PECCATO - PURIFICAZIONE - DIZIONARIO DI MISTICA

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PECCATO - PURIFICAZIONE

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  ................. PECCATO

P

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PECCATO. (inizio)

I. La nozione di p. come atto iniquo, colpevole, è un dato comune alla coscienza umana, per quanto possa essere erronea o incallita. Tuttavia, per avere un concetto ampio e approfondito del p. bisogna ricorrere alla rivelazione giudaico-cristiana.

Del p. si parla praticamente in tutta la Bibbia. Questa non ce ne dà una definizione, ma ne denuncia la presenza tenace nella storia umana, ne mette in rilievo la malizia, gli attribuisce conseguenze devastanti nell'esistenza dell'uomo.

II. Nella Sacra Scrittura. Per comprendere gli elementi essenziali della dottrina biblica del p., bisogna tenerne presente il contesto teologico e antropologico. Dio crea l'uomo a sua immagine e somiglianza e gli affida il dominio della terra (cf Gn l,27-28), perché liberamente, in dialogo con il suo Creatore, costruisca nell'amore la sua vita. L'uomo, a sua volta, deve dare prova di fedeltà a Dio, fidandosi di lui, compiendo la sua volontà. Gli viene proposta in pratica la via del bene, fonte di felicità, e viene ammonito a non seguire la via del male (cf Gn 2,16-17; Dt 6,l-l9) a non peccare contro Dio (cf Gn 39,9; Es 32,33). Il p. si configura così come disobbedienza a Dio, rifiuto di fedeltà al patto d'amore (= alleanza), quindi adulterio e prostituzione della sposa contro lo sposo (JHWH) (cf Ger 3-13; Ez 16).

La ribellione si concretizza nel fare ciò che è male agli occhi di Dio, nel compiere ogni specie di iniquità, di empietà, di violenza, mali di cui è piena la terra (cf Gn 6,11) ma di cui è largamente colpevole anche Israele, come si vede, con sconcertante monotonia, in tutta la sua storia (cf Rm 3,9-19).

Il p. pone l'uomo in uno stato di tenebra, di menzogna, di sudditanza a Satana (cf Gv 3,l9; 8,44), di durezza di cuore (cf Mc 6,25;8,17), di schiavitù alla concupiscenza da cui si scatena la forza del p., di perdizione, di morte (cf Rm 6-7).

Se la Scrittura drammatizza senza attenuanti il p. e le sue conseguenze, non lo fa per avvilire la coscienza dell'uomo, quanto piuttosto per rivelare la misericordia di Dio che, alla ribellione dei suoi figli, risponde con la pietà, il perdono, la riconciliazione. Mandando il proprio Figlio nella nostra carne, il Padre ci manifesta il " grande amore con il quale ci ha amati " (Ef 2,4). Cristo si rende solidale con i peccatori e ripara la loro disobbedienza con il dono di sé al Padre e ai fratelli nell'obbedienza fino alla morte di croce: " Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti... Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia " (Rm 5,19-20).

Uniti al mistero di morte e risurrezione di Cristo mediante il battesimo, i cristiani devono considerarsi " morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù " (Rm 6,11). Essi ricevono il dono dello Spirito che distrugge il p. e dà inizio alla nuova creazione (cf Gv 20,21-23). Illuminato e confortato della grazia, il cristiano dovrà ratificare e portare a compimento il processo di morte al p. e di vita nuova nello Spirito, due aspetti inscindibili di un'unica realtà che è quella di un cammino di conversione, di purificazione, di liberazione dai residui della colpa e di conformità a Cristo, di unione con Dio, di trasformazione in lui.

III. L'esperienza mistica si colloca al vertice di questo cammino. Essa presuppone un processo avanzato di purificazione, ma include pure, come elemento essenziale, una liberazione dalle ferite più nascoste del p. perché l'anima possa ardere di pura carità e così realizzare l'unione trasformante con Dio. Il mistico, quindi, per quanto è possibile in questa vita, " purifica se stesso come egli (Dio) è puro " (1 Gv 3,3) prima di raggiungere l'assimilazione più alta nella Gerusalemme celeste dove " non entrerà nulla d'impuro " (Ap 21,27).

Il primo passo nella via della liberazione è la conoscenza dei propri peccati, è il pentimento che purifica il cuore: " La sposa di Cristo che desidera raggiungere le vette della perfezione di vita deve, prima di tutto, iniziare da se stessa. Così, dimenticando tutte le cose esteriori, entri nel segreto della sua coscienza e lì, con diligente attenzione, esamini e consideri tutti i suoi difetti, tutte le sue abitudini, tutti gli affetti, tutte le azioni, tutti i peccati sia passati che presenti. E se trova in sé qualcosa di poco retto, subito pianga nell'amarezza del suo cuore ".1

Secondo l'unanime testimonianza dei mistici, più si è investiti dalla luce divina, più diventano evidenti i peccati anche minimi. E noto il paragone di Teresa d'Avila: " Qui, essendo il sole molto fulgido, uno vede non solo le ragnatele della propria anima e le grandi mancanze, ma scorge qualsiasi pulviscolo che vi possa essere, per piccolo che sia. Per quanto un'anima lavori a perfezionarsi, se è veramente investita da questo sole divino, si scorge subito molto torbida. E come l'acqua contenuta in un recipiente: se il sole non la investe, sembra molto limpida, ma se è investita dal sole si vede tutta piena di corpuscoli ".2

Dalla conoscenza dei peccati, resa tanto evidente dalla luce della contemplazione, nascono il dolore vivissimo e la compunzione, spesso accompagnati da lacrime che sgorgano spontanee anche in anime molto pure come Teresa di Lisieux. Sono lacrime che purificano il cuore e gli restituiscono la salutare letizia dell'innocenza. La coscienza sperimentale della propria miseria è pure causa di quell'umiltà che solo una simile evidenza rende sincera e invulnerabile.

Insieme alla conoscenza e al dolore dei peccati il Signore fa sentire all'anima l'esigenza inflessibile di liberarsi da ogni colpa e attaccamento: " Non è possibile immaginare l'importanza della purezza di cuore richiesta in tutte le operazioni interiori ed esteriori perché lo Spirito di Dio è un censore inesorabile ".3

Non basta evitare i peccati volontari: la grazia tende a trasformare in profondità il cuore da cui " escono le intenzioni cattive " (Mc 7,21), quindi a eliminare anche l'inclinazione (abito) al male. Solo così si realizza la piena sintonia con la volontà buona di Dio e cade ogni ostacolo all'unione con lui. In riferimento alla necessità che ha l'anima di liberarsi di tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio per trasformarsi in lui per amore, Giovanni della Croce scrive: " Bisogna intendere non soltanto ciò che ripugna secondo l'atto, ma anche secondo l'abito, così che dev'essere immune dagli atti volontari e annientare pure gli abiti di qualsiasi imperfezione... deposto tutto quello che è dissimile e contrario a Dio, riceverà la somiglianza di Dio; non lasciando in sé cosa alcuna che non sia volontà di Dio, si trasformerà in Dio ".4

L'esperienza dei mistici illumina, forse nella maniera più profonda, il mistero del p. e della grazia redentrice. Del p. intanto, perché ci mostra quanto esso sia radicato nelle fibre più nascoste del cuore e come sia difficile prenderne coscienza senza la luce dello Spirito. Inoltre, la stessa natura del p. si rivela in questa esperienza come atto e disposizione opposta alla carità, quindi come impedimento alla comunione con Dio che è carità. I mistici, insomma, insegnano quale dovrebbe essere la vera coscienza del p.

E poi il mistero della grazia redentrice che nella vita dei mistici manifesta fino a che punto possa trasformare il cuore dell'uomo. Si compie in essi ciò che diceva s. Agostino: " E grazia di Dio che sia resa noto ciò che era nascosto e sia reso soave ciò che non dilettava ".5

E dalle vette che si misurano le profondità degli abissi e si scorgono i sentieri che conducono in alto.

Note: 1 S. Bonaventura, De perfectione vitae, 1,1; 2 Teresa d'Avila, Vita, 20,28; 3 Maria dell'Incarnazione, Autobiografia, 10; 4 Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 5,4; 5 S. Agostino, De peccat. mer. et remiss. 2, 17, 26.

Bibl. Aa.Vv., Peccato e santità, Roma 1979; O. Bernasconi, s.v., in NDS, 1183-1205; R. Blomme, L'uomo peccatore, Bologna 1971; I. De La Potterie - S. Lyonnet, La vita secondo lo Spirito condizione del cristiano, Roma 1971; D. Lafranconi, s.v., in NDTM, 895-914; L. Leonardi, Peccato negazione d'amore, Bari 1973; S. Lyonnet - P. Gervais, s.v., in DSAM XII1, 790-853; G. Piana, s.v., in DTI II, 660-674; C. Sagne, Il peccato: alienazione o invito alla conversione, Bari 1976; B. Zomparelli, s.v., in DES III, 1896-1906.

U. Occhialini

PELLEGRINAGGIO. (inizio)

I. L'origine e il significato. L'origine risale al di là dell'antichità cristiana e conserva ancora oggi tutto il suo valore. Il luogo di p. è legato sia a personaggi reali o leggendari sia ad avvenimenti storici o a manifestazioni divine. Il termine peregrinatio, che significa " percorrere ", " andare lontano " (peragere), darà peregrinus per indicare colui che parte per un altro paese, poi, per estensione " straniero ".

L'AT riferisce i viaggi dei credenti verso un luogo consacrato da un'epifania, per presentarvi la loro preghiera e la loro offerta. La molteplicità dei luoghi di p. sarà ridotta, con la riforma di Giosia, accennata da Ezechia (cf 2 Re 18,4-22; 2 Cr 29-31), al solo tempio di Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua (cf 2 Re 23; 2 Cr 35) e per le altre due feste delle Settimane e delle Capanne (cf Dt 16,1-17). L'esperienza del popolo di Dio che sale a Gerusalemme (cf Sal 120-134) in una stessa comunione di fede dà alla speranza escatologica una nuova espressione. Il giorno del Signore è considerato il p. definitivo del popolo di Dio unito ai pagani (cf Is 2,2-5; 60; 66, 18-21; Mi 7,12; Zc 14,16-19; Tb 13,11). Il NT non sconvolge questa visione. Gesù sale a Gerusalemme con i suoi genitori (cf Lc 2,41-50) e durante tutta la sua missione fino alla croce. La sua risurrezione gloriosa orienta il culto dei fedeli verso il nuovo tempio (cf Gv 2,19-21) in cui Dio è adorato in spirito e verità (cf Gv 4,23). Ormai è la vita stessa del cristiano che diventa un p. della fede (cf LG 58), un cammino verso il Signore Gesù (cf Eb 2,10). La Chiesa stessa " in pellegrinaggio sulla terra " (CCC 675) assume e favorisce queste realtà per dare ai credenti la possibilità di comunicare nella fede e nella preghiera al mistero pasquale del Cristo Signore e Pastore.

I viaggi verso i luoghi santi (Gerusalemme, Roma, Compostella) o verso luoghi di apparizioni mariane [Medaglia miracolosa (1830), La Salette (1846), Issoudun (1857), Lourdes (1858), Pontmain (1871), Fatima (1917), Beauraing (1932) e Banneux (1933), Goli-Toulia (Camerun), Dassa-Zoumé (Dahomey)], o verso Paray-le-Monial e Montmatre o, infine, verso luoghi legati a un santo (Ars, Avila, Donrémy, Lisieux, Nevers, Montréal ecc), non esauriscono il senso della parola p. Questo può anche evocare disposizioni interiori e spirituali.

Partire per andare lontano implica il distacco dalla patria, l'allontanarsi volontariamente dal proprio ambiente sull'esempio di Abramo (cf Gn 12,1) che cammina verso la terra sconosciuta che Dio gli destina. " E, dunque, a giusto titolo che, lasciando tutta la propria parentela terrena, egli seguiva il Verbo di Dio facendosi straniero (peregrinans) con il Verbo per diventare concittadino del Verbo ".1 L'atteggiamento del padre dei credenti porta alla percezione della vita terrena come un esilio " lontano dal Signore ",2 una lunga marcia verso la terra promessa, la Gerusalemme celeste (cf Eb 13,14, Ap 23).

II. Tipi di p. Il " p. interiore " sviluppato dall'XI al XIII secolo ha come scopo il predicare la penitenza e la conversione. Nel sec. XIV gli succede un genere nuovo di cui occorre distinguere due tipi: 1. I " pellegrinaggi in spirito " ai luoghi santi, che sono dei pellegrinaggi suppletivi - la vita monastica ne è uno - 2. I " pellegrinaggi della vita umana ", che derivano dalla peregrinatio come cammino verso la Gerusalemme celeste.3

Si possono riallacciare le Meditationes vitae Christi dello Pseudo-Bonaventura e la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia ( 1378) alla categoria dei " pellegrinaggi in spirito ". Nel primo testo, con la meditazione della vita del Cristo, l'anima è condotta ad una certa familiarità con lui. In una serie di quadri l'autore compone la scena (soprattutto la passione), porta l'anima a fermarsi dinanzi ad un argomento di meditazione: " Guarda, contempla ogni dettaglio, non ti stancare di meditare; renditi presente a tutto ciò che si dice, a tutto ciò che si fa " (c. 4). Con " l'applicazione dei sensi l'anima si rende presente e contemporanea al soggetto meditato ". Lo scopo delle meditazioni della Vita Christi è quello di rinnovare l'immagine di Dio sfigurata nell'uomo, " rinnovamento della memoria (memoria) con il ricordo (recordatio), dell'intelligenza per mezzo della sapienza, della volontà per mezzo dell'amore ". L'anima che medita una scena della vita del Cristo si rappresenta il luogo dell'avvenimento e l'avvenimento stesso; si rende presente all'azione di Dio e si inserisce in spirito nel gruppo dei testimoni per beneficiare con loro della grazia del mistero. " Dovunque e sempre, l'uomo pio porta il suo sguadro sul Cristo come si è presentato in actu et moribus. A chi medita in questo modo, il Cristo diventa presente " (II, c. 58).

I racconti dei pellegrini e soprattutto le rappresentazioni delle scene della passione susciteranno nei fedeli il desiderio di recarsi a Gerusalemme, ciò che pochi potevano realizzare. Stampando nel sec. XV dei " pellegrinaggi spirituali " si volgarizzò maggiormente la meditazione della passione e si confermò che la visita in ispirito godeva degli stessi privilegi e vantaggi spirituali del p. in Terra Santa. In quest'epoca appare la devozione alle cadute, ai " gradini " e alle " stazioni ", che porterà alle quattordici stazioni della Via Crucis.

Il p. effettivo, quello della vita umana o " interiore " è, dunque, la ricerca della terra promessa attraverso l'esilio volontario in una specie di rottura con il mondo. L'essenziale è partire mettendosi in viaggio alla ricerca del Signore attraverso i pericoli e le fatiche del cammino in un ideale di purificazione e di unione. " Così il popolo di Dio in p. "avanza per la porta stretta della croce" verso il banchetto celeste quando tutti gli eletti siederanno alla tavola del Regno " (CCC 1344).

Note: 1 S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 5,4; 2 Lettera a Diogneto 5,5; 3 Cf R. Ciboule, Livre du chemin de la perfection, Paris [s.d.].

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM XII1, 888-940; Aa.Vv., Il pellegrinaggio, in Con 4 (1996), tutto il numero; Fr. Bourdeau, La Route du pardon. Pèlerinage et réconciliation, Paris 1982; P. Cabanne, Les longs cheminements. Les pèlerinages de tous les temps et de toutes les croyances, Paris 1958; C. De Hueck Doherty, Strannik, la chiamata al pellegrinaggio per l'uomo occidentale, Milano 1981; E. Delaruelle, Le pèlerinage intérieur au XV siècle, in Aa.Vv. La piété populaire au Moyen age, Torino 1975, 555-561; T. Keating, The Spiritual Journey: A Guide Book with Tapes, Colorado Springs 1987; G.G. Merlo, s.v., in Aa.Vv., Dizionario delle religioni, Torino 1993, 559-560; R. Oursel, Pellegrini nel Medioevo, Milano 1997; L. Sartori (cura di), Pellegrinaggio e religiosità popolare, Padova 1983; P.A. Sigal, Les marcheurs de Dieu. Pèlerinages et pèlerins au moyen age, Paris 1974.

S.M. Morgain

PENETRAZIONE DEI CUORI. (inizio)

I. Descrizione del fenomeno. E una forma di chiaroveggenza spirituale derivante dall'unione e donazione intima d'amore dell'anima con Dio. Tale esperienza, vissuta misticamente, si concretizza nella capacità di conoscere, in modo chiaro e certo, i segreti del prossimo o lo stato della sua coscienza morale, ma non le cose future riservate ai profeti.

Per s. Giovanni della Croce è la purezza dello spirito che porta naturalmente a conoscere più degli altri.1 Tale conoscenza dei segreti intimi del cuore è qualcosa che avviene nell'ordine naturale e, quando l'intelletto è purificato, la grazia apre l'occhio dell'anima che va oltre le facoltà umane e perfino quelle diaboliche.

Ci sono, infatti, delle situazioni che in se stesse possono essere conosciute in modo soprannaturale, per esempio lo stato di grazia di una persona.

II. E un dono gratuito dello Spirito. La p. è un dono gratuito che non presuppone la santità. Generalmente ne sono favorite le anime sante, come ad esempio il Curato d'Ars ( 1859), che, fatta esperienza di questo amore intimo di Dio e del prossimo, abbandonano con gioia questa vita passeggera per inabitare nello Spirito Santo.

E, dunque, un dono dello Spirito, catalogato tra le grazie " gratis datae ", conferite direttamente a vantaggio altrui e, sebbene indirettamente, anche per la propria santificazione.

Note: 1 S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo III, 26,14.

Bibl. R. Antoniadow, Le thème du coeur dans la Philocalie, in DSAM XII1, 1336-1352; La Filocalia, III, Torino 1987, 59, 141, 229; IV, 364-365; G. Moioli, Mistica cristiana, in NDS, 986-987; I. Rodríguez, Cuori (Penetrazione dei), in DES I, 698-699.

S. Giungato

PENITENZA. (inizio)

I. La p. in quanto virtù cristiana e non come sacramento, detta anche riconciliazione, dice rapporto, anche se non identificazione, con i concetti di compunzione (in quanto dolore intenso dei peccati) conversione o metanoia (in quanto il dolore si trasforma in impegno di vita nuova) con mortificazione (in quanto la p. suppone rinuncia o distacco da qualche cosa, persona, situazione e da se stessi) con pentimento, perdono, e in generale con ascesi. Possiamo dire che la compunzione e la conversione o metanoia stanno alla radice della p., e che la vera conversione evangelica si prolunga nella vita penitente. La p. cristiana secondo la Poenitemini, Costituzione Apostolica di Paolo VI, è un atto religioso, personale o comunitario che ha come termine l'amore di Dio, anche se ad essa l'uomo ricorre per lo più come riparazione dei propri peccati. La virtù della p. si esprime, dunque, in atti di pentimento (interni od esterni) e in uno " stato " di pentimento tipico di chi si sa bisognoso di perdono e di misericordia. A livello di pentimento si può parlare di un dolore di attrizione (la terminologia compare circa nel sec. XIII) oppure di contrizione, a seconda della motivazione che fonda il medesimo pentimento; l'attrizione è detta " dolore imperfetto " perché motivata più dal dolore della colpa commessa o dal disagio prodotto dal peccato; la contrizione si dice " dolore perfetto " perché più motivata dall'amore di Dio, offeso a causa del peccato personale.

II. Nella vita cristiana. Nel sacramento, la p. si esprime in un atto o preghiera con la quale si conclude la celebrazione di questo sacramento. Esiste realmente il pericolo di svigorire il senso di questa p. adempiendo tale atto o preghiera in senso pietistico o formalistico, quasi il " pagamento " o riparazione compensatoria delle proprie mancanze. La p. virtù, invece, scaturisce dalla contemplazione o dall'esperienza della misericordia di Dio, come espressione di partecipazione alla croce di Cristo, come celebrazione del perdono e come prolungamento, lungo il quotidiano, dell'esistenza cristiana. Il sentimento, l'atteggiamento e l'azione di riparazione acquistano così verità, perciò consistenza cristiana. La p. riparatrice è difficile da comprendere dall'attuale cultura, a partire dagli oggetti, che una società consumistica " dell'usa-getta ", sa poco riparare, fino all'aspetto morale della riparazione di un'offesa e a quello religioso della riparazione dei propri peccati davanti a Dio, anche per espiare quelli degli altri. Tuttavia, il nostro tempo conosce un'ondata di interesse e di effettivo ricorso a esercizi e pratiche di p. anche fuori dal cristianesimo, offerte da altre religioni o sette. Si constata, inoltre, il sincero desiderio di donazione, specialmente nei giovani, che si offrono per il servizio degli altri, assumendo con coraggio e reale sacrificio compiti ardui nelle nazioni in guerra, tra gli emarginati, nelle missioni. Aumenta, inoltre, il numero di coloro che scelgono la vita di austerità e di contemplazione nei monasteri e nei chiostri, non come moda transeunte, bensì come sincera espressione della loro donazione a Dio e di riparazione per il male del mondo. Ciò significa che, sebbene venga meno il tema " penitenziale " sia nella letteratura religiosa che nella prassi, non viene meno la dimensione penitenziale come forza purificatrice e realistico ricupero di equilibrio in se stesso, nel mondo, davanti a Dio, equilibrio che apre ad un'autentica vita cristiana e che è fondamento di ogni sincera esperienza di comunione trinitaria.

Bibl. Aa.Vv., La Constitution apostolique " Paenitemini " dans la ligne du Concile, in LMD 90 (1967), nn. 47-48; P. Adnès, s.v., in DSAM XII1, 943-1010; Id., La Penitencia, Madrid 1981; S. Babolin, Riconciliazione e penitenza, Milano 1983; T. Goffi, Peccato e penitenza, in NDS, 1176-1183; Paolo VI, Costituzione apostolica Paenitemini, 17 febbraio 1966; F. Ruiz, s.v., in DES III, 1924-1928; B. Schlink, I doni dello Spirito e la gioia del pentimento, Milano 1983.

M.E. Posada

PENTECOSTALISMO. (inizio)

I. Il movimento pentecostale costituisce una vasta corrente del cristianesimo ed è formato da molte chiese pentecostali, nonché da diversi movimenti carismatici entro la maggior parte delle Chiese non-pentecostali. La corrente pentecostale traccia la sua origine al risveglio religioso degli Stati Uniti del sec. XIX e specialmente al movimento Santità (Holiness) nella Chiesa metodista. Tale movimento, come pure altre correnti del risveglio americano, predicavano la necessità di una " seconda conversione ", per " un battesimo nello Spirito Santo ". Nei primi giorni del 1901, all'Istituto Protestante di Studi Biblici di Topeka, nel Kansas (USA), un pastore protestante e i suoi studenti, dopo parecchi giorni di preghiera, fecero l'esperienza del battesimo nello Spirito Santo e pregarono in lingue.

Altri fecero lo stesso, e il movimento si estese lentamente fino al 1906 quando una delle persone presenti alla prima esperienza a Topeka predicò un risveglio pentecostale in una vecchia chiesa di Los Angeles. La preghiera e la predicazione si susseguirono senza interruzione giorno e notte, con la gente che andava e veniva, per oltre tre anni. Migliaia di persone pregarono in lingue, lodarono Dio con entusiasmo e liberamente, furono guarite, profetizzarono, furono liberate da influenze demoniache. Il risveglio di Los Angeles produsse echi negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

I primi pentecostali erano protestanti, per la maggior parte membri delle Chiese presbiteriane, metodiste e battiste. Tuttavia, quelle chiese non furono in grado di assimilare il comportamento tipico pentecostale: pregare e cantare in lingue, liberazione dagli spiriti cattivi, profezia e grande libertà ed entusiasmo nella lode e nel culto. Come conseguenza, i gruppi pentecostali si staccarono da quelle chiese e formarono sette indipendenti. Molte di queste si riunirono nel 1914 per formare l'Assemblea di Dio. Presto si formarono altre grandi denominazioni pentecostali, ma le sette proliferarono. Anche oggi, in ogni continente, gruppi di pentecostali si staccano dalle chiese pentecostali e formano nuove sette. Le chiese pentecostali hanno un elevato ritmo di crescita specialmente nell'America Latina e in Africa.

Il Rinnovamento carismatico ebbe inizio quando il movimento pentecostale iniziò a crescere nelle chiese protestanti non pentecostali e i gruppi non si staccarono più dalla chiesa madre. Nel 1960, in California, un sacerdote episcopale ricevette il battesimo nello Spirito Santo. La sua parrocchia non accettò questo suo nuovo modo di comportarsi. Egli si trasferì allora a Seattle, ebbe successo nel suo ministero parrocchiale e pregò con altri sacerdoti protestanti che diffusero la corrente pentecostale nelle loro rispettive chiese.

II. Il Rinnovamento carismatico cattolico ebbe inizio nel 1967 all'Università cattolica di Pittsburgh, nello stato della Pennsylvania, allorché due professori, che avevano ricevuto il battesimo nello Spirito Santo ad una riunione di preghiera di carismatici protestanti, diressero un ritiro di studenti. Questi, insieme ai professori, ad un certo punto, si trovarono ricolmi di Spirito Santo nel ricevere in profusione la grazia di Dio; iniziarono a pregare e a cantare in lingue, lodando Dio con una libertà nuova e a profetizzare. Detti studenti, poi, a turno pregarono con altri studenti cattolici anche in altre università per il battesimo nello Spirito Santo e così il movimento si diffuse, specialmente fra gli studenti universitari degli Stati Uniti.

Il movimento del Rinnovamento carismatico cattolico presto si diffuse in Canada, in America Latina, in Europa, in Asia, in Australia e in Africa. I demografi religiosi stimano che ben più di sessanta milioni di cattolici abbiano ricevuto l'effusione dello Spirito nel Rinnovamento carismatico.

La Santa Sede ha riconosciuto ufficialmente il Rinnovamento carismatico cattolico e ha concesso uno statuto giuridico ecclesiastico. Tuttavia, nella Chiesa cattolica il movimento carismatico non ha assunto la forma di una organizzazione. Non ha membri ufficiali, nessun rito iniziatorio, nessuna tassa o struttura formale e nessuna autorità all'infuori di quella della Chiesa.

III. Il Rinnovamento carismatico cattolico come esperienza nello Spirito consiste principalmente nell'esperienza di un rapporto personale con Gesù Cristo e nell'essere spiritualmente potenziati dal suo Santo Spirito. Questa esperienza inizia con una nuova e forte effusione dello Spirito Santo, un'effusione della grazia trasformante. L'effusione dello Spirito produce di solito un nuovo apprezzamento per l'azione di Dio nella ed attraverso la Chiesa, come pure un nuovo apprezzamento per i sacramenti, la Parola di Dio, la grazia della preghiera, specialmente della preghiera contemplativa, la preghiera in lingue, e infine la testimonianza coraggiosa della fede.

