cenni biografici e opere. Jacopo Benedetti, conosciuto come fra' Jacopone da Todi, nasce a Todi (12301236) e muore a Collazzone (PG) (25 dicembre 1306). Pochi i dati attendibili della sua vita. Si sa che esercita la professione di procuratore legale e che prima della sua conversione, avvenuta intorno al 1268, muore sua moglie Vanna di Bernardino di Guidone della famiglia dei Conti di Coldimezzo.

Negli anni di studio trascorsi a Bologna viene a contatto con la nascente nuova poesia: il dolce stil novo, e forse riceve l'influsso di Guinizzelli e Cavalcanti. Inoltre, è proprio di quest'epoca letteraria la presenza di un flusso variegato di multiformi elementi che concorreranno, poi, ad incastonare la sua opera. J., infatti, evidenzia una formazione di fondo contrassegnata, oltre che da elementi culturali laici, dalla conoscenza del pensiero dei mistici e, più in generale, da una cultura teologico-spirituale che, nell'Italia centrale del tempo, dov'è sorto il movimento francescano, accoglie la riflessione di Bernardo di Clairvaux, di Guglielmo di Saint-Thierry e dei Vittorini, come pure l'esperienza del movimento delle donne e della loro azione.

Dopo la conversione, J. trascorre circa dieci anni di isolata penitenza che lo conducono, nel 1278, ad entrare tra i francescani. Partecipa alla lotta intorno all'interpretazione della Regola e alle questioni ad essa inerenti. Alieno da compromessi, è con gli " Spirituali " nell'affermare l'osservanza della povertà voluta da Francesco; ma è contro di essi, quando li vede tentennare rispetto all'ideale professato. Come è contro la Curia romana invischiata in intrighi politici e contro gli intellettuali del suo Ordine, dimentichi dell'umiltà. Nel 1297 per aver firmato il Manifesto di Lunghezza contro Bonifacio VIII ( 1303), J. è scomunicato vitandus e condannato al carcere perpetuo. A nulla varranno le sue richieste di perdono, neanche in occasione dell'anno giubilare del 1300. Uscirà dal carcere solo dopo la morte di papa Caetani, essendogli stata revocata la scomunica dal suo successore Benedetto XI ( 1304).

Forse al periodo della prigionia risale gran parte delle sue composizioni. Tutta la produzione di J., fatta eccezione dello Stabat mater, di un Trattato e dei Detti, è attestata nel Laudario che comprende oltre novanta Laude da attribuirsi con certezza a lui. Queste lo rendono il maggiore rappresentante del genere tipico della struttura lirica religiosa fino al Quattrocento sorto nell'ambito dell'esperienza innografica latina d'ispirazione salmistico-liturgica. In esse egli esprime una poetica ricchissima di elementi e di personaggi tipicamente umano-religiosi che generano la lauda lirica, drammatica, fino alla sacra rappresentazione da cui trarrà origine il teatro. In possesso di una tecnica abilissima, J. opera coscientemente l'assunzione della lauda in forma di ballata (ma non solo!), poiché da poeta cristiano comprende ormai che l'altezza lirica in voga è evasione dalla realtà. Essa gli appare adeguata alla creazione di quadri ben definiti che stanno tra l'altezza vertiginosa della materia da trattare e la bruttezza del mondo e delle realtà umane.

II. Elementi dottrinali. E su questo sfondo di realismo che si sviluppa il Laudario, nel quale traspare il rapporto di unione tra Dio e l'uomo. J. si appropria della tematica profana dell'amore, ormai rifiutata, per cantare nella dottrina dell'amor sacro il capolavoro che la vita umana può realizzare: il rapporto uomo-Dio in quanto storia concreta in questo mondo. Invece di quell'amor profano che si proclama sempre più " spirituale " nella misura in cui evade la realtà umana, J. attesta, in forma lapidaria, un forte amor sacro, che scolpisce con realismo, spesso non privo di accenti un po' crudi e " naturalistici ". L'unità della sua opera lirica, autentica teologia, spoglia di belle forme, non è mera sintesi tra lirismo e dottrina. Il significato religioso-teologico delle sue Laude è espresso in forme poetiche austere e spesso volontariamente difficilissime.

