TAULERO GIOVANNI - UNIONE CON DIO - DIZIONARIO DI MISTICA

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TAULERO GIOVANNI - UNIONE CON DIO

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TAULERO GIOVANNI. (inizio)

I. Vita ed opere. Nato nel 1300 ca. a Strasburgo, da famiglia benestante, entra nell'Ordine domenicano (1315 ca.), studia - come prescritto - per otto anni, a quanto pare senza recarsi a Colonia, e si dà presto alla predicazione e al lavoro pastorale. L'interdetto papale che colpisce Strasburgo (1329-1353) e l'Editto di Ludovico il Bavaro ( 1347) costringono i domenicani all'esilio a Basilea (1338-1343). Da qui T., negli anni successivi, si reca diverse volte a Colonia; stringe contatti con gli Amici di Dio e s'impegna, fino alla morte, avvenuta il 16 giugno 1361, nella direzione spirituale delle religiose domenicane. Difende il movimento delle beghine distinguendolo dai Fratelli del Libero Spirito.

Di T. sono pervenute fino a noi ottantaquattro Prediche (Sermoni e Lezioni) scritte dagli ascoltatori, che riflettono il suo cammino interiore a partire dalla " seconda conversione " (1339 o 1346) con forti richiami al rientro in se stessi per scoprire il proprio io più profondo al cospetto di Dio.

II. Insegnamento spirituale. La conoscenza di sé - del proprio nulla - è posta all'inizio della mistagogia tauleriana e conduce all'esperienza dei limiti esistenziali. Di qui nascono immensi desideri di Dio, di sentirsi liberati, elevati, trasformati, mentre c'è il richiamo, al tempo stesso, ad un serio esercizio di pratiche ascetiche e all'impegno di tutte le facoltà spirituali. Occorre purificare il " fondo " interiore (l'anima) perché s'accenda in esso la scintilla (fünkelin) - l'essere spirituale dell'anima nella sua tensione trascendente ad annientarsi in Dio - e l'uomo possa accogliere la comunicazione di Dio. " Questa scintilla vola così in alto che la capacità conoscitiva (dell'uomo) non è in grado di seguirla, perché non ha riposo finché non raggiunge l'abisso (di Dio), da cui proviene e in cui si trovava prima della creazione " (Pred. 53).

Alla conoscenza di se stessi si collega in T. la necessità di controllare le attività dell'intelletto, della volontà e soprattutto del gemüt, la parte migliore dell'anima che tende dinamicamente, in modo semplice, formale ed essenziale verso Dio. Il gemüt è distinto dal fondo - la parte ricettiva dell'anima - ma richiede la continua sorveglianza per smascherare gli ostacoli interiori all'elevazione a Dio. Fondo e gemüt compongono l'anima spirituale (mens), ma l'unione con Dio, essendo dono della grazia e dell'amore divino, avviene soltanto nel fondo più interiore. Per raggiungerla, l'uomo percorre le " tre vie " nella povertà spirituale e nella gelazenheit (l'umile abbandono a Dio). Per praticare il distacco e il raccoglimento interiore, l'uomo deve inoltrarsi nel deserto interiore, seguendo Gesù Cristo (storico) e la sua passione. In Cristo, figura normativa della vita spirituale, l'uomo subisce la trasformazione in Dio e sperimenta, nel fondo dell'anima, la nascita del Verbo. Più l'uomo s'immerge nell'annientamento del Crocifisso, più il suo spirito creato viene trasformato nello spirito increato di Dio. In questa trasformazione l'uomo sperimenta l'essere uno con Dio e si sente inserito nella vita trinitaria di Dio, anticipazione della beatitudine eterna. L'uomo ritorna, così, alla sua origine eterna (principio dell'emanazione neoplatonica).

T. vede nell'unione trasformante il fine del cammino " normale " del cristiano. Tuttavia, l'esperienza di essa è transitoria e privilegio di pochi, non necessaria alla salvezza. La forza della dottrina di T. consiste nell'aver indicato la via per raggiungerla. In base alla sua esperienza personale, meno nell'esposizione sistematica, che talvolta viene a mancare, spesso con l'aiuto di passi biblici e metafore, T. sviluppa una teologia mistica in rapporto alla vita quotidiana che valorizza il vissuto come luogo dell'incontro con Dio.

Bibl. Opere: Opera omnia, tr. lat. di L. Surius, Colonia 1548 (ristampa Hildesheim, ecc. 1985); B. Giovanni Tauler, Opere, a cura di B. De Blasio, Alba (CN) 1977; Giovanni Taulero, I Sermoni, a cura di M. Vannini, Milano 1997; Id., Il fondo dell'anima, a cura di M. Vannini, Casale Monferrato (AL) 1997. Studi: Aa.Vv., Un mystique. Jean Tauler, in VieSp 58 (1976), 485; D. Abbrescia - Giovanna della Croce, s.v., in DES III, 2439-2442; L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991; E. Filthaut (ed.), Johannes Tauler. Ein deutscher Mystiker, Essen 1961; L. Gnädinger, s.v., in DSAM XV, 57-79; Ead., Giovanni Taulero. Ambiente di vita e dottrina mistica, Cinisello Balsamo (MI) 1977; A. Haas, Sermo mysticus, Freiburg 1979; D. Mieth, Die Einheit von vita activa und vita contemplativa... bei Johann Tauler, Regensburg 1969; W. Nigg, Das mystische Dreigestirn, Zürich 1988; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 4B, Bologna 1991.

Giovanna della Croce

TEILHARD DE CHARDIN PIERRE. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Sacernat (Auvergne) nel 1881. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1899, ove segue gli studi di filosofia e di teologia. Ordinato sacerdote nel 1911, insegna geologia e paleontologia all'Istituto cattolico di Parigi dal 1920 al 1923. Fino al 1946 soggiorna a lungo in Oriente, anche se trascorre diversi periodi di studio negli Stati Uniti e in Somalia. Nel 1923 scopre la civiltà paleolitica degli Ordos, poi partecipa in Cina, nel 1926, alle ricerche che conducono alla scoperta del sinantropo. Rimpatriato nel 1946, torna di nuovo negli Stati Uniti per essere incaricato di diverse spedizioni antropologiche nell'Africa settentrionale. Rimosso dall'insegnamento per le sue idee avanzate, muore a New York nella Pasqua dell'aprile del 1955. La sua produzione letteraria, molto vasta, è stata conosciuta quasi tutta dopo la sua morte. I suoi scritti in ordine di composizione sono: Le milieu divin (1926-1927), Le phénomène humain (1938-1940, 1947-1948), Le groupe zoologique humain (1949). L'edizione delle Oeuvres, a cura di C. Cuénot, comprende finora, oltre le tre citate (Paris 1955: Phénomène, 1957: Le milieu divin, 1963: La place de l'homme dans la nature. Le groupe...), le seguenti raccolte di scritti: L'apparition de l'homme, 1959; L'énergie humaine, 1962; L'activation de l'énergie, 1963; Science et Christ, 1965; Hymne de l'univers, 1961; Ecrits du temps de la guerre (1916-1919), 1965; Lettres de voyage (1923-1936) e Nouvelles lettres de voyage (1939-1955), 1956-1957 (ried. in un vol., 1961; Genèse d'une pensée (Lettres 1914-1919), 1961; Lettres à Léontine Zanta (1923-1939), 1965; Lettres d'Hastings et de Paris (1908-1914), 1966; Lettres d'Egypte (1903-1908), 1963; la corrispondenza con Blondel e Accomplir l'homme: antologia di lettere inedite a due amiche non cristiane [1926-1952], 1968.

II. Insegnamento mistico. Nel suo volume Il fenomeno umano e in altri scritti, T. ha messo in evidenza una visione e un significato cristocentrico della realtà cosmica: Cristo, alfa e omega, illumina l'inizio e la fine dell'universo e dell'umanità verso i cieli nuovi e la terra nuova. Nell'Ambiente mistico e soprattutto nell'Ambiente divino addita in Cristo il valore della vita quotidiana dell'uomo, con il suo agire creativo individuale e sociale, le sue angosce, lotte, dolori e la stessa morte. In ogni istante " se avremo svolto in tutti i campi la nostra più ingegnosa operosità, Iddio si comunicherà a noi nella sua pienezza ".

Testo ispiratore di tale concezione è quello di Paolo: " Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio " (1 Cor 3,22-23). Per T., come per Paolo, l'unione del credente con Cristo è tanto intensa e intima da superare qualsiasi altra unione fisica o sociale, cui la nostra mente può far riferimento per cercare di capirla. Grazie all'Incarnazione, Cristo è il " Centro attivo ", il " Legame vivente ", l'" Anima organizzatrice del tutto ". Egli assomma nel suo Corpo mistico tutto il valore di chi vive, opera e soffre in unione con lui. Si tratta della prospettiva mistica " di uno stato d'unione di chi vive nel Corpo mistico di Cristo ".

Nella serie immensa delle influenze cosmiche, di cui è ricettore e costruttore insieme, l'uomo riassume in sé l'universo innanzitutto con il suo essere, frutto e sintesi di creazione divina e di lunga evoluzione; poi con la conoscenza sensibile e spirituale che acquisisce dell'universo; e infine, con la volontà, la dedizione e l'amore orientati a sviluppare e a perfezionare se stessi e ogni cosa in Cristo. Cosmologia, antropologia e cristologia dinamica vengono per libero volere di Dio collegate con l'Incarnazione del Verbo, che si attualizza nella visibilità della storia mediante la Chiesa, Corpo mistico. " In ogni singolo uomo Dio ama e salva parzialmente il mondo intero che quell'uomo riassume in sé in maniera particolare e incomunicabile ". Perciò, qualunque cosa facciamo sotto l'impulso di Cristo, riportiamo a Dio un frammento del mondo, perché tutto sia in lui compiuto.

Si verifica, così, nella storia un movimento di discesa del Verbo incarnato nell'universo per diventarne il centro di unificazione e insieme di ritorno al Padre. L'uomo, al quale in un primo stadio ogni realtà creata è orientata, viene a sua volta in qualche modo assunto nel " Verbo fattosi carne " (cf Gv 1,14), perché tutto gradualmente ritorni con lui al Padre alla fine dei tempi.

Esprimendo con linguaggio nuovo, perciò qualche volta equivocato da chi fosse abituato ad una terminologia standardizzata da secoli, ma ora per i più incomprensibile, T., in base ai dati di fede della creazione, dell'Incarnazione e del Corpo mistico, parla dell'esito di tutto da Dio e del suo ritorno a lui mediante l'uomo e Cristo. Perciò l'uomo con l'aiuto della grazia perfeziona se stesso e l'universo per farne in Cristo un'offerta al Padre e preparare la Gerusalemme celeste. Quanta più perfezione avremo conferito all'universo e quanti più valori morali avremo raccolti in noi stessi e, di conseguenza, nel Corpo mistico di Cristo, tanto più la nostra offerta sarà ricca e destinata a conservare un valore eterno.

T. cerca di evitare ogni dualismo separatore tra naturale e soprannaturale, pur soddisfacendo in pieno le esigenze della fede per quanto riguarda la distinzione del naturale dal soprannaturale, e la gratuità di quest'ultimo. Tale mistica dell'Incarnazione, intesa come partecipazione alla pienezza del mistero di Cristo e comunione di amore con Dio e con i fratelli, fa sì che la storia del mondo e della Chiesa venga a intrecciarsi in modo indissolubile con quella di Cristo, del singolo individuo e dell'intera società. Chiamato da Dio a un dialogo personale, che lo rende partecipe in maniera analoga e creata della stessa vita trinitaria, l'uomo muore spiritualmente con Cristo per risorgere immediatamente in lui alla vita della grazia. Resta, però, in attesa di assimilarsi totalmente a Cristo nell'annientamento della morte che, mentre raggiunge l'abbandono totale cui sfugge ogni appoggio umano e terrestre, segna anche l'inizio della glorificazione con Cristo prima nella visione beatifica, poi nella risurrezione finale, quando anche il mondo fisico non gemerà più nell'attesa, ma sarà per sempre rinnovato (cf Rm 8,19-25).

La vita cristiana non è rassegnazione passiva, ma conformazione dinamica al Cristo che, presente e operante in mezzo a noi con la sua Parola, i suoi sacramenti e la sua Eucaristia, plasma noi e tutto il creato attraverso la forza del suo Spirito.