Inoltre, molte persone ricevono nuovi carismi. I carismi più comuni del Rinnovamento carismatico sono, per esempio, i carismi della preghiera d'intercessione, della profezia, del combattimento spirituale contro le forze del male, del discernimento degli spiriti, dell'evangelizzazione, della preghiera efficace per le guarigioni, della compassione e di altri doni. Un carisma è dato ad alcune persone, non a tutte, da usare nella potenza dello Spirito per un bene comune (cf 1 Cor 12-14; Rm 12,4-8; Ef 4,4-13).

Il dono della preghiera e del canto in lingue non è monopolio del solo Rinnovamento carismatico; appartiene al patrimonio della Chiesa ed esisteva già ai tempi dell'AT. Inoltre, non è un carisma propriamente detto, poiché il carisma viene dato ad alcuni, non a tutti. Il dono delle lingue, invece, che è un dono contemplativo della preghiera, una contemplazione vocalizzata, è comune nel Rinnovamento carismatico.

Bibl. R. Cantalamessa, Rinnovarsi nello Spirito, Roma 1984; J. Castellano, Carismatico (movimento), in DES I, 430-433; R. Laurentin, Il movimento carismatico nella Chiesa cattolica. Rischi ed avvenire, Brescia 19772; K. Mc Donnell, Ravvivare la fiamma dello Spirito, Roma 1992; F.A. Sullivan, s.v., in DSAM XII1, 1036-1052; Id., Carismi e rinnovamento carismatico, Milano 1982.

R. Faricy

PERFEZIONE. (inizio)

I. La p. è propria e solo di Dio. Lo stesso Corpo mistico glorioso di Cristo è pur sempre solamente proteso verso la p. costituita dalla pienezza caritativa divina trinitaria, mai definitivamente acquisibile. Quando si afferma che un'anima santa è perfetta, si allude a una p. relativa e fra ineludibili imperfezioni. " Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità di Dio non è in noi " (1 Gv 1,8). Veramente " Dio solo è l'unico buono " (cf Mt 19,17).

Fra le perfezioni create eccelle e primeggia quella di Gesù Cristo risorto glorioso. Nessun'altra la eguaglia. Noi possiamo solo aspirare ad acquisire qualche aspetto del volto spirituale di Gesù, che lo stesso Spirito Santo ama imprimere nell'animo nostro. Ma non potremo avere una p. eguale a quella di Cristo, neppure racimolando le perfezioni dell'intera comunità di credenti.

II. La p. dei singoli credenti si propone come una meta, che si snoda sempre ulteriormente al di là di quanto essi vengono acquistando. Più appropriatamente si suol dire che le singole anime sono incamminate verso la p. senza mai raggiungerla. E vero che s. Paolo propone con insistenza lo stato perfetto (cf Ef 4,13; Col 1,28; Fil 3,12), ma è un'indicazione di p. in prospettiva dinamica. Per il suo stesso dire, essa non è mai completa di fatto, proprio perché Gesù ha proposto al cristiano la p. di Dio Padre del tutto trascendente per le creature: " Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " (Mt 5,48). Nel linguaggio biblico-teologico, quando si parla di persona perfetta, s'intende solo asserire che ella è perseverante nel progredire verso la meta spirituale.

Il presente stato umano di p. relativa incompleta ha un suo senso benefico: esprime il disegno divino che ci orienta a diventare sempre più intimi al Signore.

III. P. di cammino spirituale. La p. dei credenti, situandosi in un incessante progresso, suole essere concepita prevalentemente in rapporto ai mezzi scelti per perfezionarsi, più che in relazione alla meta perfetta raggiunta. La qualità dei mezzi praticati già svela quale maturità spirituale sia acquisita in armonia con il proprio ambiente culturale religioso. In particolare, si ritiene che si sia acquisita un'autentica esperienza spirituale qualora essa sia vissuta non come un abituale compimento di regole o leggi, ma in spontanea, libera tensione verso un perfezionamento ulteriore.

L'uomo posto in grado inferiore, camminando efficacemente verso la p., è spiritualmente preferibile all'uomo posto in grado più elevato, ma che si sia adagiato in posizione statica. Per sua stessa natura, la p. cristiana dimora dentro una tensione profetica: nel saper intuire ed assecondare quanto il proprio animo e il contesto culturale-spirituale indicano come perfezionamento ulteriore da perseguire.

Come lo Spirito Santo orienta il credente verso una meta superiore? Egli, più che proporre l'azione in se stessa da compiere, viene perfezionando la disponibilità di discernimento e la capacità operativa di ogni singola anima. Presso i credenti viene così favorita la varietà di operati spirituali per il costituirsi del volto spirituale più ricco del Signore nella comunità ecclesiale. Anche se non sarà mai un volto spirituale integrale del Cristo.

IV. Esemplificazioni di p. Non è possibile elencare le molteplici varietà dei vissuti spirituali attuati. Tanto sono molteplici. Allorché Paolo invita: " Cristo sia forma in noi " (cf Gal 4,19), lascia alle singole anime il compito di realizzare l'invito nella maniera personale gradita. Possiamo fare qualche esempio, ricordando taluni modi usati per realizzare la p. La diversità dei modi scelti ingenera diversità di esperienze spirituali attuate.

Tra i Padri della Chiesa, s. Ireneo nel trattato Adversus haereses ricorda che Adamo ebbe in dono una propria singolare capacità di tendere verso la p. Capacità perduta con il peccato e recuperata nello spirito del Cristo Redentore. Clemente Alessandrino nel Pedagogo ritiene che esista p. nella Chiesa per la presenza in essa del Cristo e che ad essa possiamo partecipare mediante il martirio.1

Secondo Origene, i credenti perfetti, a differenza dei semplici fedeli, hanno acquisito lo spirito di filiazione adottiva partecipante all'esperienza teandrica del Verbo incarnato. Secondo s. Agostino, mentre la vita virtuosa umana è frastagliata fra debilitanti programmazioni spirituali, la grazia risospinge al di là dei limiti propri della nostra esistenza.

Se s. Pacomio identifica la p. con l'istituzione monacale, Cassiano la immedesima con la preghiera perpetua e s. Benedetto con l'amore di Cristo. I monaci, in genere, identificano la loro scelta ascetica con lo spirito proprio del battesimo. La vita monastica viene assimilata al martirio perché ritenuta una costante esistenza di sacrificio in Cristo.

I religiosi mendicanti, amando vivere secundum formam sancti evangelii, pongono la loro p. nell'imitare il Cristo resosi povero per noi: nudus nudum Christum sequi. In contrapposizione ad essi la gerarchia ecclesiastica rivendica la p. nel proprio servizio pastorale, poiché la carità - che ne è la sorgente - è superiore ad ogni contemplazione propria dei religiosi.

S. Tommaso renderà stabile la dottrina della p. innestandola sulla carità.2 P. cristiana equivale a p. della carità, sia essa episcopale, religiosa o laica.3

V. P. come esperienza mistica. La p. può essere considerata non in relazione ai mezzi scelti per acquisirla, ma propriamente nella sua attuata configurazione. In questa ipotesi la teologia spirituale e la prassi ecclesiale sono concordi nel ritenere che la p. si identifichi con l'esperienza mistica: un convivere nella carità pasquale di Cristo in virtù dello Spirito a gloria di Dio Padre.

Già nel Vangelo si ricorda il precetto di Gesù ai suoi discepoli: essere intimamente uniti a lui in amore verso Dio e i fratelli (cf Mt 22,40). Unione mistica con Cristo non al modo in cui viviamo le nostre amicizie umane. Gesù parla di un'intimità caritativa tutta particolare. Rivolgendosi a Dio Padre così la precisa: " Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come ami me " (Gv 17,23).

L'unità fra gli stessi discepoli, pienamente realizzata in amore mistico, è un momento dell'unità che esiste fra Gesù e il Padre suo. Dal punto di vista evangelico è questa la p. suprema dell'umanità: immersi nell'amore divino trinitario presente nella carità pasquale del Cristo e che ci viene partecipato in virtù dello Spirito Santo, noi veniamo resi mistici nella misura in cui ci rendiamo interiormente disponibili a ricevere la carità pasquale cristica dallo Spirito.

La partecipazione al mistero pasquale del Cristo consente di morire a ogni compiacenza verso una propria attività virtuosa; di creare il vuoto in noi così da consentire allo Spirito di renderci "uno" in Cristo; di uscire da sé (ex-tasi) penetrando nell'interiorità profonda del Cristo risorto (in-stasi); di permeare ogni attività dell'esistenza della carità pasquale; di stare in ascolto e in abbandono allo Spirito di Cristo.

Gli altri aspetti straordinari, che possono verificarsi nella vita spirituale, non riguardano propriamente la p. mistica. Teresa d'Avila ha precisato che i " favori " divini (come orazione di raccoglimento, rapimenti, visioni) non interessano la p. " La sovrana p. non sta nelle gioie interiori... né nelle visioni né nello spirito di profezia. Essa sta nel rendere la nostra volontà talmente conforme a quella di Dio che noi abbracciamo di tutto cuore ciò che crediamo che egli vuole ".4

Parimenti, non costituisce p. cristiana un esercizio moralistico. La vita virtuosa è necessaria e irrinunciabile, ma come disponibilità a una vita mistica di carità e di contemplazione. Difatti, la p. d'ordine etico, che si ottiene con il dominio di se stessi attraverso un esercizio virtuoso, oltre a farci acquisire stima sociale, rende idonei a cooperare nell'accoglienza del carisma mistico e a diffonderlo in ogni nostra attività.

Note: 1 Pedagogo, str. IV, 4,14; 2 STh II-II, q. 184, a. 1; 3 Ibid., II-II, q. 184, a. 4; 4 Fondazioni 5,10.

Bibl. V. Balciunas, La vocation universelle à la perfection chrétienne selon s. François de Sales, Annecy 1952; A.-J. Festugière, Les moins d'Orient, IV1, Paris 1964; R. Garrigou-Lagrange, La perfezione cristiana e la contemplazione secondo s. Tommaso d'Aquino e Giovanni della Croce, Torino 1933; T. Goffi, Carità, esperienza di Spirito, Roma 1978; H. de Lubac, Mistica e mistero cristiano, Milano 1979; S. Marsili, Giovanni Cassiano ed Evagrio Pontico, Roma 1936; A. Meynard, Teologia ascetica e mistica, I, Torino 1937; A. Sage, S. Augustinus, vitae spiritualis magister, I, Romae 1959; C.V. Truhlar, L'esperienza mistica. Saggio di teologia spirituale, Roma 1984.

T. Goffi

PERFEZIONE (Gradi di). (inizio)

Premessa. La p., nel suo contenuto ideale, comporta la completa attuazione della vita cristiana in rapporto agli inizi, cioè realizza la pienezza della bontà nell'ordine morale e soprannaturale (cf Fil 3,15; Col 3,14; 1 Cor 2,6; Gc 1,4). Si dice perfetto colui che pratica, nel più alto grado possibile, secondo la misura della grazia, quel complesso di virtù che costituiscono il patrimonio dell'insegnamento cristiano. La p. cristiana deve giudicarsi dall'esercizio delle virtù, specialmente della carità. Essa, infatti, ha il primato nella vita spirituale (cf Gv 17,21), è vincolo di p. (cf Col 3,14), pienezza della legge (cf Rm 13,8-10) e ogni altra virtù, se non è animata dalla carità, è nulla (cf 1 Cor 13,1-13). Conseguentemente, la vita del cristiano sarà tanto più perfetta, quanto più la carità informerà i suoi atti.1 Nella p. del cristiano c'è, perciò, una gradualità che coincide con la carità; i gradi della p. si dovranno, quindi, desumere da questa virtù. Dio è la p. assoluta poiché può amare se stesso con quell'amore di cui è degno; c'è, poi, l'anima di Cristo, che ama Dio Padre con un amore così perfetto che nessuna creatura può raggiungere; segue la Vergine Maria, che eccelle su tutte le creature. La p., che l'uomo può raggiungere in questa vita, non può essere che relativa e parziale: solo in cielo egli potrà raggiungere il più alto grado di p., ove amerà Dio con tutto se stesso.

I. Tappe della vita spirituale. Comunemente si parla di una triplice via che conduce alla p.: purgativa, illuminativa e unitiva; però non sono tre vie parallele o divergenti, ma piuttosto tre gradi principali della vita spirituale, percorsi dalle anime che rispondono alla grazia divina.2 Alcuni contrastano questa divisione perché anche coloro che si trovano nella via purgativa, beneficiano dell'illuminazione divina.3 Sembra che questa divisione non sia ammessa nemmeno da s. Teresa: " Non so cosa intendano per via illuminativa ".4 Tanto meno è ammessa la divisione in due vie: quella comune o ascetica e quella straordinaria o mistica perché, tra l'altro, estranea al pensiero dei grandi maestri della vita spirituale.5 Oggi viene accettata la divisione in tre gradi, proposta da s. Tommaso. Il dottore Angelico, pur partendo dalla classica divisione in tre vie, modifica la terminologia per metterla in stretto rapporto con la virtù della carità.6 Citando s. Agostino, egli riconosce coloro che si trovano nella carità incipiente, proficiente e perfetta. Paragona lo sviluppo della vita spirituale a quello della vita fisica; come in questa si distinguono tre fasi nel corso di una sola vita, la quale nasce, si sviluppa e giunge alla pienezza, così anche nella vita spirituale " i diversi gradi della carità [nell'uomo] si distinguono secondo i diversi compiti, ai quali l'uomo si applica, attraverso l'aumento della carità. Per primo all'uomo incombe il dovere di evitare il peccato e di resistere alle cattive inclinazioni, le quali conducono all'opposto della carità. E questo è compito dei principianti nei quali la carità va nutrita e sostenuta perché non si estingua ".7 I principianti devono attendere alla purificazione dell'anima nell'intento di rispondere a Dio che li chiama alla conversione. Essi hanno già rinunciato al peccato e desiderano seriamente la p., però, per la forte inclinazione al male, sono ancora in pericolo di perdere la grazia. S. Teresa distingue due classi di principianti: quelli che, pur avendo un sincero desiderio di p., sono ancora molto legati al mondo; sebbene si dedichino alla preghiera, la loro mente è piena di preoccupazioni che impediscono il colloquio con Dio. Compiono anche sforzi per combattere le abitudini cattive, ma non sono costanti.8 Appartengono alla seconda categoria coloro che fanno già orazione e hanno compreso che, per progredire, è necessario fare sacrifici ma, per mancanza di coraggio, ritornano a compromessi con le passioni.9 In questa fase l'anima deve evitare il pericolo di indiscreto fervore, dando eccessiva importanza agli sforzi personali e sottovalutando la funzione della grazia e della libertà divina.10 D'altra parte, " per quanto faccia, l'anima non può purificarsi attivamente così da essere disposta, neppure in piccola parte, alla divina unione, se Dio non interviene ".11 A questo punto, l'anima entra nel grado dei proficienti, uno stato spirituale più pacificato dove l'illuminazione divina diviene più intensa e quasi nulla è concesso nemmeno al peccato veniale. Qui, scrive s. Tommaso, " l'uomo attende principalmente a progredire nel bene e in lui la carità si fortifica aumentando ".12 S. Teresa dice che " non è piccola la grazia che il Signore ha fatto ai principianti nell'aiutarli a vincere le prime difficoltà " e a farli passare in questo stato. " Ora desiderano ardentemente non offendere il Signore, si guardano anche dai peccati veniali, amano le penitenze, hanno le loro ore di raccoglimento, impiegano bene il tempo, si esercitano in opere di carità ".13

III. Mistica conformazione a Cristo. In questo grado, l'anima cerca la conformazione a Cristo e il possesso del suo spirito. Può essere ancora sottoposta ad aridità di spirito, ma s. Teresa esorta ad andare avanti con umiltà e perseveranza senza tornare " fra i rettili delle Prime Mansioni "; 14 anche Giovanni della Croce esorta alla perseveranza e riconosce in queste aridità il segno del passaggio dall'orazione discorsiva all'affettiva.15 Quando l'anima si è purificata, sia con la sua industria che con l'opera divina, e si è ornata con la pratica positiva delle virtù, passa al grado dei perfetti, cioè all'unione abituale e intima con Dio. S. Tommaso scrive che il terzo impegno per l'uomo " è tendere ad aderire a Dio e godere di lui; e questo è proprio dei perfetti che desiderano essere sciolti dal corpo per vivere con Cristo ".16 De Guibert scrive che di solito si distinguono due classi di perfetti. Ci sono quelli che hanno raggiunto " la piena consumazione della carità o carità eroica, quale la Chiesa suole richiedere per la beatificazione dei servi di Dio (...). Questa eroicità deve risplendere in modo che il servo di Dio possa essere proposto come esempio agli altri cristiani che vivono nelle medesime condizioni ". " Vi sono poi coloro che hanno conseguito una p. della carità meno piena e splendente, ma vera e sufficiente perché l'anima non possa più essere annoverata tra i semplici proficienti, in quanto ha conseguito un tale grado di abnegazione e di raccoglimento, da essere abitualmente docile alle ispirazioni dello Spirito Santo. La carità domina tutta la vita di questa persona, eccetto qualche infedeltà dovuta a fragilità ".17 Poiché l'uomo su questa terra si trova sempre nella p. relativa, anche i perfetti possono progredire nella carità, " quantunque - scrive s. Tommaso - questa non sia la loro cura principale, ma essi si impegnino ad aderire in tutto a Dio ". Il Dottore Angelico riconosce che anche " gli incipienti e i proficienti tendono a questo, tuttavia mettono maggior impegno in altre attività: gli incipienti nell'evitare i peccati, i proficienti nell'acquisto delle virtù ".18 Il perfetto vive quasi costantemente alla presenza di Dio e lo contempla nella sua interiorità, distaccandosi sempre più dalle creature. Naturalmente, evita tutto ciò che può condurre alla distrazione e costruisce a poco a poco nel suo intimo un rifugio in cui trova Dio e gli parla a cuore a cuore. C'è un intimo rapporto tra il progresso nella via della p. e lo sviluppo della vita d'orazione. Prima l'anima aveva tempi determinati per l'orazione, ora invece la sua vita è una continua preghiera: o lavori o si ricrei, da solo o in compagnia, è sempre in unione con Dio e in conformità con la sua volontà; abitualmente il suo pensiero si rivolge a Dio e il suo desiderio è di trattenersi con lui e di fare tutto per piacergli.

Note: 1 Cf STh II-II, q. 2, a. 25; q. 25, a. 12; q. 26, aa. 1-4; 2 Cf A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma 1932; 3 Cf P. Pourrat, Commençants, in DSAM II, 1143ss.; 4 Teresa di Gesù, Vita, 20,1; 5 Cf A. Dagnino s.v., in DES III, 1931-1934; 6 Cf A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656; 7 Cf STh II-II, q. 24, a. 9; 8 Cf Teresa di Gesù, Castello interiore I, 2,12; 9 Cf Ibid. II, 2,3; 10 Cf Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Roma 1983, 452; 11 Giovanni della Croce, Notte oscura I e III, 3; 12 STh II-II, q. 24, a. 9; 13 Teresa di Gesù, Castello interiore III, 1,5; 14 Ibid., 1,7,8; 15 Cf Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo I e II, 13; 16 STh II-II, q. 24, a. 9; 17 J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Romae 1946, n. 357; 18 STh q. 24, a. 9, ad 3.

Bibl. Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Roma 1983; Id., I gradi e le vie nella vita spirituale, in P.L. Boracco - B. Secondin, L'uomo spirituale, Milano 1986, 167-175; A. Dagnino, s.v., in DES III, 1931-1934; J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mystica, Romae 1946; P. Pourrat, Commençants, in DSAM II, 1143-1156; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656; A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma 1932.

S. Possanzini

PERSONALITA. (inizio)

I. Il termine p. è entrato nell'uso comune per indicare caratteristiche proprie degli individui, uniche o comuni, originali o generali, più o meno spiccate. La conoscenza delle caratteristiche della p. ha un forte effetto nelle interazioni sociali e nella vita quotidiana.

Sebbene tutti, più o meno, abbiamo un nostro concetto di p., è estremamente difficile giungere ad una definizione generalmente condivisibile. Forse l'unico fattore oggi comunemente condiviso è che la p. dipenda dalle caratteristiche psicologiche più che da quelle fisiche. C'è comunque da sottolineare, a tale riguardo, che diversi teorici hanno sostenuto una relazione tra tipologie somatiche e p. Per affrontare in maniera scientifica lo studio della p., a partire dagli anni '20 si è costituita, all'interno della psicologia, come disciplina autonoma, la Psicologia della personalità.

II. Psicologia della p. L'interesse per lo studio scientifico della p. è nato dalla necessità di descrivere e interpretare le differenze individuali, la loro genesi e la loro organizzazione. Burnham (1968) e Allport (1969) affermano che questo interesse è stato sollecitato dagli studi antropologici sulla natura delle differenze umane. Gli autori concordano sul fatto che p. derivi dal termine persona, probabilmente di origine etrusca, che nella lingua latina stava a significare la maschera che gli attori indossavano durante le recite. Successivamente il termine persona assunse il significato di "individuo di sesso non specificato", di "corpo", di "complesso di qualità personali". Venne, quindi, utilizzato per designare una persona importante: personaggio; per designare le tre Persone della Trinità. La definizione più celebre di persona, e che conserva ancora oggi la sua validità, è quella data da Boezio ( 524): Persona est substantia individua rationalis naturae.

E importante ribadire che la p. umana viene considerata dagli psicologi nei termini della singolarità e dell'originalità, quindi il suo studio dovrebbe essere definito come "la ricerca della unità nella varietà" (Levy, 1970).

La psicologia della p. ha offerto un gran numero di concezioni e teorie diverse, molti autori hanno proposto, anche all'interno di una stessa corrente o scuola, descrizioni e interpretazioni sulla natura della p., sulle sue varie componenti, sui fattori responsabili della genesi delle differenze individuali. Passando in rassegna i diversi punti di vista sullo studio della p. sembra comunque che emergano tre modelli:

1. Il modello conflittuale, secondo il quale la persona è continuamente presa nella morsa di forze opposte in conflitto tra di loro. La p. sarebbe un compromesso tra due forze antagoniste. All'interno di questo modello si possono distinguere: a. l'aspetto psicosociale, secondo cui una di queste forze sarebbe interna all'individuo mentre l'altra risiederebbe nel gruppo e nella società; b. l'aspetto intrapsichico, per il quale entrambe le forze antagoniste sorgerebbero all'interno della persona stessa. 2. Il modello della realizzazione, secondo il quale la p. si svilupperebbe in base ad una motivazione centrale della condotta. L'individualità sarebbe così orientata, in condizioni favorevoli, ad una costante realizzazione della motivazione centrale, da cui conseguirebbe una relativa attualizzazione delle tendenze periferiche della p. Anche in questo modello, come nel precedente, si possono distinguere due aspetti: a. l'aspetto dell'attualizzazione, secondo cui la motivazione centrale è determinata in maniera quasi genetica e lo sviluppo della p. è, pertanto, legato alle condizioni di vita che favoriscono o inibiscono la realizzazione di questa motivazione centrale; b. l'aspetto della perfezione, dove viene sottolineata la produzione socio-culturale della motivazione centrale; sono la cultura e la società che definiscono gli ideali e le mete, ciò che è buono e ciò che è cattivo, a cui l'individuo "deve" tendere.

3. Il modello della consonanza in cui l'accento è posto sull'influenza del mondo esterno nella formazione della p. Se le informazioni provenienti dal mondo esterno sono in sintonia con ciò che l'individuo si aspetta, vi è allora equilibrio, altrimenti si creano una tensione e una relativa tendenza a diminuire questo disagio interno. Tutta la vita, pertanto, sarà finalizzata al mantenimento di una consonanza interna e la p. sarà il frutto di questa tendenza. Anche questo modello ha due diverse espressioni: a. della dissonanza cognitiva, secondo cui l'aspetto principale della p. risiede nella natura conoscitiva della realtà: vi può essere dissonanza tra due cognizioni o convinzioni personali, o tra una cognizione, l'aspettativa di un fatto e la sua realtà; b. della tensione in cui la consonanza o la dissonanza sono relazionate a diversi gradi di tensione fisica.

G. Froggio

III. La psicologia della religione si è ultimamente avvicinata molto di più alla psicologia della p. Oltre agli aspetti strutturali, evolutivi e dinamici, la psicologia della religione è molto interessata a come armonizzare il tutto con l'aspetto soprannaturale.

Un esempio può essere quello della grazia che come ogni altro dono soprannaturale necessita di una base naturale per concretizzarsi in modo operativo ed è importante chiarire l'integrazione fra struttura della p. e la virtù come dono; le strutture cognitive e volitive sono, in via ordinaria, alla base di una grazia e - solo in via straordinaria - potrebbero anche non prevedere questa base naturale. Infatti, Dio può servirsi sia dei deboli e dei fragili che dei forti e sani per i suoi progetti (cf 1 Cor 12,9-10).

Questo stesso esempio può essere valido per l'aspetto evolutivo della p. Ordinariamente, il percorso maturativo del corpo avviene più o meno parallelamente a quello della psiche e a questi due aspetti inscindibili è auspicabile che si unisca lo sviluppo di una terza dimensione specificamente umana: quella spirituale che, tra le sue varie forme di realizzazione, può concretizzarsi anche con particolari scelte di forma di vita religiosa.

Un'altra applicazione della psicologia della p. di competenza della psicologia della religione è quella relativa alla santità in genere e al mistico in particolare. L'approfondimento di questo studio è importante, fra i tanti motivi, anche per saper individuare il modello autentico da proporre a sé e agli altri.

Un pregiudiziale concetto di santità e di misticismo non raramente in passato veniva applicato a persone dall'Io fragile, masochiste, depresse, fobico-ossessive e isteriche.

È tanto importante quanto difficile trovare dei criteri validi - sia per la psicologia che per la teologia - che aiutino ad evidenziare sia la reale autenticità religiosa che un altrettanto reale equilibrio psicofisico.

Uno di questi criteri può essere quello della integrazione. Si tratta della capacità di riconoscere vari elementi in sé e di tenerli uniti in un tutt'uno armonico e funzionale intorno ad un nucleo (detto anche "centro dell'Io") nel quale la persona è unica, originale ed irripetibile. I vari elementi (aspetti o dimensioni) di cui ognuno è composto devono avere tra di loro un'interdipendenza dinamica nella quale ognuno è indispensabile all'altro e tutti sono necessari alla realizzazione globale della persona.

Il criterio dell'integrazione va applicato e verificato con la reale capacità di adattamento dinamico con l'ambiente: assimilare e fornire elementi di reciproca utilità alla propria crescita. Questo interscambio permette un arricchimento reciproco e permette di ridurre le possibilità di percepirsi reciprocamente minacciosi.

