SILENZIO - SUSONE ENRICO - DIZIONARIO DI MISTICA

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SILENZIO - SUSONE ENRICO

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  ................. SILENZIO

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SILENZIO. (inizio)

I. Significato del termine. Il mistico oscilla tra la paradossia dell'espressione, il non senso e il s. Il parlare del mistico è un parlare contro le parole: più parla più si accorge di avere a disposizione una lingua morta, fatta di parole usurate, ecco che egli più cerca di comunicare meno si esprime. In una siffatta situazione la sola scelta possibile che gli rimane è il s. E, di fatto, è proprio il mistico, più di altri, a subire il fastidio delle parole e il fascino del s.

Il s., afferma Gregorio Magno, è la " casa del mistico " e per il mistico Dio è il " Signore del s. ". Il mistico è dentro la lingua come un viaggiatore in un albergo. La casa delle parole non è mai veramente sua. " Quando si parla di Dio con amore - ha scritto Leon Bloy - tutte le parole umane sembrano leoni diventati ciechi in cerca d'una sorgente ". Per il mistico parlare è perseguire l'impossibile; nel suo linguaggio avviene uno scontro tumultuoso tra ciò che ha esperito e la pratica letteraria, così i suoi tentativi, il più delle volte, culminano in un grande grido di s.

Dio, scrive Angelo Silesio, " è così al di sopra di tutto che nulla se ne può dire: perciò tu lo preghi meglio col s. " Ed Hello aggiunge: " Ad una certa altezza il contemplativo non può dire ciò che vede, non perché il suo oggetto venga meno alla sua parola, ma perché è la parola a venir meno al suo oggetto, ed il s. del contemplativo diviene l'ombra sostanziale delle cose che egli non dice... La parola è un viaggio che egli compie per carità verso gli altri uomini. Ma il s. è la sua patria ".

II. Esperienza. Nel s., a detta di molti studiosi, sta l'essenza della mistica. " Se seguiamo i mistici - ha scritto Jean Baruzi - sino alle ultime fasi dell'avventura spirituale da loro descritta, non è sul loro linguaggio che metteremo l'accento, ma sul loro s. L'appello all'ineffabilità, lanciato dopo tanti sforzi per spiegarsi, non è, presso di loro, almeno presso i più puri tra loro, enfasi o pigrizia. Sembrerebbe loro inutile e anche menzognero esprimere con delle immagini ciò che li ha strappati ad ogni immagine, con delle modalità sottomesse alla coscienza, ciò che li ha liberati dallo sguardo del loro io su se stesso. Essi non si sono mai sognati di dire con delle parole quello che è stato il più profondo segreto del loro viaggio ".

Il s. del mistico è più eloquente delle sue parole. Quando egli si accorge di parlare della sua esperienza del totalmente Altro non riuscendo a dire niente, di parlare e di dire soltanto " non-parole ", allora la scelta del s. è l'unica scelta possibile che gli rimane da compiere. Il s. del mistico è il s. di colui che ha compiuto un suicidio semantico per adoperare soltanto le parole del s., è un s. che si presenta come l'orizzonte del dire, è un s. che ci parla di ciò che non può essere detto. In altre parole, è un s. che apre nuove dimensioni alla realtà, rende consapevoli che il dicibile, ciò che può essere detto, non è poi tutto; rende cioè consapevoli del fatto che i nostri problemi più profondi stanno al di là del linguaggio. La scelta del s. da parte del mistico è indice del riconoscimento della finitezza dell'uomo. Vi sono uomini (ed il positivista è tra questi) che non hanno niente su cui tacere. Uomini senza s. Chi lascia uno spazio al s. automaticamente si riconosce creatura e riconosce i propri limiti dell'essere creatura.

La mistica, ha scritto Gerardus van der Leeuw, " in generale, ricerca il s. Il potere della potenza cui si rivolge è tale che soltanto il s. potrebbe offrirle un'occasione. Paradosso dell'espressione, così caratterizzato da Karl Jaspers: si vorrebbe dir tutto, tutto quel che esiste e più ancora: la massima eloquenza si alterna al s. completo. Se la mistica, in ogni tempo, ha spiegato grande loquacità, questa è soltanto il rovescio, il corrispondente, del suo essenziale s. ".

La frase mistica, annota Michel de Certeau, " è un artefatto del s. Produce s. nel rumore delle parole ". Per il mistico esiste accanto alla maieutica del dialogo una maieutica del s.; il suo invito a liberarsi delle parole, a spezzare i cardini del linguaggio è finalizzato al recupero di uno strumento: il s., che non ha solo una mera funzione comunicativa, ma che è in grado di creare una vera e propria comunione. Per il mistico solo nel s. l'anima può aprirsi totalmente alla fede e alla testimonianza. Ciò che il mistico scopre, alla fine del suo viaggio sui sentieri semantici più impervi, è che il linguaggio non è essenziale alla religione, esso può essere solo usato, e malamente, per la preghiera e l'adorazione.

Sul ruolo che il s. gioca nella sfera religiosa (e mistica) hanno insistito tanto Rudolf Otto quanto Thomas MacPherson. Secondo Otto ciò che è tipico della religione non può essere espresso a parole. A suo avviso, " il cristianesimo è una religione fortemente concettualizzata, piena di parole: inni, prediche, libri di teologia, la stessa Bibbia. L'aspetto concettualizzato della religione - quello che è messo in parole - è molto importante, ma non ci deve far dimenticare che c'è qualche altra cosa che non può essere messa in parole, ed è l'elemento non razionale, l'esperienza del luminoso ".

E MacPherson, sulla scia di Otto e di Wittgenstein, afferma che esistono cose che " semplicemente non si possono dire. Se nessuno prova a dirle, non si dà il problema: ma chi lo tenta, deve sopportarne le conseguenze. Non si deve provare a esprimere l'inesprimibile. Le cose che i teologi provano a dire (per lo meno alcune di esse) appartengono a questo tipo di cose che non si possono dire. La strada, dunque, per uscire dalla preoccupazione è quella di una ritirata nel s. ". Quella ritirata che il mistico, quando si è accorto di essere solo una vittima disarmata delle proprie parole, ha sentito infallibilmente come l'unico atto che gli restava da compiere.

Il s., pertanto, non ha solo una valenza ascetica, nel senso che purifica la parola, ma ha, altresì, una valenza mistica in quanto permette la comunione con Dio e il suo mistero. Non per nulla il nome divino nel giudaismo si scrive con quattro consonanti impronunciabili: JHWH.

Bibl. Aa.Vv., Il silenzio e la parola da Eckhart a Jabés, Brescia 1989; Aa.Vv., Le forme del silenzio e della parola, Brescia, 1989; M.I. Angelini, Un silenzio pieno di sguardo. Il significato antropologico-spirituale del silenzio, Bologna 1996; M. Baldini, Le dimensioni del silenzio, Roma 1988; Id., Le parole del silenzio, Milano 1995; H.U. von Balthasar, Parola e silenzio, in Id., Verbum Caro, Brescia 1968, 141-162; A.M. Canopi, Liturgia del silenzio, Casale Monferrato (AL) 1996; Giovanna della Croce, s.v., in DES III, 2308-2312; P. Miquel - M. Dupuy, s.v., in DSAM XIV, 830-859; J.M. Nouwen, Ho ascoltato il silenzio, Brescia 1979; Id., Silenzio, solitudine, preghiera, Roma 1985.

M. Baldini

SILESIO ANGELO. (inizio)

I. Vita e opere. Angelus Silesius (l'angelo della Slesia) è il nome con cui Johannes Scheffler firma il suo capolavoro, il Cherubinischer Wandersmann (Pellegrino cherubico) del 1657. Nato a Breslavia nel dicembre 1624 da famiglia luterana, Johannes riceve un'ottima formazione umanistica in quella città, per passare poi a Strasburgo, Leida, Padova, nella cui Università si addottora in medicina nel 1648. Poco sappiamo delle sue esperienze in questi anni nei quali matura la sua conversione al cattolicesimo, avvenuta ufficialmente nel giugno 1653, a Breslavia. Da quel momento Johannes abbandona la professione medica e si dedica sempre più alla meditazione e alla pietà: prete nel 1661, opera alacremente per riportare al cattolicesimo la Slesia (ci restano numerose sue opere polemiche antiprotestanti), ma soprattutto offre l'esempio di quella abnegazione che costituisce il fulcro anche della sua esperienza spirituale. Muore a Breslavia nel luglio 1677: nel discorso funebre, il gesuita Daniel Schwartz testimonia che Johannes Angelus è stato uomo di virtù veramente angelica.

Le opere poetiche silesiane rilevanti nella storia della mistica sono tre: il " Pellegrino cherubico ", la " Santa gioia dell'anima " (1657), i " Quattro novissimi " (1675). Senza alcun dubbio, però, la prima supera di gran lunga le altre due, che spesso non vanno oltre la mera edificazione. " Vaso di raccolta della mistica occidentale ", come lo definisce Urs von Balthasar, Il Pellegrino cherubico consta di cinque libri (un sesto è aggiunto nella ristampa del 1675) di distici rimati, a volte uniti in composizioni più ampie in cui il poeta esprime, con mirabile brevità ed efficacia, le sue penetranti intuizioni spirituali. Ultimo erede della grande tradizione mistico-speculativa medievale germanica, che gli è stata comunicata dal fraterno amico Franckenberg, S. vi unisce infatti le forme tipiche della mentalità e della spiritualità barocca del suo tempo: culto dei santi, devozione mariana, meditazione sul S. Cuore e sulla croce, ecc. Il tutto sta però entro una cornice teologico-filosofica che potremmo definire classica, ovvero costituita da quel platonismo dei Padri della Chiesa greci e latini (soprattutto Agostino) in cui trova grande spazio la riflessione sulla virtù e sulla giustizia in particolare.

II. Dottrina mistica. Nucleo essenziale della spiritualità silesiana è come in Eckhart il rapporto amore-distacco. L'amore che lega alle cose, al prossimo e a Dio è, infatti, proprio quando si spinge al limite estremo, distacco da se stesso e da tutti i legami che ruotano intorno all'io. Questo è il distacco essenziale, chiave di volta di tutta la vita spirituale: la fine dell'io psicologico, centro di radicale egoismo (che può prendere la forma anche di egoismo religioso, come volontà di appropriazione del divino) apre alla scoperta dell'io più vero, non psicologico ma spirituale, che è in noi, che ci costituisce davvero e, insieme, ci pone in unità con Dio. Perciò S. scrive distici come II, 30: " Uomo, fatti essenziale! Ché quando il mondo passaPassa anche l'accidente, ma l'essenza rimane ".

Il cammino del distacco è quello che conduce al vero " sé ", ovvero che porta dall'anima allo spirito - secondo le ben note linee dell'antropologia paolina -, portando a scoprire quel " fondo dell'anima " (=Grund der Seele) che è la nostra essenza, ed in cui è sempre gioia e pace. Al di fuori di ogni antropomorfismo, il fondo è Dio stesso, in cui ci muoviamo, viviamo e siamo. L'uomo essenziale di cui parla S. (II,71) " è come l'eternità che non viene mutata dall'esteriorità ": perciò " deve accendersi in te l'essenza di Dio " (II, 125). Dotato di ottima formazione filosofica e teologica, nonché conoscitore profondo della tradizione mistica cristiana, S. evita, anche nelle sue formulazioni più audaci e paradossali, ogni traccia di panteismo. L'unità che si stabilisce tra uomo e Dio è in lui unità spirituale - unitas spiritus, secondo la bella formula di Guglielmo di St. Thierry -, ed essa si compie nel modo eckhartiano della nascita del Logos nell'anima. Infatti, nell'atto di amoredistacco, nell'esser vuoto di tutto - e soprattutto spoglio di se stesso - e tutto rivolto all'Assoluto, al di sopra di ogni determinazione e di ogni riferimento a noi stessi, l'Assoluto stesso si genera in noi in quanto Logos: " Davvero è generato ancor oggi il Verbo eterno! Dove? Qui, dove in te hai perduto te stesso " (III, 188).

Conseguenza importantissima della speculazione silesiana è, ancora una volta come in Eckhart, l'assolutezza del presente, sopprimendo ogni alienante differenza tra il tempo e l'eterno. Qui ed ora l'anima è, in quanto spirito eterno, nell'eternità, al punto che " Se ti sembra più lunga l'eternità del tempo, stai parlando di pena non di beatitudine " (II, 258).

Tanto grande è l'esperienza di gioia, di luce nel presente, che il mistico poeta paradossalmente può concludere: " Tu dici che vedrai Dio e la sua luce: stolto, mai lo vedrai se non lo vedi già ora " (VI,115).

Bibl. Opere: L'opera poetica silesiana è pubblicata da H.L. Held: Angelus Silesius, Saemtliche poetiche werke, in 3 voll., München 1949-1952. A cura di G. Fozzer e M. Vannini è stato tradotto il Pellegrino cherubico, Cinisello Balsamo (MI) 19922, con testo tedesco a fronte. Studi: Giovanna della Croce, s.v., in DES III, 2312-2313; R. Pietsch, s.v., in DSAM XIV, 408-413; F.J. Schweitzer, s.v., in WMy, 19-20; M. Vannini, Introduzione a Silesius, Firenze 1992.

M. Vannini

SIMBOLO. (inizio)

Premessa. Nei dizionari di discipline teologiche, è invalso l'uso di trattare la voce s. svolgendone una prima parte, eventualmente con un taglio interdisciplinare, sui principi e, spesso, sui metodi della simbolica generale; quindi, una seconda parte specifica, in cui nei dizionari di mistica si discorre di simbolica della mistica propriamente detta, cioè religiosa e, spesso, di simboli biblici oltre che dei simboli impiegati dai mistici cristiani; quasi mai si tratta di simboli liturgici.1 Qui, ci si soffermerà solo nell'ambito della mistica specificamente cristiana, dunque, sul s. nell'ambito della " sacramentalità " cristiana, cioè nell'ambito " misterico " della nostra simbolizzazione, procedendo per teologia simbolica e non per simbolismo teologico.

Sarà bene, innanzitutto, denunciare le diffidenze e gli equivoci radicali che insidierebbero l'uso del s., specialmente così inteso. Le diffidenze hanno matrice illuministica: prima, le svolte involutive dell'Aufklärung nel '700 ed anche, dopo, le svolte evolutive della " linguistica " del '900; ovvero hanno matrice dualistica, platonica o altra che sia. Si diffida del s. per fiducia più o meno cieca nella ragione che sarebbe capace, per se stessa o per grazia ad essa donata, di pervenire, senza altre virtualità, all'uomo " illuminato "; il s. sarebbe un chiarore concettualmente attenuato, una spia di stadi mentali da oltrepassare concettualmente onde arrivare all'uomo " perfetto ". Al genere simbolico non rimarrebbe allora altra funzione se non quella di formula che raccoglie caratteristiche scientifiche comuni: + -, s ..., il moderno simbolismo logico-matematico. E si diffida del s. per sfiducia più o meno istintiva nella corporeità e nella sensibilità che sono condizioni tanto per costituirlo quanto per percepirlo. In teologia, poi, Simbolica è l'esposizione delle professioni di fede, unicamente la teologia dei " Simboli della fede ". Gli equivoci confondono il s. con allegoria, emblema, indice, metafora, parabola, stemma...; continuano a non distinguervi convenzione da natura, somiglianza formale da relazione costitutiva, paragone analitico da percezione sintetica, discorso ed apprendimento da intuizione e comprensione. Sono equivoci e diffidenze sempre lineari ed ingenui? Probabilmente è più risolutivo diagnosticare anche complessi davanti agli impegni richiesti dalla prossimità al globale o cattiva coscienza davanti agli alibi forniti dall'alienazione nella discontinuità... Però, una corretta e consistente concezione (teologica) del s. riesce a dissipare equivoci e diffidenze davvero come nebbia al sole.

E sarà bene riferirsi alla soglia critica. Dionigi Areopagita, che dei " mistici " e della " teologia simbolica " è l'inventore sistematico nella cultura cristiana, pur non distinguendo nella scrittura s. da allegoria, da metafora, da parabola,2 non s'accosta mai alle virtualità mistiche che sono del s. propriamente detto, trascurandone i limiti ed i rischi; ma non a caso egli, per questo motivo, ne è l'apprezzatore convinto ed è il docente privilegiato della " teologia simbolica ". Si rilegga dalla sua lettera al vescovo (pseudo) Tito: " Nella teologia simbolica abbiamo spiegato, o buon Tito, tutte le figure della Scrittura riguardo a Dio che alla folla appaiono strane. Infatti, agli imperfetti sembra addirittura assurdo ciò che i padri della sapienza nascosta (gli agiografi), con simboli anche audaci, rivelano della verità divina e misterica inaccessibile ai non iniziati. Perciò, molti tra noi sono increduli circa i (loro) discorsi riguardo ai misteri divini, perché i simboli sensibili che si impiegano per essi fanno ostacolo a chi non li penetra onde guardare ai puri misteri in se stessi. Contemplandoli così, saliremo sino alla fonte della vita che effondendosi permane e guarderemo alla Potenza unica, semplice, che da sé si muove e da sé agisce, conoscenza delle conoscenze... Tutte le figure formate dalla Scrittura che tutto osa, esprimendolo con molteplice manifestazione e quasi con divisione, sotto infinite figure e forme rivelano il mistero unico ed indivisibile, lui che non ha né figura né forma. E chi discerne l'armonia interna di queste realtà trova che tutto è divinamente mistico e pieno di luce divina. Non dobbiamo intendere, infatti, che le figurazioni di tali forme siano inventate per se stesse; esse, invece, sono come veli sui misteri inaccessibili che vengono rivelati soltanto a chi ama davvero la santità e, spogliandosi di ogni facilistica immaginazione, penetra i simboli con la semplicità della mente e l'adeguazione della virtù contemplativa sino a toccare la verità super-eccellente che si fonda oltre i simboli stessi. Bisogna, d'altronde, capire che la tradizione degli agiografi è duplice: una, mistica e nascosta, che riguardo ai misteri usa dei simboli, l'altra, più parlata e più conoscibile, che concettualizza e si fa dimostrativa; l'ineffabile si incrocia così con le cose che si riesce a dire, l'una ci trasferisce in Dio mediante insegnamenti misterici che non si insegnano, mentre l'altra ci persuade sulla verità delle cose che sono dette. Perciò, anche nei riti che celebrano i santi misteri, la nostra religione impiega simboli a Dio convenienti... Gesù stesso ha parlato in parabole e ci ha consegnato i divini misteri mediante il s. della cena. Infatti, è cosa ben conveniente, che la vita degli uomini, la quale è insieme indivisibile e divisibile, sia illuminata in modo a sé conforme: così, l'anima, impassibile, appare destinata com'è alla visione della semplicità di Dio, e, passibile, tende alla realtà divina mediante i simboli che sono a lei convenienti... ".3

La concezione dionisiana del s., secondo me evolutiva così come insostituibile, si gioca sull'ambivalenza oggettuale della simbolizzazione e sull'ambivalenza soggettuale del suo agente; l'una e l'altro, simbolizzazione ed agente, sensibili trascendenti il sensibile. Oggettualmente il s. è velo che urge: velo riguardo alla sua propria diversità, che urge riguardo alla trascendenza a cui rinvia; urge al laborioso discernimento della sua luminosa armonia costitutiva, cioè al discernimento della chiarezza di un mistero che si rivela sensibilmente mediante somiglianzadissomiglianza.

Soggettualmente, s. è discernimento - poiché i simboli si agiscono con l'uguale travaglio dell'agire i concetti -, ascetico discernimento al di là del sensibile che soltanto spogliandosi dell'immaginario sensibile, chi ama davvero la santità, cioè chi vive con il Trascendente in rapporto intimamente interpersonale, riesce ad operare, semplificandosi nella mente ed adeguandosi nella contemplazione; infatti la simbolizzazione pretende uguale trafila astrattiva della concettualizzazione, altrimenti non penetreremmo i s. sino alla purezza dei misteri di cui essi contengono sensibilmente la manifestazione. Ecco la stimolante ambivalenza oggettuale e soggettuale del s. puntualizzabile secondo Dionigi. Ed ecco la stimolante sinergia tra simbolizzazione e concettualizzazione che egli trova interattiva con quella ambivalenza: l'incrociarsi dell'ineffabilità, per la quale si usano i s., con la persuasione, per la quale si impiegano i concetti. Sinergia conforme alla passibilitàimpassibilità che caratterizza l'uomo nella situazione spazio-temporale; perciò, per tale convenienza antropologica, egli conclude indicando gli ambiti della teologia simbolica nel mondo cosmizzato da Dio, nella sua alleanza antica e nella sua alleanza nel Figlio: " Contrariamente alle opinioni della folla (degli imperfetti), dobbiamo penetrare con riverenza questi simboli né possiamo svalutare queste figure sensibili delle qualità divine e sensibili immagini di visione misterica ".4

Istruiti da cotesta puntualizzazione, che è di soglia critica per la simbolizzazione nella nostra cultura, riassumiamo il nostro giro d'orizzonte sul s. nell'ambito misterico cristiano fermandoci, convenzionalmente poiché i tre aspetti sono inscindibili l'uno dall'altro, intorno ai punti focali della oggettualità, della soggettualità e della dinamica simboliche.

I. Il s. misterico cristiano è velo rivelante. Considerandolo linguisticamente, come è bene fare a seguito della crisi semiologica che lo ha debitamente rivalutato nella nostra epoca culturale, il s. nel suo campo referenziale è segno che rivela il suo termine trascendente, è significante del suo significato, ma nel suo campo situazionale è cosa che vela la trascendenza, è oggetto persino inquietante, perciò è stato detto che " la critica dell'idolo è condizione per conquistare il s. ".5 Infatti, non è questione di semplice somiglianza-dissomiglianza; perché se, per un verso, meno un s. ha di somiglianza situazionale meno è valido il suo campo referenziale; per altro verso, più un s. ha di somiglianza più rischia di frapporsi quale eidolon, " fantasma " della sua trascendenza. Se a farli velanti fosse la dissomiglianza ed a farli rivelanti fosse la somiglianza senza altre complicazioni, non ci sarebbero difficoltà, perché i simboli si porrebbero da sé in graduatoria di rivelazione secondo la gradualità della loro somiglianza, ed i s. dissomiglianti del tutto si escluderebbero da sé dal campo rivelativo, cioè non si porrebbero affatto come s. Invece, tra il velare ed il rivelare del s. si sviluppa una dialettica d'efficacia - la critica del fantasma - per cui la tensione è tanto della somiglianza quanto della dissomiglianza - " rivelante ", è questione prima di referenzialità e poi di trasparenza del velo simbolico, prima questione del soggetto simbolizzatore e poi questione dell'oggetto simbolizzato -.

Diremo perciò che, verso il mistero, il s. è ostacolo e non è appoggio? E più ostacolo che appoggio? E ostacolo e non è appoggio? Esattamente il contrario. Rileva Ireneo: " Non c'è nulla che non significhi Dio ".6 La critica del fantasma, dalla quale dipende la validità referenziale del s., comincia dunque dal rendersi conto che la simbolizzazione misterica è un sistema certo e, da parte sua, comincia simbolizzando a catena, per costellazioni in un unico cielo. Attività simbolica è rilevare il sistema significativo dell'universum, del " rivolto all'uno ", e atteggiarsi coerentemente nell'organizzazione semiologica del proprio universo. A tale proposito insegna Massimo il Confessore: " La teorizzazione simbolica delle realtà intelligibili mediante le realtà sensibili è scienza spirituale e sapienza delle realtà visibili mediante le invisibili ".7 La simbolizzazione attua un'osmosi tra l'intelligibile ed il sensibile, è un admirabile commercium, " meraviglioso scambio ", in se stessa. I s. non sono sostantivo, sono verbo; non sono nominazione imputativa di distanza, sono azione computativa di presenza. Nel campo referenziale simbolico, il significante non sta ad indicare il significato, ma lo mette insieme -, symballo, " metto in uno, insieme, nello stesso tempo, nello stesso luogo... " - e la significanza consiste nella vicarietà che il significante si assume rispetto al significato: il significato assente è reso presente vicariamente nel significante. Il fatto è che purtroppo si ritaglia il s. intendendolo soltanto un significante; cosa che è mutilante per qualsiasi segno, ma che cade addirittura nella contraddizione dei suoi termini nel caso dei symballein, del vero e proprio " mettere insieme " significante, significato, e significanza. La critica del fantasma si adopera, quindi, a valorizzare la valenza ontica del velo simbolico, consistente nella mediazione della sua vicarietà che rivela l'immediatezza della presenza rivelata; per tale paradossale mediazione d'immediatezza, il s. è la realtà misterica stessa in quanto " epifania " ed in quanto " gloria ".