Espressione geniale della spiritualità francescana, la sua lirica intesse un universo poetico nel quale Dio e l'uomo sono gli artefici di una vita condivisa o da condividere. Satirico talvolta, senza mai però entrare nelle controversie o polemiche dilaganti nelle " scuole ", capovolge totalmente la concezione dell'amore di ispirazione neoplatonica e a sfondo dualista che domina la cultura e la letteratura del tempo.

J., infatti, assume positivamente la " materia " e la non più vacua tematica lirica dell'amore ormai decadente. Quale vero Doctor mysticus, esponente originale e creativo di quel profondo rinascimento culturale del Duecento, è cantore tenero e forte dell'amore. Nell'Incarnazione e la crocifissione di Cristo, J. esprime la follia dell'amore divino. Afferma: " Per amore dell'uomo tu sembri essere diventato folle!... Gesù non può guarire se stesso dall'amore: sembra essere fuori dai sensi " (Lauda 86). Ed egli risponde a questo amore: " Amore tu mi porti alla follia " (Ibid.). " Amore amore-Gesù ", diventa il suo frequente ritornello. L'anima annega nell'amore estatico di Dio come una " goccia di vino " (Lauda 92), immersa nel mare. Quando l'anima è assorbita dall'amore " due diventano uno " in una " unione che non ammette divisioni " (Ibid.). Così, l'amore risulta il motivo conduttore di tutte le sue Laude, anche di quelle più aspre che inneggiano all'annientamento di sé, alla povertà radicale o che esprimono l'aspetto terrificante del suo peccato e l'incapacità di amare allo stesso modo in cui si sente amato da Dio. Tutta la creazione grida un tale amore, perciò, malgrado la drammaticità, la sua diventa una mistica di gioia vissuta nel mondo.

La finezza e la profondità dell'opera di J. saranno punto di riferimento soprattutto per i grandi autori mistici che vorranno prendere coscienza della scoperta, della conferma e dell'impegno a non praticare una via d'evasione dall'urgente bisogno di vivere. Di vivere comprendendo e spiegando il desiderio e la passione, l'amore trasformante e il dolore deformante, la vita e la morte.

Bibl. Opere: F. Ageno (cura di), Laudi, Trattato e Detti, Firenze 1953; F. Mancini (cura di), Laude, Bari 1974. Studi: Aa.Vv., Iacopone e il suo tempo, Todi (PG) 1959; F. Ageno, s.v., in DizBiogr, VIII, 267-276; G. Barone, s.v., in WMy, 262; A. Cacciotti, Amor sacro e amor profano in Jacopone da Todi, Roma 1989; E. Menestò (cura di), Le vite antiche di Iacopone da Todi, Spoleto (PG) 1991; Id. (cura di), Atti del Convegno storico iacoponico, Spoleto (PG) 1992; M. Poli (cura di), Iacopone da Todi, un francescano scomodo ma attuale. Atti della XV giornata dell'osservanza, Bologna 1977; G. Sabatelli, s.v., in DSAM VIII, 20-26.

A. Cacciotti

KEMPE MARGERY. (inizio)

I. Vita e opere. M. Brunham nasce intorno al 1373 nei pressi dell'importante porto medievale di Lynn (ora King's Lynn) a Norfolk, in Inghilterra, e vi muore nel 1439. Di buona famiglia, vivace figlia del sindaco della città, M. sposa un benestante signore del luogo, John Kempe, a circa vent'anni e da lui ha quattordici figli. Ha la sua prima esperienza mistica durante una dura e prolungata depressione post-parto, dopo la nascita del primo figlio. Vede Cristo guarirla dal suo stato d'infermità. Nei primi anni della sua vita, K. è una donna ambiziosa e presuntuosa, ma questo atteggiamento dura fino al fallimento di una sua stravagante impresa finanziaria. Questo la spinge a cambiare vita, così M. persuade il marito ad acconsentire al suo desiderio di fare un voto di castità e ad intraprendere un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1413-1415. Sosta a Roma per circa sei mesi ed ha un'ulteriore e forte esperienza mistica. Familiarizza con la vita e gli scritti di s. Brigida di Svezia che ha su di lei una grande influenza. Compie un ulteriore pellegrinaggio a Santiago di Campostella (1417) e più tardi, già in età avanzata, dopo aver accudito il marito durante la sua ultima malattia durata sei anni, si reca in Scandinavia e nella Germania settentrionale (1433).