L'integrazione intrapsichica e quella con l'ambiente sono spesso correlate: le persone con elementi non riconosciuti e non integrati in sé, spesso e facilmente, proiettano questa loro non-integrazione (detta anche scissione) nel proprio ambiente sociale. In questo senso, la conflittualità interpersonale è spesso un'estensione della conflittualità intrapsichica. La dissociazione intrapsichica si manifesta anche con una dissociazione socio-relazionale.

C'è, fra i tanti, un elemento che ci permette - in questo contesto - di avvicinare la psicologia della p. alla mistica: il dominio di sé.

L'integrazione della p. - come abbiamo accennato - parte dal riconoscimento in sé di vari elementi, ma ciò che permette di tenerli uniti in modo funzionale, armonico e dinamico è proprio il dominio che la persona impara ad avere sugli elementi costitutivi della propria p. Il dominio di sé in psicodinamica è raggiunto con il "rinforzo dell'Io" nei confronti delle pulsioni dell'Es e delle norme del Super-Io. Il dominio di sé è sempre stato una delle tappe dell'ascesi cristiana (così come anche di molte altre confessioni religiose) intendendo con questo termine la capacità di autoorientamento di tutta la persona verso ciò che dà senso alla propria esistenza.

Dal punto di vista della psicologia della religione, l'asceta autentico è colui che cerca di crescere nella capacità di controllare e non di farsi controllare da pulsioni e da dettami interni così da dirigere la propria vita verso uno scopo ritenuto valido per dare un significato personale alla propria esistenza.

Nella misura in cui, attraverso l'autodisciplina, riesce a prendere possesso di se stesso, nella maniera in cui riesce a dominare le parti e tutto il proprio essere per orientarsi verso il suo fine ultimo e supremo: essere unito a Dio, l'asceta diventa un mistico. L'unione sperimentata dall'asceta non si ferma all'integrazione intrapsichica né all'integrazione socio-relazionale, ma mira sempre più in alto. L'asceta sente di essere pienamente se stesso e ritrova se stesso nella misura in cui si avvicina all'acme o apice della sua vita: completare l'integrazione della propria p. nell'unione con Dio.

Dal punto di vista della psicologia della religione questa è l'essenza dell'ascesi e della mistica di qualunque confessione religiosa. Le altre varie espressioni sono da considerarsi solo epifenomeni: visioni, stimmate, precognizioni, e mille altre forme relative alla struttura della p., all'epoca, al contesto socio-economico e alla cultura contingente.

A. Pacciolla

Bibl. G.W. Allport, Psicologia della personalità, Zürich 1969; G.V. Caprara - A. Gennaro, Psicologia della personalità e delle differenze individuali, Bologna 1987; H. Franta, Psicologia della personalità, Roma 1982; A. Gemelli, Studi sulla personalità umana, Milano 1940; L.H. Levy, Conceptions of Personality. Theory and Research, New York 1970; S.R. Maddi, Personality Theories. A Comparative Analysis, Homewood 1968; J. Nuttin, Comportamento e personalità, Roma 1964; Id., La structure de la personalité, Paris 1965; A.M. Perrault, s.v., in DES III, 1938-1948; Ph. Vernon, s.v., in Aa.Vv., Dizionario di psicologia, Cinisello Balsamo (MI) 19904, 842-844.

PIER DAMIANI (santo). (inizio)

I. Cenni biografici. Nasce a Ravenna nel 1007 e dopo un periodo dedicato agli studi e all'insegnamento, entra nell'eremo di Fonte Avellana dove diventa sacerdote e priore; nel 1057, ormai noto come maestro di vita ascetica e fondatore e riformatore di vari eremi, è creato cardinale vescovo di Ostia dal papa Stefano IX ( 1058) e svolge numerose missioni nell'Italia del nord e in Francia per la riforma della Chiesa. Nel 1066 rinuncia al cardinalato e si ritira a Fonte Avellana. Nel 1072, in occasione di un viaggio a Ravenna, muore a Faenza.

Uomo di forte tempra ascetica, di vasta cultura, di una intelligenza viva, ha lasciato numerosi scritti, spesso occasionali, dai quali traspare il suo costante impegno per la riforma della Chiesa, oppressa dalla simonia e dal nicolaismo, e per la promozione della vita monastica, specialmente nella sua forma eremitica. A questo proposito, giustificò il fatto che alcuni fossero ammessi all'eremo anche senza aver trascorso necessariamente un periodo di tempo nel cenobio, allontanandosi, in questo, dalla prassi suggerita dalla Regola di s. Benedetto.

II. Dottrina mistica. Dai numerosi scritti - opuscoli, trattati, lettere - è possibile enucleare una dottrina mistica del santo, fondata sulla contemplazione di Dio che si raggiunge attraverso la lectio della Bibbia. La contemplazione è lo scopo al quale tende la vita monastica; è una grazia che corona l'esercizio di ogni virtù, anche delle più severe (il santo praticò e suggerì anche agli altri monaci la pratica della flagellazione). In particolare esaltò la vita eremitica come anticipo del paradiso e la cella come luogo dove abita il Signore.

Sentì fortemente la comunione con tutta la Chiesa; la sua fu una ecclesiologia di comunione, che non era in alternativa con la vita eremitica. Nel trattato dal titolo Dominus vobiscum dimostrò, in maniera ampia e splendida, che la preghiera del solitario si attua in comunione con la Chiesa universale. Nel suo insegnamento - come ha scritto Jean Leclercq - egli seppe unire la veemenza di s. Girolamo e la calma di s. Gregorio Magno. Esponente della teologia monastica, meditò sui misteri di Dio e della Chiesa, concepita come Corpo mistico, sottolinenado il ruolo di Maria, novella Eva e madre di Dio.

Autore di varie poesie, P. ha saputo vedere e interpretare la natura, ammirando la bellezza dell'ordine del mondo, ma nello stesso tempo ha sempre esortato a disprezzare tutto ciò che può separarci da Dio.

Bibl. Opere: Sono edite in PL 144-145. Per osservazioni su questa e altre edizioni, cf G. Lucchesi, Clavis sancti Petri Damiani, in Aa.Vv., Studi su san Pier Damiano in onore del card. Amleto Cicognani, Faenza 19702, 215. Le Epistulae sono edite da K. Reindel in MGH, Epist. 1983 e ss. Cf anche San Pier Damiani, Precetti ed esortazioni di vita spirituale, a cura di V. Bartoccetti, Brescia 1931; Id., Contestazione, preghiere, lacrime, a cura di A. Giabbani, Brescia 1972; Id., Lettere ai monaci di Montecassino, a cura di A. Granata, Milano 1987. Studi: B. Calati, s.v., in DSAM XII2, 1551-1573; G. Fornasari, Medioevo riformato del secolo XI. Pier Damiani e Gregorio VII, Napoli 1996; R. Grégoire, San Pier Damiani e la teologia del suo tempo, in Studia monastica, 16 (1974), 69-87; J. Leclercq, San Pier Damiani. Eremita e uomo di Chiesa, Brescia 1972; P. Palazzini, s.v., in BS X, 554-574 (con ampia bibl.); P. Sciadini, s.v., in DES III, 1952-1953; G. Tabacco, Pier Damiani tra edonismo letterario e violenza ascetica, in Quaderni medievali, 24 (1987), 6-23.

G. Picasso

PIETISMO. (inizio)

I. Il fenomeno. Si tratta di un fenomeno trasversale che ha diverse componenti e risorge con fortune alterne in diversi settori del cristianesmo che si rifà alla Riforma del sec. XVI.

E presente nel puritanesimo che si era affermato in Inghilterra con l'intenzione di " purificare " la Chiesa di Stato anglicana. Trova, quindi, il suo terreno fertile tra i non conformisti 1 che orienteranno le loro speranze più sul nuovo mondo al di là dell'oceano che sul vecchio continente.

Lo si ritrova nei movimenti di Risveglio, nel metodismo di Giovanni Wesley ( 1791), che mette l'accento sulla conversione e sul tesseramento dei fedeli impegnati, sostenendo che si può raggiungere una perfezione relativa mentre il " solifideismo " non fa che incoraggiare il quietismo. Ne risente anche la corrente più calvinista che fa capo a G. Whitefield ( 1770), sostenitore della predestinazione e meno premuroso nell'organizzazione dei fedeli.2

E presente nello spiritualismo che si richiama alla mistica medievale. Il suo soggettivismo fa perno sulla facoltà di ragionare dello spirito umano.3

Non è assente nel liberalismo che, facendo leva sull'esperienza religiosa e sul senso di dipendenza del finito dall'infinito, tende a ridurre la Sacra Scrittura ad un commento o a un simbolo di tale esperienza.4

Lo si può ritrovare, infine, nella mistica sorta sul terreno protestante che punta verso una filosofia della religione indipendente dal mondo ecclesiastico, dai suoi templi e dai suoi dogmi.5

II. Figure rappresentative del p. Ricorderemo alcuni tra i nomi più rappresentativi dell'affermarsi del p. S. Frank ( 1542) è contemporaneo di Lutero ( 1546). Mette in evidenza la " luce interiore " e il rapporto diretto con Dio. Lo spirito dell'uomo coincide con lo Spirito divino poiché l'anima è naturalmente cristiana.6 F.G. Spener ( 1705), predicatore di corte, è ritenuto il fondatore del p.7 Il suo libro più famoso s'intitola Pia desideria. Fonda i " Collegia pietatis " composti da veri cristiani.8 Sotto la guida di A.E. Frank ( 1727) l'Università di Halle si trasforma in centro di diffusione del p. Insistendo sulla necessità della conversione prende posizione contro la scienza e la filosofia. N.L. Zinzendorf ( 1760) fonda la comunità dei " Fratelli di Ernut ", prima a carattere interconfessionale e poi indipendente. Tutto il suo pensiero punta sulla pietà personale. J. Böhme è considerato il più signficativo rappresentante della mistica protestante.

III. Caratteristiche del p. Il p. si caratterizza per la sua insistenza sulla " religione del cuore ", sulla " luce interiore " contro l'autoritarismo ecclesiastico, ma si differenzia dagli esercizi ascetici del mondo latino.9 Si richiama alla " chiesa invisibile " di Lutero contro l'oggettivismo sia del cattolicesimo sia dell'ortodossia protestante. Il centro d'attenzione è l'uomo convertito, il solo che può essere un buon teologo.10 La Sacra Scrittura e la sua ispirazione verbale saranno mantenute, ma il soggettivismo farà spesso del p. un alleato del razionalismo richiamandosi entrambi alla luce interiore (elemento mistico). Al p. si deve una forte attenzione alla missione, all'etica sociale e alla disciplina.11

Note: 1 K. Heussi - G. Miegge, Sommario di storia del cristianesimo, Torino 1960, 224; 2 Ibid., 247-250; 3 J.L. Neve, A History of Christian Thought, vol. 2, Philadelphia 1946, 40; 4 Ibid., 117; 5 E. Tröltsch, Sociologia delle sette e della mistica, Roma 1931, 88; 6 J.L. Neve, A. History..., o.c., 43; 7 K. Heussi - G. Miegge, Sommario..., o.c., 225; 8 E. Campi, Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, Torino 1991, 350; 9 P. Tillich, Storia del pensiero cristiano, Roma 1969, 273; Id., Umanesimo cristiano, Roma 1969, 47; 10 Id., Storia..., o.c., 269; 11 Ibid., 271.

Bibl. D. Blaufuss, s.v., in WMy, 405-408; L. Cristiani, s.v., in EC IX, 1391-1393; Id., s.v., in DTC XII, 2084-2093; Giovanna della Croce, s.v., in DES III, 1956-1960; K. Heussi - G. Miegge, Sommario di storia del cristianesimo, Torino 1960; J.L. Neve, A History of Christian Thought, vol. 2, Philadelphia 1946; A. Ritschl, Geschichte des Pietismus, 3 voll., Berlin 1966; M. Schmidt, Der Pietismus als theologische Erscheinung, Göttingen 1984; P. Tillich, Storia del pensiero cristiano, Roma 1969; Id., Umanesimo cristiano, Roma 1969; E. Tröltsch, Sociologia delle sette e della mistica protestante, Roma 1931; V. Vinay, s.v., in DIP VI, 1694-1696; B. Weber, s.v., in DSAM XII2, 1743-1758.

R. Bertalot

PIETRO D'ALCÁNTARA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nel 1499 nasce ad Alcàntara Giovanni de Sanabria, figlio di Pietro Alonso Garavito ( 1507) e di Maria Vilela de Sanabria, donna di famiglia molto agiata.

Giovanni studia arti liberali, filosofia e diritto canonico a Salamanca (1511-1515). Nel 1515 entra tra i frati minori della custodia del Santo Evangelio e alla professione prende il nome di Pietro.

La custodia del Santo Evangelio, affidata nel 1517 agli osservanti di Santiago, nel 1519 diventa provincia di san Gabriele e viene considerata provincia-madre degli " scalzi " di Spagna. Fra P., ordinato sacerdote nel 1524, ricopre diversi incarichi nella sua provincia, dandosi nello stesso tempo a una fervente attività apostolica come predicatore e direttore di anime. Nel 1555 ha il permesso di ritirarsi presso l'eremo di Santa Cruz de Paniagua, e nel 1557 assume l'incarico di Commissario generale dei conventuali riformati, promuovendo la fondazione di diversi conventi. Muore ad Arenas, presso Avila, il 18 ottobre 1562. Nel 1669 Clemente IX lo iscrive nel catalogo dei santi.

L'attività letteraria di fra P. non è stata abbondante. L'opera più importante e conosciuta è il Tratado de la oración y meditación (Il Trattato sull'orazione e la meditazione). Si è molto discusso sul rapporto tra questo trattato e il Libro de la oración del domenicano Luigi di Granada, pubblicato nel 1553. Sembra si possa concludere che fra P. abbia riassunto, verso la fine del 1556, il libro di Luigi di Granada, con l'assenso dell'autore, rendendolo più semplice e accessibile alla gente comune e soprattutto apportandovi importanti modifiche e aggiunte e imprimendogli un orientamento più mistico con particolare sottolineatura del raccoglimento interiore.

Il Tratado è diviso in due parti. Nella prima si parla dei frutti e dei soggetti della meditazione e offre sette meditazioni sulla passione, risurrezione e ascensione di Cristo. Segue l'esposizione delle sei parti di cui è composta l'orazione: preparazione, lettura, meditazione, ringraziamento, offerta, domanda. Si conclude con dodici Avisos (Avvisi), tra i quali uno sulla durata dell'orazione (meglio una lunga che due corte) e un altro sullo sforzo di unire meditazione e contemplazione. La seconda parte tratta della devozione, dei mezzi che la favoriscono, di ciò che la ostacola. L'apporto originale di P. è quello di avere, con quest'opera, arricchito di elementi tipicamente francescani il pensiero spirituale del tempo fortemente influenzato dal platonismo e dall'agostinismo.

A P. si debbono pure le Constituciones della provincia di San Gabriele (1540) e della provincia di San José (1561-1562). L'attribuzione di qualche altra opera resta più o meno incerta, mentre si conservano dodici lettere autentiche, di cui una indirizzata a s. Teresa d'Avila.

II. Esperienza e dottrina mistica. Da un punto di vista dottrinale egli rispecchia la spiritualità spagnola del tempo, ponendo, comunque, l'accento sulla penitenza e soprattutto sulla povertà, la cui stretta osservanza promuove fervidamente nel suo Ordine con la sua opera di riforma.

Il rapporto tra meditazione e contemplazione viene espresso con chiarezza da P. in questo brano: " Quando l'uomo mediante la fatica della meditazione arriva al riposo e godimento della contemplazione, deve cessare ogni penosa e faticosa ricerca, accontentandosi della semplice visione e memoria di Dio, come l'avesse davanti agli occhi, deve godere dell'affetto che gli è dato, sia d'amore o simile. Tale consiglio si dà perché il fine di tutto questo processo consiste più nell'amore e nell'affetto che nella speculazione intellettuale. Quando la volontà ha conseguito tale affetto dobbiamo toglier via ogni discorso e speculazione dell'intelletto, affinché l'anima nostra, con tutte le sue forze, s'impieghi in esso senza andar vagando negli atti delle altre potenze ".1

Lo zelo di P. per la riforma della vita religiosa ha avuto un grande influsso anche su altri Ordini e in particolare su quello carmelitano.

In proposito va ricordato il suo rapporto con Teresa d'Avila. La santa si trovava in grande travaglio perché non riusciva ad opporsi alle grazie mistiche di cui era favorita e che da alcuni venivano considerate opera del demonio. Capita ad Avila fra P. e Teresa gli apre la sua anima. " Quasi subito - scrive - da principio compresi che mi capiva per propria esperienza... Mi dilucidò ogni cosa e mi spiegò tutto. Mi disse di non affliggermi, ma di lodare Dio e di stare tanto certa che chi in me operava era il suo Spirito che, all'infuori delle verità di fede, non vi poteva essere cosa più vera e più degna di essere creduta... Rimanemmo d'accordo che io gli avrei scritto tutto ciò che mi fosse accaduto di lì in avanti e di raccomandarci a Dio scambievolmente ".2

Le notizie che Teresa dà di fra P. equivalgono ad una esaltante agiografia. Egli stesso le aveva rivelato i segreti della sua vita penitente: " A me ne parlò per il grande amore che mi portava ". Le sue austerità erano impressionanti: " Quando lo conobbi era assai vecchio ed era tanto estenuato da sembrare fatto di radici d'albero... Nonostante questa santità così sublime, pure era molto affabile ". La morte del santo non interrompe il rapporto spirituale: " L'ho veduto molte volte in somma gloria. La prima volta che mi apparve disse: O felice penitenza, che mi ha meritato tanto premio ".3 Il grande francescano sostenne costantemente s. Teresa nell'opera di riforma del Carmelo.4

Per quanto riguarda l'esperienza mistica, s. Teresa ci trasmette pure una particolare convinzione di fra P.: " Il numero delle donne a cui Dio concede queste grazie è molto più alto che non quello degli uomini. Questo l'ho sentito dire dal santo fra P., e l'ho costatato io stessa. Quel Padre diceva ancora che in questo cammino le donne fanno maggior progresso che non gli uomini, e in favore delle donne recava eccellenti ragioni ".5

Note: 1 Tratado, p. I, avvert. VIII; 2 Vita 30,4-7; 3 Ibid., 40, 8; 4 Cf Ibid., 32,13; 35,5; 5 Ibid., 40,8.

Bibl. Opere: Pedro de Alcántara, Della vita interiore, tr. e notizia finale di V. Passeri Pignoni, Reggio Emilia 1979. Studi: M. Acerbal Lujam, s.v., in DSAM XII2, 1489-1495; E. Allison Peers, Studies of the Spanish Mystics, 2 voll., London 1930; A. Huerga, s.v., in DES III, 1960; A.B. Manzano, San Pedro d'Alcántara. Estudio documentado y critico de su vida, Madrid 1965; J. Tous, s.v., in WMy, 309; L. Villasante, Doctrina de san Pedro de Alcántara sobre la oración mental, in Verdad y Vida, 21 (1963), 207-235.

U. Occhialini

PINY ALEXANDRE. (inizio)

I. Cenni biografici. P. nasce ad Allos (alta Provenza) nell'anno 1640. Non appena avviato agli studi entra nell'Ordine domenicano, conseguendo in piena maturità di pensiero i titoli accademici. Per le eminenti doti di intelligenza otterrà in breve l'insegnamento delle discipline filosofiche e teologiche. Per disposizioni dei superiori si prodiga con fervore per la riforma degli studi nell'ambito religioso in varie sedi e in pari tempo attende alla formazione monastica. Spicca in lui la tendenza ascetica e mistica. Sfrutta i suoi talenti sia oralmente sia ancora mediante numerosi scritti, in cui fa perno sulla dottrina del " puro amore ", attento peraltro a conservare l'ortodossia del pensiero cattolico. Chiude la sua laboriosa giornata nell'anno 1709.

II. Esperienza e dottrina mistica. Apprezzato per la sua disponibilità nel ministero sacerdotale - specialmente per la direzione spirituale - è ritenuto un vero " homo Dei ", unicamente dedito alla ricerca e al compimento della volontà di Dio. Nella spiritualità del tempo - fine '600, principio '700 - si guadagna fama di studioso e di asceta, come dimostrano i suoi scritti, che riflettono la conoscenza e l'approfondimento della scienza teologica tomista.1

I cardini fondamentali della sua dottrina mistica - dato lo stile semplice e senza artifici - si enucleano attorno al concetto dell'amore puro; l'opera principale è appunto " La clef du pur amour " (1681), in cui praticamente si evidenzia l'assioma scolastico patristico: " Probatio amoris est exibitio operis ". Già si amplifica, quindi, il discorso elaborato in " Le plus parfait ou des voyes intérieures la plus glorifiante pour Dieu et la plus sanctifiante pour l'âme " (1683). Per il compimento esatto e cosciente della volontà di Dio si richiede in effetti l'acquiscement o abbandono amoroso nell'accettazione di quanto e come piace, eo come dispone Dio, soprattutto nella sofferenza, sino al sacrificio della vita. Nella pratica della religione cristiana - mediante l'esercizio continuo di volontà - si giunge al vertice di un pieno adeguamento al beneplacito divino. " Il lasciar fare a Dio " non è solo la parola d'ordine, ma anche la chiave di lettura di ogni suprema aspirazione.

Il P. intende aprire il discorso ascetico e mistico oltre che alle persone consacrate, anche ai laici: attorno a lui e alla sua scuola crescerà quel nucleo detto " Union chretiénne ", un'associazione nel cui ambito si muoveranno proficuamente molte persone pie. Per questo cenacolo abituale pare abbia composto il testo La vie cachée ou pratiques intérieures cachées à l'homme sensuel, mais connues et très coûtées à l'homme spirituel. Attento ad ogni possibile deviazione in tal campo delicato - preoccupato della piena ortodossia quanto al puro amore - verso la fine della vita si ritira con discrezione, nel timore di essere frainteso e ritenuto un semiquietista. Quel misticismo, che assume il programma di " adeguarsi all'ideale " e di " restar passivi " nella pratica dell'amore, ha trovato non pochi oppositori anche in seno all'Ordine stesso domenicano. La moderazione dell'uomo di Dio e l'accettazione umile - per essere fedele alla Chiesa e al pensiero di s. Tommaso - lo pongono tra i rappresentanti più tipici della dottrina dell'amore che, in quel tempo di tensioni teologiche, conosce aspre diatribe come nella famosa quérelle tra Bossuet e Fénelon.

Note: 1 Infatti si dirà giustamente: " Dès son entrée dans l'Ordre il sera initié à la théologie de s. Thomas, qui marquera durablement son enseignement oral et écrit, ainsi que ses prises de position contre les molinistes " (R. Raffin, s.v., in DSAM XII2, 1783).

Bibl. H. Bremond, Histoire littéraire du sentiment religieux en France, VIII, Paris 1928, 78-178; M.M. Gorge, s.v., in DTC XII, 2119-2124; Id., Figures domenicaines, Paris 1936, c.7; V. Mezière, Le message de A. Piny, in VieSp 22 (1930) 125, 151-165; P. Raffin, s.v., in DSAM XII2, 1779-1785 (con bibliografia); P. Zovatto, s.v., in DES III, 1963-1965.

A. Pedrini

PLATONE. (inizio)

Premessa. E uno dei massimi pensatori dell'antichità (428 o 427-347 a.C.), discepolo di Socrate ( 399 a.C.) della cui filosofia è il massimo interprete come risulta dai suoi dialoghi. Ma al di là dei Dialoghi, come è emerso specie negli ultimi decenni, va considerato anche il problema delle " dottrine non scritte " esposte nelle lezioni tenute all'interno dell'Accademia, la scuola fondata da P., che affrontano probabilmente il tema del Bene, e dei suoi principi ultimi e supremi su cui P. non scrive ritenendo, socraticamente, che di essi si possa dar conto solo nella vitalità del dialogo orale. L'idea del Bene, che corrisponde all'Uno, al divino, rappresenta in P. il punto d'arrivo di quella " seconda navigazione " che lo conduce alla scoperta del mondo sovrasensibile.

I. La filosofia di P. Pur essendo fortemente segnata dall'istanza etico-politica, la filosofia platonica si apre così ad un mondo metafenomenico, puramente intelligibile, il mondo delle idee, recuperando contemporaneamente, specialmente in una seconda fase del suo sviluppo, aspetti della filosofia presocratica e, in particolare, della cosmologia eleatica. Il mondo delle idee rappresenta, in P., il Divino. Divina e fondamentale è l'idea del Bene, che è al culmine della gerarchia dell'intelligibile pur avendo caratteri di impersonalità e non quelli del Dio-persona. Persona è invece il Demiurgo, artefice del mondo e non creatore, gerarchicamente inferiore al mondo delle idee e da esse dipendente. Le idee, forme spirituali, rappresentano infatti i modelli, i paradigmi eterni delle cose. L'uomo conosce questo mondo ideale attraverso l'anima che è immortale ed ha, precedentemente alla caduta nel corpo, avuto contatto con l'iperuranio, termine con cui P. nel Fedro descrive l'aspaziale mondo delle idee. Il corpo rappresenta, infatti, il " carcere " dell'anima e l'anima deve cercare di fuggire il più possibile dal corpo pervenendo anche a desiderare la morte che le può dischiudere una vita più vera. Fuggire dal corpo significa ritrovare lo spirito, curare l'anima che si eleva conoscendo, cioè " ricordando " (si pensi alla dottrina dell'anamnesi) e ricordare significa fondamentalmente ritornare in se stessi.

II. Dimensioni mistico-religiose. Appaiono evidenti in P. sia la presenza delle dottrine esoteriche degli orfici e dei pitagorici sia l'utilizzo da parte sua del linguaggio e della simbologia dei contemporanei culti mistici e misterici.

L'assunzione di tali moduli offre, infatti, a P. la possibilità di descrivere il passaggio dal sensibile all'intelligibile anche se questi elementi relativi all'esperienza misterica vengono trasposti in chiave filosofica, dunque sostanzialmente trasfigurati. Pensiamo, ad esempio, ad elementi strutturali della prassi misterica eleusina quali il tema della " visione " e della " luce ", al ruolo dell'illuminazione e alla sua relazione con il processo di perfezionamento di se stessi (cf Repubblica, 508d; Simposio, 210a). Ma ancora più decisiva, a proposito del recupero platonico della simbologia misterica, appare la questione della reincarnazione, ricompensa e castigo dell'anima dopo la morte. Si coniugano qui, emblematicamente, elementi strettamente filosofici e dimensioni mistico-religiose (cf per es. Fedro, 248b). La conoscenza più alta si ha quando l'anima raggiunge il suo scopo e si collega con l'uno divino nell'unione mistica (cf Simposio, 211c). Tale ricerca di unità si rende evidente attraverso quell'esperienza di liberazione che è il prepararsi alla morte vivendo, cioè attraverso quel lavorio costante che induce a separare sempre più il corpo dallo spirito. Si tratta di un'esperienza mistica di tipo metafisico - l'amore ontologico per Dio, l'Uno, la fonte dell'essere - più vicina ad una mistica di tipo naturale (cf Fedone, 64a-69d; 79c-84b) che alla mistica cristiana.

