Grazia - DIZIONARIO SAN TOMMASO

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Grazia

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GRAZIA
Dal latino gratia, che corrisponde al greco charis. In teologia designa sia il favore as­solutamente gratuito col quale Dio in Cristo chiama l’uomo alla comunione con se, sia i meravigliosi effetti che tale benevola auto­comunicazione personale di Dio crea nel­l’uomo che liberamente l’accolga. Nel corso dei secoli il termine grazia si è arricchito di una vasta gamma di significati e ha dato luogo a tante distinzioni, talora importanti, altre volte sottili. Anzitutto e soprattutto grazia indi­ca, come s’è detto, la condizione di amicizia tra Dio e l’uomo, condizione di comunione prodotta da Dio stesso, mediante gratuita autodonazione, e operata storicamente dal­l’azione di Cristo e dello Spirito Santo. Que­sta condizione che trasforma l’anima del cre­dente rendendola tempio della Trinità e fi­glia adottiva di Dio ~ detta grazia santificante o abituale. A questa si affianca la grazia attuale che è un influsso spirituale speciale e transeunte di Dio nell’anima ogniqualvolta questa compie un atto salutare; essa è un dono gratuito infuso nella creatura razionale in ordine alla vita eterna.
Nell’A. T. il concetto di grazia si trova pre­sente in vane espressioni ebraiche, soprat­tutto in hesed, che nei Settanta è tradotto con eleos o charis. Hesed significa in genera­le un atteggiamento di lealtà servizievole, di benevolenza, di fedeltà, di favore e viene re­golarmente usato per qualificare il rapporto di Jahvè col suo popolo: nell’alleanza di Jah­vè con Israele, l’attributo più specifico che viene riconosciuto a Dio è appunto hesed.
Nel N. T. la charis di Dio significa quasi sempre la benevolenza che si manifesta nella sua opera di salvezza attraverso Cristo. Ma­ria, la Madre di Gesù, è piena di grazia (Lc 1, 28). Ma la grazia abbonda anche nei cuore di tut­ti i seguaci di Gesù trasformandoli profon­damente: "Per questa grazia infatti siete sta­ti salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo in­fatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ef 2, 8-10).
La dottrina della grazia ricevette il suo primo grande approfondimento per opera di Ago­stino, durante l’aspra polemica contro i do­natisti e i pelagiani. Il Dottore di Ippona sot­tolinea l’assoluta gratuità della grazia: nella na­tura non esiste nessuna predisposizione, nessuna preparazione, nessuna esigenza e quindi nessun merito nei confronti della grazia Egli definisce la grazia come adiutorium bene agendi adiunctum naturae (un aiuto a opera­re il bene aggiunto alla natura), un aiuto in­teriore, che generalmente egli identifica con la caritas.
La grande Scolastica (dei secoli XII e XIII) che comincia a fare ampio uso del linguaggio della metafisica aristotelica si chie­de quale sia il concetto ontologico più ido­neo per designare e definire la grazia: è una sub­stantia, un accidens, una forma, una quali­tas, un habitus, un actus ecc.? E in che rap­porto si trova con lo Spirito Santo? Si può identificare la grazia con lo Spirito Santo o è es­senzialmente distinta da lui? E per quali mo­tivi e per quali attività la grazia è necessaria? Senza la grazia c’è ancora qualche cosa di buono che l’uomo può fare?
Pier Lombardo nei suoi famosi Libri Sententiarum (I, d. 17) si oppone ad assimi­lare la grazia allo Spirito Santo e dice che la grazia è una realtà creata e accidentale nell’uomo. Alessandro di Hales nella sua Summa pre­senta la grazia come forma animae. La Scuola bonaventuriana la intende piuttosto, neo­platonicamente, come raggio di luce o come caritas.
Il Dottore Angelico sviluppa il suo stu­dio della grazia nel trattato De homine (che cor­risponde alla Secunda Pars della Summa Theologiae), perciò lo colloca insieme alla giustificazione; mentre della predestinazio­ne si occupa nel De Deo (cioè nella Prima Pars). La trattazione si articola in sei que­stioni (I-II, qq. 109-114), di cui le ultime due sono riservate alla giustificazione. A noi qui interessano solo le prime quattro, che ana­lizzano con grande finezza: la necessità della grazia (q. 109); la sua essenza (q. 110); la divi­sione della grazia (q. 111) e la causa della grazia (q. 112).
 

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