II. Il s. misterico cristiano è epifania di santità. L'iconoclastia, che è né più né meno simboloclastia nel caso particolare dei s. figurativo-visivi, separa l'uomo dall'immagine così come l'idolatria separa Dio dal s. (visivo o non visivo, è la stessa cosa). In altri termini, il soggetto si situa correttamente nel campo simbolico se elude la distanza dal mistero provocata da separazione idolatrica o da separazione simboloclasta, dall'una e dall'altra ugualmente poiché separazione offensiva è l'una e separazione offensiva è l'altra; separazione da Dio, offensiva di Dio. Mistero cristiano è l'ineffabilità di Dio unotrino ed insieme la divina economia per il Cristo nello Spirito, cioè la sacramentalità infallibilmente efficace della condiscendenza di Dio sollecito e provvidente con l'uomo sino allo " scambio meraviglioso " sopra ogni meraviglia di scambio, sino alle nozze teandriche nell'Incarnazione divinizzante del Verbo di Dio: " O admirabile commercium! Il creatore della natura umana... si fa uomo e ci dona la sua divinità ".8 Ecco la riflessione del dottore antiocheno e vescovo costantinopolitano alla quale si rifà la costituzione dogmatica Dei Verbum per illustrare l'uguaglianza di synkatabasis, la " venuta giù " con la condiscendenza di Dio uguale nel rendere il suo parlare simile alle parole dell'uomo e nel rendere il suo Verbo simile all'uomo (cf DV 13): " "Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte" (Gn 1,3-5)... Hai visto come il beato agiografo, ed anzi mediante il linguaggio dell'agiografo, Dio misericordioso si è fatto condiscendente con la pochezza della capacità umana... Infatti, per la pochezza di quelli che l'ascoltavano, lo Spirito Santo ispirava il linguaggio dell'agiografo in modo che riferisse ogni cosa adeguandosi. Per comprendere l'ineffabile benignità di Dio e quale condiscendenza nel suo parlare egli ha usato, sollecito e provvidente della nostra umana natura, guardiamo come il figlio del tuono (cf Mc 3,17) non si muove con gli stessi passi ma, poiché il genere umano era progredito nella sua capacità, conduce quelli che l'ascoltano a conoscenza più sublime. Dice: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Gv 1,1) ed aggiunge: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Infatti, come per la Parola di Dio è creata la luce sensibile e sono fugate le tenebre visibili, così la luce intelligibile fissa le tenebre dell'errore e guida gli erranti alla verità (cf Gv 1,14). Con somma gratitudine riceviamo dunque le divine Scritture... ".9 Perciò, per tale divina venuta giù con gli uomini, i simboli misterici cristiani sono, ciascuno nel suo proprio ordine, infallibilmente efficaci dall'alto; non sono magia, pretesa manipolazione del divino catturato a piacimento dal basso. Con somma gratitudine riceviamo, dunque, ogni accondiscendere di Dio misericordioso per cui il suo Spirito Santo ci adatta ed adegua ogni parola. " Lo Spirito del Signore riempie l'universo, ed abbracciando ogni cosa, conosce ogni parola ".10

Evidentemente è epifania dall'alto; ma è apparire della santità. Cioè, apparire, ripetiamolo, del rapporto interpersonale di Dio unotrino a noi e di noi al nostro Dio (è ciò il sanctum) e precisiamo: epifania di santità, non di sacralità, perché questa, essendo una trascendenza separata, messa a parte (è ciò il sacrum) non entrerà nella concatenazione simbolica e non susciterà problemi ermeneutici altri per i suoi modi di presenza, anche se, purtroppo, non è infrequente che alla santità surroghiamo forme di sacralità. L'ascesi dell'immaginario sensibile, la laboriosa critica del fantasma, non è rinuncia stoica o risalita neoplatonica, ma è sanazione dei quattro scismi originari, da Dio, da noi stessi, dagli altri, dal cosmo, tanto condizionante quanto " connaturale ". Il mito platonico dell'androgino iniziale ne ha lampeggiato qualcosa al livello antropologico: " Ciascuno di noi è s. dell'uomo intero perché da uno che era è stato diviso in due. Perciò ciascuno di noi è sempre in cerca dell'altro s. di se stesso ".11 Gli farà eco il discepolo Aristotele ( 322 a.C.), affermando che il maschio e la femmina sono " s. " reciprocamente.12 Secondo noi cristiani, la risoluzione per ogni livello si trova entrando nell'universale sistema simbolico di Dio, sistema che è circolo virtuale d'ogni vicarietà di presenza, scismatica e santa, eidetica, etica, estetica, imperfetta e perfetta, intramondana e teandrica: l'uomo, egli stesso, s. di Dio.

III. Il s. misterico cristiano è gloria d'Immanenza. La dinamica simbolica del mistero non è un optional, infatti investe la biologia cristiana nel suo stesso cuore sacramentale. Se un s. qualsiasi rinvia all'ordine d'una trascendenza, il nostro s. misterico riporta all'ordine dell'immanenza cristiana, la quale non è la solita polarità esclusiva della trascendenza, ma l'autonomo caratteristico atteggiarsi della trascendenza nella divina economia sacramentale. Il termine stesso (al contrario di transscandere, " salire, scandireoltre ", che è da religiose e non religiose matrici comuni) inmanere, " rimanere, dimorare, esserein ", è da matrice biblica neotestamentaria (cf Gv 14,15-17, 19-20.23; 1 Gv 4,12-13.15-16). L'immanenza del nostro divino Trascendente è per noi misterica esperienza e permanenza sacramentale dell'Emmanuel " Dio-con-noi " (cf Is 7,14; Mt 1,23). Perciò, la nostra dinamica simbolica non è una metodologia scientifica ma è la poietica d'esperienza della presenza di Dio mediata esteticamente; e pure se, nella biologia cristiana per attingere la vita divina ed il suo infinito di Bontà, di Verità, di Bellezza, si realizza una sinergia tra simbolizzazione e concettualizzazione che non si elidono ma si postulano vicendevolmente; come la concettualizzazione a suo modo, così la simbolizzazione ha la sua specifica qualificazione al modo di procedimento poietico-estetico: gloria d'Immanenza, cioè epifania in bellezza di Dio-con-noi.

Poietike è derivazione da " formare con arte, dare essere dando alla luce, suscitare celebrando, compiere frequentando "" farsi fare creativamente "; e aistetike è derivazione da " percepire, contemplare, cogliere sensibilmente ". Sono tutte variazioni armoniche e luminose, del farefarsi fare esteticamente, in cui si realizza il s. misterico cristiano. Variazioni convenienti alla pregnanza variegata del sym - " con " nel s. misterico cristiano: syn è " coesistenza, uguaglianza, completezza, sussidiarità, complementarietà, reciprocità; simultaneità temporale, compresenza spaziale... ". Il s., quindi, è entusiasmante perché pregnantissimo, armonico, luminoso, è sempre e dovunque trionfo sul dia-bolo - diaballo, " disunisco, metto male tra due, sconvolgo, colpisco moralmente; accuso, calunnio, scredito, rendo odioso; inganno, mi oppongo a qualcuno "; dià è " penetrazione attraverso e divisione conseguente, separazione temporale, allontanamento spaziale, rivalità, differenziazione per qualità incompleta, per superiorità surclassante, per compimento rinforzato, per tempo protratto, per spazio esasperato... " -. Ovviamente, poiché non è un optional, la dinamica simbolica del mistero è impegno dovuto.

Gloria d'Immanenza, il s. misterico cristiano, trova la sua decisiva ermeneutica di vita eterna - " Questa è la vita eterna: che conoscano te... e colui che tu hai mandato " (Gv 17,3) - nell'evento misterico della Trasfigurazione - " L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò " (Gv 12,28) -.

Cristo Gesù si trasfigura apparendo nella sua umanità Dio qual è, " irradiazione della gloria del Padre ed immagine della sua sostanza " 13 e con lui Dio-con-noi sono stati trasfigurati i discepoli resi capaci di vederlo sensibilmente da Dio " che fa risplendere sul Tabor la pochezza della umanità ".14 La Trasfigurazione ci interpreta la poietica della dinamica simbolica del mistero con la registrazione della voce del Padre - " Ascoltatelo " (cf Mt 17,5 e paralleli) - che precisa la passività attiva dell'esser condotti dall'Emmanuel sul monte -. " Li condusse in disparte " (cf Mc 9,2) - e ce ne interpreta l'estetica con la narrazione dell'adombramento dello Spirito Santo - " Una nube luminosa li avvolse con la sua ombra " (Mt 17,5; secondo Mc 9,7 e Lc 9,35 la voce " uscì dalla nube ", e secondo Lc 9,34 i discepoli " all'entrare in quella nube ebbero paura ") - che insinua la divinizzazione dei nostri sensi ad immagine dei sensi assunti dall'Emmanuel - " Signore, è bello per noi restare qui " (Mt 17,4 e paralleli) -. Ci istruiscono Padri e dottori: " La trasfigurazione che videro i discepoli sul monte, mostrò il modello della gloria del Salvatore; e la gloria si manifestò sensibilmente ai loro occhi umani che non riuscivano a sostenerne lo splendore... Si vede il Logos trasfigurato nella gloria quando si sale con lui, quando si è elevati con lui, quando lo si guarda come il Logos... ";15 " Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo. Lo dice della divinità attingibile... Infatti l'hanno saputa, la sua bellezza, i discepoli ai quali egli stesso spiegava le parabole in disparte (cf Mc 4,34). Pietro ed i figli del tuono hanno visto la sua bellezza sul monte, resi capaci di vederla con i loro propri occhi... "; 16 " Cos'è questo volto che cambia d'aspetto (cf Lc 9,29) e risplende come il sole (Mt 17,2)? Non è la bellezza ineffabile, che trascende ogni cosa desiderabile e preziosa, che dà gioia insottraibile a chi la vede e si rivela nella misura in cui è attinta?... Se, dunque, essa è apparsa in se stessa, mi si permetta di dire, al di là di ogni rivestimento ma mediante il solo vestimento santo che si preparò con il sangue della Vergine ed assunse misticamente per opera dello Spirito, chi lo vedrà come l'hanno visto quelli a cui si mostrò? Ché niente delle realtà create che vediamo esaurisce la trascendenza del suo splendore. Poiché il Bene è partecipato ad ogni essere, non perciò è comprensibile nella sua pienezza, nella sua essenza; ma è comprensibile nel modo e nella misura dell'accessibilità concessa con dono infinito. Guardiamo, infatti, alla beata e celebrata passività dei discepoli sul monte quando la luce inaccessibile ed eterna, trasfigurando la sua propria carne, irradiò la sua gloria... "; 17 " Mostrare ai discepoli la gloria del suo splendore è lo stesso che trasfigurarsi. Come dice Girolamo, Su Matteo 17,2, non bisogna supporre che trasfigurandosi il Cristo abbia lasciato la sua figura ed il suo volto o abbia abbandonato la sua fisicità corporea per assumere un corpo spirituale. Non si tratta di dismissione nella sostanza ma di cambiamento nella gloria... lo splendore del corpo di Cristo nella trasfigurazione, come dice il Damasceno, Omelia sulla Trasfigurazione 1, promana dalla sua divinità e dalla gloria della sua anima. Che codesta gloria non s'irradiasse nel suo corpo sin dall'inizio della sua Incarnazione fu disposizione divina affinché egli operasse i misteri della nostra salvezza con corpo passibile, ma ciò non gli toglieva che la gloria della sua anima potesse irradiarsi nel suo corpo; e ciò, infatti, è avvenuto nella trasfigurazione... L'eccellenza della gloria che appariva (nella trasfigurazione) trascende ogni senso ed ogni capacità umana, secondo che sta scritto: "Nessun uomo può vedermi e restare vivo" (Es 33,20) e dice Girolamo Su Matteo 17,6 che la pochezza umana non sopporta la presenza della gloria trascendente. Ma in cotesta pochezza gli uomini sono sanati per Cristo che li introdusse nella gloria. Dice infatti ai discepoli: "Alzatevi e non temete" (Mt 17,7) ".18 Ecco che la Trasfigurazione è icona per la poietica in estetica del nostro s. misterico; da gloria a epifania a velo e viceversa, dalla rappresentazione ed espressione alla trasformazione e divinizzazione.

Note: 1 Nella nota bibliografica rinvio a quei dizionari che recano la voce in modo meglio confacente al nostro caso ed indico anche titoli d'orientamento di base nell'orizzonte simbolico; 2 Risale a Goethe l'opposizione di allegoria a simbolo; cf H. de Lubac, Exégese Médiévale IV, Paris 1964, 178; 3 Dionigi Areopagita, Lettera 9,1; 4 Ibid., 92; 5 P. Ricoeur, De l'intérprétation, Paris 1965, 510; 6 Adversus haereses, 4,18,2; 7 Mistagogia, 2; 8 Antifona ai Vespri nell'Ottava di Natale; 9 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, 3; 10 Antifona d'ingresso nella Solennità di Pentecoste; 11 Platone, Convivio, 191 d.; 12 Cf Genesi degli animali, 722, 3; 13 Vespri della Trasfigurazione nella liturgia romana; 14 Vespri della Trasfigurazione nella liturgia bizantina; 15 Origene d'Alessandria, Frammenti su Luca, 9,28; 16 Basilio Magno, Commento al Salmo 44,3; 17 Andrea di Creta, Omelia sulla Trasfigurazione; 18 Tommaso d'Aquino, STh III, q. 45, a. 1 passim; a. 2; a. 4 ad 4.

Bibl. Aa.Vv, Filosofia e simbolismo, Roma 1950; Aa.Vv, Umanesimo e simbolismo, Roma 1950; R. Alleau, La science des simboles. Contribution à l'étude des principes, et des méthodes de la symbolique générale, Paris 1977; Ch.-A. Bernard, Simbolismo, in NDM, 1293-1305; E. Cassirer, Die philosophie der symbolischen formen, Berlin 1923-1929; M. Cocagnac, I simboli biblici, Bologna 1994; A. Delzant, Communication de Dieu par-delà utile et inutile. Essai theologique sur l'ordre symbolique, Paris 1978; G. Durand, Les structures antropologiques de l'immaginaire, Paris 1963; E. Leclerc, Le cantique des creatures ou les symboles de l'union, Paris 1970; F. Marty, s.v., in DSAM XIV, 1364-1383; G. Naud, Structure et sens du symbole, Montréal-Tournai 1971; E. Ortigues, Le discours et le symbole, Paris 1977; R. Riva, s.v., in NTB, 1472-1490; D. Sartore, SegnoSimbolo, in NDL, 1370-1381; R.A. Schwaller de Lubicz, Etude du symbole e de la symbolique, Le Caire 1952; F. Trouillard, Le symbole, Paris 1959; C. Valenziano, Prospetto per una trattazione antropologica dei simboli nelle nostre culture cristiane, in Aa.Vv., Simbolisme et theologie, Roma 1974, 29-44; Id., Cupette. Aspetti antropologici dei simboli nella iniziazione cristiana, in Aa.Vv., I simboli della iniziazione cristiana, Roma 1983, 243-257; Id., Narrazione del caos e del cosmos, in RasT 34 (1993) 2, 397-408; Id., Narrazione della trascendenza e dell'incanto, in Ibid. 35 (1994) 5, 397-402; S. Weil, La connaissance surnaturelle, Paris 1950. Riviste numeri speciali: cf Greg 61 (1980)3; Liturgisches Jahrbuch, 31 (1981)1; 44 (1985); RSR 49 (1975)1-2.

C. Valenziano

SIMEONE IL NUOVO TEOLOGO. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Galata di Paflagonia nel 949 da una famiglia aristocratica. A ventisette anni entra come novizio nel monastero costantinopolitano di Studio, dove rimane qualche tempo prima di trasferirsi nel monastero di San Mamas, di cui diviene presto abate. Dopo essere stato coinvolto in un'estenuante polemica con l'arcivescovo dimissionario di Nicomedia, Stefano, viene esiliato a Crisopoli sul Bosforo dove fonda un'altra comunità monastica. Muore nel 1022.

L'esperienza mistica di S., e i suoi insegnamenti ci sono stati tramandati dalle numerose opere di carattere ascetico da lui composte, indirizzate ai suoi monaci e redatte con un linguaggio prettamente letterario e squisitamente poetico. Fra di esse le più importanti sono le Catechesi, i Capitoli pratici, gnostici e teologici e gli Inni.

II. Dottrina mistica. La dottrina mistica di S. presuppone che coloro che intraprendono il cammino della perfezione cristiana debbano percorrere le tre fasi tradizionali insegnate dai Padri del deserto: quella della purificazione, dell'illuminazione e dell'unione. All'inizio del suo itinerario, il principiante, secondo l'autore, deve interiormente convertirsi con la forza della fede, perché grazie ad essa egli mantiene viva nel cuore la tensione e la speranza escatologica. Il monaco deve rinunciare alla propria volontà e sottoporsi eroicamente all'obbedienza e alla potestà del proprio padre spirituale, rinnegando il mondo e le sue illusioni, e rinnovare su se stesso la vivificate passione di Cristo. La conversione crea interiormente, nel cuore e nella mente dell'asceta, uno stato di compunzione (metanoia) da cui scaturiscono, in maniera sensibile, le catartiche lacrime del pentimento che cancellano dall'anima le impronte del peccato. Secondo S., quando termina la fase della purificazione, le lacrime del pentimento, originate dal timor di Dio e dalla paura del castigo eterno, si trasformano in lacrime di gioia, segno reale dell'imminente avvicinarsi dei doni della contemplazione (theorìa). L'asceta, una volta acquisita l'umiltà e realizzate le virtù teologali - fede, speranza e carità -, perviene alla perfezione del divino e riveste l'abito nuziale per accedere al banchetto celeste, avendo reso luminosa la sua immagine divina dopo aver definitivamente sconfitto le passioni carnali. In tale condizione, il monaco assume il medesimo volto di Cristo circondato dalla sua gloria e, così cristificato, vive immerso nella tranquillità interiore, nell'apàtheia, ricompensa dovuta al servo fedele per le impietose lotte ascetiche superate. In questo stato, l'asceta vive beato e gode perennemente della presenza di Dio attraverso la contemplazione e l'unione (henosis) divina, manifestazione sensibile dell'energia deificante con cui la Sovraessenzialità svela la sua potenza. Per questo motivo, S. sostiene che " colui che ha raggiunto la pienezza della perfezione è morto senza esserlo, poiché vive in Dio e a lui è unito come se non vivesse più per se stesso ".

A S. viene attribuita da Gregorio il Sinaita la composizione di un opuscolo intitolato Metodo della preghiera e dell'attenzione nel quale l'autore espone, in maniera dettagliata, la tecnica psicofisica della preghiera del cuore. S., con la sua mistica essenzialmente cristocentrica, pone in primo piano, con energia, l'" evento spirituale ", cioè lo spirito profetico del deserto in opposizione a certe istituzioni ecclesiastiche, motivo per cui viene considerato uno dei più grandi mistici del Medioevo bizantino. L'attributo di teologo vuole indicare, secondo la tradizione orientale, la sua estrema " confidenza " con Dio attraverso la preghiera, il digiuno e la veglia.

Bibl. Alcune opere di Simeone il Nuovo Teologo sono state pubblicate in Filocalia III, Torino 1985, 347-389 e nell'antologia intitolata La visione della luce, Padova 1992; Syméon le nouveau théologien, Prière mystique, Paris 1974; Simeone il Nuovo Teologo, Inni e preghiere, Autobiografia mistica, a cura di U. Neri, Roma 1996. Studi: H.M. Biedermann, Simeone il Nuovo Teologo (949-1022), in Grandi Mistici I, G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Bologna 1987, 115-131; H.D. Egan, Simeone il Nuovo Teologo, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 173-181; B. Krivochéine, La Personalité spirituelle de St. Syméon le Nouveau Théologien, in Id., Catécheses I, Paris 1963, 15-54; Id., Dans la lumière du Christ. St. Syméon le Nouveau Théologien. Vie. Spiritualité. Doctrine, Chevetogne 1980; M. Paparozzi, L'esperienza di Dio in Simeone il Nuovo Teologo, in Ren 12 (1977), 296-323, T. Spidlík, s.v., in DSAM XIV, 1387-1401; G. Stiernon, s.v., in BS XI, 1104-1114; C. Wagenaar, s.v., in WMy, 476-477.

R. D'Antiga

SOCIOLOGIA. (inizio)

Premessa. La s. ha mostrato un forte interesse per la mistica sia nelle opere dei padri fondatori di questa disciplina che, più recentemente, negli studi sull'esperienza religiosa.

I. Sia Max Weber che Ernst Troeltsch hanno cercato di definire in termini sociologici la mistica. Weber contrappone la mistica all'ascesi. L'ascesi, infatti, secondo Weber, concepisce il dono della salvezza come il risultato di un agire nel mondo, metodicamente orientato da scelte etiche e religiose: l'uomo sente che così facendo diviene ubbidiente strumento di Dio. La mistica, al contrario, più che un agire è uno stato di illuminazione improvvisa che si può raggiungere eccezionalmente e da parte solo di pochi eletti attraverso un'attività particolare che è la contemplazione. Mentre, ancora per Weber, l'ascesi chiede alla persona di impegnarsi attivamente per incarnare nel mondo i valori religiosi che orientano la sua azione, per il mistico il mondo perde di rilevanza, perché, come scrive il sociologo tedesco, " solo se la dimensione della creatura tace nell'uomo, Dio può parlare all'anima ".1 Le conseguenze che dal punto di vista sociologico Weber trae dalla differenza fra mistica e ascesi sono due: a. la mistica favorisce la fuga dal mondo, perché il mondo diviene ostacolo all'unione con Dio, mentre l'ascesi tutt'al più induce un atteggiamento combattivo di rifiuto della logica del mondo intriso di peccato; b. la mistica tende a portare la persona all'unione con Dio, ad uno stadio di sapere profondo, che paradossalmente non può essere comunicato, perché questo sapere non ha per oggetto una nuova conoscenza che possa o debba essere condivisa con altri.

Weber, infine, riconosce che il confine fra ascesi e mistica non è sempre così netto, dal momento che per raggiungere il vertice dell'unione mistica vengono messe a punto, proprio da coloro che l'hanno provata, delle vie attive, ascetiche appunto, come particolari tecniche di meditazione o di progressivo allenamento al distacco dai condizionamenti terreni, come avviene, ad esempio, nell'induismo e nel buddismo con lo yoga. Troeltsch, a sua volta, concentra l'analisi soprattutto sul cristianesimo e inserisce la sua riflessione sulla mistica all'interno di una tipologia socioreligiosa che prevede a fianco del tipo chiesa, da un lato, e del tipo setta, dall'altro, un terzo tipo: il tipo mistica, appunto. Troeltsch definisce, in primo luogo, la mistica un'esperienza religiosa diretta, immediata, personale che realizza il contatto con Dio, un'esperienza che, dunque, per definizione, non ha bisogno né di riti né di dogmi né di istituzioni per poter essere raggiunta. Ciò non vuol dire, per Troeltsch, che la mistica si opponga ad una religione istituzionale: la mistica è piuttosto vista come una via particolare che può darsi sia all'interno di una chiesa che di una setta. Il nostro autore, in secondo luogo, ritiene - ed è qui l'aspetto più interessante della sua riflessione sociologica - che la mistica possa dare vita ad una forma di aggregazione religiosa particolare, diversa sia rispetto al tipochiesa che al tiposetta. Egli pensa, infatti, che attorno alla figura del mistico tenda a svilupparsi una sottile rete di collegamenti, un reticolo quasi invisibile di comunicazione religiosa, circoli intimi di edificazione e di meditazione comunitaria che a volte nella storia del cristianesimo hanno svolto una funzione socioreligiosa importante, alimentando correnti di riforma interna alla Chiesa cattolica o proponendo vie di edificazione spirituale o modelli di vita ascetica esemplari che hanno contribuito a cambiare stili di spiritualità.

II. L'esperienza mistica. Se questi sono gli approcci classici al tema della mistica, nella s. contemporanea si è venuto affermando un nuovo filone di studi e di ricerche rappresentate da studiosi come David Hay in Inghilterra e Sabino Acquaviva in Italia. I loro studi mettono in luce come, al di là delle forme visibili della religione, esista un nucleo fondamentale perenne nel fenomeno religioso che è rappresentato dall'esperienza mistica. La religione in tal senso non è né un sapere né un agire, ma sostanzialmente un forte sentimento che solo in un secondo tempo si mostra capace di dare vita ad un sapere e ad un agire. La religione è alle sue origini esperienza del radicalmente Altro dall'uomo, di una Potenza che appare nell'illuminazione mistica come il faro che orienta il senso della vita e permette di acquisire una visione unitaria del mondo e del cosmo. Per cui, mentre la pratica religiosa o l'adesione ad una chiesa può anche declinare in società secolarizzate come le nostre, la ricerca di un'esperienza mistica tende a persistere e, stando ad alcune ricerche empiriche, a mostrare segni di ripresa nella popolazione europea. Le ragioni che solitamente vengono addotte dagli studiosi che abbiamo citato per spiegare la persistenza della ricerca dell'esperienza mistica sono due: a. il bisogno, da parte dell'essere umano, di attingere l'esperienza dell'unione con Dio o con una Forza superiore, è iscritto nel codice genetico ed è legato da un lato alla necessità da parte dell'individuo di soddisfare la domanda di immortalità (superamento della paura della morte) e dall'altro al desiderio di amare e di essere riamati (che nell'Assoluto trova pieno appagamento); b. la perenne modernità dell'esperienza mistica stessa: essendo quest'ultima una via soggettiva, libera e personale, di raggiungere stati di intensa unione con Dio, essa meglio si adatterebbe alla cultura e alla sensibilità moderne che esaltano la centralità dell'individuo.

Note: 1 Economia e società, II, 233.

Bibl. S.S. Acquaviva, L'eclissi del sacro nella civiltà industriale, Milano 1961; Id., Eros, morte ed esperienza religiosa, Bari 1990; S.S. Acquaviva - E. Pace, Sociologia delle religioni, Roma 1992; G.W. Allport, The Individual and His Religion, New York 1959; R. Bastide, Sociologia e psicologia del misticismo, Roma 1975; S. Burgalassi, La situazione dell'esperienza religiosa nelle società occidentali, in Aa.Vv., L'esperienza religiosa oggi, Milano 1986, 24-62; D. Hay, Exploring Inner Space, London 1987; Id., Religious Experience Today, London 1990; F.X. Kaufmann, Sociologia e teologia. Rapporti e conflitti, Brescia 1974; G. Le Bras, Studi di sociologia religiosa, Milano 1969; E. Pace, Asceti e mistici in una società secolarizzata, Venezia 1983; D. Pizzuti, La spiritualità e le prospettive del sociologo, in Aa.Vv., L'esistenza cristiana, Roma 1990, 79-104; E. Troeltsch, Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, Firenze 1941 (vol. I), 1960 (vol. II); A. Vergote, Psicologia religiosa, Roma 1979; M. Weber, Economia e società, Milano 1961; Id., Sociologia della religione, Torino 1976.

E. Pace

SOFFERENZA. (inizio)

Premessa. " Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? " (Lc 24,25). Così il viandante misterioso spiega ai discepoli di Emmaus il valore e il significato di ciò che era successo. Il grande scandalo che aveva distrutto le speranze dei seguaci veniva sciolto con una lettura coraggiosa delle profezie, con un'adesione piena al disegno di Dio.

Ma sempre l'uomo si scandalizza di fronte alla s. propria e del suo simile, e nel suo turbamento cerca qualche risposta, in mancanza della quale ne rende colpevole la divinità.

I. Il problema della s. Tutta l'antichità in varie forme mitologiche o filosofiche o letterarie, si è posta il problema senza però raggiungere una soluzione accettabile. Ancora oggi, la tragedia greca, ad esempio, suscita un grande interesse proprio perché il problema della s. umana viene esposto con tutta l'enfasi dell'arte e della poesia. Anche il libro di Giobbe ritorna su questa angosciosa domanda, ma la solita risposta della s. come castigo di un male compiuto non è accettabile.

La s. diventa così il grande mistero dell'uomo che non riesce a trovarne una spiegazione e che perciò inventa mezzi e modi per cancellarla dalla propria esperienza o per sommergerla in distrazioni e in analgesici quasi mai efficaci.