T. non espone solo una sua esperienza spirituale e " mistica ": alla base di questa concezione unitaria c'è l'autentico dogma cristiano presentato, spesso solo con accenni, in maniera brillante, immaginifica, attraente e scevra di formule astratte. Egli ha compiuto un grandioso tentativo di riconciliare il mondo contemporaneo, pieno di fiducia nella scienza, con i dati della fede partendo anche da un'inchiesta scientifica e utilizzando un metodo piuttosto fenomenologico. Naturalmente egli non era un filosofo e teologo di professione e per di più ha scritto moltissimo, rivedendo e correggendo sempre le sue idee in saggi non sempre destinati alla pubblicazione. Il suo sforzo di sintetizzare il cristianesimo in poche idee basilari, in una concezione globale cosmica, antropologica, cristologica ed ecclesiologica, lo ha esposto a qualche formulazione ambivalente, senza che egli ne prevedesse tutte le implicanze. Occorre perciò interpretare le sue immagini e le sue espressioni poco chiare con altri testi indiscutibili, tenendo presente la sua vita pienamente coerente con gli insegnamenti della Chiesa. Il dibattito suscitato intorno al suo pensiero ha contribuito a sensibilizzare la riflessione teologica sull'attività umana, la cristologia e l'escatologia, e a preparare quanto dirà più tardi la Gaudium et Spes (33-39) sull'attività umana nell'universo in attesa che " il regno di Dio, già presente sulla terra nel mistero, giunga a perfezione con la venuta del Signore ".39

Bibl. Una bibliografia completa di e su Teilhard si trova in R. Gibellini, Teilhard de Chardin l'opera e le interpretazioni, Brescia 19923, 277-292. Studi: L. Cognet, Le père Teilhard de Chardin et la pensée contemporaine, Paris 1956; G. Cuénot, L'evoluzione di Teilhard de Chardin, Milano 1962; H.D. Egan, Pierre Teilhard de Chardin, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 619-635; R. Faricy, Sono con voi ogni giorno. La dottrina spirituale di Teilhard de Chardin, Milano 1982; H. de Lubac, Il pensiero religioso di Teilhard de Chardin, Brescia 19722; Id., Il "credo" di Teilhard nel mondo, Brescia 19662; P. Noir, s.v., in DSAM XV, 115-125; E. Rideau, La pensée du Père Teilhard de Chardin, Paris 1965; P. Sciadini, s.v., in DES III, 2444-2449; F.A. Viallet, L'univers personnel de Teilhard de Chardin, Paris 1956; G. Vigorelli, Il gesuita proibito. Vita e opere di p. Teilhard de Chardin, Milano 1965.

A. Marranzini

TELECINESI. (inizio)

I. Significato e contenuto. E il movimento di oggetti a distanza, senza contatto, a un cenno della volontà. Si è verificato in alcuni individui eccezionali e, secondo qualche parapsicologo, si sarebbe verificato in laboratorio. Le più note ricerche fatte da studiosi sono quelle di Rhine,1 ma sono contestate perché, come osserva il Girden, furono eseguite in condizioni tali da suscitare i dubbi più fondati.2 Per questo motivo, dalle osservazioni di laboratorio non abbiamo prove attendibili. Può darsi che per la t. avvenga ciò che si riscontra per la telepatia e la chiaroveggenza cioè che il potere metapsichico venga coartato dalle condizioni che esige l'esperimento.

Ma il dubbio permane anche considerando gli individui che si ritengono i più dotati, perché a volte furono trovati in fallo. Tra i più dotati di tali proprietà sono la russa Nina Kulagina e il prestigiatore ebreo Uri Geller, che riusciva (apparentemente) a piegare sbarre di ferro con la sola forza di volontà. Ma, sotto i vestiti della Kulagina fu scoperta una calamita con la quale muoveva, attirandoli, gli oggetti. E Uri Geller fu colto in frode dal Dipartimento Federale di Ricerche Minerarie Germanico. Gli scienziati trovarono che gli oggetti di metallo, piegati dalla volontà di Uri, erano bagnati di una soluzione di nitrato di mercurio. Questa e gli alogeni piegano i metalli, ma non le sostanze plastiche.

La t. sul piano naturale, quindi, presenta molti dubbi.

II. Sul piano religioso. Non così in sede religiosa. Sono accertati i voli dell'Ostia consacrata dalle mani del sacerdote alla bocca di anime sante, come, per es. s. Caterina da Siena. In tal caso è un fenomeno mistico accordato da Dio.

Note: 1 J.B. Rhine, The PK Effect. Early Single Tests, in Parapsychology, 8 (1944), 190ss.; 2 E. Girden, A Review of Psychokinesis (PK), in Psychological Bulletin, 59 (1962), 353-388.

Bibl. U. Baatz, s.v., in WMy, 481-482; A. Ledoux, Parapsychologie, Les charlatans en blouse blanche, in Science et vie, 70 (1976), 72; V. Marcozzi, Fenomeni paranormali. I doni mistici, Cinisello Balsamo (MI) 19932, 82-85; G. Quevedo, s.v. in Revue de Parapsychologie, 4 (1973), 17; Id., Comprovados os truques de Uri Geller, in Ibid., 20 (1976), 22-24; Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Siena 1982, 333.

V. Marcozzi

TELEPATIA. (inizio)

I. Il termine. La t. è la comunicazione di impressioni o nozioni, spesso accompagnate da allucinazioni, tra persone lontane, indipendentemente da qualsiasi mezzo normale di comunicazione. La t. viene distinta in spontanea e provocata.

La t. provocata è quella che si manifesta in sede sperimentale. Si sono fatti a tale proposito molti esperimenti, sia in grande stile, sia in laboratorio.

In grande stile, per esempio, dalla torre Eiffel si sono invitati non pochi cittadini a scrivere ciò che il trasmettitore ha pensato, o visto, o letto. L'esperimento ebbe esito negativo. Lo stesso esperimento fu effettuato in altre località.

Gli esperimenti, fatti in laboratorio, lasciano perplessi, soprattutto a causa degli imbrogli e della superficialità delle ricerche. Le prime indagini sono della Society of Recherches Psychiques di Londra; le più note quelle di J.B. Rhine e S.G. Soal. Queste furono criticate specialmente dal J. L. Kennedy, G.R. Price e C.E. Hansel.

Non così si può dire della t. spontanea. Questa si ha quando la trasmissione del pensiero non avviene in condizioni di esperimento, né in laboratorio.

Si riferiscono vari casi. Il Wiesinger asserisce che la t. spontanea avviene con particolare frequenza nella Valle dell'Otz (Austria). J.J. Heaney scrive " t. e chiaroveggenza esistono come poteri paranormali al di là di ogni dubbio ragionevole ".

II. Nella vita spirituale. Non bisogna confondere la t. che riguarda più da vicino la parapsicologia con fenomeni simili dell'ambito mistico (per esempio, la lettura dei cuori, la chiaroveggenza, ecc.).

Bibl. W.E. Butler, Telepatia e chiaroveggenza. I segreti della comunicazione mentale, Roma 1986; G. De Ninno, s.v., in EC XI, 1870; J.J. Heaney, The Sacred and the Psychic, Parapsychology and Christian Theology, New York 1984; V. Nestler, La telepatia, Roma 1989; G.R. Price, Science and Supernatural, in Science, 122 (1955), 359ss.; I. Rodríguez, s.v., in DES III, 2449.

V. Marcozzi

TENTAZIONE. (inizio)

I. Il termine t. ha per noi il significato di occasione, sollecitazione a commettere il male. Nella Bibbia, invece, i termini che si riferiscono alla t. significano fondamentalmente prova o mettere alla prova, cercare di sondare, scrutare a fondo il cuore, la libertà, la fedeltà dell'uomo; poi, di conseguenza, il desiderio, l'insidia, la passione che spingono al peccato.

Nel primo significato può essere Dio stesso che mette alla prova l'uomo per saggiarne la fedeltà nell'amore, la speranza nel ritardo dell'adempimento delle promesse, la fede nel momento del pericolo, dell'abbandono, della sofferenza.

Non è l'uomo che deve mettere alla prova Dio, ma è Dio che deve scrutare le disposizioni dell'uomo. Per questa creatura chiamata a vivere in alleanza con Dio, la prova è il passaggio obbligato per esercitare la libertà con cui esprime la fede, l'attaccamento a Dio: sono esemplari i casi di Abramo, di Giobbe, dello stesso Gesù. Pure la figura di satana nell'AT, prima di definirsi chiaramente come istigatore al male, appare come un essere che mette alla prova l'uomo e poi l'accusa davanti a Dio.

Naturalmente, a cominciare dall'Eden, la t. (o il tentatore) assume anche il compito di invitare al peccato. Però l'apostolo assicura: " Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze " (1 Cor 10,13). E può persino venir proclamata la beatitudine dell'uomo tentato: " Beato l'uomo che sopporta la t., perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a coloro che lo amano " (Gc 1,12).

II. Per quanto riguarda la tradizione cristiana, è nel monachesimo che, in modo particolare, vengono esaminati il valore e i dinamismi delle t. e il modo per combatterle.

La t. fa parte del cammino di perfezione: " La forza del giusto non sarebbe lodevole se egli vincesse senza essere tentato: non vi può essere, infatti, vittoria senza guerra contro l'avversario".1 Anzi, " più l'anima progredisce, più forti sono gli antagonisti che si succedono contro di essa ".2

Vengono attentamente considerate le fasi della t. Giovanni Climaco distingue tra la suggestione o primo impulso (probole); il legame (sindyasmos) che consiste nel discutere con la t.; il consenso (sigkatathesis), ossia l'accettazione e dilettazione; la prigionia (aichmalosia), il rimanere schiavi della t.3

Per vincere, s. Benedetto consiglia: " Distruggere subito, scagliandoli contro Cristo, i cattivi pensieri che vengono nel cuore e manifestarli al padre spirituale ".4

Nella vita dei mistici il tema della prova è immancabile. L'anima a volte soffre di terribili t. di bestemmia, di impurità, di avversione... Sono pure presenti le prove esteriori, come malattie, vessazioni diaboliche, avversità varie, specialmente da parte del prossimo. Ma le prove più dolorose vengono dalle " notti " in cui le anime provano sofferenze indicibili nell'aridità, nell'oscurità, nella desolazione, nel senso di abbandono e di rifiuto da parte di Dio, nella coscienza bruciante della propria miseria.

Attraverso queste prove, Dio purifica l'anima nella fede, la esercita nella pazienza e nella speranza, la libera da ogni attaccamento, la stabilisce nell'umiltà, predisponendola così all'unione trasformante.

Si vede bene come la " passività " dell'esperienza mistica riguardi il fatto che solo Dio può stabilire l'anima in questi stati: in realtà, la persona esercita nel grado più alto la libertà nell'affrontare le prove più radicali.

Note: 1 G. Cassiano, Conf. 18,13; 2 Evagrio Pontico, Praktikos, 59; 3 G. Climaco, Scala, 15,107; 4S. Benedetto, Regola, 4.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM XV, 193-251; Aa.Vv., s.v., in DT III, 461-470; R. Bouillard, s.v., in DTC XV, 116-127; F.W. Faber, Il progresso dell'anima nella vita spirituale, Torino 1926; W. Molinski, s.v., in K. Rahmer (cura di) Sacramentum mundi, VIII, Brescia 1977, 190-196; J. Navone, s.v., in NDS, 1583-1597; U. Rocco, s.v., in DES III, 2464-2466; T. _pidlík, La spiritualità dell'Oriente cristiano, Cinisello Balsamo (MI) 1995; Tommaso d'Aquino, STh I, q. 48, a. 5 ad 3; q. 114; II-II, q. 97; III, q. 41.

U. Occhialini

TEOCENTRISMO. (inizio)

I. Il t. si esprime in maniera viva e vigorosa nella mistica. I mistici sono, in effetti, rivolti verso Dio come verso il centro della loro esistenza.

E importante sottolineare il valore di questo orientamento teocentrico in un'epoca in cui si sono manifestati, nella dottrina religiosa e nella pratica, dei forti movimenti antropocentrici. Alcuni teologi hanno dato al loro pensiero una direzione secolarizzante ed umanizzante: essi hanno cercato di trasformare la teologia, e soprattutto la cristologia, in antropologia. Alcuni, in particolare, nella rivelazione cristiana privilegiano l'incitamento all'azione sociale o il progetto di edificazione di una società terrestre ideale.

E vero che tutta l'opera divina della salvezza ha per obbiettivo la restaurazione e la divinizzazione del destino umano, ma questo destino consiste essenzialmente in una relazione con Dio, relazione per la quale l'uomo si rivolge verso Dio e cerca in lui la sua vita definitiva. I mistici testimoniano che la persona umana trova in Dio la sua felicità e la sua perfezione. Essi invitano così tutti i cristiani a scoprire l'orientamento teocentrico della loro vita.