Ma all'approccio mistico al tema della morte si accompagna la centralità dell'amore.

Il tema platonico di Eros, figlio di Penia e di Poros esprime, in fondo, la consapevolezza della propria povertà, dispersione e unilateralità, la ricerca di un mondo perduto e l'aspirazione all'unità, quell'unità totale che proprio l'amore lascia presagire e che anche la filosofia stessa ricerca. E su questi temi che si svilupperà il recupero di P. da parte del cristianesimo in generale e della patristica in particolare. Pensiamo, per esempio, a tutto lo sviluppo della teologia negativa, a Dionigi l'Areopagita e alla accentuazione della trascendenza del primo principio (interpretazione della prima ipotesi del Parmenide cf 137c-142a, cf anche Timeo 28c), a Gregorio di Nissa e alla tensione, all'interno dell'anima, tra ricchezza e povertà, tra consapevolezza mistica della possibilità di accedere alla beatitudine eterna e della impossibilità a raggiungere pienamente la conoscenza dell'essenza di Dio ed infine, ad Agostino.

Bibl. K. Albert, Sul concetto di filosofia in Platone, ed it. a cura di P. Traverso, Milano 1991; W. Beierwaltes, Platonismo e idealismo, Milano 1973; A.-J. Festugière, Contemplation et vie contemplative chez Platon, Paris 19673; H. Gaiser, L'oro della Sapienza, intr. e tr. di G. Reale, Milano 1990; E. Hoffmann, Platonismus und Mystik in Altertum, Heidelberg 1935; E. von Ivánka, Plato Christianus. Übernalnne und Ungestaltung des Platonismus durch die Väter, Einsielden 1964; K. Jaspers, Platon, München 1976; K. Kramer, Platone e i fondamenti della metafisica, intr. e tr. di G. Reale, Milano 1982; E. Lüdemann, s.v., in WMy, 628-630; Id., Platonism, in WMy, 630-633; L. Robin, La théorie platonicienne de l'amour, Paris 1908; A. Solignac, Platonism, in DSAM XII2, 1803-1811.

F. Miano

PLOTINO. (inizio)

Premessa. Nato nel 205 e morto nel 270 d.C., discepolo di Ammonio Sacca ( inizio III sec.), è il principale esponente del neoplatonismo.

Fondatore di una scuola a Roma, le sue opere - intitolate Enneadi in quanto raggruppate in sei gruppi di nove - sono ordinate da Porfirio ( 305).

I. La filosofia di P. Il suo pensiero si caratterizza per un originale recupero della filosofia platonica. Per P. ogni ente è caratterizzato da un principio di unità che lo rende effettivamente tale e ogni specifico principio di unità suppone, tuttavia, il riferimento al supremo principio che è alla base di tutti gli enti, cioè all'Uno. L'Uno è ineffabile, infinito, nel senso di una immateriale illimitata potenza produttrice, è assolutamente semplice, ragion d'essere del complesso e del molteplice, è il Bene, è al di sopra dell'essere, del pensare, del vivere. L'Uno si autopone, è " attività autoproduttrice ", assoluta libertà creatrice, attività per eccellenza libera, è il " Bene che crea se stesso ", causa di sé, ciò che esiste da sé e per sé, è il trascendente stesso. Ma l'Uno non ha solo una propria attività, vi è anche un'attività che deriva dall'Uno, ma nel senso dell'irraggiarsi di una luce da una fonte luminosa in forma di cerchi successivi. Questa attività si caratterizza come una necessità che dipende da un atto di libertà (quasi una necessità voluta), per questo si può parlare di processione più che di emanazione. L'Uno - in termini teologici Dio - autocreandosi liberamente si espande producendo l'altro da sé, l'Uno (prima ipostasi), per diventare mondo delle forme e del pensiero deve farsi Spirito (seconda ipostasi), per creare un universo fisico deve farsi Anima (terza ipostasi). Rivolgendosi allo Spirito, l'Anima trae la propria sussistenza e, attraverso lo Spirito, vede l'Uno ed entra in contatto con il Bene medesimo.

La materia (e in un certo senso anche il male) rappresenta, invece, la privazione estrema della potenza dell'Uno, mancanza nell'ordine naturale, ostacolo, ma non causa attiva. L'uomo è, dunque, da P. identificato con il suo principio unitario che è fondamentalmente la sua anima e dalla quale dipendono tutte le attività della vita dell'uomo. La più alta fra queste attività è la libertà intesa come volizione del Bene, strettamente legata all'immaterialità. Infatti, la vera aspirazione dell'anima, caduta nel corpo, è tutta nel desiderio di ricongiungersi al divino, all'Uno e di distaccarsi dal corporeo, dal sensibile.

II. Tracce di mistica naturale. La presenza dell'Uno nell'anima appare la realtà costitutiva dell'anima stessa. Se le ipostasi procedono dall'Uno, per una sorta di differenziazione ontologica, il ricongiungimento all'Uno ha luogo mediante il superamento di queste forme di alterità. Tale superamento conduce l'uomo a rientrare in se stesso, spogliandosi di tutto e riempendosi dell'Uno attraverso uno stato di contemplazione che è pace e silenzio. In tale esperienza, soggetto contemplante e oggetto contemplato vengono a fondersi. L'unificazione con l'Uno è, infatti, estasi, una forma di estasi non intesa come grazia nel senso cristiano, ma piuttosto inserita nell'orizzonte categoriale del pensiero greco, uno stato di iper-razionalità, non di incoscienza. Se è vero, infatti, che P. sente fortemente l'idea della trascendenza di Dio, mancano, tuttavia, in lui il tema della creazione e quello della grazia: il Dio di P. non si dona agli uomini, ma sono gli uomini che possono riunirsi a lui per le loro volontà e capacità naturali. Nonostante la forte carica religiosa, appare evidente il carattere razionalistico della mistica plotiniana. P. non si affida alla rivelazione, né ricerca una mediazione tra il divino e l'umano. L'intuizione dell'Uno ineffabile è, invece, il risultato di un esercizio di ascesi intellettuale. Mistica e metafisica, religiosità e razionalità sono, infatti, in P. strettamente congiunte.

Bibl. Aa.Vv., Plotino e il neoplatonismo, Roma 1974; A. Arnou, Le désir de Dieu dans la philosophie de Plotin, Roma 1967; E. Bréhier, Mysticisme et doctrine chez Plotin, in Sophia, 16 (1948), 182-186; V. Cilento, Unità e distinzione di mistica e dialettica nel pensiero religioso di Plotino, in Rassegna di Scienze filosofiche, 13 (1966), 156-183; Id., La mistica ellenica, in Aa.Vv., La mistica non cristiana, Brescia 1969, 189-304; Id., Saggi su Plotino, Milano 1973; M. de Corte, L'expérience mystique chez Plotin et chez saint Jean de la Croix, in ÉtCarm 20 (1935), 164-215; G. Dalmasso, La verità in effetti. La salvezza dell'esperienza nel neoplatonismo, Milano 1996; M. Isnardi Parente, Introduzione a Plotino, Roma-Bari 1989; E. Lüdeman, s.v., in WMy, 633-635; P. Prini, Plotino e la genesi dell'umanesimo interiore, Roma 1968; B. Salmona, Il neoplatonismo, in La Mistica II, 587-612; Id., s.v., in DES III, 1965-1973; P. Trovillard, Valeur critique de la mystique plotinienne, in Revue Philosophique de Louvain, 59 (1961), 431-444; V. Vitiello, Plotino e S. Agostino. Alcune considerazioni sul concetto di Dio, in Aa.Vv., Alle radici della mistica cristiana, Palermo 1989, 57-71.

F. Miano

POLITICA. (inizio)

Premessa. In linea di principio mistica e p. appartengono a due ben diversi ambiti, essendo la prima una forma di contemplazione e di elevazione a Dio e la seconda metodo di azione concreta. La mistica attiene alla Gerusalemme celeste, la p. si occupa della città dell'uomo. Ma nelle vicende storiche tra i due così distinti piani si è stabilita una connessione attraverso la mediazione di singole persone, che hanno saputo coniugare insieme tensione spirituale e carità civile ed umana. Sarebbe, tuttavia, improprio cercare di ricostruire attraverso i tempi una specie di galleria di ritratti di uomini e di donne contemplativi eppure operanti nella p.: sarebbe assai facile trascurare un numero molto elevato di persone, delle quali la sfera interiore non ha lasciato traccia documentabile pur essendo stata determinante nel motivare in profondo l'impegno al servizio della società. Per non ridurre l'incontro di mistica e di p. a sole ed isolate figure emergenti è necessario considerare l'orientamento delle culture dominanti nei singoli periodi per inquadrare in esse protagonisti ed atteggiamenti più diffusi.

I. Nelle culture dominanti. Nell'universo medievale la dottrina dell'unica derivazione divina dei due poteri, il papato e l'impero, favorì tanto nella cultura dotta quanto in quella popolare il diffondersi del convincimento di un possibile, anzi naturale accordo dell'opera di governo della società civile con un'alta moralità personale, tanto da far scorgere negli atti concreti dei sovrani e dei loro collaboratori il sigillo del volere divino, quasi a testimonianza di un colloquio permanente con Dio. Il carattere di missione, affidata da Dio ai sovrani e confermata dalla loro consacrazione per mano dell'autorità ecclesiastica, da un lato consentì a diversi di essi di dare una risposta coerente di vita e di attività politica con esercizio di virtù, riconosciute poi quali indici di santità; dall'altro favorì il diffondersi nell'opinione popolare di una sacralizzazione piena di monarchi e principi considerati strumenti privilegiati e diretti dell'opera di Dio nel mondo. Così da famiglie regali e principesche uscirono numerosi santi e sante, celebrati e additati ad esempio del popolo cristiano, non tanto per la pur gloriosa e solerte opera di governo - si pensi ad esempio a Luigi IX di Francia ( 1270) - quanto piuttosto per la forza spirituale che la motivò, con ricorso a preghiera e a vero rapporto con Dio, sovente sorretto da consiglieri e confessori a loro volta modelli di virtù. Già la fase di prima evangelizzazione dell'Europa centrale e settentrionale, sino all'epoca della prima crociata, fu segnata da forte connubio tra azione politica e radicamento religioso, rendendo possibile l'emergere di personalità guida che incarnarono in modo eccellente il tipo dell'uomo medievale con lo sguardo e l'animo rivolto al cielo per calarsi con una forte ragione interiore nelle cose terrestri. Poi la lotta per la sopravvivenza della cristianità contro l'espansione islamica e contro le grandi calamità nei secc. XII-XV accrebbero, anche nell'insegnamento della Chiesa, il ruolo dei capi delle nascenti nazioni quali inviati da Dio e perciò chiamati ad essere non solo braccio, ma anche immagine di lui. La cultura popolare amplificò la loro missione, attribuendo loro anche poteri preternaturali proprio a motivo della loro vicinanza a Dio: un topos diffuso nel tardo Medioevo fu quello del " re taumaturgo ", che trovò accoglienza in ambiente germanico e soprattutto in Francia. Se questa credenza non aveva riscontro reale, voci di santi si levarono a chiedere ai governanti un supplemento di coerenza tra il loro comportamento e la missione ricevuta da Dio: proprio in questi personaggi fattisi espressione della coscienza si congiunsero l'afflato mistico e la cura della p. Emblematica la vicenda di Caterina da Siena: benché del tutto particolare la posizione del Pontefice, l'appello di Caterina affinché egli abbandonasse Avignone e tornasse a Roma per guidare la Chiesa universale con maggiore libertà, rappresenta l'incontro tra una straordinaria esperienza spirituale con la preoccupazione dell'ordinamento della storia. Comunque, in generale, nel contesto della società medievale i mistici non erano considerati fuori dalla realtà o contrapposti radicalmente ad essa, bensì parte integrante ed alimento della società.

L'equilibrio si alterò nella cultura e nella prassi con l'affermarsi dell'Umanesimo e del Rinascimento e con il consolidarsi degli Stati nazionali. Nel pensiero e nell'azione l'attenzione si volgeva e si concentrava nella storicità avviando un processo di separazione tra la sfera della contemplazione e quella dell'impegno politico. Si verificò agli inizi del '500 una diffusione di ammonimenti morali al buon principe cristiano destinata appunto al superamento di tale separazione tanto nella persona del governante quanto nell'intera p.: autori di questi trattati furono principalmente esponenti dei circoli erasmiani i quali in Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna ed Italia, pur facendo professione di forte sensibilità umanistica per la centralità dell'uomo e della storia, ritenevano che ciò richiedesse una proporzionata crescita interiore nella dimensione spirituale. Quegli autori divennero, così, coscienza critica della loro epoca sino a pagare di persona in vari modi e, in qualche caso, come Tommaso Moro ( 1535), con la vita. La testimonianza del ministro di Enrico VIII ( 1547), giustiziato nella Torre di Londra nel 1535, è certamente riconducibile alla fedeltà alla Chiesa sino alle estreme conseguenze, ma la ragione profonda del suo martirio risiede nella rivendicazione della necessaria fondazione morale della p. Per questo il suo dissenso dal re, la prigionia e la morte furono segnati da un'autentica carica mistica, come documentano sia l'autodifesa in Parlamento sia gli scritti e le conversazioni nel carcere, prosecuzione coerente e naturale del suo precedente servizio politico.

La frattura religiosa dell'Europa, che nel corso del sec. XVI coinvolse nazioni e governanti inducendoli a scelte precise di campo, provocò un radicale ripensamento del rapporto tra fede e p.: in campo riformato si manifestò una prevalente tendenza ad una nuova interazione tra potere spirituale e governo della società, tra legge morale e ordinamento civile, soprattutto in alcune confessioni (calvinismo, anabattismo, evangelismo di tipo populistico) propense a radicarsi in maniera totalizzante nelle città e nei governi locali. E difficile dire sino a che punto si sia manifestata una forma mistica protestante, ma si deve riconoscere che non mancarono forme di alta spiritualità tese a fermentare del Vangelo le comunità civili. In ambito cattolico il recupero di una p. fedele alla Chiesa ed alla legge morale venne ricercato attraverso la cura della formazione religiosa dei principi e dei loro ministri, ma soprattutto con una diffusa pedagogia dei ceti protagonisti della società. Da un lato compaiono le figure di sovrani pii e dediti ad intensa pratica religiosa, sino a forme di esasperata austerità, come nel caso di Filippo II ( 1598) di Spagna, sostenute da confessori e predicatori particolarmente esigenti, dall'altro si verifica una grande mobilitazione di Ordini religiosi (in primo luogo i gesuiti) per l'educazione spirituale e civile dell'aristocrazia e della nascente borghesia europea. Vengono fondati collegi di istruzione superiore, nei quali i giovani delle future classi dirigenti assumono una ben pianificata cultura umanistica insieme con un codice etico altamente esigente, mentre sorgono o si rinnovano associazioni di laici destinate a continuare nella vita sociale l'opera dei collegi. Qualche studioso ha affermato che tra la fine '500 ed il secolo seguente si può parlare di una " Europa dei devoti ", ossia di una società nella quale la p., l'economia, l'amministrazione è nelle mani di una vasta schiera di dirigenti, che non solo si sono formati nelle scuole cattoliche ma che vivono la loro professione ed il loro ruolo civile con il supporto della loro partecipazione agli appuntamenti spirituali e della loro adesione ai comportamenti morali indicati e sorretti dall'associazionismo laicale. Gli impegni religiosi di questi devoti laici si discostano ben poco da regole di tipo monastico: frequenza ai sacramenti, devozione mariana, meditazione e lettura spirituale, esercizio di virtù e di apostolato, liturgie comunitarie. Si può, pertanto, scorgere la compresenza di aspetti di contemplazione e di impegno all'azione p. e sociale cristianamente motivata. Il fenomeno è largamente diffuso nell'Europa cattolica, nelle grandi capitali e nei centri di provincia, ma è principalmente rilevabile nelle zone di frontiera religiosa dalle Fiandre e dalle città renane alla Boemia e ai territori austriaci più orientali. L'evoluzione culturale e sociale dell'Europa porta nel sec. XVIII alla laicizzazione progressiva della p., che si accentua rapidamente negli eventi della Rivoluzione francese e negli effetti della prima rivoluzione industriale. Il governo della cosa pubblica diviene prerogativa dei ceti rappresentativi della società e si svincola dalle norme morali che costituivano il correttivo del sistema assolutistico: l'orizzonte spirituale cede il passo ad una scienza politica basata su criteri di utilità e di diritto positivo. La mistica è di fatto confinata nel privato personale e in forme ben delimitate di istituzioni religiose riconosciute dagli Stati, talvolta proprio a prezzo di rinuncia ad un'azione pubblica.

Si ripresenta così nel corso dell'Ottocento la necessità di un nuovo accordo tra fede e politica che superi i temporanei e ridotti risultati del sistema concordatario fra Chiesa e Stati inaugurato all'epoca del dispotismo illuminato e continuato con alterne vicende sino alla restaurazione. Ma prevalgono la separazione e la conflittualità tra liberalismo e primi passi della democrazia da una parte e cattolicesimo dall'altra, sino alle condanne di Pio IX ( 1878) e all'avversione laicista nei confronti della Chiesa e dell'esperienza religiosa. La professionalità politica è in molti casi preclusa ai cattolici che si rivolgono alle questioni politiche principalmente con la cultura ed ai problemi sociali con la carità. Si può parlare allora di una mistica nella cultura politica, quella di grandi scrittori specie italiani e francesi - da Manzoni a Rosmini a Chateaubriand - di operatori sociali, come F. Ozanam, e di insigni predicatori, ma sino al sorgere di fattori di mediazione quali i movimenti ed i partiti politici la frattura tra mistica e p. rimase pressoché totale. Mancò cioè una laicità cristiana capace di vivere in pienezza l'esperienza del servizio alla comunità civile alla luce di una ricca interiorità di fede.

Solo con il formarsi del movimento cattolico sociale nella seconda metà dell'Ottocento, con i suoi grandi centri di riferimento in Belgio, a Friburgo in Svizzera e nella Germania renana, si verifica la ripresa di una presenza di politici cattolici che uniscono spiritualità e concreta azione politica. In qualche caso si giunge alla fondazione di veri e propri partiti cattolici (in Belgio, in Germania e in Austria), altrove l'attività del movimento cattolico comprende insieme impegno strettamente religioso e intervento nella società civile. Il denominatore comune è l'attenzione agli strati più poveri e marginali della società, così che potremmo dire che il tipo di mistica presente è quello della carità. Questa mistica è prevalentemente in opposizione alla modernità della p., della quale vengono sottolineate le carenze morali e sociali, e tutt'al più sorregge funzioni di supplenza là ove non sa giungere l'opera dello Stato.

Il momento decisivo di svolta nell'atteggiamento del cattolicesimo politico europeo è rappresentato dal travagliato sistema democratico e dalla sofferta e faticosa accettazione di esso da parte del mondo cattolico. Già nel corso della prima guerra mondiale i cattolici furono posti di fronte alla drammatica scelta tra la pace ispirata agli insegnamenti del Vangelo e predicata dai papi Pio X e soprattutto Benedetto XV e la sollecitudine per la propria nazione: prevalse questa seconda in nome della obbedienza all'autorità costituita e al senso del dovere di cittadini, ma ciò non avvenne senza lacerazioni interiori e problemi di coscienza. Nel terribile scontro delle armi che presentò aspetti di grave violazione dei diritti dei popoli e delle persone, molti cattolici nelle vicende dei combattimenti e nelle sofferenze della prigionia ricorsero alle fonti della spiritualità non per estraniarsi da una realtà terribile, ma per cercare di capirne le cause, di sostenerne le sofferenze e di prevenirne le conseguenze per il futuro dei popoli. Alla mistica della nazione largamente diffusasi tra le parti belligeranti si contrappose la mistica dei valori spirituali ed umani: una folta schiera di combattenti, di cappellani, di operatori dell'assistenza incarnò ed espresse un'alta tensione morale quasi per riscattare da quell'" inutile strage " il vecchio continente e il suo destino. Quasi tutti i maggiori esponenti del cattolicesimo politico europeo del '900 fecero quell'esperienza di dilemma di coscienza e per lo più lo risolsero con un approfondimento delle ragioni dello spirito, dalle quali trassero anche ammaestramenti per il successivo impegno politico.

La conclusione di quel conflitto impostò la pace lasciando irrisolti i problemi delle nazionalità, anzi rese più pesante la condizione di alcuni popoli e delle minoranze: la situazione economica e sociale precipitò nella crisi del '29-'33 che sconvolse l'intero mondo. La breve stagione della democrazia terminò nell'affermarsi dei totalitarismi e delle dittature: nazismo, fascismo, comunismo. Questi regimi, oltre che ad imporre un dominio politico e sociale particolarmente oppressivo, cercarono di esaltare idealizzandola la propria visione della società in forme che mutuavano dalla religione l'esteriorità dei riti e trasformando in dogmi politici i principi della loro teoria dello stato. Nell'Unione Sovietica il marxismo-leninismo, antireligione atea, divenne una dottrina invasiva di ogni aspetto della vita pubblica e privata; in Germania ed in Italia si creò una mitologia, che nel caso tedesco giunse al fanatismo del potere e della razza e nel fascismo si limitò ad una esaltazione esteriore della romanità e del genio italiano. Proprio la mediocre efficacia della mitologia di regime indusse Mussolini a creare una scuola di " mistica fascista " per dare contenuti ideali ad una p. scarsamente motivata. In generale la tendenza totalitaria ed autoritaria degli anni tra le due guerre, tradottasi in feroci persecuzioni degli oppositori e nel tentativo di annientare ogni diverso modo di pensare, suscitò una grande rivolta ideale che all'imposizione della forza e dei suoi miti contrappose le ragioni più alte della coscienza, dell'umanità e molto spesso della fede religiosa.

Sul piano culturale il pensiero politico dei cattolici affrontò negli anni '30 e '40 il tema delle libertà e della democrazia muovendo dai presupposti filosofici ed etici del Vangelo. I capiscuola di tale sforzo di incontro con il mondo moderno sul terreno politico nella fedeltà ai principi furono Emmanuel Mounier e Jacques Maritain, che a ben vedere si possono riconoscere quali teorici del cattolicesimo democratico ma anche protagonisti della società civile per la immediata incidenza sull'azione del movimento cattolico internazionale. Essi, mentre giunsero a disegnare un progetto per riaffermare nel mondo contemporaneo una civiltà cristiana di tipo democratico, furono personalmente uomini di spirito, capaci di raggiungere livelli assai elevati di interiorità; anzi, tutta la loro opera politica e tutti i loro scritti anche i più concreti traevano alimento e giustificazione dalla consuetudine della coscienza e della contemplazione. In special modo Maritain sviluppò sino al suo tramonto, in piena sintonia con la moglie Raissa, la doppia appartenenza alla sfera religiosa ed a quella della comunità civile.

Il loro esempio non fu isolato sia nei Paesi di tipo liberaldemocratico sia là ove dominavano regimi autoritari o totalitari. Nel primo caso dal piano culturale si potè passare agevolmente all'azione sociale e politica, come nella stessa Francia e in Belgio; in quest'ultimo Stato sotto l'egida del cardinale Mercier il movimento cattolico produsse un sistematico progetto di ispirazione cristiana, noto sotto il nome di " Codice di Malines " (1927), che insieme con le opere di Mounier e di Maritain e dei loro seguaci, costituì il punto di riferimento per l'azione politica e sociale dei cattolici in Europa. Nel caso dell'impedimento alla libertà - come in Italia - sorsero movimenti cattolici di intellettuali e professionisti che, dedicandosi alla formazione e all'apostolato religioso d'ambiente, prepararono il terreno e le persone ad un futuro libero incontro tra fede e p. Naturalmente quest'opera più tipicamente ecclesiale favorì la maturazione di un laicato dalla grande statura morale e spirituale, prezioso nella resistenza morale alla oppressione di regime e fondamento delle prossime lotte per la libertà. Nei movimenti degli intellettuali cattolici (la FUCI ed i laureati in Italia, sostenuti da mons. Montini e poi PAX Romana a livello internazionale) e tra gli esuli e i perseguitati dei disciolti partiti d'ispirazione cristiana (ad es. il PPI) fu largamente presente il ricorso alla motivazione spirituale della p., sino a vere forme di misticismo e di ricerca di perfezione interiore, mentre analoga via intraprendeva una nuova generazione. Tra i vecchi politici si possono ricordare L. Sturzo, in esilio a Londra e negli Stati Uniti, G. Donati e F.R. Ferrari rifugiati in Belgio, A. De Gasperi confinato nella Biblioteca vaticana; molti dei più giovani crebbero nelle università cattoliche, in Italia in quella del Sacro Cuore a Milano; gli uni e gli altri furono capaci di un grado assai alto di cammino spirituale, tutti furono accompagnati in esso da sacerdoti e pastori maestri di santità, alcuni dei quali riconosciuti oggi formalmente tali dalla Chiesa (per esempio i cardinali I. Schuster ed E. Dalla Costa).