D'altra parte, tutta la storia umana è storia di s. più o meno vistosa e così spesso determinata dalla stessa condotta dell'uomo. Il mistero si fa sempre più fitto e rimane senza risposta.

II. La s. nella vita spirituale. E la presenza di Cristo, la sua vita, la sua morte e risurrezione, che apre uno spiraglio di luce e invita a uno sguardo molto più aperto al di là degli schemi filosofici.

In fondo, non serve chiedersi il " perché ". La s. c'è, il Figlio di Dio ha voluto viverla nel modo più pieno possibile: non ne ha dato una spiegazione, è venuto non per abolire la s. ma per riempirla della sua presenza. E questo il mistero cristiano, è questa la luce che illumina la storia dell'uomo.

S. Paolo arriverà a dire " completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa " (Col 1,24): così la s. umana entra a far parte del mistero di Dio che " spogliò se stesso,... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce " (Fil 2,7-8). Il mistero della s. trova soltanto in Cristo una risposta adeguata, anche per chi non conosce o non si unisce al Cristo.

Per il cristiano il passaggio è logico: " Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me " (Gal 2,20) è la regola della vita cristiana. Ciò comporta l'unione sempre più profonda con tutta la realtà del Cristo compresa la sua passione, morte e risurrezione dalla quale è iniziata la salvezza. Il cammino che Cristo ha intrapreso diventa il cammino del suo seguace, e la s. che non sarà mai del tutto eliminata dal mondo (l'uomo sarà sempre mortale), diventerà un continuo richiamo alla propria coerenza di fede.

III. Si capisce così il valore redentivo della s. quando essa viene accolta e offerta per essere unita alla s. di Cristo e si capisce il compito del cristiano nel mondo, quello di offrire, elevare, unire tutta la ricorrente ondata di s. che sommerge il mondo sotto la croce di Cristo. Il Calvario diventa così il centro del mondo, la croce aperta alle quattro direzioni accoglie ogni s. e la rende feconda, passaggio di risurrezione.

E per questo che lungo i secoli molti cristiani sono stati così colpiti dal mistero del Cristo sofferente da desiderare una unione intima con lui crocifisso: non sono esagerazioni autolesioniste, ma posizioni concrete, logiche e feconde, sono anche elementi preziosi per la vita stessa dell'umanità.

Il mistero di Cristo resta mistero incomprensibile e non misurabile sugli schemi umani, ma certezza di un preciso disegno di Dio: così, il mistero della s. resta mistero non risolvibile dalle capacità umane. E proprio questa misteriosità che allarga lo spirito, apre nuovi orizzonti, invita a guardare oltre: è già un modo per liberarsi da un'assurdità che condurrebbe alla disperazione.

La s. diventa così cammino di salvezza, elevazione soprannaturale di tutta la realtà umana. Tutta la saggezza dell'uomo starà nella sua capacità di accettarsi come è, creatura, inserita in un disegno di amore che solo il Creatore può rivelare, e di fatto ha rivelato nel Figlio, il Cristo crocifisso e risorto.

Bibl. Aa.Vv., La sofferenza nella riflessione biblico-cristiana, in Com 33 (1977), tutto il numero; Ch.-A. Bernard, Sofferenza, malattia, morte e vita cristiana, Cinisello Balsamo (MI) 1990; A.M. Besnard, Approches du problème du mal. Bibliographie organisée, in VieSp 108 (1963) 1, 78-85; B. Fraling, s.v., in WMy, 395-396; J. Galot, Il mistero della sofferenza di Dio, Assisi (PG) 1975; I. Larrañaga, Dalla sofferenza alla pace, Cinisello Balsamo (MI) 19872; R. Mari, Per una teologia della malattia, in Asprenas, 16 (1969), 357-382; F. Ruiz, s.v., in DES III, 2334-2339; P. Sempé, s.v., in DSAM XIV, 1086-98; S. Spinsanti, L'etica cristiana della malattia, Roma 1971 (con ampia bibl.).

G. Basadonna

SOLIDARIETA. (inizio)

I. Il valore della s. si radica in una dimensione antropologica fondamentale: l'uomo è un essere relazionale e " l'altro " è essenziale allo stabilirsi dell'identità personale. Ogni uomo è un volto e un nome, ma sia il volto (in greco prosopon, " ciò che sta davanti allo sguardo di un altro ") che il nome (che è ricevuto e con cui si è chiamati da altri) sono rimando all'altro e alla relazione con lui come costitutivi dell'identità personale. Scrive il filosofo E. Lévinas: " Tu amerai il tuo prossimo: è questo il tuo te stesso ".

II. La rivelazione biblica. Il vocabolo è estraneo alla Scrittura, ma non la realtà a cui esso rimanda. Il popolo d'Israele testimonia nell'AT una s. a livello etnico-biologico (famiglia, clan, tribù, il popolo formato dalle dodici tribù) che si manifesta anche in istituzioni di s.: la " vendetta del sangue ", il " levirato ", ecc. Tale s. veicola certamente interessi economici, sociali e politici comuni, ma in definitiva è fondata sull'elezione e sulla vocazione comune da parte di JHWH, Dio unico. L'alleanza, struttura teologica centrale nell'AT, unisce i membri del popolo in una s., il cui fondamento è in JHWH stesso. Egli è il partner dell'alleanza che ne stabilisce le clausole e ne pone le esigenze. Si può così parlare, per l'Israele dell'AT, di " s. critica " (J.A. Soggin), contrassegnata da un elevato ed esigente livello etico richiesto al popolo. Il Deuteronomio propugna l'ideale del popolo di Dio come " fraternità " in cui la s. arrivi a togliere l'indigenza (cf Dt 15,4; At 4,24). Caratteristica è la concezione di " personalità corporativa " che contrassegna il popolo d'Israele come legato strettamente a un suo " capo " (ad esempio, il re) o altra figura che ne diviene rappresentante nella sua stessa persona. La figura isaiana del Servo rientra in questa concezione. Egli dilata la s. con il popolo fino all'assunzione della colpa di questi (cf Is 52,13-53,12).

Il NT testimonia l'Incarnazione come l'evento con cui Dio, in Cristo - Verbo fatto carne (cf Gv 1,14) -, si è fatto solidale con l'umanità tutta per renderla partecipe della sua divinità (cf 2 Pt 1,4). Inviato dal Padre, il Figlio diviene partecipe (verbo: metéchein: Eb 2,14) di carne e sangue con gli uomini, in una piena fraternità con loro (cf Eb 2,11; Rm 8,29). Egli, dunque, condivide totalmente la condizione umana " eccetto il peccato " (cf Eb 4,15). Infatti, essendo il peccato rottura di s., il Cristo, non commettendo peccato, ha vissuto la s. più radicale con gli uomini e l'ha potuta offrire loro come salvezza. La s. di Gesù con i peccatori al battesimo nel Giordano, con pubblicani e peccatori durante il suo ministero, con i briganti crocifissi con lui sul Calvario, diviene così evangelo in atto: è l'offerta della salvezza di Dio a tutti gli uomini! La comunità della nuova alleanza, la Chiesa nata dall'evento pasquale e dallo Spirito effuso a Pentecoste, è dunque chiamata a essere spazio profetico in cui " non c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, poiché voi siete uno in Cristo Gesù " (Gal 3,28). Le logiche etniche e nazionalistiche, le discriminazioni razziali e sessuali sono così bandite dallo spazio ecclesiale! Le collette interecclesiali (cf 1 Cor 16,1-3) e la condivisione intra-ecclesiale dei beni materiali e spirituali (cf At 2,42-48) sono manifestazioni dell'amore (agape: Gv 13,34-35) reciproco e della comunione (koinonia) di tutti e di ciascuno in Cristo. Ormai nella Chiesa, Corpo di Cristo, vigono tra i credenti i criteri della compagnia (syn-: con-soffrire, con-pregare, con-lavorare ecc.) e della reciprocità (allélon: pregare gli uni per gli altri, portare i pesi gli uni degli altri, amarsi gli uni gli altri, ecc.) e sono esclusi i criteri dell'essere o agire gli uni contro o senza o sopra gli altri. I cristiani, infatti, sono membra dello stesso Corpo di Cristo. La s. cristiana, dunque, tanto nel suo aspetto ad intra quanto in quello ad extra, universale, nei confronti di ogni uomo, non è anzitutto atteggiamento etico-filantropico, ma ha un fondamento rivelativo, è espressione della vita in Cristo e riflesso del dinamismo della carità del Padre manifestata nel Figlio e comunicata ai credenti dallo Spirito. Alla radice vi è lo scambio, il commercium con cui Dio ha manifestato la sua comunione agli uomini.

III. La s. nella Chiesa. Negli ultimi decenni i documenti magisteriali sono particolarmente attenti al tema della s. civile (cf l'Enciclica Mater et Magistra di Giovanni XXIII e la Populorum progressio di Paolo VI; la Costituzione Gaudium et Spes del Vaticano II, soprattutto al n. 32: " Il Verbo incarnato e la s. umana "; molti testi e discorsi dell'attuale Pontefice), per cui la s. è il nuovo nome della fraternità.

Esiste, però, un altro tipo di s. che si colloca su un piano propriamente spirituale: è quella derivante dalla presenza dei giusti nel mondo intero e che può fermare, come rivela la Scrittura, la " collera di Dio ", o ancora più, può far circolare nel Corpo mistico un'energia spirituale vitale per cui il bene operato torna a beneficio dell'intero Corpo ed ha capacità di salvezza per tutti. La vita di Teresa di Lisieux ne è un insegnamento per tutti. Ogni cristiano, pertanto, ovunque sia, con il suo atteggiamento e le sue scelte, esprime una s. mistica intorno all'uomo Dio solidale con l'umanità fino a subire la stessa sorte per riscattarla e condurla alla comunione di vita trinitaria.

Infine, anche il dialogo ecumenico e interreligioso trova uno spazio di lavoro comune nell'impegno di s. per i più poveri e gli sfruttati, sui temi della giustizia e della pace. Il laicato, soprattutto giovanile, attraverso il fenomeno del volontariato, si impegna ardentemente in atti di s. Ma è solo il su menzionato fondamento rivelativo e di fede che fa della s. cristiana un gesto profetico e una testimonianza della salvezza offerta da Dio all'uomo.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in Chr 78 (1973), tutto il numero; Aa.Vv., La solidarietà nella Bibbia, in Parole di vita, 3 (1985), tutto il numero; G. Baum - R. Ellsberg (edd.), The Logic of Solidarity, New York 1989; R. Coste, s.v., in DSAM XV, 999-1006.

E. Bianchi

SPAGNA 1. (inizio)

Premessa. Il secolo d'oro spagnolo è un'età d'oro anche della letteratura spirituale. La produzìone è immensa; qualcuno la chiama oceanica 2 e precisa: " Occorre ricercarne gli antecedenti nella corrente spirituale che, già nei secoli precedenti, feconda l'Europa interessando la vita della Chiesa, le istituzioni, i movimenti e tutto il popolo, e superando perfino i confini geografici. Antecedenti immediati di tale fenomeno possono essere la spiritualità dei mistici del nord e il clima diffuso di riforma che va guadagnando terreno fin dalla conclusione dello Scisma d'Occidente e dalla celebrazione del Concilio di Costanza (1414-1418) ".3 Uno studioso ha recentemente fatto " il tentativo di una nuova cartografia di tale spiritualità ", elaborando " un elenco cronologico di oltre milleduecento libri di spiritualità pubblicati dal 1484 al 1750 ".4 Non è la prima volta che è stato fatto questo inventario e non è, tuttavia, certamente completo.5 Oltre alle edizioni complete di questi scrittori, esistono anche antologie di testi spirituali dell'epoca, utili per chi non può accedere personalmente a molti di questi libri. Pedro Sainz Rodríguez 6 e Milquiadis Andrés 7 sono gli autori di tali florilegi ed hanno di buono entrambi che, oltre ad indicarci dei testi, offrono brevi cenni biografici di ogni autore e una bibliografia scelta e sufficientemente ricca.8

I. Libri mistici. Dinanzi a tanta produzione non è facile distinguere i libri " tecnicamente " mistici o semplicemente spirituali. In questi ultimi si possono notare molte pagine di tono ascetico e morale, senza che manchino in essi, del resto, allusioni o appunti di tipo mistico. Lo stesso avviene in libri di autori più rappresentativi della mistica: il mistico ha le sue impostazioni di carattere spirituale più generale, ma anche di taglio ascetico e parenetico moraleggiante.

Si è tentato di raggruppare in diverse scuole questa abbondante produzione letteraria secondo le diverse famiglie religiose; così, si parla di scuola benedettina, domenicana, francescana, carmelitana, agostiniana, ignaziana a cui si aggiungono autori indipendenti.9 Alle divisioni classiche: iniziazione, fino al 1500; assimilazione, fino al 1560; apporto nazionale, fino al 1600; decadenza o consultazione minuziosa a scopo di ricerca dottrinale dal 1600, si unisce ultimamente il tentativo di una periodizzazione proposta da Milquiadis Andrés che distinguerebbe cinque periodi: formazione e consolidamento (1480-1523); grande crisi (1525-1560); chiarificazione dottrinale ed esperienziale (1550-1580); apogeo e mantenimento nella stessa (1580-1650); razionalizzazione e riduzione a corsi universitari (1650-1725).10

Sorvolando, anche senza dimenticarli del tutto, su questi raggruppamenti o classificazione si può tessere una sintesi con riferimenti precisi a momenti e temi di grande contenuto mistico che, debitamente coordinati, ci avvicinano al vero volto dell'esperienza mistica.

Le caratteristiche generali della spiritualità spagnola del sec. XVI possono essere così indicate: 11 a. vita spirituale intensa; b. importanza data all'orazione mentale; c. carattere pratico e realistico; d. profondità teologica e valida attenzione agli aspetti psicologici; e. infine, notevole aspetto letterario, visto che " tutti i nostri grandi mistici sono poeti, anche se scrivono in prosa ",12 pertanto risultano " straordinari nella nostra mistica il valore formale di esposizione e il valore estetico dello stile. Queste qualità espositive hanno contribuito alla diffusione e volgarizzazione della nostra letteratura mistica ".13

II. Punto chiave. Per offrire una sintesi accettabile che porti alla configurazione della mistica è necessario prima di tutto rifarsi ai protagonisti essenziali del cammino spirituale: Dio e l'uomo. Dall'interrelazione tra entrambi si comprendono le diverse impostazioni dell'uno o dell'altro autore, l'accentuazione più o meno profonda che pongono sull'uno o l'altro elemento: per esempio, l'inabitazione di Dio nell'anima, il raccoglimento, il silenzio, l'orazione, la ricerca e l'incontro, la sponsalità, l'amore, l'azione apostolica nata dalla contemplazione e sostenuta costantemente da essa.

Si vanno, d'altra parte, profilando alcune idee basilari o, per meglio dire, convinzioni circa la gratuità del mistico, della sua ineffabilità, del suo alto valore, ecc. Anche se si tratta di cose ineffabili, occorre affrontarle per poter spiegare qualcosa di ogni genere di espressione come testi e comparazioni bibliche, per esempio la scala di Giacobbe, come somiglianze molteplici tratte dalla natura, simboli, l'autorità degli scritti di Dionigi Areopagita, di altri scrittori, ecc. Si va giungendo impercettibilmente alla conclusione di Osuna 14 e di s. Teresa che scrive: " Una cosa è ricevere da Dio la grazia, un'altra conoscere che grazia sia e un'altra ancora saper dire in che cosa consista ".15 Queste esperienze sublimi, di cui lo Spirito Santo è l'autore, sono quelle che mettono alla prova il linguaggio e la sua capacità espressiva. Come avviene in altri campi, le distorsioni o mistificazioni della realtà autentica del rapporto tra Dio e l'uomo provocarono reazioni utili. Infatti, il problema degli alumbrados e le loro deviazioni spirituali indussero a una chiarificazione dei termini e del linguaggio mistico.16

III. Primi esponenti della mistica. Si è unanimi nel considerare come primi libri sistematici sulla mistica, nel secolo d'oro, quelli del sacerdote toledano Gomez Garcia ( 1500 ca.), intitolato Carro de dos vidas,17 e l'Exercitatorio di Garcia de Cisneros ( 1510), pubblicato a Montserrat nel 1500, anche se questi si rifanno ad autori precedenti.

Garcia di Cisneros lamenta il fatto che i religiosi non solo non vivono la vita spirituale come dovrebbero, ma che non intendono il linguaggio del mondo dello spirito, burlandosi perfino di chiunque abbia esperienze superiori e le manifesti o cerchi di spiegarle.18

Parla come un autentico mistico dell'unione con Dio e dell'azione di Dio che è il senso o l'esperienza della divina sapienza offerta a tutti in maniera puramente gratuita.19 Gomez Garcia s'inoltra nelle vie della mistica parlando di immaginazione, meditazione, contemplazione, mostrando come in quest'ultima occorra tener conto della meraviglia, essendo " un acuto, chiaro e libero guardare dell'animo sospeso con ammirazione, in obbedienza alla sapienza ".20 Esamina anche i tre movimenti secondo i quali si muove l'anima.21 Descrive molto bene le relazioni amorose tra lo Sposo e l'anima e spiega magnificamente la pedagogia divina nel senso della presenza e dell'assenza. " Lo Sposo attribuisce e dà tutta questa grazia a chi vuole e quando vuole; essa non si ottiene per diritto di eredità ".22

Occorre, inoltre, ricordare Alonso di Madrid che nella sua Arte para servir a Dios, scrive validamente sull'amore puro, che oggi si preferisce chiamare gratuito. Egli termina la sua opera formulando la seguente beatitudine: " Beato chi così ama; poiché questi, vivendo, non è lui che vive, ma è Cristo che vive in lui, facendogli vivere una vita divina. Costui, amandosi, non ama se stesso, ma ama l'Altissimo, per il cui amore desidera ogni bene! ".23

Questo amore gratuito e puro della creatura, che così risponde alla gratuità dell'amore divino e ai doni di Dio, sarà un amore operante e si chiamerà amore nudo, che opera " per il solo amicale amore, perché non ha nessun interesse personale ".24

L'amore unitivo punta, pertanto, alla contemplazione quieta, poiché si tratta di un'operazione divina che va al di là della ragione e dell'intelletto, " con la qual momentaneamente l'anima è elevata con le ali dell'amore e unita al suo Dio, senza mediazione di cosa creata, quante volte piace alla degnazione divina .... Colui che opera è il nostro Dio ".25 Tutti i paragoni, tutte le analogie di cui si ci può servire sono improprie, anche se " aprono qualcosa agli occhi dei meno avanzati per poter intendere, nella vita spirituale, ciò che hanno compreso coloro che si danno alla contemplazione di quiete ".26

Gli autori, infine, si sforzano di delineare i diversi gradi attraverso cui si perviene alla conoscenza di Dio; uno di questi, il nono, si chiama infauso perché viene concesso da Dio. Una volta raggiunti questi gradi, l'anima " entra nell'oscura caligine che è sentire chiarissimamente che tutto ciò che possiamo sentire e intendere e dire è poco: difatti, l'anima avverte che Dio è sopra ogni lingua e intelletto ".27 L'espressione " oscura caligine " (obscura caligo) è tratta e assunta dai mistici dalle opere di Dionigi Areopagita.

Circa il raccoglimento, un buon maestro e guida è Francesco di Osuna. Questi lo divide in attivo e infuso. Quest'ultimo " raccoglie insieme Dio e l'anima. Dio si raccoglie nell'anima come a casa propria ".28 Una variante del raccoglimento è il silenzio autenticamente mistico: " Quando si trasforma in Dio, tutta l'anima gusta abbondantemente la sua soavità... e sta in silenzio ".29

L'attenzione, completamente semplice e discreta verso Dio, che vuole il nostro cuore intero e libero, si va perfezionando con il non pensare a nulla. E, per evitare equivoci, si puntualizza che Dio non si può spiegare.30 S. Giovanni d'Avila, in concreto, descrive molto bene gli alumbrados 31 e precisa in poche parole: " Una cosa è l'abbandono, un'altra cosa è il raccoglimento, che è estraniarsi dalle cose di quaggiù e raccogliersi in Dio... ".32

IV. Alcune consegne. A poco a poco, si vanno fissando alcune espressioni che denotano tante altre disposizioni dell'anima, sempre in tema di raccoglimento, per andare a Dio, per facilitare l'azione divina, per non impedirla o disturbarla. " Attaccarsi a sé ", " entrare in sé ", " andare al di là di sé ", " uscire da sé ", sono alcune delle consegne che offre Bernardino di Laredo e che altri mistici raccoglieranno, servendosi anche dei suoi stessi esempi: il riccio, la tartaruga o testuggine, la chiocciola. Ciò che l'anima ha di più mistico è l'" uscire fuori di sé " cioè superare e andare al di là di ogni potenza naturale e trovare la pace solo in Dio, Bene infinito e increato, e questo " Dio solo deve operare nell'anima per la sua benigna bontà senza che l'anima cooperi in nulla ".33

Per raggiungere il perfetto raccoglimento, Diego Murillo ( 1616) propone norme precise, ricordando che se all'anima sembrano ardue tali consegne " si ricordi che ha intrapreso una delle più difficili imprese che ha il mondo, il cui fine e termine è arrivare all'unione con Dio qui sulla terra con amore perfetto e lì in cielo con una carità consumata ".34

Così, volendo o non volendo si raggiunge, come abbiamo visto, il nucleo fondamentale della mistica: la relazione personale, l'a tu per tu tra Dio e l'uomo, la simbiosi spirituale tra il Creatore e la sua creatura. Espressione di questa mutua attrazione é El Deseoso o espejo de religiosos, una specie di novella religiosa simbolica che ebbe molte edizioni in spagnolo e tante versioni in altre lingue. Ammesso Deseoso alla presenza della Maestà divina, dopo aver pensato che il re che l'aveva chiamato " era tanto dolce, nobile e generoso e con tutti benigno e affabile", gli si dice che, per essere migliore, il Signore gli chiede di accogliere e divulgare quattro parole. Le prime due sono precisamente: io e tu. Le altre due sono: schiavo e re. Vivendo queste parole, che contengono tanta sapienza e tanta ricchezza, potrà giungere alla perfezione " senza aver bisogno di altri libri ". Quando viene a parlare con Dio deve pensare che il Signore gli dice: " Io e tu, e nulla più. Fa' conto che non vi siano nel mondo se non io e tu " . E, quando gli si dice di andar via dalla sua presenza, il Deseoso non può fare a meno di chiedere il perché. Gli si risponde: " Perché tu sappia che non meriti né sei degno di stare sempre con me, se non tanto quanto io voglio... perché non abbia vanagloria e presunzione ". Anche se va via, gli si chiede di lasciare con Dio la parte essenziale della sua persona: il cuore. Così fa e va via dalla camera del re e " ogni giorno pensava a queste parole che il Signore gli aveva detto e molte volte gli ripeteva: io e tu, schiavo e re ".35

Questo è un altro modo di parlare della gratuità dell'amore di Dio e di manifestare la realtà dell'assenza sensibile di Dio nonché la pedagogia che occorre seguire in questi passi, conoscendo i motivi del Signore nel suo rapporto con le anime. Miguel Godínez (Wadding) ( 1644) analizza i sentimenti dell'anima nell'assenza e nella presenza dell'Amato.36 Non bisogna dimenticare che desideriamo Dio perché siamo desiderati da lui; che lo cerchiamo perché egli ci cerca per primo.

La relazione tu-io e la comunicazione divina si vanno presentando con il linguaggio dell'amicizia, il più squisito dell'amore; 37 è un modo squisito di parlare della presenza e della comunicazione di Dio, ben sottolineando ciò che possiede l'uomo, " il nulla di sé e il tutto di Dio... e da parte nostra è il riceverlo, non opponendo ostacolo ".38

Il tema della polemica sulla preghiera del sec. XVI è stato diffusamente trattato considerando la preghiera nelle correnti spirituali del tempo: giudaismo, islamismo, protestantesimo, stoicismo, ecc., e soprattutto nell'erasmismo e negli alumbrados.39 Il mondo del raccoglimento, indicato prima, è già un mondo di preghiera. Qui vogliamo aggiungere come nella grande produzione spirituale del secolo d'Oro abbondino autori impegnati ad istruire le persone sull'orazione, anche se altri credono che tale divulgazione si possa prestare ad illusioni ed errori vista l'ignoranza del popolo. L'Index librorum prohibitorum di Valdés del 1559 fu un duro colpo per molti libri spirituali e per coloro che si servivano correttamente di essi, come nel caso di s. Teresa, che accusò il colpo.40 Nessun autore scrisse dell'orazione più del P. Luis di Granada, per il quale " l'orazione è una cattedra spirituale dove l'anima, seduta ai piedi di Dio, ascolta la sua dottrina e riceve gli influssi della sua grazia... ".4

Così, resta chiaro il principale attore o agente dell'orazione: Dio, che va comunicandosi all'uomo e trasformandolo. S. Pietro di Alcántara, che si rifà al Granada, pone in rilievo l'eccellenza della contemplazione sulla semplice meditazione 42 e segnala la differenza tra orazione ordinaria e orazione straordinaria; in quest'ultima, Dio pone dinanzi all'uomo una mensa ricca e abbondante che egli ha preparato per saziare la fame dell'uomo.43 Anche un altro autore, considerato ascetico, Alonso Rodríguez ( 1616) conosce e descrive molto bene l'orazione di tipo mistico che chiama " specialissima, straordinaria e vantaggiosa, la quale si riceve più che farsi...; tale orazione è un dono particolarissimo di Dio che egli concede a coloro da cui è servito ".44 Baltasar Alvarez ( 1580), confessore di s. Teresa, si sforzerà di rispondere alle obiezioni contro l'orazione di quiete e di silenzio dimostrando che questo cammino è conforme allo spirito e alla prassi del suo fondatore s. Ignazio.45 Un altro autore si ferma a descrivere, attraverso paragoni e parabole, con simbolismi come quiete, disprezzo di sé, odio di sé, ecc., le tre vie dell'orazione e della vita spirituale: purgativa, illuminativa e unitiva; in quest'ultima, l'anima si vede " illuminata e fatta una stessa cosa con Dio, che non solo è cosa, ma è origine di ogni cosa... ".46 Si tratta di uno sforzo per dire cose indicibili di questo mondo misterioso in cui si è entrati, meglio, in cui si è stati posti " è la Divinità e l'Essenza divina, è nostro Signore Dio, Ultimo Fine e Bene nostro ".47

Trattando dei gradi della contemplazione, il beato Alonso di Orozco ( 1591) usa già il linguaggio dei grandi mistici, parlando di malattia d'amore, di ferita d'amore, di " morte santa molto soave ", di grande intimità con lo sposo Cristo 48 e, classificando i servi del Signore, li divide in principianti, proficienti e perfetti e, mostrando la gratuità divina in tutte queste vie dello spirito, invoca: " O Aquila potente, Signore del mondo, portaci su di te a causa della nostra debolezza; ricevici sopra le tue ali! ".49

Anche per chiarire i due modi di preghiera di unione, usa due termini chiamandole una sobria e l'altra ebbra; dinanzi all'eccellenza propria di questo secondo modo, uno degli autori esclamerà: " Benedetto sia un così grande Signore, lodato sia un così grande Dio, esaltato sia un così grande sposo e stimato sia un amore così grande: che così desidera essere amato e goduto da questa miserabile sposa ".50

Le esperienze spirituali dei grandi santi producono pagine altamente mistiche, come alcune di quelle del Diario di san Ignazio di Loyola quando parla della Santissima Trinità.51 Ma nessuno come Teresa di Gesù e Giovanni della Croce ha parlato di tali esperienze mistico-trinitarie.52

Inoltre, già nel Carro de dos vitas, ricordato sopra, l'autore parla dello sposo-Cristo, del malessere per l'assenza che patiscono le anime, ecc. Anche altri autori ne parlano: Giovanni Battista della Concezione, Miguel Godínez, ed altri.