M. trascorre la maggior parte dei suoi giorni vestendosi singolarmente di bianco, piangendo ad alta voce e singhiozzando per le sue colpe e per le sofferenze del Redentore; rimprovera, quindi, giustamente ma senza diplomazia, la mancanza di fervore degli altri, perfino dei vescovi. Durante le celebrazioni liturgiche, e specialmente durante le prediche o la Comunione, viene assalita da un terribile turbamento, come rapita da un'emozione spirituale. Simili manifestazioni pubbliche la rendono sospetta di lollardismo, di nutrire simpatie per altre dottrine eterodosse o di avere una condotta ipocrita, perciò viene ripetutamente interrogata dalle autorità ecclesiastiche, inclusi gli arcivescovi di York e di Canterbury, anche senza alcun fondamento. Malgrado le accuse mosse contro di lei, M. conserva sempre viva la sua testimonianza di fede.

Anche se analfabeta, M., negli ultimi anni della sua vita, decide di narrare in un libro le sue esperienze mistiche. Ciò la obbliga a dettare le sue memorie, con una considerevole difficoltà, a due scrittori, nel 1431-1438. Il testo è diviso in due parti, rispettivamente di ottantanove e dieci capitoli. Quest'opera non era molto conosciuta ed è stata riscoperta solo nel 1934. E stata pubblicata con il titolo The Book of Margery Kempe ed è la prima autobiografia scritta in inglese. Ciò è tutto quello che possediamo di M.

II. Esperienza mistica. Sebbene il suo silenzio e il suo appartarsi la facciano sembrare vittima di una spiacevole mania religiosa, M. è considerata sempre più un'importante figura nella storia della mistica inglese del sec. XIV e annoverata tra le più illustri mistiche europee.

Malgrado il suo analfabetismo, la sua personalità è molto vicina a quella di numerosi mistici e reclusi, come Giuliana di Norwich. Conosce ampi passi della Bibbia e alcune opere come quelle dello Pseudo-Bonaventura Stimulus amoris, di W. Hilton, La scala della perfezione e di R. Rolle Incendium amoris, anche se evidentemente non conosce la Nube della non-conoscenza, mentre forse conosce i mistici olandesi e quelli di lingua germanica. Certamente per M. sono un modello di vita spirituale la beghina Maria d'Oigniès ( 1213) e Angela da Foligno.

M. mostra una tenera e forte devozione per l'umanità del Cristo, con il quale dialoga affettuosamente. Con forza d'animo e coraggio, M. vive le sue sofferenze così intensamente da immedesimarsi in Cristo. E probabilmente vero che M. abbia sofferto una serie di disordini psicosomatici ed emozionali, ciò nonostante incarna una grande spiritualità e santità. La grandezza di M. sta soprattutto nell'appassionata devozione verso la persona di Gesù all'interno delle ristrettezze sociali a cui è costretta una donna del suo tempo, senza l'ausilio di una elaborazione dottrinale.

Bibl. Opere: S.B. Meech - H.E. Allen (edd.), The Book of Margery Kempe, London 1940; B.A. Windeatt (cura di), The Book of Margery Kempe, Harmondsworth 1985 (inglese moderno). Studi: K. Cholmeley, Margery Kempe Genius and Mystic, London 1947; M. Glasscoe, The English Medieval Mystics, London-New York 1993, 268-319; J.C. Hirsch, The Revelations of Margery Kempe, Leiden 1988; D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Torino 1976, 137-145; Id., s.v., in DSAM VIII, 1696-1698; I.R. O'Connell, Mistress M.K. of Lynn, in The Downside Review, 55 (1937), 174-182; L. Oliger, s.v., in EC VII, 671; F. Wöhrer, s.v., in WMy, 307-309.