La Seconda Guerra mondiale portò alle più gravi conseguenze l'oppressione totalitaria e mostrò con tutta evidenza quello che alcuni storici chiamarono " il volto demoniaco " del potere: il degrado della p. e l'uso indiscriminato della violenza si abbatterono sulle popolazioni civili con sistematica violazione dei diritti umani: persecuzioni razziali, eliminazione degli oppositori, deportazioni in massa si mescolarono alle distruzioni compiute nel corso delle operazioni militari. Nel momento più oscuro della storia del Novecento, tuttavia, dalla coscienza morale di credenti in Cristo e di tanti laici sensibili all'umanità venne una risposta costruttiva al dominio del male, in un'opposizione sofferta sino al sacrificio e in una vera e propria resistenza attiva. Nell'universo plumbeo e disperante dei lager e dei vari campi di sterminio e di deportazione, l'aspirazione alla libertà e alla giustizia - fondamenti di ogni p. - ritrovò il senso morale sino alle sue radici spirituali e religiose: nel volto e nel corpo martoriato degli uomini, altri uomini e donne seppero scorgere i segni di una realtà superiore ed in qualche modo contemplarla. Persone di fedi diverse, ma soprattutto cristiani, si fecero testimoni dello Spirito e servitori di esso nella carità verso i compagni di sventura: sarebbe assai lungo ed anche difficile enumerare anche solo i principali personaggi delle varie religioni e nazionalità che incarnarono tali ideali di civiltà sino all'eroismo. Sia sufficiente ricordare solo qualche esempio eccezionale tra coloro che pagarono con la vita: D. Bonhoeffer, T. Brandsma, ecc. La conclusione della Seconda Guerra mondiale con le impellenti necessità di ricostruire dalle fondamenta il sistema politico internazionale offrì a coloro che avevano sperato in un mondo migliore e per esso sofferto e lottato l'occasione storica di porre in atto le loro aspirazioni. La stessa frattura ideologica subito manifestatasi tra i vincitori - da una parte le democrazie occidentali, dall'altra il blocco guidato dall'Unione Sovietica - favorì un'impostazione politica ispirata ad orientamenti di principio che tendevano a determinare ogni aspetto concreto della vita sociale. I cattolici, e soprattutto quelli che appartenevano a stati già soggetti a regimi autoritari e fascisti, furono spronati da tale situazione e dalle forti esortazioni di Pio XII a cercare di realizzare una civiltà di tipo cristiano: un vero e proprio flusso di persone profondamente motivate portò nella p. responsabili e militanti delle organizzazioni ecclesiali. Questi non solo non dismisero la tensione morale propria dell'apostolato religioso, ma - almeno nei primi anni - cercarono di unire gli ideali spirituali a quelli civili. Così accadde in diversi paesi europei, in special modo in Francia ed in Italia con un coerente incontro di cristianesimo e democrazia, e nell'area ispano-americana con una maggiore accentuazione dell'impronta cattolica sulla società. La parte centrale del pontificato di papa Pacelli fu, pertanto, segnata da una vera mobilitazione dell'apostolato dei laici in ogni ambiente, professionale, culturale e politico, all'insegna di una chiamata a reinserire nella società la dimensione religiosa. Si può dire che moltissimi - specie i giovani - furono attratti da tale prospettiva e si impegnarono con una condotta personale ricca di alimento spirituale, di spazi di interiorità, di aperta testimonianza: fra di essi numerosi furono anche i politici, uomini e donne, che, a diversi livelli di responsabilità e nelle file dei partiti di ispirazione cristiana, parteciparono all'opera di ricostruzione del dopoguerra. In Italia si possono indicare tre ambiti nei quali si manifestò l'influenza della mistica sulla p.: la redazione della Carta costituzionale e l'attività parlamentare, l'opera di governo, l'amministrazione dello Stato o delle realtà territoriali.

Nell'Assemblea Costituente, tra il '46 e il '47 e nella prima legislatura, dal '48 al '53, un gruppo di deputati cattolici, che anche nella quotidianità vivevano insieme a Roma in una piccola comunità presso S. Maria in Vallicella l'esperienza di fede e sviluppavano il dibattito politico, esercitò la laicità nel contribuire ad innervare di valori di personalismo sociale e di spirito cristiano il disegno costituzionale e l'azione parlamentare. Furono soprattutto il loro stile di vita e la trasparenza morale a manifestare l'importanaza decisiva della contemplazione: G. La Pira, G. Lazzati, G. Dossetti, portarono, ora con semplice franchezza, ora con meditata decisione, senza prevaricare nessuno, la parola del Vangelo nei dibattiti parlamentari, suscitando il rispetto anche degli avversari ed aprendo la via a tanti che, per merito loro, credettero possibile vivere secondo lo Spirito e costruire la città dell'uomo. Ma anche uomini di governo e di partito come A. De Gasperi e, più tardi, A. Moro e G. Zaccagnini seppero conciliare l'uso del potere con una visione superiore motivante la p. come servizio. Tutti e tre raggiunsero, proprio nel mezzo degli affari politici, un eminente grado di spiritualità con il ricorso alla preghiera e con il colloquio umano e religioso con familiari ed amici. Di De Gasperi resta la splendida testimoninaza dell'Epistolario con la figlia suor Lucia; di Moro si conoscono la frequentazione eucaristica e la " liturgia " degli incontri di famiglia; di Zaccagnini un'intera cerchia di amici, sacerdoti e laici, ha sperimentato la bontà frutto di scelte profonde.

II. Testimoni. Sarebbe lungo e difficile enumerare le figure di quanti hanno guidato e servito le comunità locali o hanno compiuto opera politica nell'amministrazione dello Stato alla luce della sapienza crsitiana e come profeti del Vangelo in una società secolarizzata: è bene qui ricordarne solo due tra i più grandi, che sono davvero esempi mistici del nostro tempo: ancora G. La Pira, sindaco di Firenze ed ambasciatore della pace nel mondo, e V. Bachelet, contemplativo e martire civile per la giustizia. Il primo agli inizi degli anni Cinquanta, lasciato il parlamento, si dedicò alla sua città di adozione, Firenze, compiendo le scelte più ardite in campo sociale con motivazioni evangeliche ed insieme con stringente logica politica. Amò il capoluogo toscano per la sua bellezza, la sua cultura, la sua arte, la sua gente, ma lo amò con gli occhi di Dio e non esitò a dichiararlo continuamente ed a provarlo con una vita contemplativa, ma non separata dal mondo. Allo stesso modo predicò la pace, facendosi pellegrino presso i potenti o nei luoghi più difficili, a Mosca, in Vietnam, parlando con tutti di Dio e parlando con Dio di tutti, specie dei poveri. V. Bachelet che aveva presieduto per quasi un decennio, dal '64 al '73, la più grande associazione cattolica italiana, l'Azione Cattolica, imprimendo ad essa un carattere chiaramente di impegno ecclesiale attraverso una precisa scelta religiosa, divenne nel 1976 responsabile della magistratura nazionale e portò in questa sua funzione lo stesso stile e il medesimo spirito di servizio dell'antico dirigente del movimento cattolico. Così andò incontro alla morte per mano di cieca violenza come mite testimone di una vita secondo lo Spirito spesa per i fratelli nell'alta responsabilità della p.

Bibl. Aa.Vv., Comunità cristiana e comunità politica, Milano 1968; Aa.Vv., La responsabilità politica della Chiesa, Milano 1994; H.U. von Balthasar, L'impegno politico del cristiano, Milano 1970; G. Campanini, s.v., in Aa.Vv., Dizionario di spiritualità dei laici, II, Milano 1981, 144-153; M. de Certeau, Politica e mistica, Milano 1975; R. Coste, Vangelo e politica, Bologna 1970; A. Giordano, s.v., in NDS, 1225-1241; G. Jossa, s.v., in NDTB, 1171-1189; G. La Pira, Premesse della politica, Firenze 19786; G. Lazzati, Azione cattolica e azione politica, Vicenza 1962; L. Lorenzetti, s.v., in DTI II, 719-741; M. Spezzi Bottiani, Scuole di spiritualità per politici, Casale Monferrato (AL) 1996.

A. Monticone

PORETE MARGHERITA. (inizio)

I. Cenni biografici. Nasce nel 125060 ca. nella marca dello Hainaut, probabilmente nella capitale, Valenciennes, allora diocesi di Cambrai, nel nord est della Francia. E una beghina e verso il 1290 scrive Le miroir des simples âmes, probabilmente in piccardo. Ma la P. è presto accusata di panteismo e perseguitata perché, parlando del rapporto dell'anima con Dio come di un rapporto immediato al di là di ogni mediazione, pone in secondo piano la Scrittura e la Chiesa.

E condannata dal vescovo di Cambrai che ordina la distruzione del suo libro e ne vieta la divulgazione, ma poiché il libro viene tradotto in latino e diffuso nonostante l'interdizione nel 1307 P. è condotta dinanzi al Grande Inquisitore di Parigi, il domenicano Guglielmo Humbert da Parigi ( prima del 1314). Giudicata " pro convicta et confessa et pro lapsa in heresim " viene scomunicata.

L'11 aprile del 1309, ventuno teologi giudicano eretico il libro e ne decretano la distruzione, mentre all'autrice viene concesso, come da regolamento, di trascorrere un anno in prigione perché possa pentirsi. Riconosciuta " relapsa " dall'Inquisitore e da una commisione di canonisti, il 1o giugno del 1310 è arsa viva insieme al suo libro sulla Place de Grève di Parigi.

II. La sua opera. Il libro, scritto in forma allegorica, nasce dall'esperienza mistica dell'Autrice, ma si snoda secondo il genere letterario del tempo, molto diffuso, dei cosiddetti specchi, trattati con forte valenza didattico-informativa. E composto di centotrentanove capitoli forse scritti in due tempi. La prima parte, infatti, fino al c. 121 è più descrittiva e termina con un trionfale inno alla gioia; la seconda, comprende un'appendice costituita da alcune considerazioni dell'anima, ormai giunta alla vita dello spirito, che rispondono alle esigenze degli " smarriti che desiderano conoscere la strada per il paese della libertà ". L'anima protagonista è degna di essere imitata, perciò può indicare la via alla perfezione. Accanto all'Anima, alla ricerca dell'Amore nobile e puro, si muovono la Ragione, la Cortesia, l'Intelletto, l'Amore, la Discrezione, il Timore, il Desiderio, le virtù di Fede, Speranza, Carità, la Verità, la Santa Chiesa, Dio, lo Spirito Santo e il Lontanovicino che è la Trinità stessa. Tutti questi si esprimono in volgare francese o, in origine, in piccardo 1 e l'azione si svolge intorno alla consegna del libro da parte di Amore all'amore come immagine di un amore lontano che più è vicino all'intimo più è esteriormente distante (cf cap. I, 25). Malgrado tale vicinanza, l'anima si sente sempre in un " paese straniero " (cf ibid., 35).

II. Insegnamento mistico. Il messaggio della P. nasce dalla sua ansia di ricerca di Dio. Ella comincia a cercarlo nella creatura... ma quando vede che non trova nulla, si rivolge all'opera del pensiero e questo le suggerisce di cercarlo al fondo del nucleo dell'intelletto. Scopre così " sette stati che chiamiamo sette modi di essere " (cf cap. 118,5), dai quali la creatura riceve l'esistenza passando attraverso tre morti, quella al peccato, quella alla natura e quella allo spirito (cf cap. 60 e 297). Nel primo stato, l'anima vive secondo la natura umana osservando i comandamenti divini (cf cap. 60,10; cap. 55,10): chi è in questo stato resta villano perché gli basta essere salvato (cf cap. 63). Nel secondo stato, l'anima vive dello spirito poiché è nata dalla morte della natura (cf cap. 59,5): questo è lo stato in cui " Dio offre consigli ai suoi amici, al di là di ciò che comanda " (cap. 118,30). Nel terzo, l'anima ha " grande desiderio di moltiplicare opere di perfezione da donare all'amico; vuole compiere l'altrui volere per distruggere il proprio volere " (cap. 118,60) e nel quarto, " è condotta all'altezza della contemplazione " (cap. 118,70): " l'Amore la rende del tutto ebbra, così ebbra da non permetterle che di tendere a lui grazie alla forza di cui Amore la diletta " (cap. 118,85). L'anima ha un solo intento: " amare senza ricompensa " (cap. 27,5). Il suo volere non è più il suo e in lei, è, invece, in colui che l'ama, ma questa non è opera sua, bensì opera di tutta la Trinità che opera in tale anima a proprio arbitrio (cf cap. 27,25). Al quarto stato si trova ancora volontà nella creatura, ma al quinto tale volontà non esiste più (cf cap. 58,15). Questo stato inizia con " l'Anima che considera che Dio è, e che lei non è " (cap. 118,100). Dio e l'anima sono ancora due, ma l'anima " si rimette... a Dio " per " dono " e " tale dono la trasforma nella natura dell'Amore " (cap. 118,130). In questo stato " Lontanovicino la rapisce in un lampo " (cap. 58,20), facendola passare al sesto stato (cf cap. 58,25), nel quale " l'anima non vede affatto se stessa, né vede Dio... ma è Dio che si vede in lei... Essa è liberata da tutte le cose, è pura e chiarificata, non però glorificata " (cap. 118,190). Tale movimento è " una manifestazione della stessa sua gloria che Dio vuole fare avere all'anima, che poi ne godrà senza fine. Perciò, per sua bontà, le dà questa dimostrazione del settimo stato nel sesto " (cap. 61,10); " quest'anima ha l'impronta di Dio ed ha ottenuto la sua vera impronta nell'unione d'amore; e al modo in cui la cera prende la forma del sigillo, così quest'Anima ha preso l'impronta di questo vero modello " (cap. 50, 5). " Quest'anima è trasformata in Dio " (cap. 51,5). " Non voglio nulla, sono sola in lui senza me stessa " (cap. 51,20). " L'anima è tornata al suo primo essere " (cap. 138).

" L'anima toccata da Dio è spogliata del peccato ed è salita per grazia al settimo stato di grazia nel quale ha la pienezza della sua perfezione " (cap. I, prologo) e gode già sulla terra la pace e la certezza della gloria celeste.

Note: 1 Nota bibliografica in M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, Cinisello Balsamo (MI) 1994, 107. Il manoscritto conservato è quello di Chantilly pubblicato nel vol. LXIX del CCCM (Turnhout, Brepols 1986).

Bibl. Opere: R. Guarnieri, Il movimento del Libero Spirito. Testi e documenti, in G. de Luca (cura di), Archivio Italiano per la Storia della Pietà, IV, Roma 1965, 350-708 (I. " Il movimento del Libero Spirito dalle origini al sec. XVI ", 353-499; II. " Il "Miroir des simples âmes" di Margherita Porete ", 501-636: ed. diplomatica del ms di Chantilly; III. " Appendici ", 637-708). Tr. it. con testo mediofrancese a fronte: Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici, a cura di M. Vannini, Cinisello Balsamo (MI) 1994. Studi: R. Guarnieri, Frères du Libre Esprit, in DSAM V, 1241-1268; Id., Fratelli del Libero Spirito, in DIP IV, 633-652 (su M. Porete, 640-643); U. Heid, Studi su Margherita Porete e il suo " Miroir des simples âmes ", in P. Dinzelbacher - D.R. Bauer (cur.), Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 219-247; P. Mommaers, La transformation d'amour selon Marguerite Porète, in Ons Geestelijk Erf, 65 (1991), 89-107; F.J. Schweitzer, s.v., in WMy, 416.

M.R. Del Genio

POSSESSIONE DIABOLICA. (inizio)

I. Il fenomeno. Con l'espressione p. si indica la presenza del demonio in un corpo umano che, pertanto, non è più libero nelle sue azioni poiché diventa uno strumento cieco, docile, obbediente al potere di satana. La persona posseduta può attraversare periodi di crisi in cui l'azione diabolica si manifesta con maggiore evidenza e periodi di relativa calma dell'attività diabolica in essa. In ogni caso, non essendo cosciente, tale persona non è moralmente responsabile delle azioni che compie. Essendo il diavolo essere spirituale, può contemporaneamente essere in più persone o ve ne possono essere diversi in una sola persona.

Tra le azioni che compie l'indemoniato è facile osservare, prima di tutto, una forte e violenta avversione al sacro, che insorge improvvisa e immotivata in individui anche pii, resa più spettacolare da atteggiamenti ed espressioni duri e rabbiosi. Più spesso l'individuo vive con doppia personalità.

II. Sul piano spirituale. Il demonio può fare del male alla persona di cui si è impossessato, ma sempre entro i limiti imposti da Dio. Molti sono i tormenti che i demoni vorrebbero infliggere all'uomo, ma Dio non li permette tutti, come si vede nella storia di Giobbe. Grande è il potere di satana, ma rimane pur sempre controllato da un potere superiore, come afferma s. Agostino.

Perché Dio permette la p.? Le manifestazioni sovrumane e raccapriccianti della p. possono scuotere chi non crede né in Dio né nel diavolo, e con ciò riavvicinare a Dio gli atei; possono indirettamente rafforzare la fede dei credenti portandoli alla meditazione delle verità eterne. Inoltre, lo spettacolo dell'odio terribile che satana nutre nei riguardi dell'uomo e le sofferenze terribili ch'egli infligge agli indemoniati, possono portare i testimoni a lottare con maggior impegno contro le forze del maligno nonché a respingere le sue mosse e i suoi inganni.

Una grande mistica inglese del Medioevo, Giuliana di Norwich, chiedeva con insistenza a Cristo il perché del peccato nella vita degli uomini. Il Signore la invitò ad un atto di fiducia in Dio, la cui provvidenza dirige tutti e tutto verso il vero bene dell'uomo. Fede e pazienza le consigliò Gesù: " Alla fine, tu stessa vedrai che tutto (quello che oggi ti sconcerta) era per il vostro vero bene ".

Quando " vedremo Dio faccia a faccia - afferma il CCC - conosceremo pienamente le vie, lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione... " (n. 314).

Bibl. C. Balducci, La possessione diabolica, Roma 19889; F.M. Catherinet, Gli indemoniati nel Vangelo, in Aa.Vv., Satana, Milano 1953, 185-198; R. Laurentin, Il demonio: mito o realtà?, Milano 1995; J. Lhermitte, Le pseudopossessioni diaboliche, in Aa.Vv., Satana, o.c., 299-318; Id., Veri e falsi ossessi, Vicenza 1957; I. Mischo, La "possessione diabolica". Sulla psicologia delle reazioni irrazionali, in W. Kasper - K. Lehmann (edd.), Diavolo - demoni - possessione, Brescia 1983, 112-168; T. Ortolan, Démoniaques, in DTC IV, 409-414; L. Roure, s.v., in Ibid. XII, 2635-2647; A. Veronnet, La possession diabolique. Étude critique à propos d'un fait récent, in Revue du clergé français, 37 (1903-1904), 570-602; G.I. Waffelaert, Possession diabolique, in Aa.Vv., Dictionnaire apologétique de la foi catholique IV, Paris 1928, 53-81.

G. Huber

POSTMODERNO - POSTMODERNITA. (inizio)

I. La nozione. E l'ambigua sorte di tutti i nomi collettivi o a scintille multiple " unificare per approssimazione " fenomeni molto eterogenei. La parola e categoria p. ha, quindi, una portata semantica tanto ampia quanto equivoca: ragione non ultima della sua fortuna (come, trent'anni fa, la parola e categoria " secolarizzazione "). A ben guardare, infatti, l'odierno discorso sul p. esprime più una tendenza che non i suoi esiti definitivi, affermando qualcosa sulla cesura rispetto al " già " della fase storica cosiddetta industriale-urbana-aperta (=secolarizzata), ma tacendo sulla portata del " non ancora ", che emergerà nella fase postindustriale-tecnopolitana del 2000. E ancor meno dice sul grado di continuità o rottura tra le due fasi o sintesi epocali in gioco. Di conseguenza, se non è retorico parlare di " transizione epocale " in atto, con modifiche a livello personale e familiare, psicosociologico e politico, spirituale e religioso talmente profonde da segnare un vero cambio d'epoca, probabilmente superiore a quello verificatosi nel passaggio dal Medio Evo all'Evo Moderno (cf GS 5-8 e 53-56), sarebbe tuttavia mistificante dare per acquisito l'esito di tale passaggio, quasi che l'attuale stadio di evoluzione (o involuzione) della società, con relativa babele delle lingue e incerte scale di valori (o disvalori), fosse ormai un fatto compiuto, anziché tuttora in fieri (e dov'è quindi ancora possibile apportare idee e valori capaci d'evitare il peggio).

II. Il fenomeno. Senza entrare nel merito della controversia tra sociologi, filosofi, antropologi culturali, storici e teologi circa la fine o meno della modernità e le caratteristiche del (per ora incerto) albeggiare del p., segnaliamo i termini essenziali della sfida che tale passaggio d'epoca innesta: o si riesce a invertire la tendenza nichilista e autodistruttiva di una certa modernità, proprio recuperando quanto andò smarrito nella deriva razionalistico-immanentistica di quella modernità che progettò il regnum hominis contrapposto a quello di Dio - considerando la religione talvolta come platonismo del popolo, tal'altra come oppio dei popoli e quasi sempre un transfert nevrotico -, oppure si è inevitabilmente condannati agli esiti nichilisti peggiori: sia nella forma tragica di Nietzsche ( 1900), sia in quella più soft della contemporanea quadriga: pensiero debole (fino al così è, se vi pare), valori bassi (fino all'etica dei bisogni, se non degli istinti), appartenenze corte e religiosità vaga e al massimo soggettiva. Una sfida che investe tanto le scienze umane quanto la teologia e pastorale della Chiesa " esperta in umanità ", per correggere quella deriva e orientare verso migliori esiti la transizione epocale in atto. Detto altrimenti: la sensazione è di trovarci a un bivio, con varie occasioni (chance) per risalire la china - anche perché forte (benché confuso o non tematizzato) è il disagio psicospirituale della gente - e altrettante minacce (tilt) che fanno smarrire gli ultimi " resti " dell'antico umanesimo cristiano, tuttavia presenti - come verità impazzite e valori dimezzati - pure nell'attuale crepuscolo della modernità.

Notando, infine, che tale sfida estrema - dove potrebbe consumarsi quel che resta dei valori moderni oppure l'avvento del p. rappresenterebbe una nuova sintesi tra il meglio del passato, col meglio del presente, per un miglior futuro (=umanesimo integrale) - è pericolosamente ipotecata dal " consumismo secolarista ", detto anche " superideologia trasversale " perché attraversa e scavalca le ideologie classiche, tanto del liberismo capitalista quanto del marxismo collettivista, grazie al mix dei seguenti fattori: 1. primato dell'avere (cose) sull'essere (persona), con l'avvento di una società in cui de facto vige il circuito del produrre per consumare e viceversa, mentre de jure è pacifico lo slogan " consumo, ergo sum "; 2. primato della tecnica sull'etica, cosicché quanto è tecnologicamente fattibile diventa perciò stesso anche lecito, come si vede nell'odierna querelle circa le manipolazioni genetiche (dove gli ultimi " scienziati umanisti " difendono le soglie o i " limiti " della natura contro gli " apprendisti stregoni "); 3. primato della soggettivizzazione, tanto a livello di verità (considerata inevitabilmente relativa) e di valori (prevalendo la cosiddetta etica dei bisogni), quanto di appartenenze (sempre più corte) e di religiosità (sempre più vaga). Quindi, le persone e forze di retto sentire e buona volontà che intendono favorire l'avvento di un migliore p. sono avvertite contro quale nemico devono battersi se vogliono che " l'alba incompiuta del Rinascimento " (H. de Lubac) possa finalmente realizzarsi col " nuovo Rinascimento " del p., ricomponendo cioè le drammatiche scissioni operate da una certa modernità, la cui deriva è sfociata nel " tempo della scissione ", quando l'uomo drammaticamente ha perduto l'unità con se stesso, con la natura, con gli altri e con Dio.

Bibl. Aa.Vv., Prospettive etiche nella postmodernità, Cinisello Balsamo (MI) 1994; J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità, Roma-Bari 1987; H. de Lubac, L'alba incompiuta del Rinascimento, Milano 1977; F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano 1981; S. Palumbieri, L'uomo e il futuro, vol. I: E possibile il futuro per l'uomo?, Roma 1992; vol. II: Germi di futuro per l'uomo, Roma 1993; vol. III: L'Emanuele, il futuro dell'uomo, Roma 1994; G. Patella, Sul postmoderno, Roma 1990; G. Penati, Contemporaneità e postmoderno. Nuove vie del pensiero?, Milano 1992; Id., Classicità Modernità Postmoderno, Brescia 1996; G. Vattimo - P. Rovatti, Il pensiero debole, Milano 1983; G. Vattimo, La fine della modernità, Milano 1990; S. Zucal, R. Guardini e la metamorfosi del " religioso tra moderno e postmoderno ", Urbino 1990.

P. Vanzan

POVERTA. (inizio)

Premessa. Dio creatore è l'inizio e la sorgente di tutto quanto esiste. Comprendere anche per un solo istante che solo Dio è la realtà, che ogni cosa viene da lui, che ogni cosa sussiste perché lui lo vuole, significa entrare anche nella comprensione della p. radicale della creatura, che riceve istante per istante l'esistenza e la consistenza. Significa, altresì, comprendere che Dio è il datore di ogni bene e l'uomo un mendicante dell'essere.

I. La p. nella vita cristiana. Pochi come Francesco d'Assisi hanno penetrato nel mistero della p. della creatura, la quale è un nulla se riferita a se stessa, ma che diventa qualche cosa se riferita al tutto di Dio, che le dona l'essere e ogni altro bene.

All'occhio che fissa la realtà, al di là delle parvenze, tutto è dono: e l'uomo è il primo beneficiario, anzi il primo dono, il primo regalo della munificenza di Dio, inteso come l'unica ricchezza: se tutto viene da lui, se tutto è dono, se tutto dipende dalla sua benevolenza, allora l'unico Bene è Dio. Sicché all'estrema p. dell'uomo Dio appare quale unica vera e consistente ricchezza dell'uomo.

Entrare in simile prospettiva è vitale, perché permette di vivere nella verità creaturale, in un'esistenza cioè dipendente e riferita alla sua sorgente, in un'esistenza, quindi, che trova la consistenza nell'unico fondamento possibile.

II. Gesù è apparso nel mondo povero, confessando in tal modo la vera natura dell'uomo. Gesù è il Figlio che tutto riceve dal Padre e tutto a lui restituisce: questa è la grande luce gettata da Cristo sull'esistenza umana, radicalmente segnata dalla p. Il riferire alla sorgente e alla destinazione ogni cosa permette all'uomo di riscattare la sua p., facendolo entrare nel flusso vitale dell'essere e della elargizione dell'essere.

La p. di Gesù è rivelatrice di quello che è l'uomo, ma anche del come l'uomo può stare come figlio dinanzi a Dio: un povero che orienta tutto a Dio.

Anche qui, Francesco d'Assisi è il " mistico " della p.: come Gesù, non solo ha compreso la p. nella sua origine, ma anche nelle sue conseguenze. Se tutto viene da Dio, tutto va a lui restituito, dal momento che le cose possono catturare il cuore e le mani dell'uomo possono trattenerle per sé e appagarsi delle cose effimere, dimenticando l'unica vera ricchezza.

In questo Francesco ha ben compreso il perché Gesù abbia chiesto ad alcuni dei suoi discepoli, quelli che chiamò a sé, di abbandonare ogni cosa. Per dedicarsi a Dio e al suo regno nel mondo, infatti, è necessario aderire completamente a lui, avere il cuore libero, sgombro dalla preoccupazione, dall'attenzione ossessiva e dal fascino dei beni creati.

Sulla croce, Cristo manifestò il potenziale di salvezza, la ricchezza immane, nascosta nella p., quando, nell'estrema spogliazione portò la salvezza al mondo. Solo chi contempla " misticamente " la croce è in grado di comprendere qualche cosa del mistero della p. cristiana volontariamente accettata.

I grandi mistici abbracciarono e amarono la p. perché Gesù, il Signore, l'aveva abbracciata e amata: ecco il discepolo che si identifica con il Maestro!

III. La p. frutto dello Spirito. Tra tutti i doni, c'è il dono per eccellenza, lo Spirito Santo, che è dato soprattutto a chi ha il cuore libero, ai " puri di cuore ", i quali possono così, grazie a questo dono, comprendere le cose di Dio: " Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli " (Lc 10, 21) ai poveri, agli umili, a quelli che non posseggono che Te come loro ricchezza.