Luis di Leon ( 1591), grande esperto in Sacra Scrittura e grande conoscitore del Cantico dei Cantici, libro fondamentale dei mistici più insigni, ha pagine di tono altamente mistico nel suo De los Nombres di Cristo, in cui espone i nomi dello sposo e amato.53

Ma nessuno meglio di Giovanni della Croce ha scritto sul Cristo-sposo. E significativo il titolo del Cantico Spirituale che recita così: Spiegazione delle strofe che trattano dell'esercizio d'amore tra l'anima e Cristo suo sposo. Il libro si rifà al Cantico dei Cantici ove si mette in evidenza il rapporto tra Cristo e la Chiesa.

Santa Teresa, portando impresso in sé il libro vivente che è Cristo,54 s'impegnerà a smantellare un certo tipo di spiritualità che fa a meno dell'umanità di Cristo nel cammino della contemplazione.55

In modo particolare, si parla della Vergine Maria soprattutto nei Flos Sanctorum e in libri di meditazione; in alcuni di questi si parla della " imitazione di Maria Santissima ".56 Nessuno più di Giovanni della Croce ha considerato da un punto di vista strettamente mistico la figura di nostra Signora, sebbene in poche righe.57

Conclusione. Abbiamo ricordato pochi autori, tralasciandone altri molto importanti, come Alvarez de Paz,58 non pochi della ricca scuola carmelitana, tra i quali Giovanni di Gesù Maria,59 Giovanni Battista della Concezione,60 Michele de la Fuente la cui opera è stata definita " il miglior trattato di psicologia mistica che abbiamo in spagnolo ".61 Come scrittrice mistica, simile a Giovanni della Croce, ricordiamo Cecilia del Nacimiento ( 1646), carmelitana scalza a Valladolid.62 Inoltre, è da ricordare tra i libri spirituali la Guía espiritual di Miguel di Molinos.63

Si è cercato di raccogliere il più possibile ciò che si può chiamare biografico o autobiografico, in modo da illustrare la realtà dell'esperienza offerta da Dio e ricevuta dall'uomo. L'unione con Dio, alla quale tutti aspirano e alla quale vogliono giungere, è paradossalmente, qualcosa di infuso, donato da Dio nel giorno del battesimo.64 E Dio che va incontro all'uomo, anche se all'uomo sembra che avvenga il contrario. All'uomo non resta che lasciarsi modellare, abitare e trasformare dal suo Dio e Signore. L'anima è sposa perché c'è uno Sposo che l'ha scelta e tra loro circola un amore reciproco. Ad immagine della Trinità si tesse l'unione con Dio e colui che più e meglio abita in Dio è più e meglio inabitato da lui.

Questi scrittori mistici saranno punto di riferimento nei secoli successivi.

Note: 1 Si prendono in considerazione solo questi secoli, in cui più chiaramente emergono e si definiscono il concetto di mistica e i suoi contenuti; 2 D. de Pablo Maroto, Historia de la espiritualidad cristiana, Madrid 1990, 209 e 241; 3 Ibid.; 4 M. Andrés, Los místicos de la Edad de Oro en España y América, Madrid 1996. Tale elenco si ritrova anche in un altro suo libro, Historia de la mística de la Edad de Oro en España y América, Madrid 1994, 153-201; 5 Già nel DSAM, alla voce Espagne. Age d'Or (1167-1178), Adolfo della Madre di Dio, collaboratore dell'opera, presenta un ampio elenco di autori spirituali; 6 Antología de la literatura espiritual española, 3 voll., Madrid 1983-1985; 7 o.c.; 8 Sono riconoscente a questi due autori perché mi hanno facilitato il presente lavoro; 9 Così, per esempio, Crisógono de Jesús, Compendio de Ascética y Mística, Madrid 1949, 326-377; A.L. Cilveti, Introducción a la mística española, Madrid 1974, 156-236; M. Balbino, Literatura religiosa en el siglo de oro español, in R. García Villoslada (cura di), Historia de la Iglesia en España, III2, Madrid 1980, 443-552; 10 M. Andrés, Los misticos..., o.c., 66; 11 Cf Adolfo de la Madre de Dios, loc. cit., 1177, ove spiega brevemente ciascuna di queste caratteristiche; 12 M. Menéndez y Pelayo, La poesía mística en España, in Obras Completas, t.7, Santander 1941, 93; 13 P. Sainz Rodríguez, Introducción a la historia de la literatura mística en España, Madrid 1984, 309. Crisógono de Jésus in un articolo intitolato Caracteres de la espiritualidad española, evidenzia come tali l'opposizione all'Illuminismo e l'armonia tra la preghiera e l'azione: REsp 1 (1941), 50-65; 14 Tercer Abecedario, tr.3, c.2; 15 Vita 17, 5; 16 Cf a questo riguardo: Román de la Inmaculada, Espagne. Age d'Or, in DSAM IV2, 1159-1164, con buona bibliografia; 17 Sevilla 1500; nuova edizione di M. Andrés, Madrid 1988; 18 Cf Constituciones de los monjes, prologo; 19 Cf P. Sainz Rodríguez, Antologia..., o.c., 23-30; 20 Ed. cit. di M. Andrés, 128-133; 21 Ibid., 132-133; 22 Ibid., 230-231; P. Sainz Rodríguez, Antologia..., o.c., 31-39; 23 Madrid 1948, 160-163; 24 Subida del Monte Síon, Madrid 1968, 368-369; 25 Ibid., 324-325; 26 Ibid., 368-369; 27 J. de Cazalla, Lumbre del alma, Madrid 1974, 106-107; 169-170; 28 Tercer Abecedario, Madrid 1972, 244-277; 29 Cf Ibid., 592-594; 30 Cf Ibid., 592-593; 31 Cf Audi Filia, Obras Completas, Madrid 1970, 496, ove parla degli inganni di questi tempi, dopo aver parlato degli inganni del passato; 32 Obras Completas, Tres grados en los que cursan oración, t. III, Madrid 1970, 401; 33 Subida del Monte..., o.c., 432-433.; 34 Escala espiritual para la perfección evangélica, Zaragoza 1598, citato da M. Andres, Los místicos..., o.c., 233-235; 35 Ibid., 38-41; 36 Ibid., 256-257; 37 Cf Via spiritus o de la perfección espiritual del alma, di Bernabé de Palma, Salamanca 1541, fol.102.; 38 Ibid., fol. 93 e 116-119; 39 D. De Pablo Maroto, Dinámica de la oración, Madrid 1973, 83-134; 40 Cf Vita 26,6; 41 Libro de la oración y meditación, cc. I e II; 42 Tratado de la oración y meditación, Avila 1989, 84-86; 43 Cf G. González Davila, Pláticas sobre las Reglas de la Compañia, Barcelona 1964, 281-287; 44 M. Andrés, Los místicos..., o.c., 239-241; 45 Cf Luis de la Puente, Vida del Venerable Padre Baltasar Alvarez, Madrid 1943, 461ss.; 46 N. Factor (1520-1583), nella sua lettera a una religiosa in cui dichiara con parole simili tutto ciò che appartiene alle tre vie: purgativa, illuminativa e unitiva, in M. Andrés, Los místicos..., o.c., 121-125; 47 Ibid., 125; 48 Cf Vergel de oración y monte de contemplación, Sevilla 1548; testi in M. Andrés, Los místicos..., o.c., 129-131; 49 Confesiones, in Ibid., 131-132; 50 M. Rodríguez de Torres (1558-1642), in M. Andrés, Los místicos, o.c., 248-249; 51 In Ibid., 98-99; P. Sainz Rodríguez, Antologia..., o.c., 472-483; 52 T. Alvarez studia questo tema e questa realtà teresiana nel Diccionario teológico: El Dios cristiano, Salamanca 1992, 1344-1353; J.V. Rodríguez nello stesso Diccionario, 770-774, prende in esame la dottrina e l'esperienza trinitaria di s. Giovanni della Croce; 53 Cf l'edizione De los Nombres de Cristo, curata da C. Cuevas, Madrid 1986: Sposo, 449-489; Amato, 587-614; 54 In Vita 26,5 racconta come il Signore le disse, vedendola molto angustiata per la proibizione di libri che le piacevano e l'aiutavano tanto: " Non affliggerti perché io ti darò un libro vivente "; 55 In Vita 22 parla del caso e dice già nel titolo: " Capitolo molto utile ". Ritorna sullo stesso tema nel Castello interiore VI, 7; 56 F. Arias, in varie versioni: cf M. Andrés, Historia de la mística..., o.c., 169; 57 Cf Salita del Monte Carmelo III, 2,10; cf J.V. Rodríguez, Evangelio mariano de San Juan de la Cruz, in Ephemerides Mariologicae, 40 (1990), 245-272; 58 M. Andrés, Los místicos..., o.c., 253-255; P. Sainz Rodríguez, Antologia, secolo XVII, o.c., 289-297; 59 Dell'abbondantissima produzione letteraria di questo scrittore basterebbe ricordare la sua Theologia mystica, rieditata ultimamente a Bruxelles 1993; 60 M. Andrés, Los místicos, o.c., 227-228. Finalmente nella BAC si è incominciata la pubblicazione degli scritti di questo grande fondatore. Cf una selezione dei suoi pensieri raccolti da V. Sánchez, Dios se da de balde, Salamanca 1980, ove si nota come l'Autrice tratti dei temi del raccoglimento interiore, dell'unione con Dio, dell'inabitazione della SS.ma Trinità, ecc.; 61 M. Andrés, Los místicos..., o.c., 344-346; 62 Ibid., 224-225; in questo stesso libro si presentano testi di Antonio Sobrino (1554-1622), francescano e fratello di Cecilia, 222-223, 225-226; 63 M. Andrés, Los místicos..., o.c., 373-377.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM IV2, 1089-1203; M. Andrés, Historia de la mística de la Edad de Oro en España y América, Madrid 1994; Id., Los místicos de la Edad de Oro en España y América, Madrid 1996; I. Behn, Spanische Mystik, Düsseldorf 1957; L. Bouyer, Spiritualità moderna. La scuola spagnola (1550-1650), 61, Bologna 1973; A.L. Cilveti, Introducción a la mistíca española, Madrid 1970; P. Juan-Tous, s.v., in WMy, 463-466; E. Lorenz, Der Nahe Gott, Freiburg i.Br. 1985; J.M. Moliner, Historia de la literatura mística de España, Burgos 1961; E.A. Peers, The Mystics of Spain, London 1951; P. Sainz Rodríguez, Introducción a la historia de la literatura mística en España, Madrid 1984.

J.V. Rodríguez

SPEYR VON ADRIENNE. (inizio)

I. Vita e opere. Nata a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, nel 1902 da famiglia protestante dell'alta borghesia, matura la sua conversione al cattolicesimo e viene battezzata nella festa di Ognissanti del 1940. E medico, moglie e madre, mistica e teologa. Fin dalla giovinezza, A. mostra una spiccata attitudine per il dialogo interiore con Dio, per lo spirito penitenziale e per la dedizione verso le persone più sfortunate. Pure precoce è la sua apertura al superamento dei pregiudizi antiecumenici che contraddistinguono la formazione religiosa corrente nell'ambito delle confessioni cristiane. Nonostante l'opposizione della madre, che le impone una scuola commerciale, frequenta il ginnasio e la facoltà di medicina. Studia anche il pianoforte, trovando nella musica, per parecchio tempo, un sostegno importante per il proprio affinamento spirituale. La debole costituzione e lo sforzo raddoppiato la espongono alla tubercolosi e rendono necessario il ricovero in sanatorio. La guarigione non perfetta la lascia cagionevole di salute sino alla fine della vita, ma la tenacia del carattere e la solida maturazione interiore le consentono di onorare nel modo migliore i suoi impegni professionali e familiari. Già oltre un decennio prima della morte, A. vive però con grande fatica e progressiva estenuazione delle sue forze vitali e delle sue facoltà sensoriali fino alla quasi totale perdita della vista nel 1964. Muore il 17 settembre 1967.

Per la vita cristiana e spirituale di A. è certamente determinante la conoscenza del teologo Hans Urs von Balthasar, che l'aiuta nel dare compimento alla decisione del proprio approdo alla confessione cattolica (1940) e ne raccoglie poi, come direttore spirituale e come guida della comunità secolare insieme fondata, le intuizioni, le meditazioni e le straordinarie esperienze di immedesimazione in riferimento a molti aspetti del mistero cristiano (soprattutto a riguardo della passione di Cristo, della preghiera dei santi, della " reciproca obbedienza d'amore " delle Persone trinitarie, dell'espropriazione mistica di sé a favore della Chiesa). In generale, la speciale vocazione spirituale di A. può essere globalmente riconosciuta nel singolare orientamento dall'esperienza mistica alla penetrazione della spiritualità biblica ed ecclesiale.

Le fonti per la conoscenza della spiritualità di A. sono in parte costituite dai suoi scritti (anche autobiografici) e dalle testimonianze di amici e compagni che hanno condiviso l'appartenenza alla Comunità di S. Giovanni. Ma, per la massima parte, tale conoscenza è resa accessibile dall'imponente lavoro di " trascrizione " stenografica e di rielaborazione letteraria assiduamente svolto per molti anni da von Balthasar: il quale, oltre ad avere prodotto testimonianze e scritti propri intorno alla vita cristiana e al messaggio spirituale di A., ha trascritto - e solo in parte pubblicato - il resoconto delle esperienze mistiche e delle meditazioni bibliche di A. Balthasar ha, peraltro, dichiarato apertamente che la parte maggiore e migliore della sua monumentale opera teologica è ampiamente debitrice alla lunga consuetudine con il dettato spirituale di A.

II. Esperienza spirituale. I temi di maggiore rilievo della spiritualità riflessa di A. possono essere riassunti in questi termini: a. il carattere fondamentale dell'atteggiamento di dedizione obbediente e incondizionata - " pronta a tutto " - della risposta (" mariana ") alla vocazione di Dio (Sie folgten seinen Ruf, 1955; Christliche Stand, 1956; Das Buch vom Gehorsam, 1966); b. la concezione radicalmente teologica della preghiera, vista come immedesimazione nel dialogo trinitario, concepito in forma di preghiera reciproca, adorante e ri-conoscente delle Persone divine (Die Welt des Gebetes, 1951; Der grenzenlose Gott, 1955; Das Angesichts der Water, 1955; Gebeterfahrung, 1965); c. l'orientamento radicalmente ministeriale, e pertanto in questo senso carismatico, secondo la dottrina paolina di 1 Cor 12, della componente mistica dell'esperienza di fede (Die Sendung der Profheten, 1953); d. l'atteggiamento strutturalmente testimoniale e missionario dell'esperienza di fede, che si sviluppa in pura trasparenza e intenzionale rinvio alla intrinseca luminosità della parola di rivelazione. Per quanto riguarda i riferimenti spirituali della formazione di A. e le affinità elettive nel campo della spiritualità cristiana, sono da segnalare Teresa di Gesù Bambino e il Curato d'Ars ( 1859), più che non Teresa d'Avila e Giovanni della Croce. Con maggiore radicamento dottrinale, ma non direttamente teologico, devono poi essere menzionati Ignazio di Loyola e l'apostolo Giovanni, i cui scritti sono stati oggetto di importanti esplorazioni spirituali e di speciali esperienze di immedesimazione (le " introduzioni notturne " al Vangelo di Giovanni, sin dal 1943).

In questa prospettiva, come dimostra anche il sistematico rapporto della elaborazione mistica di A. con il commento spirituale delle sacre Scritture, è veramente superata l'idea di una alternativa tra la fede legata al puro ascolto della Parola e la fede realizzata come esperienza spirituale della relazione con Dio (secondo l'alternativa discussa da E. Brunner nel suo Die Mystik und das Wort). Ma è altresì allontanata la prospettiva che volesse intendere l'esperienza spirituale cristiana come una pura articolazione di una esperienza religiosa universale (che ultimamente approda, nella linea di F. Schleiermacher, all'originario sentimento di unione-dipendenza dall'Assoluto). In una linea che presenta molte affinità, pur in assenza di contatti diretti, con quella di F. Fénelon, S. ha di nuovo inserito la mistica al centro della storia della salvezza e della forma ecclesiale della fede. Mistica è anzitutto " una missione speciale, un servizio particolare per la Chiesa, che è portato a termine in modo retto nella completa lontananza-da-se-stessi, nel dimenticare se stessi ". Le condizioni personali di questa esperienza di consegna disinteressata alla propria vocazione-missione spirituale, che riflette l'amore radicale di Cristo per la Chiesa, non sono importanti. Le stesse grazie esteriori o interiori che l'accompagnano non ne costituiscono l'essenza o l'obiettivo. Ciò che risulta in ogni caso essenziale è che lo sviluppo " mistico " dei doni teologali dello Spirito è sempre in profonda connessione con il principio " carismatico " della dedizione incondizionata: è qui che l'abbandono alla volontà di Dio nella pienezza dell'unione con Cristo viene a coincidere con la totale adesione alla forma della Chiesa. Balthasar ha molto insistito sulla natura oggettiva della mistica di S., proprio a significare il fatto che tutte le grazie soggettive dell'esperienza mistica, che in se stesse non appartengono all'esperienza comune della fede, sono tuttavia tali da includere sempre una sollecitazione rivolta alla fede comune in vista della maggiore apertura alle profondità teologiche obiettive del mistero cristiano.

Nell'ambito delle esperienze spirituali e delle grazie mistiche sia interiori che esteriori, possono essere segnalate in particolare: a. molte speciali grazie di preghiera e di visione, dettagliatamente descritte nei libri dedicati a von Balthasar e nei diari raccolti da lui; b. le particolari esperienze di immedesimazione interiore con le sofferenze del sabato santo, incominciate nel 1941 e poi regolarmente proseguite; c. la speciale penetrazione, dotata anche di immaginazione descrittiva, della forma di preghiera di molti santi, anche quelli biograficamente e letterariamente non conosciuti; d. l'occorrenza, nell'ambito della professione medica, di guarigioni improvvise, inaspettate, inspiegabili dal punto di vista clinico.

Bibl. Tutte le Opere in lingua tedesca sono edite dalla Johannes Verlag di Einsiedeln. Un piano per la pubblicazione delle opere in versione italiana è stato presentato dalla Jaca Book di Milano. Tra le traduzioni finora apparse possiamo ricordare: Mistica oggettiva, Milano 1972; Esperienza di preghiera, Milano 1974; L'uomo di fronte a Dio, Milano 1978; Il mondo della preghiera, Milano 1982; Il Verbo si fa carne, Milano 1982; L'Apocalisse. Meditazione sulla rivelazione nascosta, 2 voll., Milano 1983; Il libro dell'obbedienza, Padova 1983; L'ancella del Signore, Milano 1986; Dalla mia vita. Autobiografia dell'età giovanile, Milano 1989; Esperienza di preghiera, Milano 1990. Studi: B. Albrecht, s.v., in DSAM XIV, 1126-1132; H.U. von Balthasar, La vita, la missione teologica e l'opera di Adrienne von Speyr, in A. von Speyr, Mistica..., o.c., 11-65; Id., Primo sguardo su Adrienne von Speyr, Milano 1975; P. Ricci Sindoni, Adrienne von Speyr, Torino 1996; R. de Sola Chervin, Le preghiere delle grandi mistiche, Città del Vaticano 1995, 199-211.

P. Sequeri

SPIRITO SANTO. (inizio)

I. Ruolo dello Spirito Santo nella vita cristiana. Nessuna autentica vita di fedele cristiano è possibile senza la presenza e l'azione dello S. accolto dal fedele stesso. Di fatto è lo S., mandato dal Padre (per mezzo di Cristo) che, nelle singole persone, grida " Abbà - Padre " (cf Gal 4,6). Anzi " nessuno può dire "Gesù è il Signore" se non sotto l'azione dello Spirito " (1 Cor 12,3). Inoltre, la sua presenza, silenziosa ed operante, precede, nei fedeli, ogni loro atto di fede, di speranza, di carità. E lui che " prepara le persone, le previene con la sua grazia per attirarle a Cristo. Manifesta loro il Signore risorto, ricorda loro la sua parola, apre il loro spirito all'intelligenza della sua morte e risurrezione. Rende loro presente il Mistero di Cristo, soprattutto nell'Eucaristia, al fine di riconciliarli e di metterli in comunione con Dio perché portino "molto frutto" (cf Gv 15,5.8.16) " (cf CCC 737). In altri termini: la divina Persona dello Spirito occupa una centralità specifica nella vita del fedele sia agli inizi della sua conversione, sia nella crescita della sua vita cristiana, sia nello sforzo ascetico di perfezione, sia nel coronamento dell'esistenza, vissuta a gloria della santa ed individua Trinità.

Sotto l'egida dello S. ogni attività della persona umana si tramuta in attività di fedele, per tendere all'imitazione del Cristo (cf 1 Cor 4,15; Ef 5,11; Fil 3,17; 1 Ts 1,6), per seguirlo da vicino con la propria croce (cf Mt 16,24; Mc 8,34; Gv 12,26) e per essere perfetti come il Padre (cf Mt 5,48).1

E mentre rimane sempre difficile scrivere in modo adeguato dello S., non si può tuttavia fare a meno di trattarne. Tanto più che il " discorso teologico " attorno allo S., più che risultare una teologia dello S., dev'essere una teologia nello S. quale dovrebbe essere la " realtà " della mistica. Di fatto è basilare la trattazione circa il " Sacro Pneuma " e su quanto da lui proviene al fedele per la sua più autentica vita di credente. Ciò che il termine e, più ancora, l'essenza della mistica possiede, affonda le sue radici nel " mysterium " vissuto dal fedele, fino a percepire da parte di lui la presenza ed azione dello S. di Dio in lui. La mistica è vivere, di fede e con fede, la fede, la speranza e la carità, sotto l'impulso e l'egida dello S. che perfeziona le virtù nei fedeli infondendole ripetutamente, rinnovatamente, irripetibilmente ed esigendo da parte umana una risposta, la più dilatata possibile ai doni dello S.

II. Nella S. Scrittura. Se si ricorre alla Scrittura, vi si ritrovano diversi linguaggi (antropomorfico, simbolico, teologico) che fanno uso del termine " spirito " (rûah - pneuma) con livelli semantici di diverso spessore: fisico (vento); antropologico (respiro - vita - inspirazione); teologico. Ovviamente quest'ultimo senso è quello che qui interessa. Si tratta cioè dello Spirito di Dio: comunicato al Messia (cf Is 11,1-2; 42,1-4; 61,1-3) e poi a tutto il popolo (cf Gl 3,1-5); come bene messianico " purificatore-rinnovatore " (cf Ez 36,25-27; Is 4,4-6), " vivificatore " (cf Ez 37,1-14; Is 44,1-4), " ispiratore " (cf Gl 3,1-5; Ez 37,14; 39,29); " consolatore " (Is 51,12). Con le accentuazioni impresse alla terminologia pneumatologica anche per mezzo della letteratura intertestamentaria (cf Enoch; 4Esd; ecc.), la rivelazione fa recepire che lo S. è potenza divina mediante cui sono concesse la conoscenza delle verità divine (cf Sap 9,17) e la comprensione delle realtà nascoste e inaccessibili (cf Sir 48,24; Dn 13,45).

I testi neotestamentari fanno uso del termine pneuma con diversi significati, tra cui interessano quelli con riferimento allo S. di Dio, che è potenza che agisce nell'Unto di S. per eccellenza: il Cristo (cf Lc 3,22; 4,1,14,18; 10,21), e che è Persona divina (cf Mt 28,19) che occupa una parte importante e insostituibile nella vita del seguace di Cristo. Lo S. agisce in Cristo come potere divino operante exusia (cf Mc 1,22.27; 2,10), ovvero come dynamis (cf Mc 5,30; 6,2.15; 9,39; 12,24), ed è donato-effuso ai discepoli nella Pentecoste (cf At 2,1-41), ai convertiti samaritani (cf At 8,15-17), al pagano Cornelio e ai suoi familiari (cf At 10,44-45), ai discepoli di Giovanni battezzati da Paolo (cf At 19,6). Essere battezzati nello S. (cf At 1,5; 11,16) significa anche essere pieni di S. (cf Lc 1,15.41.67; 4,1; At 2,4; 4,8.31; 6,3.5; 7,55; 9,17.31; ecc.). Secondo la letteratura lucana, il dono dello S. è un dono universale perché nessuno è precluso a tale dono da cui dipende la salvezza. E l'effusione dello S. che segna l'inizio della nascita della Chiesa e che produce effetti speciali (carismi, miracoli). La sua assistenza nell'agiografo è ispirazione (cf 2 Pt 1,21), nel predicatore o missionario è parrhesia, cioè garanzia di audacia (cf At 2,29; 4,13.29.31; 28,31), nei fedeli è perseveranza nell'ascolto della parola di Dio e di comunionalità (cf At 13,52).