II. L'esperienza teocentrica dei mistici fornisce una prova concreta dell'esistenza stessa di Dio. Si può ricordare come il filosofo H. Bergson abbia proposto di risolvere il problema posto dalla religione: ritenendo che il Dio dei filosofi, e in particolare di Aristotele ( 322 a.C.), non c'insegna che cosa è Dio, scopriva presso i mistici cristiani un'autentica esperienza che si spiega soltanto con l'esistenza reale di Dio. E l'esperienza di colui che ha sentito la verità scorrere in se stesso dalla sua sorgente come una forza agente: l'amore che consuma il grande mistico non è più semplicemente l'amore dell'uomo per Dio, è l'amore di Dio per tutti gli uomini. In questa unione totale e definitiva con Dio, che spinge il mistico a sviluppare un'energia sovrabbondante, si dà a noi più della conclusione di un ragionamento: la certezza di un'esperienza. Nella testimonianza dei mistici, Bergson ha trovato la via d'accesso a Dio più sicura e nello stesso tempo un cammino verso la fede cristiana.

III. Il t. in alcune esperienze mistiche. Il t. può assumere un'ampiezza eccessiva quando si esprime nel senso di un'identificazione del mistico con Dio. E l'ampiezza che esso riveste spesso nella mistica indiana. L'identità con l'Assoluto si è condensata nell'espressione: " Tu sei Questo ". La mistica del Vedanta consiste in un'abolizione dell'io empirico nel Sé, Sé identificato a un Assoluto che è il Tutto. Così si afferma una mistica dell'advaita o non-dualità.

Si ritrova la stessa tendenza alla non-dualità nella mistica musulmana. All'origine, questa mistica dava al t. il suo vero senso, quello dell'intimità dell'amore con il desiderio di vedere il Dio che si ama. Ma, in seguito, la mistica si è impegnata sempre più nella via di una unità in cui l'io umano si spoglia di se stesso per identificarsi con l'essere divino. Tuttavia, l'identificazione può lasciar sussistere una certa dualità, come nell'espressione di Hallaj: " Tu mi metti tanto a nudo che sento che sei Tu in me ". L'affermazione del " Tu in me " non implica una identità, ma una penetrazione interiore della presenza divina.

Quando la non-dualità è integrale, essa fa deviare l'esperienza di Dio o l'interpreta in un senso errato. Dal momento in cui scompare la distinzione tra la persona del mistico e Dio, l'unione nella quale consiste la mistica è essa stessa soppressa. Nondimeno, non tutto è inesatto nella tendenza all'identificazione. L'unione mistica manifesta la vita divina che si sviluppa nell'esistenza umana. La partecipazione dell'essere umano alla natura divina comporta un'assimilazione che tende a esprimersi come una identità.

Il t. autentico conserva, tuttavia, la distinzione delle persone: se la persona umana ha Dio per centro, non è mai essa stessa questo centro e si riconosce sempre come relativa a lui, in umile dipendenza da lui.

IV. Nei mistici cristiani. Presso un certo numero di mistici cristiani si trovano anche delle affermazioni che tendono a esprimere l'identificazione con Dio. Sotto l'influsso dell'" estasi " plotiniana, che consiste nell'uscire da sé per rientrare nel sé, o per raggiungere l'Uno che si trova nell'anima, i mistici hanno descritto un rientro in se stesso che è immersione nell'Unità assoluta. Eckhart è l'esempio più pronunciato di questo orientamento; egli è incorso, nel 1329, per ventisei delle sue proposizioni, nella condanna di Giovanni XXII ( 1334). Non si può, tuttavia, dubitare della sua intenzione di conservare la fede cattolica; spiace che egli non abbia spiegato meglio delle affermazioni sorprendenti, in cui l'identificazione con Dio assume una forma oltranzista.

V. T. e Trinità. Il nome dell'Uno, applicato a Dio dalla corrente d'identificazione, attira l'attenzione su un problema che le descrizioni degli stati mistici possono suscitare. Quando la mistica è presentata semplicemente come una unione con Dio, di quale Dio si tratta? Si tratta del Dio trinitario della rivelazione cristiana, ed è preso in considerazione nella triplicità delle persone? O si tratta di un Dio considerato esclusivamente nella sua unità, fatta astrazione del mistero propriamente trinitario? Ci si deve chiedere, per esempio, se il sentimento della presenza di Dio si rapporti distintamente a una Persona divina, o se l'unione con Dio o la fusione con lui tenga conto della diversità delle persone e del ruolo proprio a ciascuna nell'opera della salvezza.

Il t. della mistica cristiana non può ignorare la Trinità. Si comprende che nella rivelazione giudaica l'intimità con Dio si operava semplicemente con il Dio unico, considerato indipendentemente da una divisione in persone che non era stata ancora rivelata. E così che Mosè non aveva potuto vedere il volto di JHWH (cf Es 33,11). Ma la rivelazione di Cristo ha cambiato le prospettive, specificando l'orientamento dell'unione mistica che comporta l'entrata nel mistero trinitario. Al desiderio di vedere Dio corrisponde, nel Vangelo, il desiderio di vedere il Padre, desiderio che non manca di essere esaudito: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9). La dichiarazione esprime sia la distinzione del Figlio e del Padre, sia la perfetta somiglianza che li unisce. Gesù ha voluto espressamente suscitare il desiderio di una intimità con il Padre, che fosse legata all'intimità con lui stesso. Se la vita della grazia consiste nell'entrare, per mezzo dello Spirito Santo, nella relazione filiale del Cristo con il Padre, il contatto mistico deve portarne il segno.

VI. T. e cristocentrismo. In maniera più particolare, il t. della mistica cristiana si sviluppa in cristocentrismo. L'unione del mistico con Dio è anzitutto una unione con il Cristo. In questa unione l'umanità di Gesù non può passare sotto silenzio. Cristo ha introdotto una novità essenziale nel t.: la presenza centrale di Dio nella vita umana è nello stesso tempo una presenza umana che pone in evidenza il valore dell'uomo. In questo senso, il t. è legato a un certo antropocentrismo che gli è unito come in Cristo l'umanità è unita alla divinità.

Significativo è il problema che si era posto a s. Teresa d'Avila. Da un direttore spirituale ella aveva ricevuto il parere che le sue esperienze d'intimità con Cristo avevano solo un valore transitorio. Questo direttore spirituale si basava su un'opinione teologica secondo la quale la contemplazione perfetta si realizza nell'esperienza della divinità trascendente, al di là di ogni referenza a realtà sensibili. Per giungere alla pura contemplazione occorreva, dunque, seguendo questa opinione, abbandonare ogni cosa corporale e, di conseguenza, relegare nell'ombra l'umanità di Cristo. Teresa si lascia trascinare in questa corrente, ma ben presto reagisce perché comprende che mai la vita spirituale, a qualunque grado di perfezione sia arrivata, può prescindere dall'umanità di Cristo, dalla sua vita terrena e dalla sua passione.1 Più precisamente, essa prende la via della configurazione a Cristo e dell'unione nuziale con lui.

Conclusione. Se il cristocentrismo rimane essenziale alla vita mistica come a tutta la vita della grazia, non può, tuttavia, diventare un cristomonismo che si disinteressa del Padre e dello Spirito. Partecipazione alle disposizioni filiali di Gesù, la vita mistica è chiamata a riconoscere il Padre, prima fonte dell'amore e origine di tutta l'opera di divinizzazione dell'umanità. Essa è invitata anche a scoprire la ricchezza dei doni dello Spirito Santo ed a discernere in sé colui che, dimorando nell'anima, la trasforma e sviluppa in sé l'entusiasmo della vita cristiana e il dinamismo apostolico.

Il t. della mistica cristiana può significare solo un impegno nel mistero trinitario. Il contatto mistico con le Persone divine nelle loro proprietà specifiche apre una prospettiva sul volto trinitario della felicità celeste. Questa felicità, specialmente anticipata nella mistica, è quella di un possesso in cui Cristo, lo Spirito Santo, il Padre, si manifestano nella loro unità, ma ciascuno a modo suo, all'aspirazione suprema dell'essere umano.

Note: 1 Teresa d'Avila, Vita, 22.

Bibl. Aa.Vv. Teresa di Gesù, maestra di santità, Roma 1982; G. Anawati - L. Gardet, Mystique musulmane, Paris 1961; H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, Milano 1947; S. Breton, Deux mystiques de l'excès: J.J. Surin et Maître Eckhart, Paris 1985; A.M. Esnoul, Ramanuja et la mystique vishnouite, Paris 1964; L. Gardet, La mystique, Paris 1970; O. Lacombe, L'Absolu selon le Vedanta, Paris 1937; J. Maréchal, Études sur la psychologie des mystiques, 2 voll., Paris 1924-1937; J. Masson, Le bouddhisme, chemin de libération, Paris 1975; Id., Mistiche d'Asia, Roma 1995; P. Miquel, L'expérience de Dieu, Paris 1977; Y. Raguin, La profondeur de Dieu, Orient et Occident, Paris 1965; K. Ruh, Meister Eckhart teologo-predicatore-mistico, Brescia 1989.

J. Galot

TEOFANE IL RECLUSO. (inizio)

I. Vita ed opere. Con il nome di Giorgio Govorov, nasce nel 1815 a _ernavsk (governatorato Orel) in Russia. Entrato in seminario, è inviato all'accademia ecclesiastica di Kiev. Nel 1841 riceve l'abito monastico e il nome di T. Come " monaco dotto " si dedica all'insegnamento della psicologia, della morale, della teologia, per divenire, poi, rettore dell'Accademia ecclesiastica di Pietroburgo. Nel 1863 è eletto vescovo di Vladimir, ma solo tre anni dopo può trasferirsi nel monastero di Vy_en per dedicarsi alla preghiera e allo studio. Nel 1872 comincia a vivere in reclusione (di qui il suo soprannome di Zatvornik, recluso). Continua, però, la direzione spirituale di molte persone per mezzo delle lettere. Muore il 6 gennaio 1894.

E uno scrittore instancabile. La sua bibliografia contiene 466 titoli: vi sono traduzioni dalla letteratura patristica (in specie della famosa Filocalia), opere esegetiche, trattati ascetici e morali, prediche e lettere.

II. Insegnamento spirituale. La spiritualità di T. si può caratterizzare con una sola parola: cuore. " Nel cuore - egli scrive (Che cosa è la vita spirituale, Mosca 1897, 26s.) - si concentrano tutte le energie del corpo e dell'anima. Esso è il barometro della nostra vita ". Ma come inserirlo nella struttura psicologica e teologica dell'uomo? L'autore riprende la tradizionale divisione dei Padri greci in tre parti (tricotomia): " La persona umana è unità dello Spirito, dell'anima e del corpo " (Le linee fondamentali della morale cristiana, Mosca 1895, 189). Lo Spirito ci viene dato da Dio così intimamente che diviene come se fosse " l'anima della nostra anima ". Egli deve penetrare tutta la nostra struttura umana così che si possa indicare il seguente scopo della vita cristiana: " La spiritualizzazione progressiva " di tutti gli elementi umani della nostra persona. Il loro insieme viene indicato proprio con il termine " cuore ". Perciò, secondo la Scrittura, lo Spirito risiede nel cuore e coltivare il cuore è uno dei principali doveri del cristiano.

Positivamente, il cuore è trasformato dalla preghiera, che T. chiama " la respirazione dello Spirito Santo ", il " barometro della vita spirituale ", che ci permette di conoscere il nostro stato. Poiché esce dal cuore, comprende tutte le attività della persona umana, coinvolgendo tutte le sue facoltà. T. conosce anche una preghiera puramente " spirituale ", l'" estasi ", che è dei perfetti. Ma non è loro privilegio. Vi sono momenti in cui l'attività dell'intelletto è così forte che i bisogni del corpo vengono dimenticati. Analogicamente, può accadere che lo Spirito Santo nel nostro cuore preghi così intensamente da farci dimenticare tutti gli altri interessi umani. Allora, l'uomo ascolta la voce dello Spirito nel cuore e non sente il bisogno di altra preghiera o occupazione. In seguito, " anche se i bisogni della vita ci costringono a lavorare con l'intelletto, cerchiamo di farlo in modo tale che la sua attività resti sempre radicata nel cuore ".