A. Ward

KIERKEGAARD SOEREN. (inizio)

I. Vita e opere. Filosofo e teologo danese, nasce a Copenaghen il 5 maggio 1813. Dal padre riceve un'educazione cristiana in cui il dovere è un assillo e il peccato un'oppressione. Molto incline alla riflessione, egli tenta di realizzare quella che definisce la " vita estetica ", cioè un'esistenza tesa a cogliere l'attimo sempre nuovo e a godere della varietà delle occasioni. La morte del padre lo induce a scegliere la " vita etica ", cioè un tipo di vita più responsabile ed ordinato. Nel 1840 si laurea in teologia e contemporaneamente si fidanza con Regina Olsen, ma presto lascia sia la fidanzata che il progetto di diventare pastore. Nella sua opera Aut-aut del 1843 considerata l'insufficienza della vita estetica e di quella etica, propone la scelta religiosa, intesa come angosciosa e sublime incertezza nel rapporto contraddittorio tra l'uomo e Dio. L'ultima fase della sua vita intellettuale è impegnata soprattutto nella polemica contro la Chiesa danese e la sua gerarchia perché, a suo avviso, dimentiche del carattere scandaloso del messaggio cristiano. Muore il 2 ottobre 1855, contento di aver svolto la missione cui si è dedicato: risvegliare la coscienza cristiana.

Tra le sue numerose opere ricordiamo: Aut-Aut (1843), Timore e Tremore (1843), La ripetizione (1843), Briciole di filosofia (1844), Il concetto dell'angoscia (1844), Stadi sul cammino della vita (1845), Postilla alle briciole di filosofia (1846), La malattia mortale (1849), L'esercizio del cristianesimo (1850). Tra le opere religiose: Gli atti dell'amore (1847), opera di spiritualità tesa a risvegliare il senso dell'immediato dell'amore cristiano e il Diario che accompagna l'intero arco della vita di K., ove il grande pensatore consegna la sua riflessione sui problemi del suo spirito e che si ferma poco tempo prima della sua morte.

II. Esperienza interiore. K. dichiara: " Io sono e sono stato uno scrittore religioso ". Eloquente testimonianza di tanto ardimento spirituale sono, documento forse unico nella letteratura d'Occidente, le " Preghiere " di cui sono costellati molti suoi libri ed anche il Diario, dall'inizio alla fine. Esse sono il filo d'oro che ci guida nella " selva aspra e forte ", ma sempre luminosa, dei suoi pensieri e ci introduce nel mistero complesso, ed insieme trasparente, della sua testimonianza di fede come nella seguente preghiera a Cristo: " Tu, che un tempo hai camminato sulla terra lasciando un'impronta che noi dobbiamo seguire; tu, che ancora dal tuo cielo volgi lo sguardo su ognuno che cammina quaggiù, dà forza all'affaticato, incoraggia lo sfiduciato, richiama l'errante, consola il combattente. Tu, che ancora alla fine dei tempi tornerai a giudicare ognuno in particolare, fortifica la nostra anima affinché, seguendo te, possiamo trovare la via anche del giudizio: oh, ma anche con te, per la nostra felicità con te, Amen! ".

III. La dottrina. Per K. la fede è il nucleo essenziale di tutta l'esistenza cristiana come passaggio dallo stadio estetico a quello etico e da questo allo stadio religioso nel quale, proprio attraverso un salto di fede, si trova la salvezza in Cristo. L'ingresso in questo itinerario avviene attraverso l'esperienza drammatica del peccato che, con la sua angoscia, promuove l'attività religiosa dell'uomo. Solo rifugiandosi nella fede, l'uomo trova una salvezza. Ma la fede è dono divino che innesta nell'uomo una sorta di tensione che gli permette di approfondire, ogni giorno di più, il suo rapporto dinamico con Dio diventando " contemporaneo di Cristo ". Tale contemporaneità con il Cristo permette all'uomo di realizzare una nuova esistenza come sintesi di effettiva salvezza. La fede, quindi, prima che essere indagata, dev'essere vissuta sul piano dell'esistenza. Solo così essa permette all'Infinito di Dio di entrare nell'esistenza dell'uomo e renderlo capace di tendere all'infinito di Dio.

Bibl. S. Armieri, Kierkegaard e il cristianesimo, Lugano 1956; J. Colette, La difficoltà di essere cristiani. S. Kierkegaard, Roma 1970; C. Fabro, Dall'essere all'esistente, Brescia 1951; M. Gigante, Religiosità di Kierkegaard, Napoli 1972; R. Jolivet, Kierkegaard. Alle fonti dell'esistenzialismo cristiano, Roma 1960; F.M. Sciacca, L'esperienza religiosa e l'io in Hegel e Kierkegaard, Palermo 1948; M.M. Thulstrup, s.v., in DSAM VIII, 1723-1729; P. Vardy, Kierkegaard, Barcelona 1997; G. Velocci, Filosofia e fede in Kierkegaard, Roma 1976; Id., s.v., in DES II, 1373-1378.