Nella letteratura giovannea il Paracleto (cf Gv 14,17.26; 15,26; 16,13), alitato dal Risorto sugli Apostoli (cf Gv 20,22), è donato per insegnare (cf Gv 14,24), guidare alla piena verità (cf Gv 16,13), rendere testimonianza (cf Gv 15,26), convincere il mondo quanto a peccato, giustizia e giudizio (cf Gv 16,8-10). Procede dal Padre ma è Gesù che lo manda (cf Gv 15,26), e prende dimora nel fedele (cf Gv 14,17.23; 1 Gv 4,12). E S. di verità (cf Gv 14,17; 15,26; 16,13) e guida, nella pienezza della rivelazione, il fedele che l'accoglie.

Nella letteratura paolina lo S. è soffio della bocca di Dio (cf 2 Ts 2,8), consacratore, comunicato al Messia (cf Rm 1,4; 1 Tm 3,16) e al fedele, dove inabita (cf Rm 8,9.11; 1 Cor 3,16; 2 Tm 1,14). Anzi il cristiano è segnato dallo S. (cf 2 Cor 1,22; Ef 1,19; 4,30), e dalla sua azione viene trasformato (cf 2 Cor 3,18). Diventa, infatti, figlio di Dio nello (per lo) S. (cf Rm 8,15; Gal 4,6) e per suo mezzo il fedele può avere accesso al Padre (cf Ef 2,8), perché ne possiede le primizie (cf Rm 8,16) avendo la caparra (cf 2 Cor 1,22; 5,5) della promessa dello Spirito (cf Gal 3,14; Ef 1,13).

Ai fini di questo approccio teologico è opportuno sottolineare che secondo la Parola di Dio, filtrata da Paolo, è lo S. che conosce e rivela " il divino " (cf 1 Cor 2,10-11.13; 7,40; Ef 3,5), dichiara (cf 1 Tm 4,1), attesta (cf Rm 8,16; 9,1), ispira (cf 1 Cor 14,2.32), specie nel parlare in lingue e nel profetare (cf 1 Cor 12,3ss.; 14,2ss.). Egli smuove la vita del cristiano (cf Fil 3,3), guida (cf Rm 8,14), aiuta (cf Rm 8,26; Fil 1,19; 2 Tm 1,14), intercede (cf Rm 8,26), unifica (cf 1 Cor 12,4; 14,2.12; Ef 2,18; 4,3-4), dà i suoi donicarismi (cf 1 Cor 12,7-11), fomenta la carità (cf Rm 5,5; Gal 5,22) ed altri suoi " frutti " (cf Gal 5,22). L'ideale del cristiano è formare un solo spirito con il Signore (cf 1 Cor 6,17), lasciarsi guidare dallo Spirito (cf Gal 5,18; 6,1); camminare nello Spirito (cf Rm 8,4; Gal 5,16.25) vivere secondo i desideri dello e nello Spirito (cf Rm 8,6.27), tanto da rinnovarsi nello Spirito (cf Ef 4,23), fino a giungere a trasformare in culto " spirituale " (cf Fil 3,3; Rm 12,1) la propria esistenza, a pregare e cantare (cf 1 Cor 14,14ss.; Ef 6,18) cantici spirituali (cf Ef 5,19; Col 3,16). Ed è proprio qui che si deve innestare una serie di considerazioni pratico-vitali.

III. Presenza e azione dello S. Di fatto nella progressiva rivelazione di chi è Dio, fino alla conoscenza della sua Unità di natura e Trinità di Persone, lo S. agisce con una presenza continua nell'agiografo. Moltissime volte di fatto e in moltissimi modi Dio si è manifestato (cf Eb 1,1) per mezzo dell'azione del suo S. Egli fa conoscere il progetto salvifico divino (= mysterium), tanto che la filigrana della sua presenza può essere colta nei libri ispirati che contengono lo scritto che è sacro in forza della sua azione. Tant'è vero che l'epifania o manifestazione massima del " mysterium ", qual è il Verbo fatto carne (cf Gv 1,14), avviene ad opera dello S. (cf Lc 1,35). Lo stesso " mysterium " proclamato alle genti e professato dai fedeli si realizza per mezzo dell'azione dello S. che assume due sfumature tipiche, quali sono l'euanghelia (= annuncio lieto) e la exomologhia (= professione testimoniata) dell'autore e consumatore della fede (cf Eb 12,2) che è il Cristo. Lo stesso " mysterium fidei " celebrato nel massimo dei modi diventa, in forza della presenza e azione dello S., eucharistia (= rendimento di grazie), vissuto dal fedele in S. e Verità, e euloghia (= rendimento di lode).

E la preghiera, specialmente quella liturgica, che perpetua nel tempo e nello spazio la preghiera dei primi fedeli attorno a Maria nel Cenacolo (cf At 1,14), in attesa della Pentecoste (cf At 2,1) dello S. E, quindi, necessario prendere coscienza del fatto che le valenze della presenza e l'azione dello S. a seguito di una preghiera che lo invoca (=epiclesi), postulano nel fedele la sin-ergia, la sin-tonia, l'em-patia (nel senso etimologico dei termini) con la presenza del medesimo Paraclito (=paraclesi). Epiclesi e paraclesi sono intese nella vita del fedele come la sorgente dell'altro movimento dello Spirito, qual è il ritorno al Padre, in Cristo (=anaclesi), con quanto il Sacro Pneuma ha provocato nella quotidianità della persona umana. Gli stessi dinamismi della Parola di Dio, ricordati da Is 55,10-11, sono applicabili sia alla Parola di Dio fatta carne, Gesù, egli pure Paraclito (cf 1 Gv 2,1; cf Gv 14,16), sia all'altro Paraclito da Gesù stesso inviato (cf Gv 14,16.26; 15,26; 16,7). La vita in Spirito e Verità (cf Gv 4,24), quale fondamento e base per l'ascetica cristiana, sospinge il fedele ad una profonda comunione con gli altri, ad una progressiva solidarietà con Cristo-Chiesa, ad una operativa conformità con il piano di salvezza (=mysterium) che le Tre Persone hanno progettato sul singolo fedele, ad una vita morfologicamente strutturata sull'imitazione di Cristo (cf Ef 5,1; 1 Cor 4,16; 11,1; 1 Ts 1,6), orientata dinamicamente all'età perfetta in Cristo (cf Ef 4,13) e esistenzialmente strutturata sulla perfezione del Padre (cf Mt 5,48) e sulla sua santità (cf Lv 11,44; 19,2; 20,26; 21,8). Tutto questo è dono dello Spirito compartecipato al fedele, da lui accolto e trafficato nella sua esistenza che è un vivere in S. e Verità per tramutarla in culto gradito a gloria del Padre, del Figlio e dello S.

IV. La riflessione teologica. Non per nulla nel corso dei secoli, la riflessione delle diverse generazioni dei fedeli circa la presenza e azione dello S. nella vita dei fedeli è andata sempre di più chiarificandosi. Gli studiosi sono soliti distinguere la " mens " dei Padri orientali da quella dei Padri occidentali. Senza entrare nei particolari, si può convenire che le formule espressive degli uni e degli altri sono complementari e secondo i parametri della verità " creduta - celebrata - vissuta ". Dallo strato antico proverranno nei secoli successivi due tipiche teologie: quella latina e quella greca che erano ancora comune eredità della Chiesa indivisa. Dal fatto che oggi si possa " cristallizzare " una teologia sullo S. cattolica, ortodossa, protestante, deriva la possibilità di sottolineare che la vita del fedele in Cristo non può fare a meno dello S., al di là delle sfumature teologiche ed interpretative che a volte risultano eterodosse. Tuttavia, si sa che il Figlio e lo S. sono le due mani di Dio all'opera secondo l'espressione antica. Anzi " dove sta la Chiesa, ivi sta anche lo S. di Dio e dove sta lo S. di Dio, ivi sta anche la Chiesa ed ogni grazia ".2 Di fatto, uno degli aspetti più caratteristici della dottrina pneumatologica è il rapporto tra lo S. e la Chiesa, pertanto, con ogni fedele membro della Chiesa. Le preoccupazioni che hanno spinto i Padri, gli scrittori medievali, i teologi, i mistici ad evidenziare tale rapporto talvolta hanno assunto accentuazioni catechetiche, parenetiche, apologetiche, speculative, contemplative. In ogni caso, i tipi di riflessione sono sempre stati motivati dal paradigma delle operazioni dello S. nel credente sia a livello ecclesiale che a livello personale. Le operazioni si esplicitano principalmente mediante i sacramenti e la " pietas fidelium ".

V. Nella liturgia della vita. In altri termini, si tratta di cogliere il fatto che proprio nella " liturgia della vita " di un fedele si racchiude la più alta forma di ascesi di cui egli possa fornirsi corrispondendo al dono dello S., per rendere lode a Dio. In realtà, ogni tipo e ogni sfumatura di ascesi, come ogni pratica con cui essa si manifesti, se non sfociano nella dossologia del Dio uno e trino, sono vanificati nel loro sorgere e sarebbero solo sfoggio di diletto personale nel loro persistere. Sorgente della liturgia della vita è la celebrazione degli eventi di salvezza (=sacramenti) tra cui primeggia l'Eucaristia. Questa, che è pienezza di spirito, è anche alimento e potenziamento della liturgia della vita, poiché quando i fedeli si radunano per la celebrazione è lo S. che li raccoglie (unisce) in assemblea. Essa, convocata dallo S., invoca la presenza dello S., evoca i " mysteria salutis " in forza dello S., e in sua virtù sono presenti i " mirabilia Dei ". Ed è sempre l'assemblea liturgica che provoca l'azione dello Spirito tanto che la liturgia, in quanto " mysterium " presente con-per-nell'azione per eccellenza qual è la celebrazione, in ragione della vita del fedele è intesa (ed è da intendere) a conseguire con la perfezione della vita cristiana, la realizzazione del " mysterium " nella sua completezza. Si comprende come la liturgia con i suoi livelli di " mysterium-celebratio-vita " sia teca dello S., sua pentecoste esplosiva nell'hodie liturgico, epifania la più trasparente della sua presenza, iconizzazione la più profonda e proficua della sua azione. In questo contesto non sorprende che l'attenzione allo S. per la vita del fedele sia andata accentuandosi dopo lo stesso Concilio Vaticano II che, se non ha dedicato direttamente una trattazione, ha però un ampio temario pneumatologico. Di fatto i testi conciliari parlano dello S.: nel mistero della Trinità (cf AG 2.4.15; LG 1-4.40.51.69; DV 13.17; GS 15...) e nella Madre di Cristo e della Chiesa (cf LG cap.VIII). L'agire dello S.: nella storia dell'umanità (cf GS 26.41...); nel piano salvifico e nelle diverse epoche della storia della salvezza (cf AG 4; LG 4.19.21.42.59); nel popolo di Dio (cf LG 9; GS 45; AG 15; UR 2.4.15.24; OE 2; GS 15.38 ...). Presente nella pluriforme attività delle diverse categorie di fedeli e di servizi che essi espletano nella Chiesa (cf LG passim: Doni dello S.), lo S. realizza la salvezza, porta verso l'eschaton (cf LG 6 e cap.VII) e realizza l'intima unione del fedele con Dio e l'unità di tutto il genere umano (cf LG 1.9.48; SC 26; GS 5; AG 5...). Egli è posto nella Chiesa come il suo manifestatore costituendola sacramento di salvezza. Vi agisce specialmente con la liturgia sacramentaria (cf SC 6.26; LG 50.59; AA 3; GS 11; PO 5). Nei fedeli lo S. opera la varietà dei doni (cf UR 2), frutti di grazia (cf LG 39), li rinnova all'amore di Dio (cf LG 40.42), infonde nei cuori l'animazione della carità (cf PC 1), in modo che i fedeli rispondano con generosità al suo impulso (cf AA 33). In ogni caso, va implorata la sua venuta sull'esempio di Maria (cf LG 59). Ogni venuta dello S. per mezzo della preghiera (=epiclesi) deve vedere il fedele che agisce in sintonia con la presenza ed azione del divino Paraclito (=paraclesi) in modo che tutta la vita del fedele diventi canto di lode (=eulogia) e di ringraziamento (=Eucaristia) " in-con-per " Cristo (=anaclesi).

Si può, quindi, concludere ricordando che lo S. sta all'origine della vita dell'uomo nuovo, intesse la vita di comunione tra i fedeli, smuove l'animo del fedele ad essergli docile, docibile, disponibile, dilatabile sempre di più alla sua azione. Mentre lo S. è l'alfa della vita spirituale del fedele, è anche l'omega della sua pienezza. Di fatto come assicura lo sviluppo delle diverse " ministerialità " presenti nel Corpo di Cristo qual è la Chiesa di cui egli è l'anima, dà pienezza di efficacia di segni (=sacramenti) che il Cristo ha lasciato alla Chiesa per sussistere e per propagare il Regno di Dio. In una parola, la vita del cristiano è in verità un'esistenza nello e con lo S. per cui resiste al male e aderisce al bene; esegue il bene e tende al meglio; si muove nel meglio e con l'ascesi è proteso al punto omega della perfezione divina. E ad opera dello S. che il fedele parla con Dio ed è orante; parla " di-su " Dio ed è teologo (=sensus fidelium); parla al posto di Dio ed è profeta; parla in favore di Dio ed è evangelizzatore; parla in Dio ed è mistico.

Note: 1 Anche solamente da queste iniziali affermazioni si evince l'importanza di trattare dello Spirito Santo in un dizionario di mistica. Di per sé si potrebbe ipotizzare un'amplificazione della scienza teologica che studia la divina Persona dello Spirito Santo (= pneumatologia) in modo da sovrapporla alla disciplina teologica che, fino a qualche decennio fa, si usava denominare " ascetica-mistica " e che oggi si preferisce classificare semplicemente come " spiritualità ". Non è qui il luogo di disquisire in merito. Qui interessa cogliere i dinamismi dello Spirito nella vita del cristiano; 2 Ireneo di Lione, Adversus haereses III, 24,1.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM IV2, 1246-1333; Aa.Vv., Le Saint-Esprit dans la liturgie, Roma 1977; Aa.Vv., Spirito Santo e liturgia, Casale Monferrato (AL) 1984; E. Albertz - C. Westermann, RuahSpirito, in DTA II, 654-678; D. Bertetto, Lo Spirito Santo e santificatore. Pneumatologia, Roma 1977; L. Bouyer, Il Consolatore. Spirito Santo e vita di grazia, Roma 1983; Y. Congar, Credo nello Spirito Santo. 1. Rivelazione e esperienza dello Spirito. 2. Lo Spirito Santo come vita. 3. Teologia dello Spirito, Brescia 1981-1982-1983; H. Kleinknecht - F. Baumgaetnel - W. Bleder - E. Sjoeberg - E. Schweizer, Pneuma - Pneumatikos, in GLNT X, 767-1099; F. Lambiasi, Lo Spirito Santo: mistero e presenza. Per una sintesi di pneumatologia, Bologna 1987; E. Lanne (cura di), Lo Spirito Santo e la Chiesa. Una ricerca ecumenica, Roma 1970; E. Salmann, s.v., in WMy, 220-222; C. Schütd, Einführung in die Pneumatologie, Darmstadt 1985.

A.M. Triacca

SPIRITUALI. (inizio)

Premessa. Non è agevole individuare a netti contorni il fenomeno storico dello " spiritualismo " francescano o degli " S. ", che si presenta come movimento composito all'interno della famiglia francescana. L'arco di tempo, entro cui si estende la storia degli S., può venire racchiuso da due date storiche, il 1274 (Concilio II di Lione) e il 1337 (morte di Angelo Clareno).

I. Il problema storiografico e le origini del movimento. Il primo è connesso con la problematicità della storia stessa dell'Ordine francescano per più aspetti: il vero significato della rinuncia di Francesco alla carica di ministro generale; la difficoltà d'accordare la Regula bullata (1223) di approvazione pontificia con il Testamento (1226), incarnazione vivente di Francesco; la ricerca dell'esatta collocazione cronologica dell'ampia produzione storiografica francescana del primo secolo attorno alla persona di Francesco (questione francescana) e il rapporto col movimento degli S. (questione degli S.); il dissidio sorto dall'interpretazione della Regola nello spirito del Testamento... (G. Barone). Un ulteriore elemento di complicazione viene ad aggiungersi, verso la metà del sec. XIII, con il problema dell'ermeneutica della storia di Gioacchino da Fiore ( 1202), che attribuisce all'Ordine francescano un ruolo di spicco. Il gioachimismo coinvolge l'Ordine in quanto tale: se estremisti, come Gherardo di Borgo S. Donnino, sono condannati, lo stesso Bonaventura s'appropria del nucleo dell'ideale gioachimita. L'anello di congiunzione tra Bonaventura e gli S. è il dotto Pietro di Giovanni Olivi ( 1298), allievo di Bonaventura e autore di Lectura super Apocalipsim. I francescani fedeli a Francesco si sentono chiamati ad opporsi allo sviluppo della Ecclesia carnalis. Le origini del movimento si possono individuare, ancor vivo Francesco, nella disputa sulla povertà perfetta. Qui prevalgono coloro che, nel contesto di un enorme sviluppo dell'Ordine, dietro la spinta di urgenze pastorali e dello studio nelle università, finiscono per allontanarsi dalla povertà vera. Innocenzo IV ( 1492), dichiarati proprietà della Chiesa romana i beni mobili e immobili dell'Ordine, stabilisce dal 1247 i procuratori per sbrigare gli affari dei frati, in base alle disposizioni di questi. Le reazioni sono vivaci dentro e fuori dell'Ordine. Bonaventura, dal 1257 ministro generale, s'impegna da un lato a difendere la povertà francesca (Quaestio de paupertate), e dall'altro a opporsi alle intemperanze dei seguaci di Giocchino da Fiore; ma la morte di Bonaventura nel 1274, accelera il processo di rilassatezza dell'Ordine. Papa Nicolò III ( 1280) nella costituzione Exiit qui seminat (1279) interpreta in modo autentico la Regola sulla linea di Bonaventura, nel rispetto dell'ideale della povertà e della limitazione dell'uso dei beni, pur nella conservazione dei conventi e dell'uso dei loro beni (E. Iserloh). Lo scontento dei più rigidi, di fronte ad un tale ideale moderato di povertà, si esaspera anche a motivo di una realtà già lontana dall'ideale.

II. Le alterne vicende e i personaggi. Più avanti nel tempo, vi domina diversità di rapporto con l'ambiente (più inseriti in questo gli S. di Provenza, meno gli S. d'Italia) e di personaggi (dotto l'Olivi, più uomo d'azione Ubertino da Casale ( 1328), maestro spirituale il Clareno, autore della Historia septem tribulationum, interpretazione tendenziosa di certe idee di Francesco).

Figura centrale, Pietro di Giovanni Olivi, s'impegna nella disputa sulla povertà, attirando attorno a sé numerosi zelanti della perfetta povertà, che vengono chiamati S. in opposizione alla comunità (communitas Ordinis o maggioranza della comunità) impegnata contro gli abusi, ma ritenuta la causa di essi. Angelo Clareno, autore della Historia septem tribulationum Ordinis Minorum con interpretazioni tendenziose di idee di Francesco, incarcerato con altri compagni alla fine del Concilio II di Lione (1274), liberato alla elezione di un ministro generale (1289) più favorevole agli S. e rientrato, per volontà della comunità, dall'Armenia, dove era stato inviato con altri come missionario, ha un momemto di gloria al tempo del breve pontificato di Celestino V ( 1296). Questi autorizza gli S. a fondare una nuova congregazione, accolta nei monasteri dei Celestini, pur nell'osservanza della Regola e del Testamento di Francesco. L'avvento al soglio pontificio di Bonifacio VIII ( 1303) segna la fine della Congregazione. Di ritorno dalla Grecia (1305), dove si era ritirato per dedicarsi all'ascesi, il Clareno riappare al Concilio di Vienne (1311-1312). Ma, già prima, Ubertino da Casale, autore dell'Arbor vitae (opera centrale con quella sopra riportata del Clareno dello spiritualismo francescano), successo all'Olivi alla guida degli S. e fattosi portavoce presso Clemente V ( 1314) ad Avignone degli ideali di osservanza della Regola e di povertà (usus pauper), si sente appagato dal Concilio di Vienne (5-V-1312: bolla Exivi de paradiso), che decide a favore della corrente più rigida, contro l'opposizione della comunità, per un usus pauper delle cose indicate dalla Regola: è una decisione solo circa l'aspetto pratico, ritenendo temeraria la connessione di questo con la questione dogmatica della povertà di Cristo. E, appunto, sul terreno di tale questione che Giovanni XXII ( 1334) affronta l'Ordine, guidato ora da Michele di Cesena ( 1342) e che asserisce che Cristo e gli apostoli, come singoli e come comunità, non avevano posseduto proprietà alcuna. Viene così coinvolto il problema dei rapporti fra potere spirituale e potere temporale, tanto sentito dagli S. e, da sponda opposta, dai laicisti: interessato diretto è il pontefice, rappresentante in terra di Cristo.

Giovanni XXII dichiara eretica l'affermazione che Cristo e gli apostoli, come singoli e come comunità, non hanno posseduto nulla (12-V-1323). Dopo la reazione violenta dell'Ordine, che accusa di eresia il papa, la maggior parte dei francescani ritorna all'obbedienza pontificia. Il papa, però, sospettando d'insicerità il ministro generale ed essendosi questi rifiutato di sottomettersi, lo fa incarcerare. Poco dopo, Michele di Cesena, Bonagrazia di Bergamo ( 1340) e Guglielmo d'Occam ( 1349-1350), fuggiti da Avignone, si raccolgono con Marsilio da Padova ( 1343) a Pisa, attorno a Ludovico il Bavaro ( 1347): motivi spirituali e politici s'intrecciano. Michele da Cesena, destituito, viene scomunicato con i suoi seguaci dal papa (1329), che riconferma il dominio di Cristo sui beni terreni e la proprietà come data da Dio ai progenitori prima del peccato.

Eletto un nuovo ministro generale, la maggioranza dei francescani ritorna all'obbedienza al papa, mentre i francescani fedeli alla corte imperiale, espulsi dall'Ordine, si legano sempre più al potere laicista in lotta con il papato avignonese. Impegnati in una legittima opposizione alla mondanità della curia avignonese e dell'Ordine, la loro azione soffre d'una intrinseca contraddizione rispetto ai valori che dicono di difendere. Diversamente dall'umile e ubbidiente Francesco, " trascinati da fanatismo religioso, si lasciano andare ad un'aperta ribellione " (J. Lortz).

Il bilancio delle vicende degli S. rileva che Ubertino da Casale lascia l'Ordine, Angelo Clareno e seguaci scelgono la via dello scisma (Fraticelli), Michele di Cesena viene scomunicato... ciò nonostante, è da riconoscere negli S. lo zelo per l'osservanza regolare, in particolare della povertà, l'austerità di vita ed, insieme, una discreta dose di buona fede; tali aspetti positivi non sminuiscono, però, altri negativi, quali l'opposizione all'autorità pontificia, il venir meno al precetto della carità, la poca "trasparenza".

L'ideale degli S. nei suoi elementi validi troverà uno sbocco ortodosso nel movimento degli osservanti, che rinunciano, anche a livello di comunità, alla proprietà, alle entrate regolari e ai beni immobili, distinguendosi così dai conventuali aperti alla proprietà comune e alle rendite. Gradualmente gli osservanti si staccano dall'Ordine con il permesso del papa tanto che, in occasione del capitolo generale del 1517, papa Leone X ( 1521) riunisce tutte le Congregazioni degli osservanti nell'Ordo Fratrum Minorum (regularis observantiae) con la bolla Ite et vos in vineam (29-V-1517); i Conventuali, invece, eleggono un proprio generale con il nome di Maestro generale.

Bibl. Aa.Vv., Franciscains d'Oc. Les Spirituels, ca. 1280-1324, Toulouse-Farijeaux 1975; Aa.Vv., Chi erano gli Spirituali (Atti del III Congr. Inter. della Soc. Inter. di studi francescani), Assisi (PG) 1976; Aa.Vv., L'età dello Spirito e la fine dei tempi in Gioacchino da Fiore. Atti del II Conv. di studi gioachimiti 1984, S. Giovanni in Fiore (CZ) 1986; F. Accrocca, Angelo Clareno, testimone di S. Francesco, in Arch. franc. hist., 81 (1988), 225-253; L. von Auw, Angelo Clareno et les spirituels italiens, Rome 1979; G. Barone, s.v., in DIP VIII, 2034-2040; G. Brockhusen, Franziskanische Mystik, in WMy, 168-171; A. Matanic, s.v., in DES III, 2378-2380; E. Pasztor, L'escatologia gioachimita nel francescanesimo: Pietro di Giovanni Olivi, in O. Capitani et Al., L'attesa della fine dei tempi nel Medioevo, Bologna 1990, 169-193; L. Potestà, Storia ed escatologia in Ubertino da Casale, Roma 1980.

O. Pasquato

SPIRITUALITA. (inizio)

I. Premessa. Mistica e s. sono due termini simili, ma non identici. La mistica si riferisce all'esperienza di Dio, mentre la s. all'intero processo di crescita, dall'inautenticità al rapporto concreto con Dio ed al possesso della sua verità come imago Dei. S. è, dunque, un termine più ampio.

L'aggettivo " mistico ", nella patristica, descriveva il misterioso, l'oggettivo contenuto di parola e sacramento, sia come significato profondo della Scrittura sia come Parola di Dio o come presenza reale nell'Eucaristia. Così, il Corpo mistico di Cristo si riferiva all'Eucaristia piuttosto che alla Chiesa. Dionigi Areopagita aggiunse l'elemento dell'esperienza e, attraverso i secoli, soprattutto nei tempi moderni, la personale enfasi soggettiva assunse il significato primario.

La mistica, talvolta, è un'ampia categoria di varie esperienze religiose esoteriche. Altre volte, si riferisce a forme più elevate di esperienza di Dio, che si ritrovano solo nei santi. Rifacendosi a K. Rahner si potrebbe definire l'esperienza mistica come la sola esperienza dello Spirito Santo dato e ricevuto in fede ed amore, e presente come la realtà trascendente insita in ogni attività morale dell'uomo. Questo orientamento di grazia verso Dio è l'esperienza atematica, anonima, della personale comunicazione di Dio. Si hanno più manifestazioni che differiscono l'una dall'altra soltanto nei gradi. Tali esperienze sono chiamate anche contemplazione e, per definizione, sono tutte infuse.

I. Forme di mistica. Una forma è la contemplazione latente ed implicita, nelle attività quotidiane. Questa forma di esperienza mistica presenta solo accenni della trascendenza divina. La persona è esplicitamente conscia dei profili tematici o categorici dell'atto, con alternanza della presenza divina, come si può trovare per esempio nelle esperienze limite di solitudine o nelle alte esperienze sulla cima di una montagna.