Lo Spirito introduce così ancora più a fondo nel mistero dell'uomo e in quello di Dio, in un cammino che porta a vedere anche come il Padre non ami la p. imposta frutto di ingiustizia, di prepotenza o anche solo di pigrizia e di indifferenza, una p. che è un insulto alla dignità dei figli di Dio.

Il cuore dell'uomo " spirituale " si apre, in tal mondo, alla miseria dei fratelli per soccorrerla, per rimuoverla, per consolarla quando appare insuperabile. Tanto più che lo stesso Spirito apre anche gli occhi e svela il volto nascosto del povero che è il volto stesso di Cristo.

Quanta " mistica ", quanta esperienza di Dio è necessaria per tenere vivo tale sentimento del Reale!

Bibl. P.G. Cabra, Con tutte le forze, Brescia 1981; P. Coda, s.v. in DES III, 1979-1989; J. Lanczkowski - P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 30-31; J.M. Tillard, Pauvreté chrétienne. La dimension mystique, in DSAM XII1, 662-670; Id., Le salut, mystère de pauvreté, Paris 1976; Id., Povertà evangelica, Bologna 1983.

P.G. Cabra

PREGHIERA. (inizio)

Premessa. La tradizione classica cristiana, che si ispira alla S. Scrittura dell'uno e dell'altro Testamento, a monte di ogni definizione su Dio espressa nella molteplicità dei nostri linguaggi, riconosce la p. come un archetipo e idea primordiale della relazionalità tra l'uomo e Dio che è alla base della Bibbia.

I. La p. come alleanza. La Bibbia si propone come l'iniziativa gratuita del Dio-Agape che stabilisce con l'uomo e la donna un patto di amicizia per renderli figli del suo amore, anch'esso primordiale dono di Dio, che rimane nonostante il regime dell'infedeltà dell'uomo. Anzi con il peccato il rapporto con il Dio della rivelazione biblica raggiunge una profondità dialogica sempre maggiore sino alla tenerezza che va al di là di ogni configurazione storica che non sia perciò anche un' esperienza mistica e profetica della stessa alleanza d'amore. Sembra, anzi, che la p. supponga, tra le sue fibre più profonde, il dato dell'infedeltà dell'uomo alla proposta dell'alleanza, il processo per cui l'alleanza si proporrà lungo la storia come un evento sempre più personale, demitizzando ogni struttura che la vorrebbe configurare ai vari patti analoghi ad altre esperienze religiose tra la divinità e l'uomo. Questo processo interiorizzante dell'alleanza biblica sarà sempre più connessa alla possibilità della trasgressione dell'uomo. In ogni esperienza di peccato dell'uomo biblico sembra di assistere ad una simultanea messa in crisi del Dio che si rivela e rivelandosi si dona. La Scrittura, grazie al suo linguaggio antropomorfico di Dio, ci comunica la sofferenza di Dio per la sua creatura debole e fragile. I salmi sono l'espressione per eccellenza di questo silenzio sofferente di Dio; come peraltro il libro di Giobbe. L'evento esilico di Israele è fondamentale per leggervi questi stati d'animo del Dio Padre di Israele, che si proclama offeso. Userà l'espediente di ogni sua cura per la prosperità dell'uomo, simultaneamente prepara e offre all'uomo la nuova prospettiva del suo amore. Ogni rinnovamento dell'alleanza ha come corrispettivo la novità sorprendente dell'amore con cui Dio si stringe all'uomo. I profeti più spirituali sono i portavoce di Dio, delle istanze sempre nuove del suo amore per gli uomini. I testi profetici in questo contesto raggiungono la loro profondità di carattere mistico.

Come ignorare il testo di Geremia 31,33 della trasposizione della legge dalle tavole di pietra al cuore dell'uomo, o la profezia di Osea che, attraverso la prova vissuta dal profeta, Dio rinnoverà un nuovo esodo, per amoreggiare con la sua creatura? O come non pensare agli esiliati del profeta Ezechiele, ai quali JHWH promette: " Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Ma su coloro che seguono con il cuore i loro idoli e le loro nefandezze farò ricadere le loro opere, dice il Signore Dio " (11,19-20) e " vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio " (36,26-28).

II. Gesù e la p. In questo clima di p. trova la sua espressività singolare il messaggio evangelico di Gesù.

La p. è una caratteristica fondamentale di Gesù, il quale si rivela perciò come interprete dell'uomo di fede, della tradizione dei due Testamenti. Luca nel suo evangelo, come fanno pure gli altri evangelisti, insiste in modo particolare sulla figura di Gesù che prega: ogni azione, determinante per la missionarietà di Gesù, è preceduta dalla p. (cf Lc 3,21ss.; 6,12; 9,15, ecc.). L'insegnamento lucano sottolinea fortemente la p. Al capitolo 2 l'evangelista è particolarmente attento a questo processo della fede che chiamiamo p. L'insistenza sino all'importunità nella p. sembra un tema caro a Luca. La p. in Luca si esprime attraverso la povertà del cuore, nelle parabole del giudice iniquo e della vedova importuna (cf Lc 18).

I sinottici all'unanimità fanno emergere il momento decisionale della p. nella narrazione dell'agonia di Gesù (cf Mc 14,22ss.; Mt 26,36ss.; Lc 22,39ss.). Luca in particolare è attento al rapporto tra Parola di Dio, suo ascolto, p., sino alla carità perfetta che più avanti sarà anche chiamata esperienza mistica aperta alla evangelizzazione e alla testimonianza. L'esperienza dei due discepoli sulla via di Emmaus, al vespro di Pasqua, sembra particolarmente emblematica, come proposta della spiritualità pasquale nel cammino di fede. Due discepoli in cammino conversavano di tutto quello che era accaduto. Luca fa notare che i loro occhi erano incapaci di riconoscere Gesù, che si era unito al loro cammino come un viandante qualsiasi. La loro conversazione si svolgeva a mo' di cronaca su quanto era avvenuto a Gerusalemme in quei giorni, con delle prospettive messianiche, non conformi all'annunzio di Gesù.

L'intervento del viandante Gesù si richiamava al nucleo biblico dei canti del Servo sofferente. E Gesù, dopo aver accettato l'invito a trascorrere la notte con loro, si rivela allo spezzare del pane, però sparisce dalla loro vista. Il regime di fede è la strada maestra del nostro commento. Il commento dei due discepoli è importante per far emergere la p. e l'ascolto della Parola come nutrimento spirituale per il cammino dell'umana conversione evangelica. " Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi, lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?" E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro " (Lc 24,30-33).

Gesù Risorto si pone come chiave ermeneutica per capire le Scritture e fare di esse il metodo primo della p., tale è il senso del testo lucano, a guisa di testo conclusivo del Vangelo di Luca. Allora aprì loro (agli apostoli nel cenacolo) la mente affinché comprendessero le Scritture. La comunità di fede pasquale dovrà essere perseverante in questa accoglienza della Parola, perciò lasciarsi aprire la mente da Cristo, per comprendere le Scritture.

Non a caso la tradizione cristiana sin dall'origine ha ereditato quel metodo di p. profondamente connesso all'ascolto della Parola. Scaturirà così un'esperienza di p. espressa attraverso la lectio, la meditatio, l'oratio, la contemplatio, l'evangelizatio.

III. Uomini fatti p. che hanno raggiunto le vette della mistica. E questo un aspetto al quale il cammino ecclesiale sembra particolarmente proteso. Bisogna richiamare l'Oltre, l'al di là dell'istituzione ecclesiastica riassumendo la pedagogia della fede, che resta sempre vincolo d'ascesi della stessa carità che guida la p.

S. Romualdo ( 1027) - secondo le fonti storiche camaldolesi - è uno di questi esempi che hanno realizzato l'unità tra Parola di Dio, p. ed esperienza mistica: " Siedi in cella come in un paradiso. Dimentica e gettati dietro le spalle tutto il mondo, vigile e attento ai pensieri come un buon pescatore ai pesci. Unica via il salterio. Se tu che sei novizio non puoi capir tutto, ora qui ora là cerca di salmeggiare in ispirito e studiati di intendere con la mente. E quando nel leggere cominci a divagarti, non smettere e non perderti d'animo, ma cerca subito di riparare col richiamar l'attenzione. Mettiti innanzitutto alla presenza di Dio con timore e tremore come chi sta al cospetto dell'imperatore. Annullati totalmente e siedi come un bambino, contento della grazia di Dio, perché se non fosse la mamma stessa a donarglielo non avrebbe di che nutrirsi, né gusterebbe il sapore del cibo".1

Commenta Th. Matus: " Questo brano va letto come una poesia: è un gioco di metafore tanto graziose e non-violente che ci fanno dimenticare l'immagine (che comunque a Romualdo non si addice) dell'eremita come eroe dell'automortificazione e come misantropo. Il linguaggio è quello dell'esicasmo, che fino alla divisione delle Chiese fu di uso comune in Occidente come in Oriente. L'esicasta è ora un buon pescatore che sembra assopito ma invece è sempre vigile, ora un bambino, o meglio un uccellino appena nato che attende con il becco aperto ciò che la mamma gli porterà. "La grazia di Dio", ossia lo Spirito Santo, è per Romualdo, come per la tradizione della Chiesa siriaca, di genere femminile: è una madre pronta a nutrire coloro che sanno "annullarsi" - distruggere, cioè, ogni presunzione umana, ogni forma di "virilismo spirituale" - e restare contenti del dono gratuito di Dio ".2

Un'altra esperienza è quella di s. Gertrude, monaca benedettina di Helfta, sul cui modello, della libertà dello Spirito, s'innesta più tardi la tradizione del Carmelo di Teresa d'Avila e di Teresa di Lisieux.

L'esperienza mistica di Gertrude s'ispira al testo evangelico di Giovanni 14,23: " "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Così ti comportavi con me, così sollecitavi l'anima mia.

Un giorno, fra Pasqua e l'Ascensione, ero andata poco avanti l'ora di Prima nell'orto e, seduta presso il vivaio dei pesci, contemplavo la bellezza di quell'angolo nascosto che mi piaceva per la limpidezza dell'acqua che vi scorreva, per il verde degli alberi che vi crescevano attorno, per gli uccelli e specialmente per le colombe che svolazzavano in libertà, e soprattutto per la gran pace che vi si godeva. Cominciai a domandarmi che cosa avrebbe potuto completare l'incanto di quel luogo che pur mi pareva perfetto e trovai che vi mancava soltanto l'intimità di un amico affettuoso, cordiale, socievole che rallegrasse la mia solitudine.

Allora tu, o mio Dio, fonte di indicibili delizie, tu che, come penso, avevi diretto l'inizio di questa mia meditazione, ne attirasti verso di te anche la fine. Mi facesti comprendere, infatti, che se io avessi per mezzo di una continua riconoscenza fatto risalire verso di te il fiume delle tue grazie, e se, crescendo nell'amore della virtù, io mi fossi rivestita come un albero vigoroso dei fiori delle buone opere, se ancora, disprezzando le cose terrene, avessi preso il volo come colomba verso quelle celesti per aderire a te con tutta la mente, fatta estranea nei sensi al tumulto delle cose esteriori, oh, davvero il mio cuore sarebbe diventato allora per Te una splendida e gradita dimora!

Vi ripensai tutta la giornata, e la sera, al momento di andare a letto, messami in ginocchio, per pregare, mi venne in mente all'improvviso quel versetto del Vangelo: "Si quis diligit me sermonem meum servabit et Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus": "Se qualcuno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui".

In quello stesso momento sentii che tu eri realmente venuto nel mio cuore, nel mio cuore di fango! Oh potessi io, non una, ma mille volte far passare sul mio capo tutta l'acqua del mare cambiata in sangue per purificare la sentina vilissima dell'anima mia che tu, Maestà incomparabile, hai degnato di eleggere a tua dimora! Oh potessi, e fosse pur subito, strapparmi il cuore dal petto per gettarlo a brani su carboni ardenti, sì che, purificato da ogni scoria, diventa per te, non dico una degna, ma una non troppo indegna dimora! ".3

Gertrude si vedrà confortata dal testo di s. Bernardo: " Quando noi fuggiamo, tu ci insegui, se ti voltiamo le spalle tu ti ripresenti a noi; supplichi e sei disprezzato, ma nessuna confusione, nessun disprezzo può allontanarti, ché anzi, senza stancarti, continuamente ti adoperi per attirarci a quei gaudi che occhio mai non vide, orecchio non udì e il cuor dell'uomo non sospetta ".

L'esperienza mistica di Gertrude trova ancora una esplicitazione dottrinale in Tommaso d'Aquino. C'è un testo della Summa theologica, eco della grande tradizione giovannea ed agostiniana, che rompe il metodo dialettico metafisico, della stessa Summa, a favore del carattere esperienziale e sapienziale proprio della teologia dei Padri e della grande teologia mistica della Chiesa. Tommaso s'interroga sull'inabitazione della Trinità nei credenti e sui frutti della grazia santificante, che sono dono della Pasqua del Signore. Dono che si esprime con la fede e con il segno dei sacramenti della iniziazione cristiana: il battesimo e l'Eucaristia.

Parafrasando le parole di Tommaso, si può riassumere così il suo insegnamento: la " missione " conviene a quel " modo nuovo " con cui la Parola di Dio si dice che è inviata alla creatura. C'è un modo comune con cui Dio esiste in tutte le cose per la sua essenza, potenza e presenza, come la causa è presente nei suoi effetti e partecipa la sua bontà ad essi. Ma, oltre a questo modo comune, esiste un modo speciale che conviene alla creatura razionale, per cui Dio è presente come l'idea è impressa nella nostra mente, ma soprattutto come l'amato è presente nell'amante. Il latino di Tommaso, pur nella sua stringatezza scolastica, è di una rara efficacia: " Super istum autem modum communem, est unus specialis qui convenit creaturae rationali, in qua Deus esse dicitur, sicut cognitum in cognoscente et amatum in amante ".4

La creatura razionale con il suo operare, conoscendo e amando, raggiunge lo stesso Dio. Questo modo speciale, non solo si esprime col dire che Dio è nella creatura ragionevole, ma che Dio abita in essa come nel suo tempio. Questo è l'effetto della grazia, che ci giustifica e santifica, presso Dio per Gesù e il dono dello Spirito. In questo modo si può " fruire-godere " della Persona divina: " Quo libere possumus uti vel frui divina Persona ", si può cioè trattare a " tu per tu " con la divina Persona. Di s. Gertrude si dice che non temesse di " giocare con Dio " come si gioca con un amico.

Così Teresa d'Avila avverte questa presenza di Dio come " amante ". Nella sua vita si legge che, carica di questa esperienza di Dio, ne parlò con uno dei suoi confessori, un nominalista scolastico. I nominalisti appiattivano le distinzioni di linguaggio, così cariche di significato secondo Tommaso, risolvendo tutto nel nozionismo astratto. Il confessore rispose a Teresa che ella avvertiva solo quello che è comune a tutte le cose: Dio cioè è presente ovunque per la sua onnipotenza e onnipresenza; quella onnipotenza e onnipresenza che possono banalizzare anche il progetto di amore salvifico.

Ma la risposta non persuase Teresa, che percepiva una presenza di Dio come esperienza di amore sponsale. Ne parlò con il padre Bañez, domenicano, che, educato alla scuola di Tommaso, spiegò a Teresa l'insegnamento del Dottore angelico nella Summa, sull'inabitazione della Trinità nel cuore del credente. Teresa ne rimase piena di gioia. La sua esperienza superava di gran lunga la teologia razionalistica ed astratta della Parola di Dio.

IV. Dio cerca l'uomo. Tra i teologi moderni, A. Rizzi ha intuito il problema della spiritualità in genere e della p. in particolare, in modo eccezionale. Nel suo libro, Dio in cerca dell'uomo, prospetta un atteggiamento critico della spiritualità tradizionale, espressa nella " ricerca di Dio " che parte dall'uomo, formula cara alla stessa tradizione antica patristica. Ma non si riflette abbastanza quanto la formula ricerca di Dio sia piuttosto il frutto della eredità filosofica platonica e neoplatonica, che non una crescita della fede del Testamento biblico, soprattutto del Nuovo, in cui Gesù si pone come rivelatore del Padre che è amore.

L'Autore rilancia una prospettiva nuova in fatto di vita spirituale, che nella p. ha il suo momento privilegiato. Critica la definizione classica della p. come ascensio mentis in Deum che egli vede profondamente inficiata dall'eros platonico, di cui emblema è l'invito che si trova esplicito nel Convito di Platone. Qui l'adepto viene condotto dalla bellezza e dalla scienza creata alla ineffabilità del bello in sé. Il Rizzi, alla luce della Parola di Dio, pensa che tutta la spiritualità cristiana fin dai primordi, debba subire un processo di vera conversione evangelica! Il motivo è che la rivelazione biblica capovolge il processo: dall'eros platonico all'agape, cioè al Padre che Gesù rivela come agape. La risposta di Gesù all'amore-agape lo condurrà ad offrire la vita per la salvezza universale, secondo quanto il profeta esilico aveva predetto nei Canti del Servo: " Ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre " (Is 42, 6b-7); " ...è troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra " (Is 49,6); " Ascoltatemi attenti, o popoli; nazioni, porgetemi l'orecchio. Poiché da me uscirà la legge, il mio diritto sarà luce dei popoli. La mia vittoria è vicina, si manifesterà come luce la mia salvezza; le mie braccia governeranno i popoli. In me spereranno le isole, avranno fiducia nel mio braccio " (Is 51,4-5). Qui s'innesta il messaggio messianico di Gesù di Nazaret (cf Lc 4). Il nuovo paradigma della spiritualità non sarà più il modello del Convito di Platone, ma la lavanda dei piedi (cf Gv 13, 1-5, 12-17). " Nella cornice del banchetto platonico - dice il Rizzi - l'uomo s'innalza attraverso le cose belle, alla bellezza intatta e compatta del Divino per riceverne pienezza di felicità; questo è l'eros. Nello spazio del banchetto giovanneo Dio si abbassa, in Gesù, fino all'uomo per lavargli i piedi in un gesto di servizio che non cerca felicità ma chiede ripetizione: questo è l'Agape ".5

In questa prospettiva la p. cristiana entra profondamente nella stessa dinamica profetica dell'alleanza dei due Testamenti, si propone anzi come momento esplicitante privilegiato; ingloba nella sua prospettiva il precetto dell'amore a Dio e ai fratelli. Nel momento risolutivo costituito dalla parabola del buon samaritano di Luca, la p. evita ogni tentazione solo cultualistica o comunque rituale, da cui l'atteggiamento religioso della fede cattolica dovrebbe sempre tenersi lontano. La p. prospettataci dal Vangelo suppone questa animazione agapica. Alla luce del primato della Parola e di ciò che c'è di più profondo nella tradizione dei Padri, quanto osserva il Rizzi è utile per raggiungere quella sintesi biblica di prospettive spirituali che con l'esilio delle Scritture dalla vita della Chiesa, da dieci secoli almeno, è sempre tanto difficile proporre come educazione della fede per un credente.

Note: 1 Bruno di Querfurt, Vita dei cinque fratelli, a cura di B. Ignesti, Camaldoli (AR) 1951, 93; 2 S. Pier Damiani, Vita di S. Romualdo, Camaldoli (AR) 1988, 65-66. S. Pier Damiani racconta di Romualdo: " Romualdo abitò nel territorio di Parenzo per tre anni, uno dei quali dedicato alla costruzione di un monastero e due alla vita di recluso. Fu appunto qui che la grazia divina lo innalzò al culmine della perfezione, tanto che, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, poté prevedere alcuni eventi futuri e penetrare con intelligenza molti misteri nascosti del vecchio e del nuovo Testamento. Mentre stava a Parenzo a volte era angosciato dal desiderio di erompere in lacrime, tuttavia, per quanto si sforzasse, non era capace di pervenire alla compunzione di un cuore contrito. Un giorno, mentre stava in cella a salmodiare, s'imbattè in questo versetto: "Ti farò saggio, t'indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio" (Sal 31,8). Gli sopraggiunse improvvisamente una così larga effusione di lacrime, e la sua mente fu talmente illuminata nella comprensione delle Scritture divine, che da quel giorno in poi, finché visse, ogni volta che lo voleva, poteva versare con facilità lacrime abbondanti e il senso spirituale delle Scritture non gli era più nascosto. Sovente, rimaneva così rapito nella contemplazione di Dio che si scioglieva quasi interamente in lacrime e bruciando di fervore indicibile per l'amore divino, usciva in esclamazioni come queste: "Caro Gesù, caro! Mio dolce miele, desiderio inesprimibile, dolcezza dei santi, soavità degli angeli!" Parole che, sotto il dettato dello Spirito Santo, gli si tramutavano in canti di giubilo e che noi non sapremmo rendere compiutamente mediante concetti umani. Era come dice l'Apostolo: "Noi non sappiamo neppure come dobbiamo pregare, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26) " (Ibid., 66-67); 3 Santa Gertrude, Le rivelazioni, vol. 1, c. III, Siena 1991, 91-93; 4 STh, pars. I, q. 43, ad 3; 5 Cf A. Rizzi, Dio in cerca dell'uomo, Cinisello Balsamo (MI) 1987, 40-47.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM XII2, 2196-2347; Aa.Vv., s.v., in DIP VII, 580-719; Aa.Vv., La ricerca della preghiera cristiana oggi, Brescia 1980; E. Ancilli (cura di), La preghiera, 2 voll., Roma 1988; M. Azevedo, La preghiera nella vita, Milano 1989; A. Barban, La fede pregata, Milano 1997; B. Baroffio, s.v., in DTI II, 774-787; R. Boccassino (cura di), La preghiera, 3 voll., Roma-Milano 1967; C. Casale Marcheselli, La preghiera in san Paolo, Napoli 1975; S. Cipriani, La preghiera nel Nuovo Testamento, Milano 1972; G. De Gennaro (cura di), La preghiera nella Bibbia, Napoli 1983; C. Di Sante, La preghiera d'Israele, Casale Monferrato (AL) 1975; R. Fabris, La preghiera nella Bibbia, Roma 1985; B. Häring, s.v., in NDS, 1260-1271; F. Heiler, Das Gebet, München 19233; C. Laudazi, s.v., in DES III, 1992-2008; B. Maggioni, s.v., in NDTB, 1216-1231; S. Marsili, La preghiera, Città del Vaticano 1989; G. Moioli, s.v., in NDT, 1198-1213; L. Monloubou, La preghiera secondo san Luca, Bologna 1979; M. Moschner, Introduzione alla preghiera, Roma 19692; P.P. Philippe, La vita di preghiera, Città del Vaticano 1997; X. Pikaza, La preghiera cristiana, Roma 1991; E. Salman, s.v., in WMy, 183-184; J. Sudbrack, s.v., in K. Rahner (cura di), Sacramentum mundi VI, Brescia 1976, 469-487; C. Vagaggini (ed.), La preghiera nella Bibbia, Cinisello Balsamo (MI) 19882.

B. Calati

PRESENZA DI DIO. (inizio)

I. Premessa. I tentativi di descrizione delle esperienze mistiche, offerti nel corso della storia da quanti ne hanno avuto il beneficio, concordano nell'attestare che la loro sostanza si gioca integralmente sul registro dell'incontro personale con Dio, dunque sul fondamento della percezione di fede della presenza del Trascendente nel cuore dell'immanente. Così, per fare qualche esempio, s. Agostino riconosce in Dio quanto esiste di più intimo al suo intimo, s. Francesco d'Assisi scopre una perenne manifestazione della potenza e bontà divine nell'essere e nell'agire di ogni creatura, e s. Teresa d'Avila dà prova di un tale senso della prossimità del Signore da ridere di quelli che avrebbero desiderato vivere al tempo di Gesù.

Operano alla base di queste decisive intuizioni le tipiche coordinate del rapporto con Dio che contrassegnano la vita e la storia dapprima del popolo ebraico (AT) e poi della Chiesa (NT).

Lungi dal nascere da una ricerca speculativa sulle ragioni del mondo o sulla struttura del creato, la " conoscenza " di Dio, realizzata dai discendenti di Abramo germina dalla arcana e sconvolgente esperienza della P. (shekinah) divina piena di iniziativa che ha fatto degli ebrei un " vessillo per i popoli " (Is 62,10) destinato a rivelare a tutti che la ragione ultima dell'esserci di tutti consiste nel costituire un popolo creato da Dio per Dio. Per questo motivo, l'agiografia vetero-testamentaria ravvisa nel tetragramma sacro, JHWH, che significa " Dio qui, presente ed operante in, accanto, e a beneficio della sua gente ", il nome (dunque la rivelazione della realtà) che più e meglio arriva a precisare l'autentica fisionomia della trascendenza divina.

II. P. di Dio come signoria del Risorto. Ben lontana dal porsi in discontinuità con la tradizione vetero-testamentaria, la specificità della " conoscenza " di Dio riscontrabile nel NT (caratteristicamente confermata quale prodotto del " cuore " indotto dall'alto, dunque come approccio non solo della mente, ma della totalità delle componenti che definiscono la libertà umana e come risposta ad una rivelazione divina) è stabilita dal credere all'evento della risurrezione di Gesù. Questa comporta la realizzazione della piena presenza del Figlio incarnato datore dello Spirito, e con essa della definitiva presenza del Padre, nel cuore della storia e della umanità, oltre ogni limite di comunicazione umana, sia di spazio sia di tempo (" Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo " Mt 28,20). Per questo motivo, l'agiografia neotestamentaria e la tradizione cristiana susseguente traspongono la categoria della presenza di JHWH nella categoria della signoria di Cristo risorto, ne enfatizzano la valenza soteriologica e centralizzano la vita del credente sul santo sacramento dell'Eucaristia, massima realizzazione dell'unità di Cristo Capo con la Chiesa, suo Corpo mistico.

Poggiando su questi fondamenti e facendo tesoro degli apporti delle esperienze spirituali che ne hanno riscontrato e prolungato nel tempo la verità, la tradizione cristiana ha, via via, esplicitato le connotazioni della presenza finale di Dio per Cristo e nello Spirito in alcune indicazioni portanti alle quali ora accenniamo.

Se Dio non pensasse a tutti e a ciascuno degli uomini, che sono venuti o verranno all'esistenza, e non continuasse ad amarli e volerli in rapporto al Risorto per renderli suoi figli in lui, essi semplicemente non potrebbero esistere né permanere nell'esserci. Ci sono perché egli li vuole, esistono perché da lui ricevono incessantemente l'essere: dunque la presenza divina è creatrice. La verità della immortalità umana, mentre garantisce che Dio non si stanca mai delle sue creature, basta in se stessa a provare che egli continua indefettibilmente a star loro vicino.

Per quanto sconfinatamente prossima, in Cristo, alla coscienza e conoscenza degli uomini (" Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre ": Gv 14,9), la trascendenza divina rimane l'insondabile abisso che strappa dalle labbra di s. Agostino l'umile ed ammirata confessione: Dio è tanto inesauribile che quando è trovato è ancora tutto da trovare. E, dunque, la presenza divina è misteriosa: accomuna paradossalmente la rivelazione al nascondimento, congiunge la luce alle tenebre e supera infinitamente qualsiasi accostamento umano.