Bibl. F. Bossuyt, Théophane le Reclus (1815-1894). Sa doctrine sur l'oraison, Roma 1959; T. _pidlík, s.v., in DSAM XV, 517-522; Id., s.v., in DES III, 2467-2468; Id., La doctrine spirituelle de Théophane le Reclus, Roma 1965; Id., Teofane il Recluso, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi mistici II, Bologna 1987, 209-229; Id., Introduzione al libro Teofane il Recluso, La vita spirituale. Lettere, Roma 1989; Id., Introducció al Teòfanes el Reclus, La vida espiritual, Barcelona 1996, 7-22.

T. Spidlík

TEOLOGIA. (inizio)

Premessa. Il rapporto tra t. e mistica o esperienza saporosa del mistero di Dio, può essere esaminato da parecchi punti di vista. Non parliamo qui della t. della mistica, capitolo particolare della t. che tratta di questa esperienza, né degli scritti teologici di ordine pratico che presentano le preparazioni e le disposizioni in vista di questa esperienza. Ci limitiamo alla questione: conoscenza mistica e conoscenza teologica possono convergere o sostenersi reciprocamente?

I. Il termine t. è, secondo le testimonianze della storia, polivalente. In alcuni Padri nella tradizione di Evagrio, dei Cappadoci e di Dionigi l'Areopagita, t. indica la stessa conoscenza mistica. Ma questo senso ristretto non è il più diffuso. Per t. intendiamo generalmente la conoscenza di Dio e il modo di parlare di lui, secondo il doppio senso di logos, ragione e discorso (Agostino: de divinitate ratio sive sermo). Anche quando richiede lo sforzo di rigore critico, il lavoro teologico presuppone sempre un modo di vita che metta l'intelligenza in accordo con Dio. Di conseguenza, non è raro che si attribuisca la t. ad una grazia e a un carisma, perché è Dio che insegna a parlare di Dio.

Conoscenza mistica e conoscenza teologica, tenendo conto di accentuazioni diverse, vivono in simbiosi.

Nei grandi teologi e dottori del sec. XIII, la t. è legata alla vita spirituale, presuppone l'umile sottomissione dello spirito al mistero divino, l'apertura del cuore alla santificazione, lo studio assiduo delle Scritture.

Si sa quale influenza abbiano esercitato sui medievali gli scritti di Dionigi l'Areopagita, frequentemente commentati. Procedendo per via affermativa e negativa, il discorso del teologo si compie davanti all'abisso insondabile della Deità. Lo spirito umano si compie superandosi; esso converge nell'esperienza mistica, la quale, ciò nonostante, non è frutto dei suoi sforzi, ma dono della grazia.

Quando, nei secoli seguenti, l'aspetto dialettico e scientifico del discorso teologico diventerà predominante, a detrimento del senso del mistero, sarà introdotto un divorzio disastroso tra mistica e t. La reazione contro il razionalismo teologico sarà tentata di mettere l'accento in modo unilaterale sulla dimensione affettiva dell'esperienza cristiana.

Quando la Costituzione Dei Verbum (n. 4) dice che la Sacra Scrittura dev'essere l'anima della Sacra t. raccoglie l'eredità dei Padri e dei grandi dottori.

II. E analizzando la nozione di sapienza che s. Tommaso enuncia i principi della distinzione tra t. e mistica e della loro simbiosi nel soggetto.

La dottrina sacra (o t.) è una saggezza. Esiste ugualmente una sapienza che è dono dello Spirito Santo.

La sapienza non si oppone alla " scienza ": essa è un sapere che, partendo dalle cause più alte, è capace di ordinare tutte le cose e di giudicarle tutte. Conoscenza delle cose divine (Agostino), la sacra dottrina non considera unicamente l'universo secondo il modo dei filosofi (s. Tommaso non esita a riconoscere una sapienza filosofica) che raggiungono Dio attraverso quello che è conoscibile di lui partendo dalle creature. Ma essa ha per oggetto quello che è conosciuto solo da Dio e che ci ha comunicato per via di rivelazione. E, quindi, a questo titolo eminente che la sacra dottrina è sapienza. Si potrebbe pensare che la sua dipendenza dalla rivelazione sia contraria all'autonomia che comprende l'idea di sapienza. Al contrario, questo segna la sua superiorità, perché essa riceve i suoi principi non da una scienza umana, ma dalla scienza divina, " dalla quale, come dalla suprema sapienza, tutta la nostra conoscenza trae il suo ordine ". Essa è velut quaedam impressio divinae scientiae.

E considerando il rapporto del nostro spirito al suo oggetto che possiamo determinare la specificità di un sapere. Come abbiamo visto, l'oggetto è il mistero stesso di Dio raggiunto in se stesso, il che presuppone che Dio si sia rivelato a noi e che la sua rivelazione sia accolta dalla fede teologale. L'intelligenza teologica è una intelligenza che spiega tutte le risorse della ragione umana all'interno della fede e al servizio di una penetrazione più profonda del mistero della fede, che è il mistero rivelato.

L'ambiente naturale della t. è, quindi, la vita della fede, a tal punto che se la fede viene a mancare la t. non esiste più. Così, diviene chiaro lo statuto epistemologico unico della sacra dottrina. Radicata nella fede, la t. è un sapere umano, sottomesso a tutti i rischi e pericoli inerenti all'uso della ragione.

E un errore, che si oppone direttamente al suo valore di verità come sapere, vedere nella t. la traduzione, il riflesso del soggetto credente. Al contrario, in modo analogo alla vita (bios) filosofica di cui parlavano i greci, si può parlare di una vita teologica, con cui s'intenderà uno stile di vita, un'esistenza polarizzata dalla ricerca della sapienza teologica, o, se si preferisce, di vocazione del teologo.

III. Tre sapienze. Attribuendo alla sacra dottrina la qualifica di sapienza, s. Tommaso non la intende in modo esclusivo. Esistono anche una sapienza filosofica e una sapienza che è dono dello Spirito Santo. Queste tre sapienze possono, nello stesso soggetto, entrare in simbiosi e sostenersi reciprocamente, a condizione che sia riconosciuta la loro gerarchia.

Se la filosofia è sapienza, è perché la ragione umana è capace di raggiungere la verità nel campo delle realtà che sono alla sua portata, e questo perché il lumen naturale è partecipazione alla suprema intelligenza. E rispettando la sua natura che il teologo potrà ricorrere al suo servizio.

Che cosa distingue la dottrina sacra dalla sapienza dono dello Spirito Santo? Si possono dare due diversi tipi di valutazione.

La dottrina sacra, che si acquisisce con lo studio, si propone di approfondire la conoscenza delle verità rivelate e di mettere in evidenza la loro coesione nonché la loro armonia. Essa lo fa secondo il modo umano della conoscenza concettuale.

La sapienza, dono dello Spirito Santo, procede per un cammino diverso. Ci si può disporre a riceverla, ma essa è un dono concesso dal volere amabile di Dio. Essa giudica per inclinazione o simpatia, insomma per connaturalità. Lo spirituale, dice Paolo in 1 Cor 2,15, giudica ogni cosa. S. Tommaso ama citare l'espressione di Dionigi l'Areopagita, a proposito del suo discepolo Ieroteo, istruito sulle cose divine non solo per averle imparate con lo studio, ma soprattutto per averle " sofferte ", provate: pati divina.

In effetti, il fondamento di questa connaturalità è l'unione di carità che rende l'anima familiare alle cose di Dio. Questa sapienza, che è la più alta, attesta il primato della carità. Scaturisce dall'intensità della vita teologale. S. Tommaso parla della vetula che non sa né leggere né scrivere, ma che è guidata dallo Spirito nelle vie di Dio, e della sua superiorità sul dottore che non ha aperto il suo cuore alle mozioni dello Spirito.

Il dono della sapienza è, insieme agli altri doni dello Spirito Santo, la sorgente immediata della conoscenza mistica.

Non si devono opporre le tre sapienze: sono compatibili tra loro. Riconoscere il loro ordine gerarchico significa custodirne l'autenticità. A sua insaputa, senza dubbio, il Dottore Angelico, sviluppandone l'analisi, ne ha fatto il suo autoritratto.

Bibl. S.Th. Bonino, Thomas d'Aquin. De la Verité ou la science de Dieu, Paris 1996; Y.M. Congar, s.v., in DTC XV, 341-502; Ch. Journet, Introduction à la théologie, Paris 1947; M. Labourdette, La théologie, intelligence de la foi, in RevThom 46 (1946), 5-44; Id., Mystique et apophase, in RevThom 70 (1970), 629-640; J.H. Nicolas, Sintesi dogmatica. Dalla Trinità alla Trinità, I: Dio uno e trino, Città del Vaticano 1991; E. Salmann, s.v., in WMy, 484-488; A. Solignac, s.v., in DSAM XV, 463-487; Id., Théologie négative, in DSAM XV, 509-516; F. Vandenbroucke, Le divorce entre théologie et mystique, in NRTh 82 (1950), 372-389.

G. Cottier

TEOLOGIA NEGATIVA. (inizio)

I. Definizione. T. o apofatica (dal greco, apó-fasis: negazione) è quella che ritiene che a Dio non possano convenire concetti o termini del linguaggio umano e che Dio possa essere meglio conosciuto negando di lui le categorie proprie dell'ente finito. Poiché Dio è assolutamente trascendente, nessuna creatura può conoscerlo; né può parlare di lui in modo adeguato, perciò di Dio si può dire ciò che non è, piuttosto che ciò che è.

II. E interessante vedere come questo concetto sia già presente in diversi autori della filosofia greca: Filone ebreo dice che Dio trascende infinitamente sia il mondo sensibile che il mondo intelligibile, poiché è creatore dell'uno e dell'altro. Egli è, quindi, incomprensibile all'uomo che non lo può conoscere nella sua essenza, è inoltre ineffabile, poiché non si può esprimere e definire con nomi. C'è tuttavia un nome che designa Dio e indica che egli è la fonte di tutte le cose. Questo nome è l'Essere: " Dio rispose a Mosè: Dì loro che Io sono Colui che E, affinché, conoscendo la differenza fra ciò che è e ciò che non è, imparino anche che non c'è assolutamente alcun nome che possa essere usato per designare me, io che sono il solo cui competa l'essere " (Vita di Mosè, I, 75).

Questo concetto di Dio come ineffabile si trova anche in alcuni dei medioplatonici e in particolare in Albino ( sec. II): " E ineffabile e coglibile solo con l'intelletto, come si è detto, poiché non è né genere, né specie, né differenza specifica e nemmeno, d'altro canto, gli si addice alcuna determinazione, né cattiva (poiché non è lecito dire questo), né buona (poiché egli sarebbe tale per partecipazione di qualche cosa, e specialmente della bontà); né è indifferente (poiché ciò non corrisponde alla nozione di esso) " (Didascalico, X, 4).

Questa dottrina, presente anche fra i neopitagorici e nel Corpus hermeticum, appare con molta chiarezza nel neoplatonismo. Per Plotino l'uno, il principio supremo, scrive Reale, non solo trascende il mondo fisico, ma trascende ogni forma di finitudine, compresa quella finitudine in cui Platone e Aristotele ( 322 a.C.) avevano imprigionato lo stesso intelligibile e la stessa Intelligenza. Si comprende, pertanto, come dell'Uno Plotino tenda a dare determinazioni prevalentemente negative e a dichiararlo, addirittura, ineffabile: " Ond'è che Egli riesce, tra l'altro, ineffabile, nel senso vero del termine. Poiché qualsiasi parola tu pronunzi, tu avrai pur sempre espresso "una qualche cosa". Nondimeno, l'espressione "al di là di tutto" o quest'altra "al di là dello Spirito venerabile al sommo" è l'unica che risponde al vero tra tutte le altre, poiché essa, in definitiva, non è una denominazione che sia qualcosa di diverso da quello che è lui, né poi è una cosa tra tutte le altre cose: ed Egli è innominato appunto perché noi non sappiamo dir nulla sul conto suo, ma noi tentiamo solo, come ci viene, alla meglio, di dare qualche indicazione intorno a lui, solo per nostro uso, tra di noi ".1

III. Nei Padri: 1. Tra gli apologisti greci si deve ricordare Giustino ( 165) che risente dell'influenza della filosofia platonica. Nei suoi scritti in difesa della fede, Giustino sottolinea la nozione di Dio unico e trascendente. Dio è senza origine, perciò non può essere nominato: " Il Creatore dell'universo non ha nome, perché non è generato. Il ricevere un nome presuppone infatti qualcuno più vecchio che dia questo nome. Queste parole Padre, Dio, Creatore, Signore e Padrone non sono nomi, ma appellativi motivati dai suoi benefici e dalle sue azioni. La parola "Dio" non è un nome, ma una approssimazione naturale all'uomo per designare una cosa inesplicabile " (II Apologia 6, 1, Paris 1987, 204-205).