Una variante di questa forma è l'esperienza dello Spirito Santo nei doni carismatici. Questi consistono nel parlare in lingua, nell'operare guarigioni, nel fare rivelazioni, nell'avere visioni, ecc. Tali manifestazioni sensibili contengono la suddetta esperienza trascendente di Dio. Il tratto distintivo, in simili situazioni, è un esuberante entusiasmo che rivela la presenza e l'azione immediate di Dio.

Tale sensazione di immediatezza, comunque, è esagerata (Rahner la definisce " ingenua "), poiché la vicinanza deriva più dall'entusiasmo che dalla profondità e dalla purezza della fede, che sono la sola misura della vera presenza di Dio. L'immediatezza carismatica non è la stessa immediatezza associata alla classica contemplazione infusa.

Quest'ultima qualità si associa alla terza forma straordinaria, che è davvero un incontro immediato e diretto con il Dio vivente, come espresso nella preghiera di unione di Teresa d'Avila o nella contemplazione di unione di Giovanni della Croce. Rappresenta il completo raggiungimento dell'esperienza trascendente nella fede. Rahner la definisce mistica straordinaria, non perché sia un carisma speciale o un dono miracoloso, ma perché è rara ed è proprio delle persone veramente sante.

Mentre questa spiegazione teologica indica la realtà della grazia, gli aspetti psicologici dipendono dalla struttura psichica.

II. Il rapporto tra mistica e s. cambia conformemente a queste tre forme di esperienza mistica.

Mistica quotidiana è l'attività risultante da una piena fede ed è soprattutto propria della vita ascetica di costante preghiera attiva e di adempimento dei doveri quotidiani. Il metodo trascendentale ha scoperto ed identificato questa esperienza di Dio. Il desiderio di una simile esperienza spirituale trova eco in questo insegnamento. Ciò è lontano dall'essere una novità: si tratta della giusta strada indicata dalla Bibbia per giungere a Dio, ossia quella di una vita retta (cf Mic 6,8). La grazia, basata sull'esperienza in una vita di fede costante, riempie il vuoto tra ascetica e mistica o tra meditazione e contemplazione. Le due posizioni non sono ermeticamente chiuse l'una all'altra. Anche Giovanni della Croce le pone in relazione, identificandole come " piccole parti di spiritualità ", cioè come risultato della meditazione e dei doni carismatici che, effettivamente mascherati, sono da considerarsi una contemplazione nascosta.1

La mistica, così, è parte di ogni vita cristiana. La vita spirituale è radicalmente mistica, essenzialmente personale e relazionale, poiché in opposizione ad ogni riduttivo sistema di legge, di moralità o di pietà istituzionale. La religione impersonale oggi non è sufficiente, secondo la spesso citata massima di K. Rahner: " Il cristiano del futuro sarà un mistico o avrà fatto esperienza di qualche cosa del genere, oppure non sarà nulla ".2

La pratica ascetica crea un cuore puro, condizione necessaria per accogliere il dono divino. Questa è la via purificatrice che conduce alla contemplazione illuminante e di unione con Dio. Così, l'intero itinerario è mistico dal principio alla fine, cominciando dalla scelta sincera di Dio attraverso la purificazione passiva delle notti oscure, che sono esse stesse esperienze contemplative della presenza di Dio in sua assenza e della più alta unione con lui. La mistica autentica non dà spazio al quietismo ed impegna ogni aspetto della vita cristiana.

III. Mistica carismatica. Questa " mistica di massa ", come la definisce Rahner, è un'esperienza comprensibile, più frequente e accessibile rispetto all'esperienza rigorosamente mistica propria dei santi. Parte dal livello inferiore dell'immaginazione e del sentimento nutriti dai doni pentecostali. Si presenta come una qualità passiva ed empirica, avviene spontaneamente, spesso senza preavviso, e presuppone solo un cuore aperto ed in attesa. Il suo valore permanente, certamente, è la fede-esperienza alimentata da questi doni.

Le esperienze derivate da questi doni sono un insieme di carisma, fattori psichici e condizionamento culturale. In genere, il dono si fonda su un presupposto naturale e non cade dal cielo improvvisamente. Non è corretto considerare la mistica carismatica essenzialmente emozionale, ossia propria di una religiosità meno coinvolgente, dal momento che la sola misura per entrambe è rintracciabile in uno spirito ricolmo di fede. I fenomeni carismatici sono grazie occasionali e straordinarie, utili, ma non necessarie, ai fini della santità. Possono essere di grandissimo aiuto specialmente all'inizio, ma possono anche essere pericolosi, se scaturiscono da una s. esagerata e superficiale. E essenziale una buona direzione spirituale. In epoche di grande fervore, come nella Spagna del sec. XVI, direttori spirituali, come Giovanni della Croce, non davano importanza ai doni. In tempi razionalistici ed agnostici, invece, proprio questi doni possono svolgere un ruolo importante per il rinnovamento spirituale, come dimostra la recente storia dei movimenti carismatici e pentecostali.

IV. Mistica classica. La mistica straordinaria rappresenta l'apice dello sviluppo spirituale. L'incontro diretto con il Dio vivente è una componente necessaria e normale della piena santità? O la rigida, classica, " contemplazione infusa ", è una componente speciale, ma non indispensabile, della piena s.? Questi problemi, nella recente teologia mistica, sono stati molto discussi. La risposta di Rahner per il primo interrogativo è affermativa, mentre per il secondo è negativa, a condizione che si tenga presente che fattori psichici possono determinare certi aspetti psicologici dell'esperienza.

Le risposte del passato dipendevano tanto dalla definizione di termini come da principi teologici. Sorsero due principali scuole di pensiero. La posizione tomista - seguita da A. Sandreau e dai domenicani sotto la direzione di R. Garrigou-Lagrange e da J. Maritain - definiva la contemplazione infusa conoscenza ed amore infusi e spiegava ciò attraverso la teologia dei doni dello Spirito Santo, elaborata da Giovanni di San Tommaso ( 1644). Questa scuola considerava la contemplazione infusa normale e necessaria per raggiungere l'unione con Dio. L'altra scuola, formata in gran parte da gesuiti, basava la propria risposta sulla descrizione fortemente stilizzata dell'esperienza mistica, scoperta dallo studio positivistico dei mistici, intitolato Des grâces d'oraison (1921), del gesuita A. Poulain. Sotto questo profilo, l'esperienza mistica è uno speciale contatto divino, la sensazione di perdersi in Dio, così da non esserci ombra di dubbio che Dio è in noi e l'anima è in Dio.3 Per J. de Guibert questa esperienza va oltre l'evoluzione normale della grazia ed è una condizione speciale, non necessaria per la santità. De Guibert supponeva uno stato di " contemplazione acquisita ", che è possibile per ogni cristiano impegnato, come necessario e sufficiente per la santità.

Gli scrittori cattolici contemporanei si sono allontanati da queste discussioni scolastiche. Costoro preferiscono una qualità basata sull'esperienza, come componente di una s. naturale, seguendo la tendenza domenicana, ma senza necessariamente abbracciare la speciale teologia dei doni che sorregge questa visione e senza per questo interpretare il fenomeno psichico dell'esperienza mistica classica come grazia piuttosto che come struttura psichica. L'esperienza di Dio è un dato di fatto nella s. contemporanea, non solo come il coronamento del cammino spirituale, ma anche come una caratteristica chiave di comportamento lungo questo cammino. In altre parole, la mistica è insita nell'autentica s. cristiana.

Note: 1 Cf Salita del Monte Carmelo II, 17,18; 2 Theological Investigations, VII, New York 1983, 15; 3 Cf Teresa d'Avila, Vita 10,1.

Bibl. Aa.Vv., Spiritualità: fisionomia e compiti, Roma 1981; Aa.Vv., Problemi e prospettive di spiritualità, Brescia 1983; A. Matanic, s.v., in DES III, 2383-2385; K. Rahner, The Experience of the Holy Spirit, in Id., Theological Investigation, XVIII, New York 1983, 189-210; V. Rodríguez, Jean de Saint-Thomas, in DSAM VIII, 710-714; A. Solignac - M. Dupuy, s.v., in DSAM XIV, 1142-1173; J. Sudbrack, s.v., in WMy, 466; F. Vandenbroucke, Spiritualité et spiritualités, in Con 1 (1965)9, 41-62.

E. Larkin

SPIRITUS VERTIGINIS. (inizio)

I. L'espressione è del profeta Isaia. Si trova nella versione dei Settanta. Esprime lo sgomento in cui si trovano gli Egiziani per le tribolazioni che li affliggono (cf Is 19,14). S. Giovanni della Croce usa tale espressione per definire il grave smarrimento, che possono attraversare alcune anime mistiche. " Altre volte, scrive il Dottore mistico, viene dato ad essi [i proficienti] (al fine di essere provati, non perché cadano) un altro abominevole spirito, chiamato da Isaia spiritus vertiginis, il quale oscura loro il senso e li riempie di mille scrupoli e di dubbi tanto intricati e di altre molte perplessità che essi non solamente non trovano soddisfazione in nulla, ma neppure osano affidarsi al consiglio e al giudizio di altri. Questo costituisce una delle prove più crudeli di questa notte dei sensi e si avvicina molto alle angosce della purificazione spirituale ".1 Un esempio tipico di tal genere di prova si ha nella vita di S. Ignazio di Loyola, non molto dopo la sua conversione. Lo ossessionava il pensiero di non essersi confessato bene, nonostante le molte confessioni, alcune anche per iscritto. I suggerimenti dei confessori non lo tranquillizzavano. " Cominciò a gridare verso Dio: "Soccorrimi, Signore, ché io non trovo alcun rimedio negli uomini". Immerso in questi pensieri, gli venivano spesso, con grande impeto, tentazioni di buttarsi da un grande buco ". Si liberò, facendo una grave penitenza.2 Qualcosa di simile in P. Pio da Pietrelcina che così scriveva al suo direttore spirituale: " Il demonio strepita e ruggisce assiduamente intorno alla mia povera volontà. Non faccio altro in questo stato se non che dico con ferma soluzione, sebbene senza sentimento: Viva Gesù. Io credo... Ma chi può dirvi come pronunzio queste sante espressioni? Le pronunzio con timidezza, senza forza e senza coraggio, e grande violenza debbo fare a me stesso. Ditemi, padre, è possibile, è compatibile mai questo stato con la presenza di Dio in questa anima? Non è forse ciò effetto del ritiro di Dio da quest'anima? Padre mio, ve ne prego, parlatemi ancora una volta con tutta franchezza e sincerità. Suggeritemi il modo in cui debbo comportarmi per non offendere il Signore e se vi è speranza per me, che Iddio faccia ritorno in questa anima.

Le più fitte tenebre regnano ancora su tutto ciò che vado facendo. Un dubbio perenne mi attraversa l'anima in tutte le mie azioni. Un sentimento mi suggerisce sempre che opero in tutto con coscienza dubbia. Mi sforzo di ricordare ciò che l'autorità mi ha ordinato al riguardo, ma che volete! Il Signore mi confonde, non ricordo nulla di preciso. Che martirio costituisce anche questo per me! ".3

Note: 1 S. Giovanni della Croce, Notte oscura I, 14,3; 2 Ignazio di Loyola, Autobiografia, Milano 1992, 51-53, nn. 22, 24; 3 P. Pio da Pietrelcina, Epistolario, vol. 1, S. Giovanni Rotondo (FG) 1987, 838-839.

Bibl. J. Aumann, Teologia spirituale, Roma 1991, 476-485; I. Rodríguez, s.v., in DES III, 2403; cf voce Satana.

V. Marcozzi

SPOGLIAMENTO. (inizio)

I. Il termine s., poiché fa parte dell'ambito ascetico, come quello di nudità, risulta chiaro se accompagnato dagli aggettivi " interiore " e " spirituale ". In questo senso lo adoperano i mistici come Giovanni della Croce, Francesco di Sales e altri.

Il significato teologico-spirituale del vocabolo " s. " s'identifica, sotto certi aspetti, con quello di nudità, di povertà evangelica, di distacco, di purificazione e con alcuni altri. E un vocabolo classico del linguaggio ascetico-mistico. Ne sono testimonianza le numerose e diversificate fonti della storia della spiritualità cristiana. Il cammino spirituale dello s. include un aspetto negativo ed uno positivo: allude agli impegni e agli atteggiamenti precisi del cammino spirituale durante il quale la persona, vincendo il peccato, si spoglia e, progredendo nella disponibilità interiore per Cristo, diventa pronta per essere da lui e di lui rivestita.

II. Lo spogliarsi-rivestirsi nella Scrittura. Alla luce di Cristo, il cammino di s. è ben precisato da indicazioni bibliche del NT molto puntuali. Esse fanno riferimento a tutto ciò di cui ci si deve spogliare e a ciò di cui ci si deve rivestire: " Gettiamo via (...) le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce " (Rm 13,12); " Noi (...) dobbiamo essere (...) rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza " (1 Ts 5,8); " Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. (...) State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. (...) Prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio " (Ef 6,11.14-15.17); " Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri " (Col 3,12-13); " Restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto " (Lc 24, 49); " E necessario (...) che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità, e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura (...) " (1 Cor 15,53-54); " Vi siete [...] spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore " (Col 3,9b-10); " Sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi. In realtà, quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti " (2 Cor 5,2-4); " Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo " (Gal 3,27); " Rivestitevi (...) del Signore Gesù-Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri " (Rm 13,14).

Le citazioni bibliche sottolineano che lo s. diventa condizione perché ci si possa rivestire. In questo modo il termine s. dice che c'è qualcosa di cui l'uomo deve disfarsi.

E vero che il cristiano inaugura il cammino di s.-vestizione nel momento del battesimo, ma è attraverso la sua vita coerente con il Vangelo che egli si sottopone effettivamente agli impegni che corrispondono alla dialettica " spogliarsi-rivestirsi ".

Perché lo s. non risulti un'idea astratta, le citazioni bibliche, sottolineando che nel battesimo ci si è spogliati dell'uomo vecchio e rivestiti dell'uomo nuovo, cioè di Cristo, richiamano alla concretezza attraverso impegni precisi.

Lo s., che avviene per mezzo dell'esercizio delle virtù teologali della fede, speranza, carità e delle pratiche ascetiche, libera il cuore dell'uomo per Cristo. In sostanza, il cammino ascetico-spirituale dello s. porta, attraverso la liberazione sia dal peccato sia dai beni materiali, alla crescita nella libertà interiore. Questo tema richiama molto la spiritualità del deserto dell'AT, dove da una parte un risultato prodotto dallo s. fu quello di mettere l'uomo di fronte ai propri desideri e dall'altra si manifestò la potenza vivificante di Dio. Spogliato delle sue comodità, l'Israele fu tentato di far marcia indietro verso l'Egitto.

Riflettendo sulle citazioni bibliche notiamo che il significato ascetico-spirituale dello s. esprime la radicalità di vita per Cristo, il dono totale di sé a Dio. Cioè, lo s. può riferirsi ai beni esteriori, ma anche alla realtà più intima dell'uomo che si identifica con il suo " io ". Pertanto, il suo significato è più vicino a quello di denudamento che non a quello dello svestire. Mentre lo svestire significa la rottura di un legame, il denudamento, a sua volta, significa s. radicale perché esprime la rinuncia totale a tutto.

Considerando storicamente la problematica dello s. spirituale, si può notare come le modalità della sua attuazione furono diverse. La storia della spiritualità cristiana ha arricchito il significato del termine " s. " di molte e interessanti sfumature. Durante le persecuzioni dei cristiani nei primi tre secoli, il massimo dello s. fu rappresentato dal martirio. Successivamente, furono le vergini, gli asceti, i monaci a mostrare fino a che punto e come, nella Chiesa, accogliere l'invito di Cristo che chiama a rinunciare al mondo e a se stessi per seguirlo perché egli per primo " spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo " (Fil 2,7). Più tardi s. Francesco d'Assisi, rinunciando ai beni materiali e alla propria volontà, propose un modo tutto nuovo di seguire Cristo povero.

III. Nella riflessione teologico-spirituale. Il tema " s. " fu oggetto di riflessione teologica e di ideale di vita secondo il Vangelo da parte di molti santi e maestri spirituali. A titolo di esemplificazione si possono citare s. Giovanni della Croce e s. Francesco di Sales.

S. Giovanni della Croce ne parla nel secondo libro della Salita del Monte Carmelo. L'uomo, per arrivare all'unione intima con Dio, deve spogliarsi di ogni attaccamento alle creature: " Il vero amore consiste nello spogliarsi di tutto ciò che non è Dio ".1 Spiegando la necessità dello s., egli offre una definizione di ciò che significa l'unione mistica dell'anima con Dio, quando l'anima " si toglierà ogni velo ".2 E continua dicendo che l'unione con Dio " non si ottiene senza grande spogliamento di ogni cosa creata e senza una viva mortificazione ".3 Come ha fatto per la purificazione, egli ne parla sottolineandone l'aspetto attivo e quello passivo. L'uomo deve impegnarsi nello s., ma deve anche lasciarsi spogliare da Dio.

Il Dottore mistico insiste in modo particolare sul ruolo che hanno le virtù teologali per portare l'uomo all'unione con Dio.4 Anzi, siccome le persone impegnate nel cammino di perfezione " non sanno spogliarsi di tutto e governarsi secondo le dette tre virtù " 5 ritardano molto sulla via dell'unione con Dio.

Lo s., secondo Giovanni della Croce, è certamente l'impegno ascetico di abnegazione e di rinuncia, ma non è tutto. Egli vuole sottrarre progressivamente l'uomo alle influenze molteplici delle creature per renderlo sempre più disponibile all'influsso di Dio. Questo è il motivo per cui il cammino di s. viene esteso alla purificazione delle facoltà sensibili e spirituali.

Francesco di Sales, a sua volta, nel Trattato dell'Amore di Dio (Libro IX, cap. XVI) parla di " s. perfetto dell'anima unita alla volontà di Dio ". Ne è esempio Gesù: spogliato di tutti i suoi vestiti, esposto al rischio di perdere anche la propria pelle lacerata a colpi di verghe e flagelli. Di seguito, a causa della morte sofferta sulla croce, la sua anima fu spogliata del suo corpo e il corpo della sua vita. Nella risurrezione, l'anima di Gesù " si rivestì del suo corpo glorioso e il suo corpo della sua pelle immortale, vestendo abiti diversi, ora del pellegrino, ora del giardiniere, ora in altro modo, secondo quanto richiesto dalla salvezza degli uomini e dalla gloria del Padre ".6

In una predica per il Venerdì santo, Francesco di Sales disse: " Mi chiedo perché Nostro Signore abbia voluto essere completamente nudo sulla croce. La prima ragione fu perché, per mezzo della sua morte, voleva restituire all'uomo il suo stato di innocenza, mentre gli abiti che indossiamo sono la prova del nostro peccato. Non vi ricordate che Adamo, appena ebbe peccato, cominciò ad avere vergogna di se stesso e si fabbricò alla meno peggio un vestito? (...) Il Salvatore, con la sua nudità, dimostrava di essere la purezza in persona e, in più, restituiva agli uomini l'innocenza. Ma la ragione principale fu di insegnarci che, se vogliamo piacergli, dobbiamo spogliare e ridurre il nostro cuore alla stessa nudità che egli mostrava nel suo corpo, spogliandolo di ogni sorta di affetti ed esigenze, non desiderando e non amando altro che lui ".7

Un'altra caratteristica dello s., secondo Francesco di Sales, è la povertà. Lo disse in un'altra predica: " Il nostro Signore e Maestro (...) è morto completamente nudo e i suoi santi l'hanno seguito in quella povertà, lasciando tutto ed esponendosi coraggiosamente a tutte le privazioni che essa porta con sé ".8

Negli scritti di Francesco di Sales troviamo le tracce di un itinerario di s. " Il vero s. avviene attraverso tre gradi: il primo è il desiderio dello s., che nasce in noi per mezzo della considerazione della bellezza di esso; il secondo grado consiste nella risoluzione che segue il desiderio, poiché noi ci decidiamo facilmente a ciò che desideriamo; il terzo è la pratica, ed è il più difficile. I beni dei quali bisogna spogliarsi sono di tre generi: i beni esteriori, i beni del corpo, i beni dell'anima ".9

Secondo Francesco di Sales esiste un quarto genere di beni, come onore, stima, reputazione. Anche di questi bisogna spogliarsi cercando in tutto solo la gloria di Dio. Egli dice che spogliarsi di tutti questi beni vuol dire rimetterli nelle mani di Dio per disporre di essi come vorrà lui e servirlo in modo uguale sia con questi beni, sia senza di essi. Tutti questi spogliamenti e rinunce devono essere fatti non per disprezzo, ma per abnegazione, e per il solo amore puro di Dio.10

Note: 1 Salita del Monte Carmelo II, 5,7; 2 Ibid.; 3 Notte oscura II, 24,4; 4 Cf Salita..., o.c. II, 6,1-8; 5 Ibid., II, 6,8; 6 Libro IX, c. 16; 7 Opere, IX, 41-42; 8 Ibid., X, 146; 9 Ibid., VI, 122-123; 10 Cf Ibid. VI, 123.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM III, 455-502; B. Marchetti-Salvatori, s.v., in DES III, 2404-2406; A. Oepke, Gumnós, in GLNT I, 773ss.; Id., Duo, in GLNT II, 318ss.

J. Strus

STATO MISTICO. (inizio)

I. Natura. Lo s. potrebbe essere definito come l'abituale esperienza della presenza di Dio attraverso la sua conoscenza d'amore. Sul piano spirituale, tale stato è considerato il pieno sviluppo della vita cristiana; è tradizionalmente conosciuto come via unitiva ed associato agli stadi superiori di preghiera. I mistici cristiani, di cui Giovanni della Croce e Teresa d'Avila sono due notevoli esempi, sottolineano che con le sole forze umane, non è possibile raggiungere tale vertice di spirituale consapevolezza e di unione con Dio. In tutti gli stadi dell'itinerario spirituale, Dio guida la persona, passo dopo passo, dall'incipiente al proficiente, fino allo stadio di piena unione con Dio possibile in questa vita. Agli stadi iniziali, identificati con lo stadio ascetico, lo sforzo umano si esaurisce e le forme della preghiera sono principalmente discorsive. Il passaggio allo stadio mistico e il suo sviluppo sono guidati dall'opera dello Spirito Santo. La vita di preghiera, alla fine, conduce l'anima ad un atteggiamento sempre più semplificato e passivo, dove la passività è intesa come totale accoglienza dello Spirito. Come il modello di un pittore, il mistico apprende a rimanere inattivo per non impedire l'opera dell'artista.1

II. Sviluppo. Per Giovanni della Croce, lo s. inizia con la notte passiva dei sensi.2 Per Teresa, invece, ha inizio con la preghiera di quiete.3 Giovanni della Croce ricorre all'allegoria del cammino purificativo della notte dei sensi e dello spirito, descrivendo il percorso attraverso il quale l'anima viene distaccata da tutto ciò che impedisce la " luce divina della perfetta unione con Dio ".4 Mentre la contemplazione infusa segna l'inizio della via unitiva, lo s. abituale ha inizio con la preghiera di unione. La perfetta unione dello s. permanente si verifica quando c'è una totale conformità della volontà personale con la volontà divina. Infine, tutto l'essere del mistico viene trasformato ed integrato dalla profonda esperienza dell'amore di Dio. Tale trasformazione viene definita sia da Teresa che da Giovanni matrimonio mistico.

III. Effetti dello s. I fenomeni straordinari che accompagnano lo s., come locuzioni, visioni e rapimenti, sono secondari e distinti dall'essenza che consiste nell'unione d'amore con Dio. La permanente pace e quiete al centro dell'anima sono le caratteristiche della piena realizzazione dello s. A questo punto, viene ricostituito l'equilibrio del corpo e spariscono tutti i fenomeni straordinari 5 oppure si manifestano raramente e con minore evidenza.6

Il vero mistico vive la dimensione ecclesiale ed è saldamente radicato nella dottrina della Chiesa e nella vita liturgica e sacramentale. In virtù dell'incorporazione attraverso il battesimo nella comunità cristiana, il potenziale mistico risponde alla chiamata di Dio ad una vita di unione nel suo amore. Il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia alimenta e media l'esperienza completamente trasformante dello s. I cristiani, che sono membra del Corpo mistico di Cristo e sono uniti intorno alla mensa eucaristica, devono " divenire ciò che ricevono ".7

I mistici, così trasformati in Cristo, divengono spiritualmente fecondi, per questo desiderio di servire totalmente Dio e di comunicare ciò che hanno ricevuto come dono. Perciò divengono creativi, danno liberamente e sono completamente interessati agli altri. Poiché hanno sperimentato la morte del loro egoismo e sono intimamente uniti a Dio, portano sollievo ovunque vadano. Sono pieni di santo ardore nel servizio di Dio in qualsiasi situazione. Nel suo zelo apostolico, il mistico ormai trasformato in Dio si mostra mite, umile e paziente nei riguardi degli altri.8 I mistici illuminano in modo straordinario la realtà più profonda presente in ogni cristiano. Tutti sono potenzialmente mistici, toccati dalla grazia di Dio, chiamati alla conversione e, infine, alla mistica unione con Dio. Lo s. è semplicemente il pieno sbocciare della prima grazia ricevuta con il battesimo. Lo s. è vissuto nei solchi della vita quotidiana ed è fondato non solo sulla fervente preghiera, ma si riversa come amore sugli altri, indipendentemente dall'apparenza del servizio reso. Teresa d'Avila, infatti, saggiamente nota: " Il Signore non guarda alla grandezza delle opere, ma all'amore con il quale esse sono fatte ".9

Note: 1 Cf Giovanni della Croce, Notte oscura I, 10,5; 2 Ibid. II, 21; 3 Teresa d'Avila, Castello interiore IV, 2,2; 4 Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, Prologo 1; 5 Id., Notte..., o.c., II, 1,2; 6 Castello..., o.c., VII, 3,12; 7 S. Agostino, Sermoni 57,7,7; cf LG 11,12; SC 10; 8 Cf Giovanni della Croce, Detti di luce e d'amore, 27; 9 Teresa d'Avila, Castello..., o.c., VII, 4, 15.