III. Presenza educatrice, discriminatrice, crocifiggente. Ponendosi accanto agli uomini quale suprema realtà di salvezza che li chiama per nome al fine di costruire progressivamente nel tempo la loro definitiva identità, la potenza divina si rivela appello, illimitatamente efficace, al completamento della fisionomia che li qualificherà per sempre. Per questo la p. va detta educatrice; ed è sommamente tale, nel senso più rigoroso dell'etimo latino " ducere ex " o " trarre da ", che implica un passaggio (ebraicamente: " pasqua ") da quanto vien dato (il volto germinale o protologico) a quanto va posto (il volto finale od escatologico).

Stante il verificarsi nell'uomo non solo della grazia, ma anche del peccato, e l'intrinseca indicibile connotazione di luce propria della realtà divina, la p. è pure discriminatrice: se da una parte rende manifesto il bene nell'atto di produrlo, dall'altra smaschera il male per offrirne la cancellazione. Quando la santità divina balena agli occhi di una creatura, la fa gridare con Pietro: " Allontanati da me, che sono un peccatore " (Lc 5,8).

L'intensissima misteriosità dell'essere di Dio tra gli uomini (dovuta non solo alla suprema alterità divina, ma anche alla cecità dell'uomo viatore non ancora abilitato al rapporto diretto con lui e gravemente vulnerato dal peccato), e la volontà costruttiva e redentiva del Padre, che giustifica il suo mandare il Figlio " ad abitare in mezzo a noi " (Gv 1,14), sono motivo di fatica, rettificazione e purificazione: per questo motivo, la presenza divina nel vivo della storia è pure crocifiggente, né porta alla " scienza saporosa " dei propri segreti senza sospingere, tramite le " notti " (s. Giovanni della Croce), nel deserto dei sensi e dello spirito.

Bibl. M. Dupuy, s.v., in DSAM XII2, 2107-2136; F. Giardini, Alla presenza di Dio, Milano 1965; G. Gozzelino, Al cospetto di Dio, Leumann (TO) 1989; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 914-918.

G. Gozzelino

PROFETISMO. (inizio)

I. Il concetto. Il p. d'Israele è un fenomeno straordinario ed affascinate nella storia dello jahvismo. La sua storia risale all'XI secolo a.C., cioè alla fine del periodo dei giudici. Infatti, i primi profeti compaiono durante il governo di Samuele, l'ultimo giudice; anzi sotto la sua guida essi formano una comunità dei profeti (cf 1 Sam 10,5s.; 19,18s.). A volte, essi vengono investiti dallo Spirito del Signore e di conseguenza sono presi da un' estasi che può contagiare altre persone che sono vicine a loro. E vero che la storia del p. comincia dall'epoca di Samuele, tuttavia, è notevole che il termine " profeta " venga attribuito già a diversi personaggi che vivono molto prima, per esempio Abramo (cf Gn 20,7), Maria (cf Es 15,20 - profetessa), Aronne (cf Es 7,1) e Mosè il profeta per eccellenza (cf Nm 12,1-8; Dt 18,15-18). Bisogna notare che anche in Nm 11,24s. ci imbattiamo in un'estasi collettiva, una cosa simile a quella raccontata in 1 Sam 10; secondo Nm 11,24ss. i settanta assistenti di Mosè sotto l'influsso dello Spirito del Signore, cominciano a profetare. E vero che i suddetti testi biblici sono anacronistici, ciò nonostante, essi sono utili per la nostra comprensione del p. biblico.

II. Il termine. Il termine " profeta " deriva dal greco profetes (LXX) che è la traduzione del termine ebraico nabi'. Purtroppo, fino ad oggi, gli studiosi non sono d'accordo sulla etimologia di questo termine. Di conseguenza ci sono diversi sensi fondamentali del termine nabi' proposti, per esempio: " Colui che in uno stato di estasi dice tante cose " (dal verbo naba', gorgogliare), o " colui che è posseduto dallo Spirito " (dalla forma passiva del verbo bo', entrare), ecc. La maggioranza degli esperti moderni, però, è dell'opinione che nabi' derivi dal verbo accadico nabu (m) che significa " chiamare o proclamare ". Così un nabi' è " uno che è chiamato da Dio a proclamare la sua parola " (senso passivo) oppure " colui che proclama la Parola di Dio " (senso attivo). Recentemente, D.E. Fleming propone una nuova soluzione: basandosi sull'analisi dei testi siriaci del secondo millennio trovati ad Emar e Mari, propone che il termine ebraico nabi' corrisponda ad un termine siriaco che significa " colui che invoca il nome di Dio ". Ad ogni modo, è chiaro che in ogni interpretazione etimologica del termine nabi' si lasci intravedere un aspetto del p. biblico, anche se non se ne può spiegare in modo esauriente la ricchezza. E problematico anche il rapporto tra nabi' e altri titoli come " uomo di Dio " e " veggente " (in ebr. roèh e hozèh). Questi titoli vengono attribuiti a certi profeti (più antichi): Samuele è un uomo di Dio, un profeta e allo stesso tempo un veggente (cf 1 Sam 9,1s.); Elia è un uomo di Dio (cf 1 Re 17,18.24) e un profeta (cf 1 Re 18,36; 19,10). Gad è un profeta e un veggente (cf 2 Sam 24,11), e così via. Secondo 1 Sam 9,9, " quello che oggi si dice profeta allora si diceva veggente ": ma questa è una semplificazione che non è del tutto soddisfacente.

Il p. non è un fenomeno esclusivo d'Israele. Anche il mondo antico, infatti, conosce molti personaggi corrispondenti ai profeti biblici, per es. hemuneter (" i servi di Dio ") in Egitto, baru in Babilonia, mahhu in Neo-Assiria, ecc. Praticamente essi fungono da veggenti o sacerdoti indovini che pretendono di parlare in nome del loro dio. Da un lato si trovano somiglianze tra il p. israelita e quello presso popoli vicini, ma d'altro canto non mancano anche delle differenze fondamentali tra di loro.

Qui vediamo alcuni elementi fondamentali che costituiscono l'essenza del p. biblico.

III. L'origine divina del p. I profeti cananei e siriaci credono di essere messaggeri di dio. Parlano in nome del loro dio. Ma questa convinzione non è sempre chiara. I profeti biblici, invece, hanno una convinzione irremovibile che sono mandati dal Signore. Ma in che cosa consiste l'essenza del p. biblico? Il testo classico per chiarire l'essenza del p. è Es 6,28-7,2 dove il Signore fa di Aronne il profeta di Mosè; perciò Aronne è la bocca per Mosè, come Mosè e Geremia lo sono per il Signore (cf Es 4,15-16; Ger 15,19). Un vero profeta dice soltanto le parole che il Signore mette sulla sua bocca (cf Dt 18,18; Ger 1,9 ecc.). Tutto ciò che è profetizzato si compie a suo tempo; altrimenti non è un vero profeta (cf Dt 18,21-22). Le formule introduttive, che molto spesso vengono usate dai profeti, sono: " Dice il Signore (Dio d'Israele) " o " la parola del Signore fu rivolta a.... " o " oracolo del Signore ". Inoltre, per sottolineare l'importanza del loro messaggio, a volte, i profeti ci danno l'impressione che la parola di Dio si imponga su di loro senza che riescano a rifiutarla (cf Ger 20,7-9; Am 3,8); ma in realtà il Signore non toglie mai ad un profeta la sua libertà, come nel caso del profeta ribelle, Geremia, a cui il Signore dice: " Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò.... " (Ger 15,19).

IV. Esperienza mistica. E certo che i profeti extrabiblici sono delle persone religiose che hanno dei contatti con la divinità, con un certo culto, in un certo tempio o santuario. Però, questa dimensione religiosa dei profeti ha raggiunto l'espressione più perfetta nei profeti della Bibbia. Questa, infatti, considera i profeti come " servi del Signore " (cf 2 Re 17,13.23; Dn 9,10 ecc.) che proclamano i comandamenti e gli insegnamenti del Signore. Non c'è dubbio che qui il termine " Servo di Dio " è un titolo d'onore per coloro che sono vicini a Dio, che svolgono qualche ruolo nella storia della salvezza, come per esempio Abramo (cf Gn 26,24), Isacco (cf Gn 24,14), Giacobbe (cf Es 32,13), Mosè (cf Es 14,31; Dt 9,11), ecc. I profeti, i servi del Signore, sono amici di Dio. Ne vediamo due esempi. Il primo è Mosè: egli sperimenta un' amicizia molto profonda con il Signore in modo tale che solo con lui il Signore parla " faccia a faccia come un uomo parla con un altro ". Con gli altri profeti, invece, parla attraverso la visione e il sogno (cf Nm 12,6-7; Es 33,11). Il secondo è Elia: egli sta sempre alla presenza del Signore (cf 1 Re 17,1; 18,15); il suo rapporto con Dio è molto stretto, a tal punto che la parola di Dio diventa la sua parola; ciò si può dedurre da 1 Re 17,1, dove Elia dice ad Acab: " Per la vita del Signore... in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io " (letteralmente: " se non per la mia parola "), mentre secondo 1 Re 18,1 è per la parola del Signore che la pioggia sta per cadere. Questa amicizia tra i profeti e il Signore si lascia intravedere anche nelle parole di Amos: " In verità, il Signore non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servi, i profeti " (Am 3,7). Diversi scrittori parlano di questa amicizia come di un' esperienza mistica, pertanto come nel caso dei mistici, anche i profeti, con gradi diversi, sperimentano l'influenza dello Spirito di Dio che costituisce l'elemento essenziale del p.

Nel loro ruolo di amici di Dio, i profeti possiedono la capacità straordinaria di compiere miracoli, i quali rivelano la loro origine divina. I miracoli, quindi, giustificano la loro esortazione alla conversione (cf Sir 48,15). Come amici di Dio, i profeti fungono da mediatori tra il Signore e il suo popolo; in altre parole, i profeti intercedono per gli israeliti presso Dio (cf 2 Re 19,4; Ger 15,1; ecc.). Probabilmente, è proprio in questa qualità di intercessore, che Abramo viene chiamato profeta (cf Gn 20,7). Infine, come amici di Dio, i profeti hanno la capacità di profetizzare, cioè di predire il futuro.

V. Il contenuto del messaggio profetico. Ciò che distingue i profeti biblici d'Israele da quelli extrabiblici è la loro fede in un solo Dio, quel Dio che ha fatto un' alleanza con loro sul monte Sinai. Questo Dio esige da loro una fedeltà totale, realizzandola nella loro condotta religiosa e morale, che deve essere conforme ai suoi comandamenti, perciò si parla spesso di un " monoteismo etico ". A partire dal libro del Deutero-Isaia, il Signore compare come l'unico Dio di tutta la terra (cf Is 40). Questo monoteismo assoluto, infatti, è dovuto ai profeti-teologi. Sempre in questo contesto si può parlare di una caratteristica del p. biblico che consiste nella interpretazione del futuro. Essi vedono il futuro, sia imminente che lontano, nella luce del Signore che guida la storia del mondo, sia nel passato che nel presente. Si può anche dire, quindi, che l'essenza del p. biblico sta nella teologia della storia di Israele (e del mondo) in virtù del monoteismo o più precisamente dello jahvismo (cf Ger 23,22; Dt 13,2-6). Come dice giustamente P. Gironi: " Non esiste profeta in Israele che non si richiami agli elementi fondamentali della storia del popolo "che Dio pasce": la promessa, l'alleanza, l'elezione, la liberazione, il dono della terra, il dono della discendenza, la speranza nel Messia... ".1

Un vero profeta non parla per piacere agli uomini, come fanno i falsi profeti, ma solo per dire ciò che il Signore gli ispira di dire. A differenza dei profeti stranieri, i profeti biblici richiamano o condannano i re (cf 1 Sam 8,6; 2 Sam 12,1-14; 1 Re 11,29-39; 17,1; Am 7,10s.) e si scagliano contro il culto esteriore, privo di senso spirituale (cf Is 1,10-15; Am 5,21-27). Il p. israelita non esiste in funzione di una politica o di una dinastia come spesso accade in Egitto, ma non mancano i testi che mostrano l'appoggio dei profeti ai re (cf 2 Sam 7,1-17; 24,11; 1 Re 19,15s., ecc.).

In genere, nel NT il termine " profeta " viene adoperato con lo stesso significato che ha nell'AT. Il termine " profeta " viene adoperato sia per i profeti dell'AT che per quelli del NT senza differenza. Così Giovanni Battista è un profeta (cf Lc 1,76; 7,26) come lo è anche Gesù (cf Lc 4,24 par). Gesù è " un profeta potente in opere e parole " (Lc 24,19). Egli è il profeta più perfetto, come si afferma in Eb 1,1: " Dio aveva già parlato... ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente... ha parlato a noi per mezzo del Figlio ". Egli parla solo di cose che ha udito dal Padre (cf Gv 8,26; cf 3,32.34; 5,30; ecc.). Egli vive solamente del Padre (Gv 6,57); anzi, egli e il Padre sono una cosa sola (cf Gv 10,31); questa è un'unione mistica perfetta che nessun essere umano ha mai sperimentato.

In una certa misura tutti i profeti cristiani partecipano del p. di Gesù. Secondo 1 Cor 14, essi profetizzano per edificare, esortare e confermare i cristiani (vv 1-5), per richiamarli alla conversione (v 24); tramite essi Dio rivela i suoi misteri (1 Cor 13,2). Pertanto, il carisma del p. viene posto al secondo posto subito dopo il carisma dell'apostolato (1 Cor 12,28; Ef 3,5; 4,1).

Note: 1 P. Gironi, I libri profetici. Introduzione e note, in La Bibbia: nuovissima versione dei testi originali, Edizioni Paoline, Roma 1983, 1120.

Bibl. Aa.Vv., Prophètisme AT-NT, in DBS VIII, 811-1337; La Bibbia di Gerusalemme, Bologna 1988, 1513-1550 (introduzione ai libri profetici); J. Barton, Oracles of God. Perceptions of Ancient Prophecy in Israel after the Exile, London 1986; M. Buber, La fede dei profeti, Casale Monferrato (AL) 1985; L. Dallière, Le charisme prophètique, in Foi et Vie, 72 (1973), 90-97; P. Gironi, I libri profetici. Introduzioni e note, in La Bibbia: nuovissima versione dei testi originali, Edizioni Paoline, Roma 1983, 1119

1124; K. Koch, The Prophets. I: the Assirian Period, London 1987; B.D. Napier, Prophet, Prophetism, in G.A. Buttrick (ed.), The Interpreter's Dictionary of the Bible, Nashville 1986, 984-1004; G. von Rad, Teologia dell'Antico Testamento, II, Brescia 1974, 22-381; G. Savoca, Profezia, in NDTB, 1232-1247; A.L. Schökel - J.L. Sicre Diaz, I profeti, Roma 1984; B. Vawter, Introduzione alla letteratura profetica, in Aa.Vv., Grande Commentario Biblico, Brescia 1973, 289-306; P. Vallin, s.v., in DSAM XII, 2410-2446; S. Virgulin, I grandi chiamati, Roma 1980.

H. Pidyarto

PROFEZIA. (inizio)

I. Il termine p. fondamentalmente si riferisce alle espressioni umane in parole, segni o modi di vivere che reclamano le loro radici in una fonte trascendente o divina. Difatti, la p. si ritrova nelle tradizioni di Israele, nel cristianesimo, nell'Islam e in altre religioni.

II. Nella vita della Chiesa contemporanea la p. è emersa sotto una duplice forma: 1. le p. avvengono durante incontri di preghiera del movimento carismatico attraverso brevi affermazioni che cercano di rendere l'assemblea cosciente della presenza di Dio. Talvolta, la parola profetica ha il compito di comunicare una luce interiore che un membro dell'assemblea dichiara di aver ricevuto. Il danno del soggettivismo o dell'illuminismo tende ad essere neutralizzato dal carattere discernente della stessa comunità carismatica. 2. La dimensione profetica della fede è stata anche identificata recentemente con i movimenti di giustizia, liberazione e pace tra i fedeli. Questo giudizio è basato su di una tradizione profetica di criticismo sociale, in particolare come è stato riscontrato nelle Scritture ebraiche. Il ruolo della p. non è estraneo alla storia della Chiesa poiché la Chiesa stessa rappresenta la presenza permanente della parola dell'insuperato profeta, Gesù Cristo. La p. è collegata alla natura carismatica della vita nella fede ed è soggetta alla verfica ecclesiale in quanto rivelazione privata. Il Vaticano II nella sua Costituzione dogmatica sulla Chiesa (cf LG 12) parla del popolo di Dio che condivide il ruolo profetico di Cristo specialmente attraverso una vita di fede e di carità. Il compito del profeta viene visto come un servizio per una nuova vita e per un futuro più trasparente volto verso il regno di Dio.

Bibl. D. Bergant, Prophecy, in Aa.Vv., The New Dictionary of Catholic Spirituality, Minnesota 1993, 782-784; A. Feuillet, L'accomplissement des prophéties, Paris 1991; R. Laurentin, Catholic Pentecostalism, New York, 1977; G. Montague, The Spirit and Mis Gifts: the Biblical Background of Spirit-Baptism, Tongue-Speaking and Prophecy, New York 1974; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 1045-1047; S. Tommaso, STh II-II, q. 171-174.

J. Russell

PROMOZIONE UMANA. (inizio)

I. Il significato. L'espressione p. può essere intesa in due sensi: l'uno, più globale, che designa genericamente quanto contribuisce allo sviluppo e al completamento dell'autenticità dell'uomo, sia sul piano dell'immediato (o dei valori cosiddetti profani, tipici della esistenza terrena in quanto terrena, quali l'economia, la politica, l'arte, la scienza, la cultura, la tecnica, ecc.) sia sul piano del definitivo (o del valore cosiddetto religioso, il rapporto con Dio); e l'altro, più corrente, che designa settorialmente quanto incide positivamente sul piano dell'immediato come distinto dal piano del definitivo, concludendo nella formula, largamente divulgata, della " evangelizzazione e promozione umana ".

II. Nella tradizione mistica cristiana. Al di là dei vantaggi o dei limiti di un linguaggio o dell'altro, la tradizione mistica cristiana dà prova di un acutissimo senso, ratificato da una " conoscenza " quasi sperimentale, dell'assoluta indispensabilità di Dio per l'uomo. Aderendo incondizionatamente alla Parola ispirata, offerta dalle Scritture, ripete instancabilmente al positivo che l'uomo è se stesso solo nella piena comunione con il Padre, per Cristo e nello Spirito, e al negativo che la perdita di Dio costituisce la perdita totale dell'uomo. Dimostrandosi lucidamente cosciente che l'evangelizzazione rappresenta la prima e più importante modalità di p., subordina e riferisce ogni apporto, tanto di preghiera quanto di azione apostolica, allo scopo supremo dell'avanzamento della signoria d'amore di Dio sul mondo.

Ma non per questo sottovaluta o disattende la cura dei valori terreni e provvisori. Al contrario, spinge a farsene carico. L'esperienza mistica è, infatti, incontro verace con Dio ed assimilazione genuina del suo volere, e Dio vuole il bene di tutto l'uomo, in tutte le sue dimensioni, ivi comprese quelle immediate e contingenti, per cui non risulta possibile entrare nell'intimità con lui senza partecipare di quella sua infinita tenerezza che lo spinge a porsi fuori di sé (" estasi ") per comunicarsi alle creature, né è fattibile una pratica dell'amore per lui che sia disgiunta da un concreto e fattivo amore per il prossimo.

E siamo alla vera ragione della profonda unità della contemplazione di Dio con l'azione per gli uomini, costantemente presente nei tanti credenti che arrivano sino alle vette della contemplazione acquisita e infusa. Fatto dall'Amore per l'Amore, l'uomo si invera soltanto nell'amore: l'alternativa tra un mondo terreno riuscito ed uno fallito dipende indubbiamente anche dalla professionalità, ma si gioca anzitutto e fondamentalmente sulla presenza o assenza di un cuore puro; le buone strutture sono indispensabili, ma la differenza è fatta dagli uomini, e questi si qualificano in rapporto all'amore.

Bibl. J. Alfaro, Speranza cristiana e liberazione dell'uomo, Brescia 1972; H.U. von Balthasar, Solo l'amore è credibile, Roma 1982; G. Lazzati, Esperienza mistica e promozione umana, in Aa.Vv., Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, 173-179.

G. Gozzelino

PROTESTANTESIMO. (inizio)

I. Il fenomeno. Quando si parla di misticismo in senso generale si indica una strada e non un contenuto o una rivelazione. In questo senso (tra le religioni orientali il buddismo si considera una religione senza un dio) il misticismo non esprime nulla e non impegna all'azione concreta. Se produce una dottrina, rischia di orientarsi verso il panteismo.1 In Occidente, il misticismo è stato in un certo senso battezzato e affonda le sue radici nella tradizione cristiana.2

Dopo la Riforma del sec. XVI anche il p. ha dovuto fare i conti con simili tendenze e si è trovato a scegliere non sempre chiaramente tra il Dio che si dona e il Dio ricercato, tra la sorpresa della rivelazione e la lenta scoperta del divino. Si può tentare di indicare il percorso fatto in proposito fino all'inizio del nostro secolo dicendo che si è passati dallo Spirito e dalla Parola alla testimonianza dello Spirito al nostro spirito, alla esperienza interiore dello Spirito, alla esperienza dello spirito umano. La tendenza generale è quella dell'immediatezza dello Spirito fatta di entusiasmo, estasi, glossolalie, esorcismi.3 La mistica diventa un principio autonomo di conoscenza religiosa che ignora la Chiesa visibile e dissolve il mondo ecclesiastico puntando verso una filosofia della religione sempre più indipendente dal tempo e dalla storia. E una teologia della coscienza che, al di là dei fatti e dei dogmi, si ritrova in tutte le religioni.

II. La mistica nel p. Nel p. è stato lo spiritualismo a farsi carico di simili tendenze mistiche e a diffonderle in tutti i settori possibili e lungo un ampio arco di tempo.4 Un punto di riferimento importante per la sua incidenza sulla teologia protestante è certamente la teologia di F. Schleiermacher che punta sul " sentimento ", inteso come " dipendenza dall'infinito ", sull'apparire dell'incondizionato. Sono principi che, insieme alla teologia della " coscienza ", fanno da ponte verso tutte le religioni e riducono il cristianesimo ad un simbolo (sia pure il più alto) del fenomeno generale, sempre esposto al panteismo.5 Naturalmente, questi tentativi di sintesi hanno conosciuto, sul piano filosofico e teologico, resistenze e reazioni nelle correnti di pensiero che si rifanno a Kant ( 1804) o a Ritschl ( 1876) (senza tralasciare Kierkegaard), ma non è del tutto errato considerare questa esaltazione del soggettivismo, della " luce interiore ", come una lontana matrice del razionalismo e dell'illuminismo considerati appunto figli della mistica protestante.6 Le vicende alternative della mistica si riscontrano anche nel p. del sec. XX, nel contesto della teologia dialettica o kerigmatica che trova il suo corifeo in Karl Barth.

1. La posizione di Karl Barth. Il teologo di Basilea prende una posizione radicalmente negativa nei confronti della mistica protestante. Essa esula completamente dal suo pensiero dogmatico che consiste nel verificare scientificamente se la predicazione della Chiesa corrisponda al suo oggetto, cioè alla Parola di Dio. E la Parola di Dio non è altro che Gesù Cristo stesso. Non bisogna, quindi, pescare la luna nello stagno e confondere il cielo con le colline della nostra esperienza. Dobbiamo deciderci se partiamo dalla rivelazione o dalla coscienza.7 Il misticismo rifiuta le manifestazioni esteriori, interpreta spiritualmente i dogmi e ritiene inesprimibile la vera religione.8 Il mistico che pretende elevarsi verso Dio passa accanto al Dio che è disceso. Può essere accusato di eresia.9 In fondo, il misticismo e l'ateismo rappresentano due momenti della crisi attuale della religione. L'ateo nega la realtà religiosa, ma accetta la realtà e le leggi naturali; il mistico mette addirittura in questione l'universo e il sé; si tratta, quindi, di un ateismo esoterico.10

2. La posizione di Paul Tillich. Per Paul Tillich la scuola barthiana non ha capito il misticismo e ne ha fatto un problema alternativo al cristianesimo.11 La mistica e la teologia sono compatibili solo se sanno stare insieme. L'esperienza del divino è mistica; lo Spirito afferra l'uomo e lo porta al di là dello schema soggetto-oggetto. Si tratta dell'esperienza dell'infinito nel finito. La fede è mistica, ma non produce misticismo e include il rischio. Il misticismo è valido universalmente ed è la qualità dell'esperienza religiosa nel senso che non lo si può escludere dall'interpretazione religiosa. Il fatto che il p. non se ne sia reso conto è all'origine del rifiuto del cristianesimo da parte degli orientali. Eppure, il misticismo è presente nel p. a livello di preghiera, di culto e di liturgia e anche nel modo di intendere la santificazione. Non si può, invece, parlare di un'ascesi mistica perché sarebbe contraria alla giustificazione per fede.12 Quando ci poniamo sul piano dell'interpretazione entrano in gioco gli strumenti che adoperiamo: possono condizionarci con pretese assolutistiche. Non sono strumenti sterilizzati: da servi non devono diventare padroni. Se il finito rivendica la statura dell'infinito si rivela demoniaco.

Note: 1 E. Brunner, Revelation and Reason, Philadelphia 1946, 224ss.; 2 Ibid., 235; 3 E. Tröltsch, Sociologia delle sette e della mistica protestante, Roma 1931, 70ss.; 4 Cf voce: Evangelismo; 5 J.L. Neve: A History of Christian Thought, vol. 2, Philadelphia 1946, 108; 6 P. Tillich, Umanesimo cristiano, Roma 1969, 273; E. Tröltsch, Sociologia..., o.c., 101; 7 K. Barth, Dogmatique, I, Genève 1953, 208ss.; 8 Ibid., IV, 108; 9 Ibid., XIV, 198ss.; 10 Ibid., IV, 108-111; 11 P. Tillich, Storia del pensiero cristiano, Roma 1969, 171; 12 Id., Systematic Theology, III, Chicago 1963, 241-253.

Bibl. K. Barth, La teologia protestante nel XIX secolo, 2 voll., Milano 1979-1970; E. Brunner, Revelation and Reason, Philadelphia 1946; C. Fabro, s.v., in DES III, 2050-2055; A. Fremantle, The Protestant Mistics, London 1964; B. Gherardini, La spiritualità protestante. Peccatori e santi, Roma 1982; U. Köpf, s.v., in WMy, 421-423; L. Leuba, Mistica e teologia dialettica protestante, in J.-M. van Cangh (cura di), La mistica, Bologna 1991, 165-197; J.L. Neve: A History of Christian Thought, II, Philadelphia 1946; R. Otto, The Idea of the Holy, New York 1958; P. Tillich, Storia del pensiero cristiano, Roma 1969; V. Vinay, s.v., in DIP VII, 1024-1030.