C. Fabro

KOWALSKA FAUSTINA. (inizio)

I. Vita ed opere. F. nasce terza di dieci figli il 25 agosto 1905 a G_ogowiec in Polonia ed è battezzata con il nome Elena. Si accosta alla prima Comunione nel 1914, e riceve la cresima nel 1923. Prega molto in chiesa, in casa, nei campi. I suoi genitori sono agricoltori molto poveri, perciò Elena deve andare a lavorare come donna di servizio presso una famiglia. Anche qui prega molto. Una volta, di notte, improvvisamente grida: " Al fuoco, al fuoco ", svegliando tutti, ma non vi è alcun fuoco. La giovane si scusa, ma il fatto straordinario le fa comprendere la sua chiamata alla vita religiosa. Torna alla casa paterna con il proposito di entrare in convento, ma incontra l'opposizione dei genitori che, proprio perché molto poveri, non possono fornirle la dote richiesta per diventare religiosa. Elena li rassicura: " Non ho bisogno di soldi; Gesù stesso mi porterà in convento ". Dovendo, perciò, preparare la dote ritorna a servizio presso una famiglia e, in breve tempo, si fa benvolere da tutti.

Il 1 agosto 1925 entra nel convento delle suore della B. Vergine Maria della Misericordia a Varsavia. Fa la vestizione nell'aprile 1926 assumendo il nome religioso di sr. Maria Faustina e la professione temporanea il 30 aprile 1928. Lavora nell'orto e in cucina. Emette i voti perpetui il 1 maggio 1933. Fin dal 1928 si è ammalata di tubercolosi polmonare, ma questa malattia le viene diagnosticata solo nel 1932, quando si manifesta violentemente anche a causa delle fatiche e dei lavori pesanti affrontati nell'orto, in cucina, al forno. Nell'aprile 1938 è ricoverata in ospedale; nel settembre torna a casa. Muore nel convento di Cracovia il 5 ottobre 1938. E beatificata il 18 aprile 1991.

II. Esperienza mistica. F., fin dalla giovinezza, si sente diretta, illuminata da Dio. Sperimenta fenomeni mistici come estasi, rivelazioni, apparizioni. Malgrado sia una semplice ragazza di paese F. può arrivare a tali altezze mistiche grazie all'esercizio delle virtù, alla preghiera e all'attenzione alla voce dello Spirito. La meditazione le apre la porta alla contemplazione infusa fino al matrimonio spirituale e all'affidamento del messaggio della divina Misericordia. In un'apparizione, infatti, Gesù le dice: " Dipingi un'immagine secondo il modello che vedi con sotto scritto "Gesù, confido in te". Prometto che l'anima che venererà quest'immagine non perirà... Io stesso la difenderò come mia propria gloria " (Diario di suor Faustina, 26).

F., mistica dell'amore misericordioso di Dio Padre, incarna tale amore con la sua semplicità, la sua giovialità, il servizio umile e laborioso e soprattutto con l'equilibrio di una vita nascosta con Cristo in Dio, come risulta dal suo Diario.

L'immagine di Gesù misericordioso, dipinta su sua indicazione, si diffonde in tutto il mondo e si situa nel solco della tradizione e della rivelazione biblica in cui il culto dell'immagine della divina Misericordia può ben considerarsi profondamente radicato a partire dai profeti (cf Ger 31,3) fino al suo compimento nella rivelazione di Gesù Cristo (cf Lc 15).

Bibl. Scritti: Gesù, Confido in te!, Città del Vaticano 1994; La misericordia divina nella mia anima. Diario della beata suor Faustina Kowalska, Città del Vaticano 1996. Studi: H.D. Egan, M. Faustina Kowalska, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 604-618; J. Majkowski, s.v., in DSAM VIII, 1773-1774; A. Mruk, s.v., in BS XIV, 712-719; M. Tarnawska, La vita e la missione di suor Faustina Kowalska, Roma 1991; M. Winowska, L'icona dell'amore misericordioso, Cinisello Balsamo (MI) 1995.

M. Machejek

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