Teofilo ( 180 ca.), vescovo di Antiochia di Siria, nei tre libri Ad Autolycum, nei quali difende il cristianesimo contro le obiezioni del pagano Autolico, scrive: " L'aspetto di Dio è ineffabile, inesprimibile e invisibile agli occhi carnali. La sua gloria è senza limiti, la sua grandezza senza confini, la sua altezza inaccessibile, la sua forza incommensurabile, la sua saggezza ineguagliabile, la sua bontà inimitabile, la sua carità indicibile " (Ad Autolycum I, 3, Paris 1948, 62-63).

Clemente d'Alessandria afferma che per giungere a Dio occorre una purificazione a livello intellettivo che si ottiene attraverso l'analisi: " Noi otteniamo il modo catartico con la confessione e il modo epoptico per via d'analisi, progredendo verso l'intelligenza prima.... Se dunque, dopo aver tolto tutti gli attributi del corpo e quelli che vengono chiamati gli incorporei, noi ci lanciassimo verso la grandezza del Cristo e di là noi avanzassimo per mezzo della santità verso l'abisso, noi ci avvicineremmo in qualche modo all'intellezione dell'Onnipotente, riconoscendo non che egli è, ma che non è... La causa prima non è in un luogo, essa è al di sopra del luogo, del tempo, del nome, dell'intellezione. Per questo ancora Mosè dice: "Manifestati a me"; in modo più chiaro significa che Dio non può essere né insegnato, né detto fra gli uomini, ma che può solamente essere conosciuto per l'effetto della potenza che viene da lui, perché l'oggetto della ricerca è senza forma ed invisibile, e la grazia della conoscenza viene da Dio per mezzo del Figlio " (Stromati, V, XI, 71,1-5, Paris 1981, 142-145). L'uomo non può conoscere Dio che è invisibile e indicibile e, secondo Clemente, su questo punto convergono anche i filosofi tra cui Platone. Così tutti i nomi che noi attribuiamo a Dio sono impropri.

Origene ritiene che noi non possiamo conoscere Dio nella sua sostanza, ma solo attraverso il Logos cioè il Cristo " figura expressa substantiae et subsistentiae Dei " e, inoltre, attraverso le creature. Scrive Origene: " Talvolta i nostri occhi non possono guardare la natura della luce, cioè la sostanza del sole; ma osservando il suo splendore e i raggi che si diffondono nelle finestre o in piccoli ambienti atti a ricevere la luce, di qui possiamo arguire quanto grande sia il principio e la fonte della luce materiale. Analogamente, le opere della provvidenza divina e la maestria che si rivela nel nostro universo sono, per così dire, i raggi di Dio in confronto della sua natura e della sua sostanza. Pertanto, poiché con le sue forze la nostra mente non può concepire Dio quale egli è, dalla bellezza delle sue opere e dalla magnificenza delle sue creature lo riconosce padre dell'universo " (De Principiis, I,1, 6, 132-133).

2. I cappadoci: Basilio difende la dottrina di Nicea, contro i partiti ariani. Egli professa la sua fede in Dio che è un solo essere divino (ousia) nelle tre Persone (ipostasi) del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Nella polemica contro Eunomio ( 395), egli formula una teoria che unisce sia la negazione che l'affermazione: " Tra le parole che sono dette di Dio, alcune indicano ciò che è presente in lui, altre, al contrario, ciò che non è presente. A partire da queste due serie, in effetti, una sorta di impronta di Dio s'imprime in noi che proviene sia dalla negazione degli attributi che non convengono, sia dalla confessione di quelli che esistono ". Noi lo chiamiamo incorruttibile, invisibile, immutabile, ingenerato. " Ciascuno di questi appellativi ci insegna a non cadere nell'improprietà delle nozioni quando riflettiamo su Dio " (Adversus Eunamium, I,10, Paris 1982, 204-205).

Gregorio di Nissa è considerato il fondatore della mistica cristiana. Egli utilizza le fonti classiche: Platone, i neoplatonici, gli stoici. Il centro della sua speculazione mistica è costituito dalla dottrina dell'immagine di Dio nell'uomo. Essa viene in aiuto alla ragione dell'uomo che, in quanto limitata, non riesce a cogliere l'essenza di Dio. Scrive il Nisseno: " La natura divina, in ciò che essa è per se stessa secondo la propria essenza, supera ogni presa del pensiero, giacché è inaccessibile e irraggiungibile dalla penetrazione dell'intelligenza, e il potere di comprendere l'inconcepibile non è assolutamente alla portata dell'uomo, giacché il mezzo per accedere all'impossibile non è ancora stato immaginato. Ecco perché il grande Apostolo chiama le sue vie impenetrabili, volendo esprimere con questa parola l'inaccessibilità del sentiero che porterebbe alla conoscenza dell'essenza divina. Nessuno di coloro che hanno goduto della vita ha rivelato alla nostra intelligenza altro che un vestigio di comprensione di ciò che supera l'intelligenza " (De Beatitudinibus, VI, ed. J.F. Callahan, Leiden 1992, 140). E necessario, perciò, percorrere un cammino diverso per cogliere l'invisibile; un modo può essere quello di contemplare l'ordine presente nella creazione. Gregorio invita però ad andare oltre per poter giungere alla visione di Dio. Per questo motivo, il grado più alto di conoscenza di Dio avviene nell'anima dell'uomo che si è purificato da ogni passione e da ogni peccato (cf Ibid., 142-143).

In Gregorio di Nissa c'è l'affermazione dell'assoluta trascendenza di Dio, quindi, dell'impossibilità del pensiero umano di poterlo conoscere e circoscrivere. Nell'opera Vita di Mosè questo tema della trascendenza di Dio è trattato ampiamente: " In effetti Dio non si sarebbe mostrato al suo servo, se la visione fosse stata tale da porre fine al desiderio di Mosè che guardava, in quanto si vede veramente Dio quando vedendolo non si cessa mai di desiderare di vederlo " (Ibid., II, 233, 201). D'altro canto, però, c'è anche il tema dell'incontro con Dio reso possibile per l'uomo, attraverso l'immagine di Dio che è in lui. Questi due temi in apparenza contrastanti sono in realtà collegati tra loro e sono come due aspetti della stessa realtà. L'ascensione contemplativa, scrive Daniélou,2 culmina con la theôria, cioè la contemplazione del mistero nella sua sostanza intemporale. L'opera di Gregorio supera quella dei suoi predecessori e oltrepassa l'ordine della contemplazione per entrare in quello dell'amore. La theôria comprende un momento positivo-negativo, la contemplazione del mistero, e la notte dei sensi, così che anche all'anima che giunge fin qui, l'ousia divina resterà sempre inaccessibile.

3. Tra i Padri latini è importante ricordare Arnobio ( sec. IV) il quale nell'opera Adversus nationes scrive: " Della natura divina questo soltanto può intendere l'uomo di veramente certo: sapere e capire che con parole mortali non può proferire niente intorno ad essa " (Ibid., III, 19, 15).

Agostino nel primo libro dell'opera De doctrina christiana, dopo aver parlato della Trinità, riflette sul tema dell'ineffabilità di Dio: " Abbiamo detto qualcosa o abbiamo espresso qualcosa degna di Dio? Certamente! Sento di non aver avuto altra intenzione che dire questo. Ma se ciò ho detto, non ho raggiunto l'oggetto di cui volevo parlare. E questo come mi risulta? Dal fatto che Dio è ineffabile, mentre quello che è stato detto da me, se fosse stato ineffabile non avrei potuto dirlo. Ne segue che Dio non è da dirsi ineffabile poiché quando di lui si dice questa prerogativa si dice qualcosa: per cui viene fuori un contrasto di parole, in quanto, se per ineffabile intendiamo ciò di cui non si può dire nulla, non è ineffabile un essere di cui si può affermare almeno che è ineffabile. Questo contrasto di parole è piuttosto da evitarsi col tacerne che conciliarlo col parlarne. In effetti, Dio, di cui non si può affermare nulla che gli si adatti, ha permesso che la voce umana lo elogiasse e ha voluto farci godere della sua lode espressa dalle nostre voci. E per questo che si è lasciato chiamare Dio " (Ibid., I, 6, 6).

All'uomo, insegna il vescovo d'Ippona, rimane soltanto il canto di lode: " Il giubilo è un certo suono che significa che il cuore vuol dare alla luce ciò che non può essere detto. E a chi conviene questo giubilo se non al Dio ineffabile? Ineffabile è infatti ciò che non può essere detto: e se non puoi dirlo, ma neppure puoi tacerlo, che ti resta se non giubilare, in modo che il cuore si apra a una gioia senza parole, e la gioia si dilati immensamente ben al di là dei limiti delle sillabe? Bene cantate a lui nel giubilo " (Enarrationes in Psalmos, 32, II D, 1, 8),

In Dionigi Areopagita sono presenti due filoni di pensiero: la tradizione neoplatonica e i Padri alessandrini e cappadoci. Questo immenso patrimonio è da lui utilizzato in modo mirabile e costituisce una teologia originale e unica dalla quale dipendono sia la filosofia del Medioevo sia i pensatori delle generazioni successive. Dionigi utilizza sia il metodo negativo (apofatico), che il metodo positivo (catafatico). Con il metodo negativo si nega la possibilità di pensare Dio, di includerlo in un concetto che lo rappresenti o lo significhi alla stessa stregua degli enti finiti. Con il metodo positivo si dice che egli è causa di tutti gli esseri, dal quale tutti emanano. L'elenco dei nomi divini che troviamo in Dionigi è ripreso da Proclo ( 485), e dalla Sacra Scrittura. Al primo posto c'è il Bene, con i nomi ad esso collegati: Luce, Bellezza, Amore. Dopo questo nome troviamo i nomi Essere, Vita, Sapienza (o Intelligenza, o Ragione). Seguono poi i nomi desunti dalla Sacra Scrittura: Potenza, Giustizia, Salvezza, Redenzione, Grande, Piccolo, Medesimo, Altro, Simile, Dissimile, Uguaglianza, Ineguaglianza, Onnipotente, Antico di giorni, Pace. Questi nomi con i quali Dio si rivela sono intellettuali e indicano il rapporto che c'è tra Dio e il creato. Ci sono però anche nomi divini che si ricavano dalle cose sensibili, sono i nomi simbolici di fuoco, luce, acqua: " Dicono che egli è sole, stella, fuoco, acqua, vento, rugiada, nube, perfino roccia e pietra, tutto ciò che è e niente di ciò che è " (Nomi divini I, 6, 596 C).

Tuttavia, questi nomi che celebrano in modo positivo Dio, sono lontani dal significarlo per quello che realmente è. Anche la Sacra Scrittura celebra Dio con dei nomi che non hanno alcuna somiglianza con lui: Invisibile, Infinito, Incomprensibile e con altre espressioni con le quali non si indica ciò che egli è, ma ciò che non è (Cf Gerarchia cel., II, 140 C-D). Così, riprendendo le teofanie dell'AT, a colui che con insistenza chiede il nome di Dio, Dionigi risponde: " E mirabile. Non è forse, in verità, un nome mirabile quello che sta al di sopra di ogni nome e che manca di ogni nome, che è situato al di sopra di ogni nome che si nomina sia in questo tempo sia nel futuro? " (Nomi divini I, 6, 596 A).

Dio è, perciò, innominabile. L'istanza negativa, per la quale tutti i nomi attribuiti a Dio devono essere negati, appare qui con chiarezza. La negazione però contiene una positività, una sorta di fecondità. Come fa notare A. Ghisalberti la vera peculiarità di Dionigi non è la teologia negativa. La sua originalità consiste " nell'aver colto le implicazioni derivanti dall'impossibilità per la negazione di essere definitiva. La teologia negativa non va intesa come l'ultima parola su Dio perché, se la si considera come definitiva, la negazione viene ad essere un'affermazione rovesciata, assume cioè le medesime pretese categoriche di ogni affermazione ". La negazione, negando ciò che vi è di improprio e di inadeguato nell'affermazione, giunge all'affermazione vera. Occorre riconoscere che c'è una terza via ulteriore alla affermazione e alla negazione, ed è la via " del riconoscimento dell'assoluta precedenza di Dio per cui Dio non va pensato, bensì ricevuto. Non è l'uomo a concepire Dio, ma è Dio che lo pone e lo concepisce ".3

Dionigi è considerato il teorico della teologia apofatica. Mentre in Oriente, nei secoli successivi, la teologia apofatica è presente nei diversi autori spirituali, in Occidente, lo studio di Aristotele porterà ad approfondire la teologia positiva. Tuttavia, l'opera di Dionigi, tradotta in lingua latina prima da Ilduino (855859), abate di Saint-Denis e poi da Giovanni Scoto Eriugena, ha un'enorme influenza sul pensiero filosofico e teologico del Medioevo. Alberto Magno e Tommaso d'Aquino hanno commentato il trattato sui Nomi divini.