R. Bertalot

PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE. (inizio)

Premessa. La psicologia ha recentemente riconosciuto tra i suoi vari ambiti anche lo studio della religiosità. Anche a livello pratico gli Istituti Universitari più aggiornati offrono l'opportunità di approfondire settori di ricerca che prima non erano previsti, più per mancanza di esperti che per mancanza di interesse.

Una delle prime difficoltà è quella terminologica: è più esatto dire " psicologia religiosa " o " psicologia della condotta religiosa "? E meglio dire studio del " comportamento religioso " o degli " atteggiamenti religiosi "? Senza dilungarci troppo su questioni che ora possono sembrare delle sottigliezze, possiamo dire che attualmente gli psicologi concordano nel dire " psicologia della religione " con l'obiettivo di studiare la persona umana di fronte all'Assoluto. In questo modo anche gli atei rientrerebbero in questo settore di ricerca, così come ogni appartenente a una qualunque confessione religiosa.

I. Breve excursus storico. E molto difficile localizzare in un preciso momento storico la nascita di questo settore dal momento che fin dalla scolastica e anche prima abbiamo confini fluttuanti tra gli studi teologici e quelli antropologici. Tuttavia, un se pur breve excursus storico è utile per comprendere i tentativi più importanti finora fatti in questo settore e la situazione attuale. Consideriamo brevemente le varie "scuole", anche se questo termine potrebbe essere inappropriato dal momento che finora non c'è stata una vera e propria struttura organica (se non in rari casi) come vorrebbe una vera " scuola di pensiero ".

La scuola tedesca: W. Wundt studiando il mito ne deduce che è da questo che emerge la religione. Da questa ipotetica origine Wundt ricostruisce anche le varie fasi di un'altrettanta ipotetica evoluzione della religione; ma nel fare questo prende dal passato una gran quantità di processi di gruppo e trascura i fattori individuali della religiosità di credenti a lui contemporanei.

Nel 1907 apparve una delle prime riviste sulla psicologia della religione Zeitschriftfür Religionpsychologie che in seguito fu contrastata dalla InternationalReligionpsychologische Geselleschaft.

In questo periodo emerse K. Girgensohn che con un suo metodo introspettivo sistematico stimolò vari soggetti con inni, poesie e aforismi religiosi. Dalle reazioni raccolte dedusse che l'esperienza religiosa ha almeno due componenti: l'intuizione del divino e la convinzione che c'è qualcuno che c'interpella e al quale dobbiamo rispondere.

Una vera e propria pietra miliare nello studio della psicologia della religione è il contributo di S. Freud con il saggio Azioni ossessive e pratiche religiose (1907), con il quale l'origine ontologenetica della religione è collocata in correlazione con il complesso di Edipo, quindi intorno al terzo anno di età. In questo stesso periodo, O. Pfister, amico di Freud, studia alcune manifestazioni mistiche (glossolalia, scrittura automatica, l'esperienza mistica di M. Ebner, il culto mariano) e cerca di evidenziare gli elementi che inquinano la religiosità autentica.

La scuola francese: J.M. Charcot ( 1893) riteneva che la possessione demoniaca e le guarigioni miracolose fossero solo frutto di autosuggestione in personalità isteriche. T. Ribot, da parte sua, sosteneva che la religione nella sua forma estrema può sfociare in due forme patologiche: quella depressiva (o malinconica) con sensi di colpa e di paura e quella esaltata con sensi di amore. Nell'estastico la volontà è annullata e questo è il primo stadio di dissoluzione psichica. P. Janet discepolo di Ribot, studiò soprattutto una presunta mistica, Madeleine, nello stesso ospedale Salpetriére dove lavorava anche Charcot. Questa presentava delle stimmate, delle ferite sanguinanti localizzate presumibilmente là dove anche Cristo aveva sanguinato, levitazioni e stati catalettici in posizione di crocifissa. Riscontrando delle similitudini con la fenomenologia mistica di s. Teresa d'Avila, Janet concluse che questi erano casi di " psicastenia " (un termine da lui coniato) per indicare una reazione di disadattamento e di rigetto nei confronti della realtà con tratti ansiosi e ossessivi. H. Delacroix sottolinea l'importanza di partire dai mistici per poter formulare delle teorie. Infatti, egli studiando s. Giovanni della Croce, s. Teresa d'Avila, M.me Guyon, s. Francesco di Sales e altri, osserva come ad ogni stadio progressivo della vita mistica corrisponda non un impoverimento psichico, come avviene nelle dissociazioni psicotiche, ma al contrario, un sempre maggiore arricchimento. Un altro notevole contributo allo studio della psicologia e della mistica è stato dato dalla rivista Études Carmélitaines fondata nel 1911, trasformata in raccolte di monografie nel 1936, che cessa le pubblicazioni nel 1960. T. Flournoy nella sua opera principale Psicologia religiosa (1910) cerca d'individuare i principi fondamentali della condotta religiosa confrontandosi con altri studiosi suoi contemporanei di questa stessa materia. Egli formula due principi di base per la psicologia della religione: a. escludere la trascendenza con un agnosticismo metodico e scientifico astenendosi da un qualunque giudizio di valore sulle realtà metafisiche; b. interpretare biologicamente dei fenomeni religiosi considerando quattro parametri: 1. il fisiologio; 2. l'evolutivo; 3. il comparato; 4. il dinamico. Flournoy nel 1915 ha anche dato un contributo all'osservazione clinica di una presunta mistica di circa cinquanta anni, Cécile V., attraverso l'uso dell'ipnosi. Questa signora era divisa tra un forte orientamento ascetico-spirituale e un'altrettanta forte libido che le impediva sia di accettare che di rinunciare a una relazione con l'uomo sposato. Durante questo trattamento la signora rinunciò al rapporto ma, in una prima fase, dichiarò che, a volte prima di addormentarsi, veniva visitata da una presenza spirituale, invisibile " asessuata, ma virile " dalla quale si sentiva capita. In una seconda fase, ebbe - trentuno volte in diciassette mesi - delle trance mistiche in cui avvertiva la presenza impersonale del divino. Il trattamento ipnotico era diretto alle ossessioni spirituali frutto della dissociazione provocata da un pre-edipico attaccamento al padre e il vissuto di una violenza sessuale ingenuamente subita all'età di diciassette anni. Altri illustri rappresentanti della scuola francese sono G. Berguer, P. Bovet e J. Piaget. Quest'ultimo ha dato un notevole contributo allo studio del giudizio morale: i bambini educati al rispetto unilaterale dei genitori, delle autorità e di altre figure di prestigio tendono ad avere una moralità basata sull'obbedienza e una religiosità più orientata alla trascendenza. I bambini educati al mutuo rispetto, alla reciprocità e all'uguaglianza tendono ad avere una moralità autonoma e una religiosità più orientata all'immanenza.

La scuola italiana: S. De Sanctis ha studiato la condotta religiosa nei suoi aspetti generali (la dinamica della conversione nelle sue cause, modalità, tipologie, durata e previdibilità di orientamento) e nei suoi aspetti specifici (stati mistici e il profetismo). A. Gemelli, occupandosi dei mistici, ha concluso che la psicologia non può pronunciarsi con autorevolezza sulla natura degli stati mistici, ma solo osservare e descriverne la fenomenologia.

La scuola anglosassone: G.A. Coe, studiando la relazione tra temperamento e conversione religiosa, concluse che i sanguigni o i malinconici con sentimenti ed emozioni prevalenti sull'intelletto e sulla volontà erano più inclini a sperimentare una conversione piuttosto che i collerici, mentre i flemmatici razionalisti erano i meno propensi ad un cambio di fede. Inoltre, una religiosità fondata molto sul sentimento sarebbe più confacente alle donne ed è ciò che accade nella Chiesa cattolica. G.S. Hall, studiando l'educazione morale e religiosa nei bambini e negli adolescenti, arriva a concludere che la fiducia e la gratitudine verso la madre nei primi mesi di vita possono aiutare a sviluppare un sentimento religioso maturo espresso nell'amore come scopo della vita. Questo sviluppo personale-ontogenetico ricopia quello filogenetico della specie umana e anche la storia di tutte le religioni che passano dal feticismo al culto della natura, dalla sottomissione alle leggi della natura all'accettazione di norme sociali e da queste arrivano alle norme personali.

E.D. Starbuck studia i processi di maturazione religiosa e vede nell'adolescenza il momento di cambio di valori personali. Dai risultati di un questionario rileva la complessità e l'itinerario maturativo della coscienza religiosa. J.H. Leuba studiò non solo gli aspetti psicologici generici e teorici della religione (come la classificazione di quarantotto diverse definizioni), ma anche aspetti specifici come la psicologia del misticismo religioso. A proposito di quest'ultimo aspetto, egli concluse che l'esperienza religiosa è solo il risultato di processi psicofisiologici senza un reale oggetto trascendente. Leuba è molto critico nei confronti di molti contenuti e metodi tradizionali della religione cristiana, ma ammette che nell'uomo vi sia un'innata esigenza di bene morale e ammette anche l'intrinseca positività di alcune preghiere, liturgie e arte sacra. W. James è prevalentemente interessato alle varietà di esperienze religiose non delle masse, ma di singoli individui che ritengono di vivere molto intensamente la propria religiosità. La religione può avere due grandi varianti: sana o malata e i vari fenomeni religiosi non possono dimostrare una loro origine o natura soprannaturale. I soggetti rinati, ossia quelli convertiti, sembrano essere quelli più psichicamente sani e più religiosamente maturi. J.B. Pratt studia la tipologia della credenza in fasi che si possono riscontrare in tutte le religioni. Una prima fase irrazionale è caratterizzata dalla dominanza dei miti alla quale segue quella dominata dalla ragione; questa però non può dare quella certezza che solo i sentimenti possono dare, perciò, la religione dovrebbe tener maggior conto proprio dell'esigenza emozionale della natura umana.

II. Alla fine degli anni Novanta. Per avere una visione più globale della psicologia della religione e della mistica, è necessario completare i primi tentativi pionieristici, appena accennati, con uno studio più approfondito di questi temi nei grandi personaggi come Freud, Jung, Fromm, Frankl e Maslow. Costoro, infatti, hanno dato un contributo notevole alla riflessione teorica e alla ricerca pratica su questi temi.

Alla fine degli anni Novanta, coloro che maggiormente si occupano di questi temi con varie pubblicazioni sono: in lingua francese: A. Godin; J.-M. Pohier, A. Plè, A. Vergote; in italiano: M. Aletti, L. Ancona, E. Fizzotti, G. Milanesi, R. Vianello, R. Zavallone; in spagnolo: E. Freijo. Gli studiosi, però, non possono avere come oggetto di studio " tutti " i fenomeni religiosi. Gli approfondimenti possibili per ogni singolo fenomeno sono tanti che non è possibile occuparsi di una intera specializzazione. Ciò che maggiormente incoraggia è proprio il sempre crescente interesse per lo studio psico-sociologico della religione e della mistica e questo è facilmente rilevabile non solo nei fedeli e negli alunni, ma anche nelle strutture accademiche: Università offrono corsi, seminari o centri per questi studi. C'è un pullulare di pubblicazioni, ma ciò che è maggiormente importante è l'organizzazione di tutto questo grande interesse. Infatti, alla già esistente AISMPR (Associazione Internazionale Studi Medico Psicologici e Religiosi) voluta da A. Gemelli, si affianca la " Società Italiana di Psicologia della Religione ". Analogamente accade in altri Paesi. Il coordinamento globale avviene attraverso vecchie e nuove riviste specialistiche e attraverso congressi internazionali che vedono riuniti i maggiori esperti con i principianti semplicemente interessati a tutto ciò che è tra psicologia e religione.

Bibl. L. Ancona, Psicoanalisi, bisessualità e sacro, Castrovillari (CS) 1991; G. Berguer, Revue et bibliographie générales de psychologie religieuse, in Archives de Psychologie, 14 (1914), 1-91; Id., Traité de psychologie de la religion, Lausanne 1946; P. Bovet, Le sentiment religieux et la psychologie de l'enfant, Neuchtel 1951; J.F. Catalan, Esperienza spirituale e psicologia, Cinisello Balsamo (MI) 1993; G.A. Coe, The Psychology of Religion, Chicago 1916; H. Delacroix, Études d'historie et de psychologie du mysticism, Paris 1908; S. De Sanctis, La conversione religiosa, Bologna 1924; Id., Esperienza mistica e analisi psicologica, in Contributi psicologici dell'Istituto di Psicologia, 5 (1926), 1-13; Id., Dinamismi e Psicologia religiosa, Roma 1982; E. Fizzotti, Verso una psicologia della religione, Leumann (TO) 1992; T. Flournoy, Observations de Psychologie Religieuse, in Archives de Psychologie, 2 (1903), 327-366; Id., Una mystique moderne. Documents pour la psychologie religieuse, in Archives de Psychologie, 15 (1915), 1-224; M. Fornaro, Psicanalisi tra scienza e mistica, Roma 1990; E. Freijo, El Psicoanalisis de Freud y la Psicologia de la Moral, Madrid 1966; S. Freud, Azioni ossessive e pratiche religiose, in Id., Opere, V, Torino 1972, 337-349; A. Gemelli, L'origine subcosciente dei fatti mistici, Firenze 1913; K. Girgensohn, Die seelische Aufbau des religiösen Erlabens, Gütersloh 1921; A. Godin, Psicologia delle esperienze religiose, Brescia 1983; G.S. Hall, The Religious Content of the Child-Mind, in N.M. Butler et Al., Principles of Religious Education, New York 1900, 161-189; W. James, Le varie forme della coscienza religiosa,

Torino 1904; P. Janet, De l'angoisse a l'extase, Paris 1926; J.H. Leuba, The Psychology of Religious Mysticism, New York 1925; G. Milanesi - M. Aletti, Psicologia della religione, Leumann (TO) 1973; J. Piaget - Da La Harpe, Deux types d'attitude religieuse: Immanence et Trascendance, Genève 1928; A. Plè, Mutamento delle posizioni della Chiesa di fronte alla psicoanalisi, in Con 10 (1974), 159-165; Id., Per dovere o per piacere, Torino 1984; J.-M. Pohier, Au Nome du Père, Paris 1976; J.B. Pratt, The Psychology of Religious Belief, New York 1907; T. Ribot, The Psychology of Emotions, New York 1896; E.D. Starbuck, The Psychology of Religion. An Empirical Study of the Growth of Religious Consciousness, New York 1899; R. Toinet, La psicanalisi e lo Spirito Santo, Cinisello Balsamo (MI) 1997; A. Vergote, Psicologia religiosa, Roma 1979; Id., Religione, Fede, Incredulità, Roma 1985; R. Vianello, Ricerche psicologiche sulla religiosità infantile, Firenze 1991; W. Wundt, Mythus und Religion, Leipzig 1905; R. Zavallone, Psicologia della religione, in Aa.Vv., Le scienze della religione oggi, Roma 1981, 89-140; G. Zunini - A. Pupi, s.v., in DTI II, 829-844.

A. Pacciolla

PURIFICAZIONE. (inizio)

I. La nozione. Tra le applicazioni del vocabolo " p. " si ricorda quella riferita alla p. di Maria in occasione della presentazione di Gesù al tempio (cf Lc 2,22) e quella delle abluzioni di persone e di vasi sacri nel contesto liturgico. Il vocabolo p. richiama la situazione di impurità dalla quale bisogna liberarsi.

Il significato teologico-spirituale della p. è quanto insegna s. Tommaso d'Aquino: " L'uomo ha il compito principale di allontanarsi dal peccato e di resistere alle sue concupiscenze, che muovono in senso contrario alla carità ".1

La teologia spirituale, oltre al significato dell'espressione p. morale, p. della coscienza, p. del cuore, p. dell'intenzione, conosce in particolare: p. dei sensi, p. degli affetti, p. dello spirito.

Il fine ideale di queste espressioni è quello di portare l'uomo all'unione con Dio: " Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio " (Mt 5,8). A sua volta, l'unione con Dio, presuppone un cammino di p.: p. attiva e p. passiva.

S. Tommaso d'Aquino insegna che " ci sono (...) due tipi di purezza. La prima prepara e predispone alla visione di Dio e consiste nella p. della volontà dagli affetti disordinati. (...) La seconda, invece, è quasi attuazione e coronamento della visione di Dio: e questa è la purezza dello spirito purificato dai fantasmi e dagli errori, pronto ad accogliere le verità divine non come i fantasmi delle cose corporee ".2

L'ambito entro cui la p. può essere considerata in chiave teologico-spirituale è il contesto dell'itinerario spirituale. Per verificarne presenza, importanza, modalità e finalità, si dovrebbe analizzare ogni singola proposta di itinerario. Nella classica concezione del cammino contemplativo, la p. costituisce la prima tappa seguita da quella illuminativa e di unione. La p. spirituale dice l'impegno di p. che l'uomo si assume ed accetta per poter amare Dio con tutto il cuore.

Siccome la p. è richiesta dalla logica della vocazione alla santità, essa non deve mai essere separata dal cammino di contemplazione. P. e contemplazione sono due costanti del cammino della trasformazione dell'anima in Dio.

Nonostante le critiche espresse sul conto del più diffuso schema di itinerario spirituale con le sue articolazioni: p., illuminazione, unione o incipienti, proficienti, perfetti e nonostante le attuali proposte di itinerario spirituale, la p. rimane un'esigenza assoluta di ordine ascetico-spirituale di ogni proposta di itinerario spirituale cristiano.

Nei numerosi testi di letteratura spirituale si possono trovare delle indicazioni pratiche riguardanti l'impegno cristiano della p. Vi si legge che nell'attuazione concreta della p., l'uomo è sostenuto dalla grazia del sacramento della riconciliazione e dell'Eucaristia, dal dialogo con Dio che egli vive attraverso la preghiera, l'ascolto e la meditazione della Parola di Dio e dalla forza interiore che gli viene dall'esercizio costante nelle virtù. In questo modo, egli vive effettivamente la dinamica spirituale della morte-risurrezione accettata con il battesimo.

E più importante invece sapere, dal punto di vista teologico-spirituale, ciò che la p. produce nell'uomo che intraprende il cammino spirituale. Il fine specifico della p. è la sottomissione alla volontà di Dio, il progresso nella perfezione, l'acquisto della libertà spirituale, il poter incontrare Dio nella sua immediatezza. Presso alcuni autori spirituali, particolarmente presso s. Giovanni della Croce, si vede che il fine della p. è anche il progresso nella preghiera contemplativa in quanto via all'unione con Dio.

Lo sforzo umano non può giungere a realizzare completamente questa p. che supera le nostre normali possibilità. E necessaria l'azione di Dio, perciò l'itinerario della p. in quanto cammino di unione con Dio risulta, come abbiamo già detto, composto di due aspetti: attivo e passivo. Il primo consiste nel fatto che nella nostra volontà non c'è più alcuna tendenza volontaria contro la volontà di Dio e il secondo che la nostra volontà riceve il suo impulso ad agire dalla volontà di Dio. Di consequenza, l'itinerario di unione con Dio richiede un doppio lavoro: l'uno, attivo, con cui l'uomo, distaccandosi da ogni cosa, concentra tutto il suo amore in Dio; l'altro, passivo, eseguito da Dio ma accettato dall'uomo con umiltà, pazienza e amore. Con questo intervento Dio suscita l'amore dell'anima e nell'anima, la quale a sua volta lo indirizza e lo concentra su Dio.

II. Nella mistica. A titolo di esempio, richiamiamo qui di seguito l'insegnamento riguardante la p. secondo s. Giovanni della Croce e s. Francesco di Sales.

Per s. Giovanni della Croce, l'uomo, se vuole incontrare Dio, deve rinunciare a se stesso e al mondo attraverso una radicale p. delle sue potenze sensibili e spirituali descritta nei tre libri della Salita del Monte Carmelo. Per raggiungere Dio nella sua immediatezza e trascendente luminosità, va superato il mondo sensibile, ma anche quello concettuale, perché l'uno e l'altro formano delle barriere. C'è di più. Non basta rinunciare a tutto il mondo materiale e sensibile che vive intorno a noi e dentro di noi: occorre saper staccare il cuore anche da quelle realtà che sono un veicolo a Dio, ma non Dio stesso. Anche le cose spirituali devono essere abbandonate. L'unico criterio che valuta l'autenticità della p., quindi del progresso nella perfezione, è la volontà di Dio.

Come tutti i maestri di vita spirituale, Giovanni della Croce insegna che l'unione con Dio " consiste precisamente nel tenere l'anima secondo la volontà del tutto trasformata in quella di Dio, in modo che non vi sia in essa alcuna cosa contraria alla volontà divina, bensì i suoi moti siano in tutto e per tutto solamente volontà di Dio ".3 Sicché non ci saranno più due volontà che decidono e vivono, ma una sola. " Nello stato di unione, due volontà diventano una sola, la quale è volontà di Dio e anche volontà dell'anima ".4

Giovanni della Croce contribuì a chiarire i due aspetti della p. dell'anima: p. attiva e p. passiva. Nella Salita del Monte Carmelo, espose l'aspetto attivo della p. e nella Notte oscura, l'aspetto passivo della p. La p. attiva è quella sottomissione, libera e cosciente, alla volontà di Dio che arriva a far superare ogni tendenza volontaria opposta alla volontà di Dio. La p. passiva consiste nel fatto che la volontà umana riceve il suo impulso ad agire unicamente dalla volontà di Dio.

L'idea della p. attiva è resa bene dall'articolazione della Salita del Monte Carmelo. Quest'opera è suddivisa in tre libri: il primo parla della p. dei sensi, il secondo della p. dello spirito e il terzo della p. delle potenze dell'anima. L'impegno dell'uomo in questo cammino poggia sulle virtù teologali di fede, speranza, carità.

La Notte oscura che parla della p. passiva si articola in due parti: la notte dei sensi e la notte dello spirito. La p. dello spirito avviene anzitutto attraverso l'esercizio delle virtù teologali e attraverso una sempre più abbondante infusione delle stesse virtù teologali. Nel loro dinamismo, le virtù teologali mentre uniscono a Dio, diventano altrettanti mezzi di trasfigurante p. La fede purifica l'intelletto, la speranza la memoria e l'amore la volontà.5 Dio lascia l'intelletto nelle tenebre, la volontà nell'aridità, la memoria senza ricordi e gli affetti immersi in un angoscioso dolore.

La motivazione a favore della p. attiva e di quella passiva mette in chiaro il fatto che lo sforzo umano non può giungere a realizzare completamente questa p. che supera le nostre normali possibilità. E necessaria l'azione di Dio. Questa si realizza attraverso l'esperienza della notte che ha i suoi due tempi: la notte del senso e la notte dello spirito. Cioè, tenendo conto della natura umana, composta di spirito e di sensibilità che possono attaccarsi alle creature, Giovanni della Croce prospetta un cammino di p. da percorrere per liberare sia la sensibilità dalle creature, sia lo spirito, per orientare quest'ultimo verso l'unione con Dio.

Secondo lui, la p. dei sensi e dello spirito costituisce due tappe dell'itinerario dell'unione con Dio, con aspetto attivo e passivo ciascuna. Nella Salita del Monte Carmelo e nella Notte oscura, non fa altro che accompagnare le persone durante il processo della p. perché superino la duplice barriera dei sensi e dello spirito e giungano così all'unione e all'esperienza di Dio. Le notti mistiche, profondamente purificatrici sono, secondo Giovanni della Croce, un elemento essenziale del cammino che conduce all'unione con Dio.

" La p. del senso, rispetto a quella dello spirito, è soltanto la porta (...) e serve più ad accomodare il senso allo spirito ".6 Dio " stacca l'anima dalla vita dei sensi per elevarla alla vita dello spirito ".7 Il motivo di tale passaggio è che la nostra vita interiore deve diventare spirituale,8 cioè presentare Dio nella sua immediatatezza senza opacità e senza mediazione delle cose.

In conclusione, diciamo che l'unione con Dio di cui parla in modo molto articolato Giovanni della Croce, è l'unione dell'uomo con Dio in Cristo per mezzo della fede, speranza, carità.

S. Francesco di Sales si occupa della p. nella parte I dell'Introduzione alla vita devota.9 Egli parla di una molteplice p.: dai peccati mortali, dall'affetto al peccato, dall'affetto al peccato veniale, dall'affetto alle cose inutili o pericolose e dalle cattive inclinazioni. La motivazione teologico-spirituale che egli adduce sulla necessità della p. è che " l'anima che aspira all'onore di essere sposa del Figlio di Dio deve spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi dell'uomo nuovo lasciando il peccato. Deve, inoltre, radere e tagliar via qualsiasi impedimento che possa distoglierla dall'amor di Dio ".10

E interessante notare che anche in Francesco di Sales il cammino di p. è unito al cammino di contemplazione. Parlando della necessità della p. egli affermava che finché siamo in questa vita avremo sempre bisogno di purificarci e di rinunciare a noi stessi e che questa vita ci è data solo a tal fine. " Il nostro amor proprio getta sempre qualche nuovo virgulto di imperfezione che va potato. Esso si serve dei nostri sensi ed è così astuto che appena gli togliamo il potere di compiere le sue malefatte in quello della vista, si impadronisce di quello dell'udito, e così degli altri ".11

Cosciente delle difficoltà durante il cammino di purificazione, Francesco di Sales insegna che la p. dev'essere praticata con l'aiuto della pazienza e del coraggio. La prima virtù, " ci permette di vedere crescere le erbe cattive nel nostro giardino e l'altra ci mobilita a sradicarle di persona, poiché il nostro amor proprio non morirà mai finché noi viviamo ed è lui che fa crescere quelle erbacce che non ci vorrebbero ".12

Note: 1 STh II-II, q. 24, a. 9; 2 STh II-II, q. 8, a. 7; 3 Salita del Monte Carmelo I, 11,2; 4 Ibid. I, 11,3; 5 Ibid. II, 6; 6 Notte oscura II, 2,1; 7 Ibid. I, 8,3; 8 Cf Salita..., o.c. II, 12; 9 La Filotea; 10 Ibid., c. V; 11 Opere IX, 15-16; 12 Ibid. VI, 154.

Bibl. A. George, Heureux les coeurs purs! Ils verront Dieu! (Mt 5,8), in Bible et vie chrétienne, 13 (1956), 74-79; A. Huerga, Il lungo cammino nella "notte". Le purificazioni mistiche, in La Mistica II, 219-251; S. Légarse - M. Dupuy, Pureté. Purification, in DSAM XII2, 2627-2652; I. Luzárraga, La pureza de intención desdela aspiritualidad biblica, in Manresa, 57 (1985), 35-53; B. Prete, Il senso dell'espressione hoi katharoi lê kardia (Mt 5,8), in RivBib 18 (1970), 253-58; I. Rodríguez, s.v., in DES III, 2094-2102.

J. Stru

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