Bibl. Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982; Aa.Vv., La mistica e le mistiche, Cinisello Balsamo (MI) 1996; P. Agaësse - M. Sales, Mystique, in DSAM X, 1939-1984; Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 19893; B. Calati, Western Mysticism, in Downside Review, 98 (1980), 201-213; D. De Pablo Maroto, Oración y experiencia de Dios, in REsp 36 (1977), 147-179; J. e R. Maritain, Vita di preghiera, Torino 1961; J. Moltmann, Théologie de l'expérience mystique, in Revue d'Histoire et de philosophie religieuses, 59 (1979), 1-18; C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988.

B. Merriman

STEIN EDITH. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce il 12 ottobre 1891 a Breslavia, l'attuale città polacca di Wroclaw da famiglia ebrea. All'università di Gottinga segue le lezioni del padre della fenomenologia, E. Husserl, e i corsi e le conferenze di M. Scheler. Attraverso gli studi di filosofia ricerca la Verità che trova leggendo l'autobiografia di Teresa d'Avila. Nel 1922 riceve il battesimo e nel 1933 entra nel Carmelo di Colonia. Muore martire in una camera a gas di Auschwitz il 9 agosto 1942.

Moltissime sono le opere della S. tutte pubblicate in edizione integrale con il titolo Edith Steins Werke in diciassette volumi a cura di L. Gelber - R Leuven, Lovanio Friburgo i.B. 1950 [1954]-1994. La sua dottrina mistica è contenuta soprattutto nell'opera postuma ed incompiuta Scientia Crucis. Studio su s. Giovanni della Croce, Roma 1982.

II. Dottrina mistica. " Dopo il mio ritorno a Dio mi sono sentita ebrea ": della tradizione del popolo d'Israele, a lei trasmessa dall'ambiente familiare, recupera il senso della preghiera, o meglio, si accorge di aver sempre pregato: " La mia sete di verità è stata una continua preghiera ".1 Ma è la passione di Cristo e per Cristo, cui si sente di " appartenere non solo spiritualmente, ma anche per la discendenza ", che la trasporta sulla vetta della mistica, luogo del libero e reciproco dono d'amore fra Dio e la creatura, perché l'amore, nella sua espressione più alta, non può che essere uno. " Tendono a questa consumazione tanto l'amore creato che si strugge e desidera (amor, Eros), quanto l'amore di Dio che, nella sua tenerezza, si piega sulla creatura (caritas, agape). Quando questi due amori si incontrano... è l'elezione mistica. Dio concede all'anima un incontro personale mediante un tocco che è una presa di contatto nell'intimo; apre ad essa il suo intimo attraverso speciali grazie che illuminano la sua natura e i suoi misteriosi disegni; le dona il suo cuore, dapprima come in un fuggevole abbraccio nell'attimo di un incontro personale (nell'orazione di unione), poi nel fidanzamento e, come continuo possesso, nel matrimonio mistico " (Scientia crucis, 198-200). Nascosta con Cristo in Dio, al leggero soffio dello Spirito, l'anima irradia l'amore divino nei cuori. Alimenta, così, il " mistico fiume " che attraversa la storia dei popoli, fiume dal quale essi attingono speranza e salvezza quando tutto viene meno.

E questa l'esperienza personale della S. che, nella persecuzione del suo popolo, ha percorso già in terra il cammino mistico della croce. Sposa dell'Agnello immolato può bere fino in fondo, insieme al Crocifisso, il calice di angoscia mortale che l'accomuna ai suoi fratelli ebrei e all'umanità intera. Ma, attraverso la croce e solo attraverso la morte di croce, Edith può raggiungere l'alba di una vita nuova perché la croce è il " simbolo trionfale con cui Cristo batte alla porta del cielo e la spalanca " (Ibid., 39).

Note: 1 Cit. da Teresia Renata de Spiritu Sancto in Edith Stein, Brescia 1952, lll.

Bibl. Le Opere di E. Stein sono in corso di pubblicazione in versione italiana per i tipi di Città Nuova Ed. di Roma. Studi: E. Ancilli, s.v., in DES III, 2412-2414; C. Bettinelli, Il pensiero di E. Stein, Milano 1976; L. Borriello (cura di) Edith Stein. Mistica e martire, Città del Vaticano 1992; E. de Miribel, Edith Stein, dall'Università al lager di Auschwitz, Alba (CN) 1987; Giovanna della Croce, Edith Stein. Una vita segnata dal primato dello Spirito, Milano 1991; Ead., (cura di), Sui sentieri della Verità, Cinisello Balsamo (MI) 1991; Ead., (cura di) Edith Stein. Vita-antologia-preghiere, Roma 1991.

C. Bettinelli

STILITI. (inizio)

I. Lo stilitismo. Il monachesimo siriaco è caratterizzato, oltre che dalla tradizionale vita eremitica e cenobitica, da diverse forme ascetiche sviluppatesi nel corso del sec. V, di cui lo stilitismo è la più conosciuta e la più singolare.

Gli s. (dal greco stylos, cioè colonna) vivevano per anni nella più completa immobilità sopra una colonna che, come spiega Teodoreto di Ciro testimone oculare delle loro imprese ascetiche, simbolicamente significa il progressivo distacco del monaco, in cammino verso la pienezza della perfezione, da ogni implicazione materiale. Come si può vedere anche oggi dai resti archeologici rimasti, le colonne degli stiliti erano generalmente collocate appena al di fuori dei centri abitati oppure lungo le grandi vie di comunicazione, come fanno fede i resti della colonna di s. Simeone il Grande ( 461), situata nei pressi della strada che congiungeva la ricca metropoli di Apamea con la città di Ciro.

Lo stilita svolgeva così, nello stesso tempo, una duplice missione: da una parte realizzava la pienezza di una vita solitaria, mentre dall'altra si poneva quale modello visibile da imitare, perché si manifestava simbolicamente come una " lucerna tanto brillante - sosteneva il vescovo di Ciro - collocata su un candelabro che proietta come un sole i suoi raggi ".

Questa pratica particolare, iniziata da s. Simeone il Grande, secondo alcuni studiosi nacque probabilmente dal fatto che nella Siria di allora non era per nulla facile isolarsi in luoghi naturalmente appartati a causa dell'elevata densità di popolazione presente nella regione. La fama degli stiliti si diffuse rapidamente oltre i confini dell'Impero romano e presso di loro accorrevano pellegrini in cerca di qualche consiglio o di una benedizione, come pure nobili o legati di sovrani che imploravano la loro intercessione divina, dato che la loro condizione spirituale, li rendeva simili agli angeli e quella fisica li collocava fra la terra e il cielo.

II. Pratica ascetico-mistica. La vita che lo stilita conduceva non era sottoposta ad alcuna regola comune; infatti, ogni asceta occupava la giornata secondo quanto gli suggeriva la propria coscienza; inoltre, era perennemente esposto in balìa degli elementi naturali. Simeone il Grande innalzò sulla piattaforma della sua colonna una tenda di pelle per ripararsi, in seguito venne comunemente costruita una piccola capanna dove l'asceta poteva, in parte, difendersi dai rigori del gelo come pure dai raggi brucianti del sole.

I maggiori rappresentanti dello stilitismo vissero prevalentemente in Siria tra il V e l'VIII secolo, ma il fenomeno non rimase circoscritto soltanto nell'ambito del monachesimo siriaco perché, sin dal sec. VII, esso valicò i confini regionali in cui si era espresso e si propagò rapidamente anche negli altri territori orientali dell'ecumene cristiana come testimoniano puntualmente numerose fonti delle varie epoche.

Tale pratica ascetica cominciò a subire un lento, ma inesorabile declino al sorgere del II millennio, per poi scomparire nel corso del sec. XV e riapparire temporaneamente nel secolo scorso grazie a san Serafino di Sarov ( 1833) e a due anonimi s., uno georgiano e un altro rumeno, vissuto nel monastero di Tizmana.

Questa forma ascetica era molto dura, ma aveva anche una valenza mistica poiché gli s., attraverso l'esercizio ascetico, puntavano direttamente alla pienezza della perfezione, rinunciando fisicamente ad ogni attaccamento umano, come ha evidenziato Eustazio di Tessalonica ( 1198) nella sua lettera Ad stylitam quemdam (PG 136, 217-264): " La colonna secondo la thèoria è come una scala capace di condurre al cielo colui che tende verso Dio; coloro che vi montano con perseveranza, senza lasciarsi distrarre, senza mai guardare indietro potranno essere chiamati a giusto titolo angeli di Dio " (83,217ss.).

Bibl. J. Besse, Anachorètes, in DTC I, 1140-1141; G. Colombas, Il monachesimo delle origini, Milano 1984, 144-148; H. Delehaye, Les saints stylites, Bruxelles 1962 rist.; J. Lacarriere, Les hommes, Livres de Dieu, Paris 1961; I. Peña, La straordinaria vita dei monaci siriaci (secc. IV-VI), Milano 1990, 31-49; I. Peña - P. Castellana - R. Fernandez, Les stylites syriens, Milano 1975; T. Spidlík, s.v., in DSAM XIV, 1267-1275; Teodoreto di Ciro, Historia religiosa: in PG 82.

R. D'Antiga

STIMMATE. (inizio)

I. Nozione. Sono ferite che appaiono spontaneamente sul corpo umano simili a quelle presenti sul corpo del Cristo dopo la sua crocifissione. Tali ferite abitualmente compaiono sulle mani, sui piedi e sul costato, talvolta anche sulla testa come se fossero state inferte da una corona di spine. S. Francesco d'Assisi fu il primo a sperimentare le s. nel 1224 a La Verna. Il dott. Imbert-Gourdeyre, nel suo libro La estigmatisation (Paris 1894), fornisce un lungo elenco di persone stigmatizzate.

II. Spiegazione del fenomeno. La moderna psichiatria asserisce la possibità che l'immaginazione sia in grado di produrre sia dolore e ferite nel corpo sia di far sudare sangue. Conseguentemente, l'impronta delle stimmate può essere il risultato di una delle tre cause seguenti, ossia: naturale (autoindotta), soprannaturale, oppure preternaturale (quindi proveniente da un potere diabolico).

Quando le s. sono un autentico fenomeno mistico di solito avvengono improvvisamente e inaspettatamente, causano un intenso dolore fisico e compaiono di solito di venerdì. Le ferite di questo tipo non si infettano mai, ma non possono cicatrizzarsi con metodi usuali.

Autentiche s. compaiono sul corpo di persone di grande virtù, oppure sul corpo di chi ha una forte devozione per la passione di Cristo o possono anche verificarsi durante uno stato di estasi o di profonda preghiera.

Bibl. P. Adnès, s.v., in DSAM XIV, 1211-1243; J. Bouflet, Il mistero delle stigmate, Cinisello Balsamo (MI) 1997; P.M. Marianeschi, Stimmate e medicina, Terni 1987; I. Rodríguez, s.v., in DES III, 2414-2418; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 1092-1101.

J. Aumann

STOLZ ANSELM. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Erkrath, in Germania, nel 1900, entra nell'abbazia benedettina di Gerleve (Westfalia) nel 1918, è professore all'Anselmianum di Roma dal 1928 alla sua morte avvenuta il 19 ottobre 1942. Nei suoi due libri principali, L'ascesi cristiana (Brescia 1943) e soprattutto Theologie der Mystik (Regensburg 1939), il suo insegnamento è segnato dall'importanza che egli accorda alla spiritualità patristica e ai temi biblici utilizzati per esporla, all'unità che egli mantiene tra Sacra Scrittura, liturgia, teologia, vita di preghiera e pratica dell'ascesi.

II. Insegnamento dottrinale. Per lui, la mistica è un cogliere, a livello esperienziale, la presenza di Dio e la sua azione nell'anima. I fenomeni straordinari come rivelazioni, visioni, locuzioni, stimmate non sono essenziali alla mistica. Di questa, S. propone l'interpretazione partendo dall'antropologia teologica, dalla redenzione e dal mistero della Chiesa. Mediante un'esperienza, come quella di s. Paolo, rapito al terzo cielo (cf 2 Cor 12,1-5), l'anima è come trasferita in paradiso, pur restando sulla terra. Ogni cristiano che partecipa, mediante il battesimo all'opera redentrice del Cristo, è chiamato a questo intero spiegamento della grazia, che è come una sorta di anticipazione della visione beatifica. Questa unione con Dio giunge alla sua piena realizzazione nell'Eucaristia. Perché essa diventi " mistica ", occorre che uno spiegamento di forze nuove faccia " sperimentare " la realtà di Dio. Ciò suppone una purificazione che è preparata dall'ascesi ed è effetto dei doni dello Spirito Santo. Questa grazia si manifesta nella psiche della persona, ma la supera e non si riduce ad essa. Questa unione col Padre nel Cristo e mediante lo Spirito suppone l'appartenenza alla Chiesa. Le grazie mistiche non sono solo date a titolo personale, ma comportano sempre una chiamata a servire Cristo nella Chiesa. In questa prospettiva, propriamente parlando non esiste mistica naturale né esperienza mistica al di fuori della Chiesa. Reazioni psicologiche simili a quelle dell'esperienza mistica possono ritrovarsi in altre religioni, ma solo quelli che vivono nella solidarietà con il Cristo giungono a questa pienezza dell'essere-cristiano. E questa è possibile solo quando la " grazia della croce " permette al cristiano, mediante la mortificazione ed il distacco, di prepararsi a ricevere questa unione totale con Dio che è come l'inizio della beatitudine. Tale concezione della mistica è essenzialmente trinitaria. Alcuni punti particolari della sua giustificazione dottrinale e soprattutto della sua applicazione pratica sono stati oggetto di critiche. Essa era un po' in reazione contro le posizioni di certi autori che davano, secondo S., un'importanza eccessiva alla psicologia.

La morte prematura non ha permesso a questo teologo di sviluppare ampiamente il suo insegnamento, almeno quanto ai suoi fondamenti dogmatici. Tuttavia per i temi tradizionali grazie ai quali egli li ha formulati, la sua dottrina ha conservato valore ed esercitato una grande influenza.

Bibl. B. Calati, Sapienza monastica, Roma 1994, 140-172; A. Lipari, Dottrina spirituale teologico-simbolica in A. Stolz, Palermo 1975; B. Neunheuser, s.v., in DES III, 2419-2420; E. Salmann, (cura di), La dottrina mistico-sapienzale di Anselmo Stolz, Roma 1988; G. Switek, s.v., in DSAM XIV, 1252-1257.

J. Leclercq

SUGGESTIONE. (inizio)

Premessa. Le psicodinamiche e la psicofisiologia della s. e dell'auto-s. aiutano a capire, almeno parzialmente, molti fenomeni e tra questi i processi di guarigione, sia di tipo clinico che extra-clinico. Le guarigioni miracolose sono da considerarsi extra-cliniche perché hanno una causalità, un decorso e una remissione diversa dai consueti parametri clinici. La suggestionabilità può aiutarci a comprendere, anche se in modo non completo, anche altri fenomeni religiosi come: stimmate, visioni, estasi, ematografie, ecc...

Bisogna tener presente che vi sono anche altri fenomeni analoghi a quelli summenzionati che si verificano in ambiti diversi da quello religioso e anche questi sono da considerarsi di tipo extra-clinico. A detta di alcuni, vi possono essere diagnosi e terapie in contesti paranormali che non necessariamente sono relazionati con una qualche religione. Anche questi fenomeni sono da considerarsi extra-clinici e possono trovare nella s. delle possibili ipotesi esplicative, benché non sempre esaurienti.

Anche se la s. non può spiegare tutto, si ritiene importante studiarla nella fenomenologia clinica per meglio usarla a scopi terapeutici e per comprendere meglio la fenomenologia extra-clinica specificamente religiosa. Questo aiuta a non farci gridare subito al miracolo, a non credere acriticamente al soprannaturale. Approfondire la s. aiuta ad essere più realisti.

I. Definizione e fenomenologia. La suggestionabilità potrebbe essere definita, in prima istanza, come la capacità di coinvolgimento emotivo. Un soggetto è tanto più suggestionabile quanto più è predisposto a rispondere empaticamente a un messaggio o ad una situazione.

Una parola, un simbolo, una modalità comunicativa o relazionale sono dette suggestive nella misura in cui suscitano sentimenti ed emozioni. Un'immagine fantastica può essere ugualmente suggestiva, se non anche di più, di un'immagine reale. Un panorama o una musica o una situazione immaginata o ricordata può essere più suggestiva di corrispettive percezioni reali.

La suggestionabilità - anche se in misura variabile - è presente in tutte le persone umane e in tutte le interazioni umane; essa è ineliminabile, ed entro certi limiti, non è un fattore patologico; anzi il tratto artistico e quello geniale non potrebbero sussistere senza un'adeguata permeabilità verso il mondo esterno e un'altrettanta predisposizione all'immaginazione fantastica. Queste due componenti sono alla base della creatività. Una personalità completamente refrattaria alla s. non esiste; lo psicotico è difficilmente suggestionabile perché è troppo chiuso nella logica del suo delirio e potrà essere suggestionato solo nella misura in cui si riesce a penetrare e a ricalcare i suoi processi deliranti. All'estremo opposto dello psicotico abbiamo lo psicolabile che per il suo fragile senso d'identità personale accetta così facilmente le suggestioni che non sa differenziare una idea sua da una suggeritagli.

La suggestionabilità è, quindi, un tratto della personalità che permette di verificare, da una parte, la permeabilità e recettività nei confronti del mondo esterno e, dall'altra, la consistenza del proprio Io.

La suggestionabilità è correlata con la comunicazione: non vi può essere uno scambio di messaggi se non si è sufficientemente aperti o permeabili nei confronti dell'esterno e, allo stesso tempo, essere se stessi con una buona consapevolezza delle proprie convinzioni. Non bisogna confondere la persona facilmente suggestionabile con un credulone; suggestionare è diverso dal convincere e dal persuadere. Anche se a volte queste categorie possono coesistere nella stessa struttura psichica bisogna precisare che suggestionabilità non è debolezza mentale o di carattere. Il grado di suggestionabilità varia con l'età e con le circostanze; molto dipende dallo stato di coscienza soggettivo e dalla struttura della situazione. La suggestionabilità raggiunge i massimi livelli con la trance profonda. Questo, però, non sempre si verifica.1 La suggestionabilità può aumentare con la ripetizione dello stesso messaggio o con messaggi diversi ma convergenti su una stessa idea. La suggestionabilità aumenta con un appropriato linguaggio figurato: con una comunicazione metaforica sintonizzata con l'inconscio del soggetto (comunicazione metaforica).2

Si può parlare di suggestionabilità inconscia in quei casi in cui a livello conscio il soggetto sembra non essere suggestionato, ma poi si comporta così come è stato condizionato. Questo è il caso delle suggestioni ricevute durante una fase particolare del sonno o durante l'anestesia totale. La s. indiretta è quella che pur non essendo percepita dalla coscienza del soggetto tuttavia conserva la sua efficacia.

La s. può arrivare a indurre una tipologia di sogni, condizionare e modificare dei riflessi, modulare le sensazioni del piacere e del dolore, alterare la percezione attraverso i sensi esterni ed interni e modificare, entro certo limiti, le funzioni viscerali ed endocrine. In altre parole, la s. ci rivela l'unità psicosomatica dell'essere umano.

Vi sono prove di suggestionabilità per indicare il grado di accettazione di stimoli immaginati e la propensione all'automatismo psicomotorio. Non si può parlare di prove oggettive di suggestionabilità; una delle migliori indicazioni la possiamo dedurre seguendo il criterio pragmatico: uno stimolo è tanto più " suggestivo " quanto più modifica il soggetto; i soggetti maggiormente suggestionabili sono quelli che più facilmente e più spontaneamente si modificano. Gli organi che maggiormente si modificano in risposta ad uno stimolo possono essere considerati come " organi più suggestionabili " e questa suggestionabilità d'organo varia con la struttura psicofisica del soggetto e della situazione sistemica.

" La s. si rivela così un processo psichico di carattere irrazionale e per gran parte inconscio a seguito di un particolare rapporto emotivo-affettivo ".3

Seguendo il criterio pragmatico, che un soggetto è tanto più suggestionabile quanto più si modifica per effetto di una comunicazione e una comunicazione è tanto più suggestiva quanto più riesce a modificare un soggetto, si può affermare anche che la trance è una condizione globale della persona in cui i processi ideativi sono talmente forti, vivaci e preponderanti che modificano i processi neuro-fisiologici. Quanto maggiori sono le modifiche dei processi organici tanto più suggestivi sono i processi ideativi. Un'idea o un'immaginazione è suggestiva nella misura in cui modifica. Quest'idea può essere comunicata da un'altra persona, e si parla di etero-s., oppure si può parlare di auto-s. quando una modifica (o un fenomeno) avviene sotto lo stimolo di un'idea o sensazione propria, non suggerita o comunicata da altri. L'unica variante sta nel fatto che lo stesso soggetto è la fonte ed il destinatario del messaggio suggestivo. Anzi, possiamo dire che ogni etero-s. è efficace nella misura in cui è resa auto-s.

La potenza della s. è difficile da prevedere se non post factum: come per un terremoto, la sua potenza è valutabile solo considerando ciò che ha prodotto. Da questo punto di vista, la valutazione della s. può essere rilevata a partire dallo schema junghano quadripartito: Sentimento - Emozione - Intelletto - Volontà. La s. è efficace nella misura in cui modifica l'intensità, le articolazioni e gli effetti di: sentimenti, emozioni, idee e volontà. Le manifestazioni psico-neuro-endocrino-immunologiche sono strettamente correlate a questo schema quadripartito.

I funzionamenti fisiologici generali, o quelli specifici di un apparato, possono essere modificati indistintamente sia per effetto di etero che per effetto di auto-s. Non è tanto la fonte d'informazione in quanto tale che aziona le modifiche, ma quanto più i processi ideativi sono suggestiti tanto più i processi fisiologici sono suggestionabili. Inoltre, i processi fisiologici più suggestionabili sono quelli più direttamente correlati con i processi ideativi più attivi.

La suggestionabilità costituzionale d'apparato corrisponde al grado di permeabilità costituzionale tra psiche e apparato.

In ogni soggetto c'è un apparato (cardiovascolare, muscolare, sensitivo, digerente, tegumentario, ecc...) più sensibile e permeabile dall'ideoplasia ipnotica, così come in ogni persona c'è un canale costituzionale preferenziale con cui essa si rapporta col mondo e per questo vi sono soggetti tendenzialmente visivi o prevalentemente uditivi o più spiccatamente cinestetici, o altro.

In altre parole, la suggestionabilità costituzionale d'apparato varia da soggetto a soggetto così come la psicodinamica sottostante uno stesso sintomo varia da soggetto a soggetto; ed è per questo che l'ipnosi clinica è un abito tutto da inventare a partire dall'unicità e irripetibilità del paziente (così come anche tenendo presente la personalità e la formazione del terapeuta).

Queste sono le basi per comprendere in gran parte sia la fenomenologia clinica della psicosomatica che la fenomenologia religiosa di alcune manifestazioni mistiche.

L'esperienza ci porta a constatare come non esista un discorso politico, un giornale di qualunque tipo, un programma radiofonico o televisivo, una rappresentazione teatrale o un qualunque modo di vestirsi o di parlare che non intenda - direttamente o no, inconsciamente o meno - dare delle suggestioni, suggestionare o impressionare qualcuno.

Il motivo di tutto ciò è semplice: ogni comunicazione implica una s. e, dal momento che non si può non comunicare, allora si può dire che non si può non suggestionare, comunicare è suggestionare e ogni s. è una comunicazione.

II. Suggestionabilità e religiosità. Non dovrebbe meravigliare se si afferma che anche la religione e la religiosità implicano la suggestionabilità, così come avviene per tutti gli altri ambiti del vivere umano.

Se da una parte è facile accettare l'inevitabile implicazione della s. nella comunicazione a contenuto religioso, dall'altra è molto difficile verificare il ruolo della s. nella fenomenologia religiosa; come per esempio stimmate, sudori sanguigni, estasi mistiche, visioni, guarigioni, ecc...

Perciò non è cosa nuova o molto originale evidenziare la s. nella religiosità, dal momento che la s. è implicita in ogni attività umana. Bisogna subito chiarire che il credente è tale non perché è suggestionabile o perché si lascia suggestionare da forme e contenuti fideistici o dai ministri del culto. La fede, o la conversione, per s. non è autentica.

Anche se la s. può essere riscontrata in tutte le confessioni religiose e nelle varie tipologie di religiosità, tuttavia non si può dire che il credente sia più suggestionabile dell'ateo (o il contrario) né che la presenza della componente suggestiva nella fenomenologia religiosa invalidi la sua autenticità.

La suggestionabilità è parte integrante della natura umana così come lo è dell'emotività e dell'intelligenza; queste dimensioni possono restare inalterate durante l'evento miracoloso. In questa problematica così vasta, scelgo solo poche ed emblematiche considerazioni non tanto per dare soluzioni quanto perché da una discussione interdisciplinare possa nascere una conoscenza più completa della realtà.

III. I miracoli. Qual è il ruolo della s. in questi eventi clinici, a dir poco sbalorditivi? Qual è il ruolo della s. nelle stimmate, nelle guarigioni miracolose e nella grafia ematica?

Questi fenomeni avvengono solo e unicamente per un intervento soprannaturale oppure possono essere provocati anche artificialmente, o sperimentalmente?

Un caso emblematico può essere quello studiato da Granone, si tratta della grafia ematica di Natuzza Evolo.

" Il prof. Puca apponeva un fazzoletto di lino sotto la camicia nella parte dorsale e lo lasciava durante la notte sotto il controllo continuo delle due infermiere. Al mattino veniva fatto il prelievo e si riconoscevano tipiche figure e iscrizioni in italiano e latino, sempre a contenuto religioso ".4

Il Granone ammette che è difficile dare una inequivocabile interpretazione neurofisiologica di questo fenomeno, tuttavia tenta una spiegazione ipotetica e teorica. Una percezione formale dirottata dalle vie piramidali alle vie vegetative con una " eccezionale correlazione cortico-mesencefalica, per cui la corteccia appronterebbe l'immagine da riprodurre e il mesencefalo agirebbe per via vasomotrice-diapedesica ".5 L'auto-s. sostenuta da una rappresentazione vivace in fase di alta concentrazione emotiva potrebbe provocare stimmate e sudore ematico in determinate parti del corpo stabilite in precedenza per s. etero-indotta o per auto-suggestione conscia o inconscia.