Eckhart. Nel corpus latino e tedesco del maestro di Hochheim sono numerosi i punti nei quali egli afferma che Dio è ineffabile. Nessuno può parlare di lui perché egli è al di sopra di ogni altro nome. Commentando il passo della Genesi dove Giacobbe chiede a Dio di rivelargli il proprio nome, Eckhart sostituisce alla risposta divina data a Giacobbe una risposta più ampia, che prende dal libro dei Giudici: Cur quaeris nomen meum, quod est mirabile? (Gdc 13,18) Questa frase può essere letta in diversi modi; il più significativo tra questi è quello che si ricava dalla lettura di Fil 2,9 e, commenta V. Lossky, ci pone davanti un paradosso: il nome di Dio è mirabile, perché è un nome e tuttavia è al di sopra di ogni altro nome. Il nome è mirabile poiché è un nome innominabile, un nome indicibile, un nome ineffabile. Inoltre, il suo nome è mirabile poiché, come dice il profeta Isaia (45,15), la sua natura è di essere nascosto: Vere tu es Deus absconditus. Questo nome non si può cercare all'esterno, ma è da ricercare nell'intimo dell'uomo. Ed Eckhart cita a questo proposito il passo di Agostino: " Noli foras ire, in teipsum redi; in interiore homine habitat veritas " (De vera religione, 39, 72).

Secondo Lossky, Dio è ineffabile proprio perché la sua natura è l'Essere nascosto: " Mirabile quaerere nomen eius, cuius natura est esse absconditum ".4 Il nome innominabile è l'Uno, superiore a tutti i nomi divini; l'Uno è sorgente unica sia della Trinità, che di tutto il creato. Conoscere Dio, dunque, è conoscere che egli è Uno. Scrive Eckhart: " Più Dio è riconosciuto come Uno, più è riconosciuto come Tutto... Più si conosce nitidamente e profondamente Dio come Uno, più si conosce la radice dalla quale sono uscite tutte le cose " (Predica 54 a).

L'Uno, commenta A. De Libera, non è un nome di Dio, ma è la designazione dell'Unico come dimora di.5 L'anima che cerca Dio deve rompere con tutte le cose create e quando " trova l'Uno dove tutto è uno, essa rimane in quest'unico Uno " (Ibid. 51). " Essa è stabilita nell'unità, secondo il modo dell'unità, dove non c'è più nome " (Ibid. 64). Se Dio è ineffabile, ed il suo nome è mirabile, allora il fine ultimo della ricerca è " la tenebra, o non-conoscenza della Deità nascosta, da cui irradia la luce, ...nel fondo dell'anima, dove il fondo di Dio e il fondo dell'anima sono un fondo solo. Più lo si cerca, meno lo si trova. Tu devi cercarlo in modo da non trovarlo in alcun luogo. Se non lo cerchi, lo trovi. Che Dio ci aiuti a cercarlo in maniera da restare eternamente con lui. Amen " (Ibid. 15).

Tra i mistici renani Taulero riprende da Dionigi il concetto di Dio "senza nome": " L'essere divino è in se stesso senza nome; i nomi gli sono toccati da parte delle creature. Per esempio: poiché egli ha fatto le creature noi lo chiamiamo "Gott", buono, come egli è. Poiché la creatura è bisognosa, lo chiamiamo misericordioso, clemente e propizio, come è pure. Poiché la creatura è manchevole, egli è chiamato giudice. E così diversi altri nomi che non gli appartengono per la sua stessa essenza, poiché in se stesso egli è privo di nome, di immagini, di forme, di modi, ed è spoglio di tutte le cose " (Divine Istituzioni, p. 26 delle Opere in ed.it.).

La t. è presente anche in Giovanni Ruusbroec, mistico fiammingo. Egli, come teologo e come autore spirituale, è da considerare il più grande tra i mistici del nord. In lui troviamo l'influenza di s. Bernardo, Gregorio Magno, Ambrogio, Agostino. I suoi scritti descrivono l'unione dell'uomo con Dio, fino ad esplorare i gradi più alti dell'esperienza unitiva, che inabissa l'uomo nel mistero di Dio. L'uomo non può conoscere l'essenza divina, che supera ogni concetto umano. In Dio Ruusbroec oppone l'essenza, cioè l'eterno riposo, l'inoperosità, all'attività nella quale Dio è principio di vita, fecondità, azione immanente e transitiva. Questa opposizione fra essenza e attività in Dio costituisce due momenti dialettici dello stesso Essere divino. L'uomo che si eleva alla contemplazione di Dio coglie ciò che nella divinità è proprio del Padre, ciò che è proprio del Verbo eterno e ciò che è proprio dello Spirito Santo. Ma questa distinzione non toglie l'unità dell'Essere di Dio: " Tutto ciò viene considerato e contemplato come qualcosa di indiviso e non comunicato nell'unica e semplice natura divina. Tuttavia, secondo il nostro modo di capire, ciò che è appropriato alle Persone, resta oggetto di molte distinzioni ".6 La contemplazione più alta per l'uomo consiste nell'unirsi a Dio nell'amore.

La linea della teologia negativa prosegue nella Theologia Deutsch. L'autore, un anonimo sacerdote teutonico di Francoforte, per parlare di Dio usa volentieri dei sinonimi: Perfetto, Uno, Verità, Bene supremo. Nell'esposizione di questi concetti le fonti sono la Sacra Scrittura e la corrente neoplatonica cristianizzata da Dionigi. Ecco come l'anonimo di Francoforte definisce il Perfetto: " E un essere che, in se stesso e nel suo essere, comprende e racchiude tutti gli esseri: senza di lui e fuori di lui non vi è essere vero e in lui tutto ha il suo essere perché Egli è l'essere di tutto ". Dalla definizione di Perfetto scaturisce quella di imperfetto. " L'imperfetto, infatti, è ciò che prende la sua origine dal Perfetto, così come lo splendore o una luce derivano dal sole o da un corpo luminoso, ed è qualcosa, questo o quello, e si chiama creatura. E, come nessuno di tutti gli esseri particolari è il Perfetto, così il Perfetto non è nessuno di tutti gli esseri parziali. I particolari sono comprensibili, conoscibili ed esprimibili; al contrario, il Perfetto è per tutte le creature inconoscibile, non concepibile e non dicibile. Per questo si chiama Niente ". Mentre l'imperfetto è comprensibile e conoscibile, " il Perfetto è chiamato Niente perché non è nessuno di questi esseri parziali; la creatura in quanto creatura non può né conoscerlo, né comprenderlo, né nominarlo, né pensarlo " (Theologia Deutsch, I, 39). L'alterità tra Perfetto e imperfetto consiste nella inconoscibilità del Perfetto, cosicché il Perfetto è chiamato Niente. La creatura, in quanto ontologicamente limitata, non può conoscere Dio, che è sommo bene, eterno, somma perfezione, ma neppure, secondo l'autore della Theologia Deutsch, dire qualcosa su di lui. Di fronte a Dio la creatura deve saper tacere, mantenere un silenzio adorante.

Nicola da Cusa per parlare di Dio postula una dotta ignoranza. Egli dice che la Verità è inaccessibile e, per quanto molti filosofi abbiano cercato di indagarla, nessuno è riuscito a conoscerla. Allora, per conoscere Dio occorre entrare in questa ignoranza. Egli scrive: " La sacra ignoranza ci ha insegnato che Dio è indicibile, perché egli è maggiore all'infinito di tutte le cose di cui si può parlare. E poiché questo è verissimo, con più verità parliamo di lui rimuovendo e negando, come sostiene anche Dionigi il grandissimo, il quale volle che Dio non fosse né verità, né intelletto, né luce, nessuna di quelle cose che si possono dire a parole " (La dotta ignoranza, Milano 1988, 123).

L'influenza di Dionigi e della t. si snoda lungo i secoli e si evidenzia in modo particolare nella scuola carmelitana e soprattutto in Giovanni della Croce, il grande teologo mistico spagnolo del sec. XVI. Le fonti che hanno influenzato la sua dottrina sono molteplici. Al primo posto troviamo la Sacra Scrittura che egli conosce a memoria. Subito dopo: il tomismo insieme all'agostinismo e al neoplatonismo, la mistica araba spagnola, i mistici del nord, la poesia spagnola e la mistica spagnola con Osuna, Laredo, Teresa d'Avila. Giovanni percorre e addita l'essenziale via a Dio. Il tema centrale nella sua speculazione è quello dell'unione dell'anima con Dio. Questo cammino avviene nella notte ed è segnato da un abbandono del peccato, da una purificazione di tutto ciò che non è Dio. Dio è assolutamente trascendente e l'espressione "raggio di luce oscura", ripresa da Dionigi, esprime la lontananza che separa l'anima da Lui.

Il cammino che l'anima compie per giungere a Dio è chiamato da Giovanni della Croce, notte " primo, a causa del termine da cui essa muove; l'appetito deve privarsi di tutti i beni temporali di cui gode, rinunziando ad essi: rinuncia e privazione che per tutti i sensi dell'uomo costituiscono una vera notte. Secondo, per il mezzo o la via attraverso la quale l'anima deve tendere all'unione con Dio; tale mezzo è la fede che per l'intelletto è oscura come la notte. Terzo, per la meta a cui essa è diretta, Dio, il quale è ugualmente notte oscura per l'anima finché questa rimane nel mondo " (Salita del Monte Carmelo I, 2,1). L'anima deve perciò mortificarsi di tutti gli appetiti, deve rinunciare al gusto sensibile in tutte le cose.

Per Giovanni della Croce Dio è trascendente, infinito, incomprensibile " non nella sua lontananza, ma soprattutto nella sua intimità e immanenza, nella sua capacità di penetrare nell'uomo per vie che nessuna creatura e nemmeno il soggetto stesso potrebbero scoprire ".7 L'anima si unisce a Dio attraverso una perdita di tutto ciò che non è lui; il guadagno totale si ha nella perdita totale e i versi scritti sotto il disegno della Salita del Monte Carmelo, che permettono di giungere al vertice dell'unione, stanno a significare ciò: " Quando ti fermi su qualche cosa, tralasci di slanciarti verso il tutto. Per giungere interamente al tutto, devi totalmente rinnegarti in tutto. E quando tu giunga ad avere il tutto, tu devi possederlo senza voler niente poiché se tu vuoi possedere qualche cosa nel tutto, non hai il tuo solo tesoro in Dio " (Ibid., I, 13,12).

Anche in Tommaso di Gesù, un autore spirituale tra i più importanti della scuola carmelitana del sec. XVII è presente la t. Nella duplice conoscenza di Dio, per affermazione e per negazione, quest'ultima è la più perfetta di tutte le conoscenze, che si possono avere su Dio in questa vita ed è propria del dono dell'intelletto. Nel trattato De Contemplatione divina libri sex, egli vuole condurre l'anima attraverso i gradi, o gerarchie della contemplazione, all'unione con Dio. Infatti tutti i cristiani, illuminati dalla luce della fede, possono salire per divina grazia dalle creature visibili a una contemplazione del Creatore, ed è possibile penetrare un poco nei profondissimi misteri dell'ineffabile e beatissima Trinità e considerarli con l'occhio della fede. Padre Tommaso risente dell'influsso di Dionigi Areopagita e da lui riprende la concezione gerarchica degli spiriti. Alle tre gerarchie angeliche corrispondono nella mente umana tre gradi nei quali noi passiamo dall'immaginazione alla ragione e dalla ragione all'intelligenza. Tommaso dedica tutto il libro V del trattato De Contemplatione divina alla contemplazione mistica che si raggiunge attraverso la conoscenza negativa e ritiene questa specie di contemplazione, che ha per oggetto l'incomprensibilità di Dio, più nobile di tutte le altre. Questa contemplazione " è difficile da comprendere, più ancora da spiegare e difficilissima da sperimentare " (Ibid., V, c. 11). Anche per Tommaso di Gesù, dunque, la t. costituisce un grado decisivo dell'unione dell'anima con Dio, non tuttavia il definitivo.

IV. In conclusione, il percorso storico documenta che la t. è una costante del pensiero cristiano, pur con le caratteristiche proprie di ogni epoca e di ogni autore. Il motivo teorico sta nel valore che la t. evidenzia: l'utilità, ma anche il limite del concetto per parlare del mistero di Dio. Se è pur vero che il linguaggio e il concetto sono inadeguati, tuttavia essi sono necessari. Inoltre sottolineano come la t. non sia l'ultima parola su Dio, ma piuttosto un invito ad un rapporto più completo con lui. E nell'unione dell'uomo con Dio, che si attua nell'amore, che la teologia mistica trova il suo compimento.

Note: 1 G. Reale, Storia della filosofia antica, IV. Le scuole dell'età imperiale, Milano 19844, 510; Cf Enneadi, V, 3,13; 2 Cf J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Doctrine spirituelle de Saint Grégoire de Nysse, Paris 1944, 147ss.; 3 A. Ghisalberti, Medioevo teologico. Categorie della teologia razionale nel Medioevo, Roma-Bari 1990, 30-31; 4 V. Lossky, Théologie négative et connaissance de Dieu chez Maître Eckhart, Paris 1960, c. I; 5 A. de Libera, Introduction à la mystique rhénane: d'Albert le Grand à Maître Eckhart, Paris 1984, 283-284; 6 Giovanna della Croce, Ruusbroec, in La Mistica I, 476-477; 7 F. Ruiz Salvador, Giovanni della Croce, in Ibid., 567.

Bibl. S. Agostino, La dottrina cristiana, Milano 1989; Id., Esposizioni sui Salmi, Opere di Sant'Agostino - Edizione latino-italiana, parte III: Discorsi, vol. XXV, Roma 1982; Arnobio, Adversus nationes, libri VII, recensuit C. Marchesi, Corpus Scriptorum Latinorum Paravianum, n. 62, Torino 19532; H.U. von Balthasar, Stili laicali, in Id., Gloria. Un'estetica teologica, III, Milano 1986; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Doctrine spirituelle de saint Grégoire de Nysse, Paris 1944, 147ss.; Dionigi Areopagita, Tutte le opere, tr. di P. Scazzoso, intr. e note di E. Bellini, Milano 19832; Maestro Eckhart, Trattati e Prediche, intr. trad. e note di G. Faggin, Milano 19882; " Der Frankforter ", " Theologia Deutsch " in Neuhochdeutscher Übersetzung herausgegeben und mit einer Einleitung versehen von A.M. Haas, Einsiedeln 1980, 31-36; Saint Justin, Apologies, Introduction, Texte critique, Traduction, Commentaire et Index par A. Wartelle, in Etudes Augustiniennes, Paris 1987; Gregorio Nisseno, De Oratione dominica, De Beatitudinibus, ed. J.F. Callahan in Gregorii Nysseni, Opera, auxilio aliorum virorum doctorum edenda curavit Wernerus Jaeger, vol. VII, pars II, Leiden-New York-Köln 1992; Gregorio di Nissa, La vita di Mosè, a cura di M. Simonetti, Milano 1984; V. Lossky, Théologie négative et connaissance de Dieu chez Maître Eckhart, Paris 1960; R. Mohr, Via negationis, in WMy, 512-513; Origene, I Principi, a cura di M. Simonetti, Classici delle Religioni, Sezione Quarta diretta da Piero Rossano - La religione cattolica, Torino 1968; J. Quasten, Patrologia, 3 voll., vol. I e II, Casale Monferrato (AL) 1983; G. Reale, Storia della filosofia antica, IV. Le scuole dell'età imperiale, Milano 1984; K. Ruh, Storia della mistica occidentale, vol. I: Le basi patristiche e la teologia monastica del XII secolo, Milano 1985; A. Solignac, s.v., in DSAM XV, 509-516; Taulero, Opere, intr. tr. e note di B. De Blasio, Alba (CN) 1977; E. Zambruno, La " Theologia Deutsch " o la via per giungere a Dio. Antropologia e simbolismo teologico, Milano 1991, 15-22.

E. Zambruno

TERESA DE LOS ANDES (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Juanita Fernández Solar nasce a Santiago del Cile il 13 luglio 1900. I suoi genitori, Miguel Fernández e Lucia Solar, insieme ai loro sei figli, formano una famiglia profondamente cristiana ed economicamente agiata.

Fin da bambina, T. comincia ad avere un rapporto molto intimo con Gesù e Maria. Già nel 1906 scrive nel suo Diario: " Gesù inizia a prendere il mio cuore per sé ". Il giorno della prima Comunione segna una traccia indelebile nella sua anima e diventa un punto di partenza per un' amicizia sempre più intima con Gesù.

Compie i suoi studi nel Collegio del S. Cuore (1907-1918). E una brava alunna e s'interessa dei bambini, degli anziani e del personale del collegio, soprattutto quando si ammala.

Nel 1914 comincia a leggere s. Teresa del Bambin Gesù e ne resta molto colpita. Più avanti, legge Teresa d'Avila ed Elisabetta della Trinità con le quali si trova in perfetta sintonia e s'impegna a vivere con Gesù nell'intimo di se stessa. L'8 dicembre 1915 fa voto di castità e promette: " Non avrò altro sposo che Gesù Cristo ".

Nell'aprile 1916, rivela a sua sorella Rebecca che diventerà carmelitana e prende le seguenti risoluzioni: dimenticare se stessa, fare la felicità degli altri, vivere con Gesù nell'intimo e amare la virtù. S'impone sacrifici e offre la sua vita per la conversione di varie persone.

Il 7 settembre 1918 scrive alla priora del Carmelo di Los Andes chiedendo di entrare in monastero, ove fa l'ingresso il 7 maggio 1919, con il desiderio di essere accanto a Cristo come vittima, per intercedere soprattutto per i sacerdoti. Sceglie proprio quel Carmelo perché è tanto povero da non aver neppure l'elettricità né l'acqua corrente.

Cambia il suo nome in Teresa di Gesù ed esercita un intenso apostolato sia con la misteriosa fecondità del sacrificio e dell'orazione sia anche con le sue lettere, che invia a familiari ed amici che contagia con il suo amore a Cristo attraverso una profonda gioia e felicità, perché per lei " Dio è gioia infinita " e Gesù Cristo è questo pazzo d'amore che l'ha resa pazza, molto " pazza... ", come ella stessa si definisce. In monastero trasmette la sua passione per Gesù, per l'Eucaristia e per la SS.ma Vergine; parla dell'abbandono fiducioso nelle mani del Padre, dell'orazione e dell'abnegazione evangelica. Il 14 ottobre comincia il suo noviziato e dirada la sua corrispondenza epistolare.

I primi giorni del mese di marzo del 1920 confida al suo confessore che morirà presto. Difatti, il 2 aprile, venerdì santo, si ammala gravemente di tifo. Vista la gravità della malattia si decide di farle emettere la professione il 6 aprile. Sei giorni dopo muore. Ha appena diciannove anni di età e undici mesi di vita carmelitana.

II. Esperienza mistica. Al di là dei fenomeni mistici che T. potette sperimentare, è la profonda unione con Dio, che cercò di raggiungere, che la rende una vera mistica.

T. fu favorita da profonde comunicazioni interiori. Ricorda che il giorno della sua prima Comunione ebbe la sensazione che Gesù le parlasse ed era convinta che tutti nella comunione eucaristica sperimentassero tale fenomeno. Ogni volta che si comunicava provava la stessa cosa: Gesù le parlava.

I testimoni affermano che T. era favorita anche da estasi. Si ricorda che un giorno fu vista sollevata da terra, in cappella, con lo sguardo fisso sul tabernacolo. Nel suo Diario, ella stessa riferisce di aver sperimentato l'inabitazione trinitaria nella sua anima: " Nostro Signore mi disse che desiderava che vivessi con lui in una comunione perenne... poi mi disse che la SS.ma Trinità stava nella mia anima... immediatamente essa restò molto raccolta, la contemplò e mi sembrava fosse piena di luce ". T. fu un'autentica contemplativa. Secondo il suo confessore, ella avrebbe raggiunto il matrimonio mistico con tutti gli effetti di illuminazione e di amore per Dio e per la Chiesa.

La sua profonda vita mistica era sostenuta dalle virtù teologali, dall'impegno nel conformarsi a Cristo, dalla fedeltà e dal servizio agli altri nella vita quotidiana. La sua notevole maturità spirituale, nonostante la giovane età, le permise di coniugare armonicamente la dimensione umana e divina.

Bibl. Opere: Pensieri, Roma 1987; Diario y Cartas. Introducción, revisión del texto y notas del P. M. Purroy, Santiago 1993. Studi: F. Caraffa, s.v., in BS, Appendice I, 483; Centro Interprovinciale ocd (cura di), Teresa de Los Andes: la " santina americana ", Roma 1993; E. Gil De Muro, Cada vez que mire al mar. Teresa de los Andes, Burgos 1993; M. Purroy, Dal Cile una giovane santa per il mondo, Roma 1986.

S. Mendoza Osorio

TERESA DI GESU (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Teresa di Gesù (de Cepeda y Ahumada), nata in Avila (Spagna) nel 1515 e morta ad Alba de Tormes nel 1582, è stata la prima donna ad essere annoverata tra i Dottori della Chiesa.

La proclamazione, avvenuta nel 1970 ad opera di Paolo VI, ha definitivamente confermato l'universalità e la sicurezza del magistero di T. nel campo della teologia mistica; un magistero abbondantemente documentato, sia a livello biografico che a livello letterario, a partire dagli scritti che lei stessa ci ha lasciato.

La " biografia spirituale " della santa è la vera e propria narrazione di un " incontro d'amore " tra T. e Cristo: incontro annunciato dolcemente nell'infanzia, problematizzato nell'adolescenza, deciso " a forza " con la fuga impetuosa verso il Carmelo nel tempo della giovinezza, divenuto tormentoso e contraddittorio in lunghi anni di vita claustrale durante i quali la preghiera non riesce a farsi dialogo totale ed effusivo, ma rivela la " divisione del cuore ".

T. indica il 1554 come l'anno della sua " conversione ", come l'inizio della sua " vita nuova ": vita di familiarità piena e quotidiana con Cristo Gesù divenuto suo " Libro vivente ".

E un periodo di " unione " e di " esperienze estatiche " che culmina con la celebre grazia, più volte ricevuta, della transverberazione che " l'avvolge in una fornace d'amore ".

Nel 1562 obbedisce al Signore che le chiede la fondazione di un nuovo Carmelo: lo immagina e lo realizza come " un angolino di cielo ", dove raccogliere poche anime buone che si facciano compagnia, riunendosi attorno a Cristo sposo come suo " piccolo collegio ".

T. sembra ormai orientata in senso esclusivamente escatologico, nell'attesa impaziente dell'incontro definitivo con lo Sposo celeste.

Ma qui la sorprende la Chiesa, che entra prepotentemente nella sua contemplazione: la Chiesa corpo " ancora sofferente " di Cristo. E la Chiesa lacerata dalla rivolta protestante e dalle lotte di religione; è la Chiesa missionaria implicata nelle ambigue vicende dei " conquistatori " d'America; è l'Ordine carmelitano che vive le sue ansie di Riforma.

Nel 1567, a partire da un incontro con il Generale dell'Ordine carmelitano, T. dà inizio alla sua opera di fondatrice, che subito estende anche al ramo maschile dell'Ordine (dopo un provvidenziale incontro con colui che diverrà Giovanni della Croce): quest'opera ricca di grazie e di travagli, la terrà intensamente impegnata per i restanti quindici anni della sua vita.

Nel 1572 T. riceve la grazia del " matrimonio spirituale ": vive in abituale unione con Dio, immersa nel mistero trinitario e in tranquilla pace, nonostante le pene esteriori.

Quando muore, stremata dalle fatiche, esprime in un desiderio congiunto i due vertici di maturazione ai quali tutto il suo itinerario mistico l'ha condotta: " Finalmente, o Sposo mio, è ora che ci vediamo " e " Sono figlia della Chiesa ".

Gli scritti che T. ha lasciato sono stati tutti composti occasionalmente: o per la necessità di dover dar conto della sua coscienza ai confessori incerti e impacciati davanti alle sue molteplici esperienze interiori; o per aiutare le sue " figlie " che volevano approfittare della sua guida materna ed esperta.

Così l'itinerario mistico di T. è stato da lei stessa narrato e analizzato con tutta la profondità e l'accuratezza desiderabili.