Per quanto riguarda le guarigioni miracolose bisognerebbe tener presente - continua Granone - che a Lourdes si è riscontrato come le guarigioni più numerose si verificano in persone tra i quindici e i trent'anni, nell'età, cioè, in cui è più rigogliosa la vita istintivo-affettiva, è più vivida la potenza plastica delle immagini; quasi come se l'evento " per compiersi abbia bisogno di un potenziale energetico come solo particolari condizioni di pathos o di trance ipnotica possono suscitare; mentre dove l'organismo, perché immaturo, o perché vecchio, non ha a disposizione tali ricchezze energetiche e possibilità vitali, l'evento miracoloso difficilmente accadrebbe ".6

Poi, in queste guarigioni miracolose, bisogna anche considerare il valore e il ruolo della componente psicosomatica.

Infatti, bisogna tenere in conto la particolare psicodinamica del disturbo e come questo interagisce con la particolare struttura psichica e come questi due elementi interagiscono con la variabile situazionale, ossia la circostanza ambientale che abbraccia soprattutto il tipo di relazioni tra coloro che circondano il malato da miracolare. Tutto questo rappresenta un sistema di variabili che - qualora dovessero verificarsi determinate concomitanze - potrebbe illuminare maggiormente l'evento miracoloso. Infatti, in alcuni casi gli elementi fideistici e una potente atmosfera suggestiva, che pervade l'ambiente in certi momenti di grande misticismo, possono incidere positivamente sull'esito della patologia.

A questo, però, si deve subito aggiungere che bisogna riconoscere come a Lourdes in 233 cartelle cliniche di guarigioni extra-mediche esistono casi di guarigione soprannaturale, ineccepibili al vaglio della più rigorosa critica obiettiva. Questo dato lo riconosce anche Granone.

Inoltre, bisogna considerare che una guarigione, miracolosa per quanto possa essere, non può mai creare un arto. Vi sono molti casi di arti malati che sono stati guariti, ma mai di un arto amputato che è stato rigenerato.

L'atteggiamento prudenziale della Chiesa - come anche quello della scienza medica - per " guarigione " intende non solo la regressione sintomatologica ma di completa restituitio ad integrum; ossia, l'assenza della patologia prima presente così che l'individuo ritorna ad essere sano così com'era prima che subentrasse la patologia. Questo concetto di " guarigione " è discusso sia dai teologi che dai clinici perché interagisce col concetto di " normalità funzionale ". Infatti, è molto teorico presumere che un individuo una volta ammalatosi possa realmente tornare alla originaria integrità.

Bisogna anche vedere se la guarigione è completa o parziale, se il cambio sintomatologico è apparente o reale, istantaneo o graduale, se è duraturo o provvisorio. In altre parole, è molto meglio non gridare subito al miracolo.

Personalmente condivido in pieno l'atteggiamento prudenziale della Chiesa nel riconoscere una remissione sintomatologica come " miracolosa " proprio perché tanti meccanismi della s. non ci sono ancora noti perciò bisognerebbe indagare ancora più in profondità, nell'ambito clinico, sulla potenza della s. e rimane ancora moltissimo da capire, dal punto di vista teologico, come la volontà di Dio interagisca con le leggi della natura.

Le stimmate possono essere provocate sperimentalmente con la s.7 La componente emotiva-suggestiva delle stimmate era già stata evidenziata da tempo,8 però mancava la documentazione clinica specifica alla trance ipnotica.

Infatti, in trance ipnotica è possibile, con suggestioni adatte, modificare la temperatura generale del corpo abbassandola o elevandola; e altrettanto si può fare con una particolare parte del corpo. In altre parole, in trance ipnotica, con opportune suggestioni e in soggetti adatti è possibile far provare maggior calore alle mani o addirittura una scottatura. Ciò che è sorprendente, è che in alcuni soggetti non solo c'è il dolore della scottatura, ma anche la reazione dermica specifica delle scottature.9

Se ad un soggetto, che ha una particolare predisposizione a queste suggestioni, facciamo allucinare quanto ora detto alle palme e ai dorsi di entrambe le mani, allora potremo avere una sintomatologia simile a quelle delle stimmate. Questo risultato può essere ottenuto sia tramite l'etero-s. (l'ipnotizzatore che suggestiona il soggetto) che tramite l'auto-s. (il soggetto che suggestiona se stesso).10

In quest'ultimo caso, se questo soggetto con questa particolare suggestionabilità dovesse essere un fervente cristiano allora sarebbe molto difficile definire il confine tra il miracolo (inteso come " intervento straordinario di Dio ") e l'auto-s. (intesa come una componente normale e ordinaria della natura umana).11

Sono ancora molti gli interrogativi che restano: perché tra le persone stimmatizzate sono più le donne che gli uomini?

Perché le stimmate non avvengono a livello dei polsi tra radio e ulna, là dove si metteva realmente il chiodo? Sembra che l'iconografia sacra abbia spostato il posto dove furono conficcati i chiodi per evidenziare una concordanza strettamente letterale della profezia riguardante la morte in croce del Messia: " Hanno forato le mie mani e i miei piedi " (Sal 22, 17). Perché possono formarsi e scomparire in tempi rapidissimi? Perché le persone stimmatizzate o i veggenti non dicono nulla di nuovo che già le Scritture, o i Papi, o i santi non abbiano già detto?

In poche parole, con le conoscenze che oggi abbiamo sulla scienza della s. non possiamo ancora dire di essere in grado di definire con esattezza il ruolo della s. nella fenomenologia clinica di un mistico e nelle guarigioni miracolose.

IV. In conclusione, bisognerebbe chiarire qualcosa che i clinici danno per scontato, ma che i teologi tengono a precisare.

Chi ha le visioni eo le stimmate non è detto che debba essere necessariamente un mistico. Non è detto che il mistico per essere tale deve avere una certa fenomenologia al di fuori dell'ordinario.

Dal punto di vista teologico si può affermare che una certa fenomenologia psicofisiologica " straordinaria " (stimmate, visioni, levitazione del corpo, bilocazione, precognizione, ecc...) è più un'eccezione che una regola nella vita dei mistici cristiani. Inoltre, nei processi di beatificazione e di canonizzazione questi fenomeni costituiscono più un ostacolo che una garanzia nel provare un modello di santità di vita.12

Un altro chiarimento. Potremmo chiederci: perché è tanto importante stabilire il ruolo e la funzione della s. nei fenomeni religiosi? In effetti, sembra che una preoccupazione come questa dovrebbe essere più del clinico che del fedele.

Infatti, per chi ha fede importa poco il " come " Dio fa un miracolo; per il credente è molto più importante il " perché " Dio fa un miracolo, il suo significato soggettivo riferito alla sua salvezza e il significato oggettivo, quello riferito alla salvezza dell'umanità. Non rientra nei compiti del credente quello d'indagare, appurare e verificare se Dio usa o no le leggi della natura e quali leggi egli viola per un intervento straordinario onde portare a termine un suo piano (di salvezza).

Dio può manifestare la sua volontà in un caso specifico intervenendo direttamente sulla materia o indirettamente sulle leggi che egli stesso ha dato a questa materia da lui stesso creata. Per chi ha fede, un fiore selvatico, un tramonto, il cielo stellato, un bimbo che gioca... tutto può essere, anzi è un miracolo.13

Non è detto che un intervento ordinario o straordinario di Dio debba sempre e necessariamente contraddire o scavalcare le leggi della natura. Anzi, sembra che Dio preferisca manifestare all'uomo il soprannaturale più con mezzi naturali (cioè attraverso la natura e le sue leggi) che con espliciti mezzi soprannaturali (che sembrano, appunto, rare eccezioni). Comunque, non devo essere io, uomo, a dire a Dio come e magari anche quando e dove e a chi egli deve manifestare i suoi interventi straordinari. A volte si ha paura di scoprire ed evidenziare una forte componente emotiva e suggestiva negli eventi miracolosi come se queste componenti sminuissero la portata dell'evento miracoloso. L'emotività e la suggestionabilità sono naturali e vengono regolate da leggi della natura; le nostre teorie non sminuiscono il valore di un miracolo. Su questo potrebbero concordare sia il laico che il religioso. Il valore di Dio e della religione resta inalterato sia quando si riteneva che il sole girasse intorno alla terra sia dopo, quando si scoprì il contrario e altrettanto sarà per il futuro quando si scopriranno nuove leggi.

Conoscere ciò che è naturale può avvicinarci al soprannaturale.

Note: 1 A. Pacciolla, Ipnosi: Benessere psicofisico e risorse mentali, Roma 1994; 2 Id., La comunicazione metaforica, Roma 1991; 3 F. Granone, Trattato di ipnosi, Torino 1989, 189; 4 Ibid., 28; 5 Ibid., 290; 6 Ibid., 332; 7 C.J. Simpson, Le stigmate: patologia o miracolo?, in British Medical Journal, Ediz. It., 1986, V, 404; 8 A. ImbertGourbeyre, La stigmatisation, Clermont 1894; 9 F. Pattie, The Production of Blisters by Hypnotic Suggestion: a Review, in Journal of Abnormal Psychology, 36 (1941), 62-72; G.L. Paul, The Production of Blisters by Hypnotic Suggestion Another Loock, in Psychosomatic Medicine, 25 (1963), 233-244; 10 R. Bion, The Riddle of the Stigma, London 1962; L.F. Early - J.E. Lifschutz, A Case of Stigmata, in Archives of General Psychiatry, 30 (1974), 197-200; R.A. Lord, A Note on Stigmata, in American Immago, 14 (1957), 299-301; 11 F.A. Whitlock - J.V. Hynes J.V, Religious Stigmatisation: an Historical and Psychophysiological Enquiry, in Psychol. Med., 8 (1978), 185-202; 12 I motivi per procedere con molta cautela nel riconoscere un fenomeno straordinario come " miracolo " sono vari: è possibile che quel fenomeno sia semplicemente " raro " oppure " sembri " straordinario solo perché non si conoscono le leggi della natura che lo hanno determinato: molte volte, in effetti, non è necessario scomodare il soprannaturale per spiegare un accadimento naturale. Per la teologia cristiana, inoltre, bisogna essere cauti nel riconoscere come " miracolosa " questa fenomenologia anche perché la sua causa - sempre secondo la teologia cattolica - potrebbe essere di natura opposta a quella divina; ossia, una fenomenologia apparentemente miracolosa potrebbe essere causata dal principio del male, il maligno, quello che viene identificato come diavolo o Satana; 13 Per la teologia cristiana il miracolo più grande è la risurrezione di Cristo e questa viene celebrata con un altro miracolo: l'Eucaristia. Tutti gli altri miracoli sono subordinati a questo nucleo essenziale e imprescindibile.

Bibl. R. Bion, The Riddle of the Stigma, London 1962; L. F. Early - J.E. Lifschutz, A Case of Stigmata, in Archives of General Psychiatry, 30 (1974), pp. 197-200; F. Granone, Trattato di Ipnosi, I, Torino 1989, 189; A. Imbert-Gourbeyre, La stigmatisation, Clermont 1894; R.A. Lord, A Note on Stigmata, in American Immago, 14 (1957), 299-301; A. Pacciolla, La comunicazione metaforica, Roma 1991; Id., Ipnosi: Benessere psicofisico e risorse mentali, Cinisello Balsamo (MI) 1994; F. Pattie, The Production of Blisters by Hypnotic Suggestion: a Review, in Journal of Abnormal Psychology, 36 (1941), 62-72; G.L. Paul, The Production of Blisters by Hypnotic Suggestion Another Lock, in Psychosomatic Medicine, 25 (1963), 233-244; C.J. Simpson, Le stigmate: patologia o miracolo?, in British Medical Journal, ediz. it., 1986, vol. 5, 404-405; F.A. Whitlock - J.V. Hynes, Religious Stigmatisation: an Historical and Psychophysiological Enquiry, in Psychol. Med., 8 (1978), 185-202.

A. Pacciolla

SUPERBIA. (inizio)

I. Il significato. La tradizione etica e spirituale cristiana è concorde nell'additare la s. come il primo di tutti i vizi e la radice di tutti i mali: Vitiorum omnium humanorum causa, sintetizza s. Agostino,1 radix omnium malorum.2 Si contrappone all'umiltà. A chi ha chiaro il ruolo e i contenuti di questa virtù diventa possibile percepire la complessità e i danni della s. Essa determina un senso di sé sempre più chiuso alla verità, prigioniero dell'illusione, pronto alla strumentalizzazione degli altri.

La si riscontra già nel comportamento di Adamo (cf Gn 3,1-9). Rifiutando la dipendenza da Dio, connessa con il riconoscimento della creaturalità, l'uomo respinge la propria verità e si erge ad assoluto. Facendo così, però, svuota di senso la storia e la consegna in mano al potere del peccato. Alla verità si sostituisce la violenza arrogante che è sempre fonte di morte.

II. Nella realtà storica. Il superbo è chiuso al senso della vita come realtà da scoprire, riconoscere, accettare. Si illude di poterlo sostituire con qualcosa che è solo opera sua. Nel tentativo di legittimare il rifiuto della propria creaturalità, si sforza di elaborare un volto di Dio sospettoso e in competizione frontale con la libertà dell'uomo: trasforma Dio in idolo. Allo stesso tempo, è talmente prigioniero di se stesso, da rigettare e dimenticare la fondamentale reciprocità solidale che ci lega gli uni agli altri. Il centro e la misura delle decisioni diventa l'io esaltato al di là delle sue possibilità.

Il superbo rifiuta di riconoscere i limiti presenti nella sua storia. Nei loro riguardi preferisce percorrere la strada - sempre illusoria - della copertura e della rimozione. Tutti i mezzi a questo fine gli appaiono giustificati. E quando non gli è più permesso di sfuggire al loro impatto, si svela drammaticamente fragile per sostenerli, fino al punto non solo di rinunciare alla stessa vita in nome della sua qualità, ma di trasformare tale rinuncia in diritto.

Il superbo è incapace di autentici rapporti con gli altri e con Dio. Tutti sono oggettivati come strumenti di cui servirsi o minacce da cui difendersi. Un'amara solitudine, difesa a volte accanitamente, è il destino cui va incontro. Essa non può mai dare felicità vera, anche quando è sovraccarica di consumi. Ma il superbo farà di tutto per non riconoscere ciò.

Una delle forme più gravi della s. è quella della libertà eretta ad " assoluto " e unica " sorgente di valori " (VS 32). In nome dell'autonomia umana viene indebolita o addirittura negata " la dipendenza della libertà dalla verità " (Ibid. 34), dimenticando che " la vera autonomia morale dell'uomo non significa affatto il rifiuto bensì l'accoglienza della legge morale " (Ibid. 41).

Ugualmente grave è la s. dell'ostentazione di ricchezze e di mezzi.

Il superamento della s. sta prima di tutto nel ridestare il bisogno di verità e di senso. L'annunzio dell'autentico volto di Dio, come emerge nel mistero pasquale del Cristo, permetterà di vivere la creaturalità non come limite, ma come possibilità e il dono della rinascita filiale come apertura sulla stessa pienezza di Dio. Diventa allora possibile maturare un senso di sé aperto alla reciprocità, al dono, al servizio.

Note: 1 PL 44, 168; 2 PL 35, 2039.

Bibl. P. Adnés, Orgueil, in DSAM XI, 907-933; G. Bertram, Ybris, in GLNT XIV, 5-38; E. Güting, Orgoglio, superbia, in DCT, 1126-1129; P. Sciadini, s.v., in DES III, 2428-2430.

S. Majorano

SURIN JEAN JOSEPH. (inizio)

I. Cenni biografici. Nato a Bordeaux, nel 1600, in una famiglia borghese, Jean Joseph Surin è uno dei grandi mistici e scrittori di spiritualità della Compagnia di Gesù. A dodici anni, mentre prega in chiesa, riceve una grande luce soprannaturale che gli rivela in modo ineffabile la grandezza inconcepibile delle meraviglie divine. A sedici anni, contro la volontà paterna, entra nel noviziato dei gesuiti. Nonostante la sua fragilità psicologica e l'interruzione degli studi a causa della sua precaria salute psichica, è ordinato sacerdote nel 1626; alcuni anni dopo, frequenta il terzo anno sotto la guida dell'eminente direttore spirituale L. Lallemant.

Nel 1636, i suoi superiori lo assegnano a Loudun per esorcizzare le suore del convento, considerate possedute dal diavolo, in particolare la superiora, Madre Jeanne degli Angeli. Le suore, sotto la guida sapiente e serena della madre superiora, conducono nel convento una vita comunitaria esemplare. Ma quando appaiono in pubblico per l'esorcismo, urlano bestemmie ed oscenità e sembra abbiano demoni che parlino per loro tramite. S. è convinto che siano possedute dagli spiriti del male.

Comincia allora ad avere periodi speciali di fervente preghiera, con grandi consolazioni e grazie speciali. In un'occasione, pregando con particolare ardore per la liberazione di Madre Jeanne degli Angeli e le altre suore, si offre a Dio come vittima, disposto ad essere posseduto lui stesso dagli spiriti del male in cambio della liberazione delle suore. Da quel momento riceve ancora grazie più speciali nella preghiera, come visioni, e comincia a comportarsi stranamente, specialmente in pubblico, contorcendosi, viso e corpo, fuori di ogni controllo. Nel 1638, mentre Madre Jeanne sta facendo gli Esercizi spirituali di sant' Ignazio sotto la direzione di S., è liberata da tutte le difficoltà e cosí accade anche per le altre suore. Dall'altra parte, S., convinto di essere infestato dagli spiriti del male, comincia a comportarsi ancora più stranamente, passando periodi d'intensa attività alternati con attacchi di depressione e inattività.

Tre o quattro anni più tardi viene trasferito nell'infermeria dei gesuiti e tenuto sotto continua sorveglianza. Chiaramente non sa più che cosa stia facendo. Dopo un tentato suicidio, gettandosi dalla finestra, si rompe una gamba, rimane a letto per cinque anni, in uno stato di semi paralisi. Rimane malato di mente in modo acuto per ancora quindici anni, mostrando sintomi di schizofrenia e dissociazione della personalità. Rimane spesso in uno stato di semi paralisi di origine psicosomatica. E convinto che il suo problema sia una possessione demoniaca, non di tutta la sua persona, ma della sua volontà e consapevolezza. Più tardi, S. ricorda che la sua più grande sofferenza è la disperazione, nella convinzione di essere dannato all'inferno per sempre.

Certamente la malattia di S. è una grave psicopatologia. E oppresso anche in qualche modo dagli spiriti del male? Egli pensa che lo sia, ed anche dopo la sua guarigione si convince di essere stato posseduto dal diavolo. Durante la sua vita, molti dei suoi compagni gesuiti lo credono semplicemente malato psichiatrico piuttosto che vittima dei demoni. Potrebbe aver subito entrambi i casi. Non esiste nessuna contraddizione nel dire che egli è molto malato e soffre, allo stesso tempo, serie oppressioni diaboliche.

Verso il 1650, comincia a sentirsi meglio. Dal 1655 incomincia a scrivere ed a parlare in pubblico. Nel 1661 riprende a celebrare la Messa e a condurre vita normale nella comunità gesuita, scrivendo numerose lettere ed alcuni libri, predicando, e offrendo direzione spirituale. Muore nell'aprile del 1665.

II. Dottrina spirituale. Gli insegnamenti contenuti negli scritti di S. si possono evincere dalla sua vita così tanto sofferta. La sua dottrina spirituale sottolinea l'importanza dell'esperienza e del fattore psicologico. I suoi insegnamenti spirituali insistono sul bisogno del " gusto di Dio " e sulla conoscenza di Dio. Si tiene lontano dall'astrazione e da qualunque genere di linguaggio metafisico o di sistematicità del pensiero. S. ha espresso se stesso più che altro in simboli. Per lui Dio è in ogni luogo ed in ogni cosa. Dal suo punto di vista, non c'è nulla di panteistico; seppure è percepito, conosciuto, indistintamente nelle cose ed attraverso tutte le cose e più direttamente nella preghiera, tuttavia Dio rimane completamente distinto dalle sue creature.

Una sola cosa importa: amare Dio. Per S., amare Dio significa scegliere Dio, perciò rigettare il mondo. La sua dottrina è rigorosamente ascetica nel senso che invita ad un radicale e totale rifiuto di qualunque cosa che potrebbe non condurre a Dio. L'animo di S., invece, è mistico non ascetico. La sua spiritualità, come quella di s. Giovanni della Croce, non lascia alcuna possibilità per alcun compromesso. Ció che conta è l'amore di Dio. Chiunque fa l'esperienza dell'amore di Dio conosce, attraverso questo amore ed a causa di esso, chi è Dio. Egli conosce Dio.

Bibl. Opere: J.J. Surin, Guida spirituale alla perfezione, a cura di M. de Certeau, Cinisello Balsamo (MI) 1988; Id., I fondamenti della vita spirituale, tratti da L'Imitazione di Cristo, Roma 1994; M. de Certeau (ed.), Jean Joseph Surin - Correspondance, Paris 1966. Studi: C. Becker, s.v., in WMy, 472; S. Breton, Deux mystiques de l'excès: J.-J. Surin et Maître Eckhart, Paris 1985; M. Dupuy, s.v., in DSAM XIV, 1310-1325; D. Mondrone, Il celebre " caso Surin ", in CivCat 101 (1950)2, 177-187.

R. Faricy

SUSO(NE) ENRICO. (inizio)

I. Vita ed opere. Susone Enrico (in ted. Seuse), nato a Costanza (o Überlingen), il 21 marzo 1295, a tredici anni entra nell'Ordine domenicano. Perfezionati gli studi a Colonia, presto diventa lettore e priore a Costanza. Nel 1330, accusato (al Capitolo Generale di Maastricht) di aver difeso la dottrina (eterodossa) di Eckhart, è costretto a ritirarsi dall'insegnamento e si dedica a opere pastorali, specialmente alla direzione spirituale delle domenicane. Ne fanno eco trentotto lettere in forma di istruzioni spirituali. Allo scatenarsi della lotta di Ludovico il Bavaro ( 1347) contro il papa, ripara con la comunità domenicana a Diessenhofen (1339-13467). Tornato a Costanza, è di nuovo priore, ma in seguito a gravi diffamazioni si trasferisce a Ulma, dove procede alla redazione delle sue opere principali, raccolte nell'Esemplare: la Vita o Autobiografia spirituale, che risale in gran parte a Elisabetta Stagel, sua figlia spirituale e monaca di Toess, ma da lui rielaborata; il Libretto della verità (1328) e il Libretto dell'Eterna Sapienza (1331, nel 1334 anche in lat.: Horologium Sapientiae), entrambi in forma di dialogo tra la Sapienza e il discepolo, e le Lettere. Muore a Ulma il 25 gennaio 1366.

II. Dottrina mistica. " L'ultimo poeta dell'amore ", come S. è stato definito, è " il più amabile dei mistici tedeschi " (Walz, Aumann). Una profonda esperienza estatica della Sapienza divina (21 gennaio 1314) decide sull'orientamento della sua vita interiore. Ricordandosi degli amanti del mondo che portano scritto sul petto il nome dell'amata, incide sul cuore il nome di Gesù e si dona all'Amore divino. Nell'Autobiografia, S. è il cavaliere che coraggiosamente combatte per possedere l'amata Sposa, il cavaliere spirituale che passa per le diverse tappe (le tre vie) richieste dal servizio della Minne (=Amore). Questo cammino si trova alla base dell'insegnamento di S. e viene presentato alla luce della Scrittura; fondato sulla dottrina tomistica ed eckhartiana, è spesso sviluppato sul piano psicologico che tiene conto della fragilità umana.

S. parte dall'uomo che, per raggiungere l'unione con Dio, ha bisogno di essere " de-formato " (entbildet) dalle creature, " conformato " a Cristo e " trasformato " in Cristo. Ciò esige il passare attraverso le purificazioni (passive), per le quali è indispensabile la piena accettazione delle sofferenze, nella ferma volontà di partecipare alla passione di Cristo. Ciò presuppone il distacco radicale (abegeschiedenheit), l'abbandono perfetto (gelazenheit) e una profonda interiorità (ingezogenheit), temi ascetici caratteristici del Medioevo tedesco. Al tempo stesso esige l'assidua meditazione dei patimenti di Cristo, fino a giungere a una profonda " compassione " e imitazione esistenziale, insegnata nel Libretto dell'Eterna Sapienza (p. I), con l'impegno di iniziare il lettore alla pratica (p. II), per esempio all'arte di morire. S. cerca di suscitare nell'anima del credente sentimenti di caldo affetto verso Cristo che gli consentono di penetrare nel mistero contemplato e al tempo stesso permettono che il mistero entri nell'anima capace, ormai, di coglierne gli echi. Alla luce di tali esperienze si forma la personalità " mistica " dell'uomo. La pratica assidua della " compassione " con Cristo, che si appella all'impegno di tutte le dimensioni di interiorità, diventa in S. il punto di partenza dell'autentica esperienza mistica, nella quale l'esistenza umana trova il suo ultimo compimento.

Bibl. Opere: K. Bihlmeyer, Heinrich Seuse. Deutsche Schriften, ed critica Frankfurt a.M. 1961 (ristampa del 1907); L. Surius, Henrici Susonis Opera..., vers. lat., Coloniae 1555ss.; B. E. Suso, Opere spirituali, a cura di B. De Blasio, Alba (CN) 1971; E. Suso, Libretto dell'Eterna Sapienza, a cura di Giovanna della Croce, Milano 1992; Enrico Suso, Il libretto dell'amore e altri scritti, a cura di T. Giuggia, Milano 1997. Studi: J.-A. Bizet, s.v., in DSAM VII1, 234-257; J. Buhlmann, Christuslehre und Christusmystik des Heinrich Seuse, Luzern 1942; L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991; O. Davies, Nell'incontro con Dio. La mistica nella tradizione nord-europea, Roma 1991; H.D. Egan, Enrico Suso, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 370-381; E. Filthaut (ed.), Heinrich Seuse. Studien zum 600. Todestaq, Köln 1966; Giovanna della Croce, s.v., in DES III, 2432-2436; Id., Il Cristo nella dottrina e nella esperienza religiosa di Enrico Susone, in ScuCat 95 (1967), 124-145; A.M. Haas, Sermo Mystycus: Studien zur Theologie und Sprache der deutschen Mystik, Freiburg i. Br. 1979; Id., Kunst rechter Gelassenheit, Bern-Berlin-FrankfurtM.-New York-Paris-Wien 1995; W. Nigg, Das mystische Dreigestirn. Eckhart, Tauler, Seuse. Zürich-München 1988; P. Ochsenbein, s.v., in WMy, 459-461; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 4B, Bologna 1991, 283-287.

Giovanna della Croce

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