L'Autobiografia - definita da lei Libro delle misericordie del Signore - racconta le vicende della sua esistenza come " storia di salvezza ". La parte centrale dell'opera contiene un'accurata " dottrina sull'orazione " (cc. 11-22) e un'esposizione dottrinale sulle grazie mistiche da lei sperimentate (cc. 22-31).

Il Cammino di perfezione espone la pedagogia di T. nella formazione dei suoi monasteri. Contiene un trattato sull'orazione vocale e mentale, strutturato come commento al Padre nostro (cc. 17-42).

Il Castello interiore è l'opera della maturità teresiana e uno dei vertici di ogni letteratura mistica, scritto nel 1577, quasi di getto, in meno di due mesi (tenendo conto delle innumerevoli occupazioni che la assediavano). Il libro è diviso in Mansioni (secondo l'attività dell'anima che si va addentrando nel suo castello interiore, alla ricerca della stanza più intima, dove abita il Dio-Trinità): quando essa giungerà al centro della dimora, scoprirà d'essere contemporaneamente giunta al centro della vita divina, al centro di se stessa e al centro dell'intero universo.

Caratteristica di quest'opera è non solo quel piccolo " trattato di fenomenologia mistica " che T. inserisce nelle Seste Mansioni, ma il fatto che la santa collochi al vertice di tutto l'itinerario (al termine delle Settime Mansioni) il servizio alla Chiesa.

Scopo di Dio, in ogni grazia o esperienza mistica che egli concede, non è mai quello di " vezzeggiare le anime ", ma quello di " renderci simili al Figlio suo Crocifisso ", disponibili ad " essere venduti come schiavi, segnati dal ferro della croce, in tutto il mondo ".

A queste opere vanno ancora aggiunti: l'abbondantissimo Epistolario, il racconto delle diverse Fondazioni, una sessantina di brevi Relazioni spirituali, preparate per i confessori; alcune preghiere, dette Esclamazioni; alcuni Pensieri sull'amore di Dio, e molte Poesie.

II. Dottrina mistica. La mistica teresiana non è esattamente, come spesso si dice, una " mistica dell'orazione ", ma più precisamente una " mistica della vita di orazione ": determinante è appunto la parola vita poiché è l'intera esistenza a dovere entrare in un dialogo ed in un'amicizia oranti, senza i quali essa resta irrisolta e priva di senso.

La grazia mistica per eccellenza è per T. " la conformazione a Cristo " nel suo stato di offerta sacrificale per il mondo. Incontrarsi, in tal modo e a tale scopo, con Cristo è l'obiettivo di tutto il cammino, nel suo insieme e nelle singole fasi.

Peccato non è solo la grave trasgressione delle leggi di Dio, ma è tutto ciò che può distogliere l'uomo da questo " incontro " intimo e personale: sia che ciò accada nelle distrazioni superficiali dell'adolescenza, sia che ciò accada anche in piena maturità spirituale, anche se nessun altro (fuori di noi) riuscisse a vedere ombra di peccato nei nostri comportamenti.

Bene è, invece, ogni tentativo di difendere la possibilità di questo " incontro " con lui; per questo un peccatore, mentre si dibatte tra il peccato e la grazia, deve tentare in ogni modo di non rinunciare ai momenti destinati a questo incontro (all'orazione), anche nel caso che se ne sentisse indegno e provasse soltanto ripugnanza: la preghiera è comunque e sempre un bene, perché è una porta aperta all'incontro.

A qualsiasi tappa dell'itinerario spirituale ci si trovi, dunque, il problema resta " rendere l'incontro possibile ", cioè l'orazione.

Essa non è solo l'avventura di un'anima convertita, ma anche la strada di quelle che hanno bisogno di convertirsi.

L'orazione è un accettare l'appuntamento del proprio essere con Dio. Una volta che questa accettazione è data, si sviluppa il cammino che conduce all'appuntamento.

Così l'orazione diventa ricerca, esperienza, passaggio tra diverse fasi e diverse possibilità; tende a coinvolgere tutte le facoltà della persona, a mettere in moto tutte le sue energie affettive ed etiche, ad aprire tutti gli spazi che la grazia di Dio deciderà liberamente di inondare.

E, poiché essa è essenzialmente " incontro e dialogo " con Cristo, la preghiera tende a privilegiare tutte le possibili sorgenti della sua Parola: da quelle più sacre e oggettive (la Scrittura, le testimonianze della tradizione, il sostegno della liturgia) a quelle più quotidiane e indirette (compresa la voce che ci giunge dalle immagini sacre e dai simboli naturali).

Allo stesso modo, i fenomeni che accadono durante questo incontrodialogo sono tutti potenzialmente mistici, perché tutti, ciascuno a suo modo, vanno realizzando l'incontro stesso.

Che tutto sia grazia è ovvio, perché nessuno potrebbe impadronirsi di Dio, se egli non avesse voluto donarsi: perciò quando l'uomo tenta, come può, di aprirsi a questo donoincontrodialogo, si mette in movimento quel processo di divinizzazione che è lo scopo stesso di tutta la storia cristiana.

Al vertice dell'itinerario mistico, T. pone - come è noto - quel " matrimonio spirituale " che unisce coniugalmente la nostra natura a quella di Dio: una unione " viscerale ", simile a quella che Maria Vergine ospitò nel suo seno, dando carne al Verbo.

Come preparazione ad esso descrive - perché Dio glieli ha fatti sperimentare - una molteplicità di " fenomeni mistici " (con tutte le loro risonanze psicologiche): il loro valore è in ciò che indicano e insegnano; ma non devono ingenerare pretese né ossessioni.

Spesso T. si attarda, per il suo desiderio di aiutare i lettori, a descrivere gli atteggiamenti che il soggetto umano assume, lungo le varie fasi del suo rapporto con Dio.

Ma tutto viene meno quando ella raggiunge il suo scopo: descrivere la splendida oggettività del soggetto Cristo che si rende presente alla sua creatura in tutta verità: Cristo che ci assume in sé, Cristo che dona il suo Spirito, Cristo che rivela il Padre, Cristo che ci consegna alla sua Chiesa.

L'aver difeso la centralità della umanità di Cristo in ogni fase del cammino spirituale e l'aver collocato al vertice dello stesso cammino il servizio ecclesiale - ciò che è stato definito " l'ecclesializzazione dell'amore mistico nella costruzione della Chiesa " - sono probabilmente gli apporti più originali e decisivi che T. abbia dato alla teologia mistica.

Bibl. Opere: S. Teresa, Obras completas, a cura di T. Alvarez, Burgos 1994. Studi: T. Alvarez, s.v., in DSAM XV, 661-658; Id, s.v., in DES III, 2479-2498; Id, Santa Teresa di Gesù mistica, in Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 199-229; E. Ancilli, I gradi dell'esperienza mistica teresiana, in EphCarm 13 (1963), 9-62; J. Castellano, Teresa di Gesù, in La Mistica I, 445-546; S. Castro, Cristologia teresiana, Madrid 1981; M. de Goedt, Il Cristo di Teresa, Città del Vaticano 1997; M. Lepée, Sainte Thérèse mystique, Bruges 1951; Marie-Eugène de l'Enfant Jésus, Je veux voir Dieu, Tarascon 1949; Id., Je suis fille de l'Église, Tarascon 1951; R. Moretti, Teresa d'Avila e lo sviluppo della vita spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 1996; E. Renault, Santa Teresa d'Avila e l'esperienza mistica, Milano 1990; A.M. Sicari, L'itinerario di S. Teresa d'Avila. La contemplazione nella Chiesa, Milano 1994; M. Tietz, s.v., in WMy, 489-492; F.R. Wilhélem, Dio nell'azione. La mistica apostolica secondo Teresa d'Avila, Città del Vaticano 1996.

A.M. Sicari

TERESA DI GESU BAMBINO (santa). (inizio)

I. Vita e opere. Teresa Martin, al Carmelo sr. Teresa del Bambino Gesù e del S. Volto, nasce ad Alençon, il 2 gennaio 1873, ultima di nove figli, di cui cinque viventi. La morte della mamma causa nella fanciulla, che allora ha circa cinque anni, un trauma profondo che si manifesterà in una ipersensibilità crescente, giungendo fino alla nevrosi e alla malattia psisomatica. La notte di Natale del 1886, T. giunge a dominare la sua ipersensibilità; ella darà ormai prova di una notevole forza interiore, anche se sottolinea sempre la sua piccolezza e la sua debolezza nelle quali risplenderà la misericordia del Signore, percepita e vissuta come unico cammino di speranza e di santità. Entrata al Carmelo di Lisieux a quindici anni, presto le viene affidato l'incarico di seguire le novizie. Dopo la sua prima emottisi, consapevole della morte imminente, ella entra in una profonda notte di fede circa l'esistenza del cielo per lei. Questa malattia, comunque, costituisce il vertice del suo amore per Gesù e il prossimo, del suo abbandono e del suo ardore apostolico; ella nutre una forte speranza di poter lavorare ancora dopo la morte per il bene delle anime. Muore il 30 settembre 1897, a ventiquattro anni. Pio XI la canonizza nel 1925 e la dichiara patrona universale delle missioni nel 1927. Giovanni Paolo II l'ha dichiarata Dottore della Chiesa il 19 ottobre 1997.

T. ha lasciato tre Manoscritti autobiografici (A, B, C), duecentosessantasei Lettere (L), cinquantaquattro Poesie (P), otto Componimenti teatrali (Pie ricreazioni), ventuno Preghiere (Pr) e alcuni Scritti diversi. Le sue consorelle hanno raccolto le sue Ultimi colloqui (UC). Oggi disponiamo sia di una considerevole edizione critica integrale dei suoi scritti in otto volumi (Paris 1992) sia delle Oeuvres complètes in un volume unico (Paris 1992, 1600 pp.).

II. Esperienza e dottrina mistica. L'esistenza di T. scaturisce da un'intensa relazione d'amore. " Sin dall'infanzia " (A 40ro), il suo " cuore amante e sensibile " (A 4vo) è stato orientato verso il cielo e verso l'amore di Gesù. A nove anni, ella decide di diventare " una grande santa " (A 32ro). La sua prima Comunione, ad undici anni, è " un bacio d'amore ", una " fusione " (A 35ro). Il giorno della sua professione, ella chiede " l'Amore, in cui non sia più io ma tu, mio Gesù " (Pr 2). Al Carmelo, ella vuole " vivere d'Amore " (è il titolo della famosa P 17) e " amare Gesù alla follia " (A 82vo). Sul letto di morte, le sue ultime parole saranno: " Mio Dio, io ti amo ".

T. vive quest'amore in un atteggiamento di spiccato cristocentrismo. Se le parole " amore " e " amare " abbondano, nessun vocabolo, però, ritorna tanto quanto il nome di Gesù. Il " buon Dio " è molto spesso Gesù, che si riveste di attributi paterni: egli è " il più tenero dei padri " e il suo " cuore è più che materno " (P 36).

Nella festa della Trinità, il 9 giugno 1895, T. " comprende più che mai come Gesù desideri essere amato " e inondarci dei suoi " flutti d'infinita tenerezza " (A 84ro); ella risponde con la sua " offerta di se stessa come vittima di olocausto all'amore misericordioso " (Pr 6). Questa offerta è la logica conseguenza e l'espressione orante della sua " piccola via ", scoperta fin dall'autunno del 1894 (cf infanzia spirituale). Nei mesi successivi, T. racconterà quanto sperimentato a livello mistico: " L'Amore mi penetra e mi circonda, mi sembra che ad ogni istante questo Amore misericordioso mi rinnovi, purifichi l'anima mia ", ella si rende conto di come " il fuoco dell'Amore sia santificante " (A 84vo). Profeta dell'Amore misericordioso, T. invita " tutte le piccole anime " ad " abbandonarsi con totale fiducia alla infinita misericordia " di Gesù (B 5vo). Da qui, l'insistenza, caratteristica della sua celebre " piccola via ", sulla fiducia nella misericordia come chiave di giustificazione e di santificazione.

Questa relazione d'amore, attiva ed accogliente, sboccia incessantemente nella preghiera. T. riconosce la presenza di Gesù in ogni circostanza della sua vita, le sue " premure del tutto gratuite " (A 3vo). Anche se prova spesso aridità nella preghiera, non sta più di " tre minuti senza pensare al buon Dio " (Conseils et souvenirs, 77).

T. sperimenta (" per esperienza "), in maniera intensa l'azione dello Spirito di Gesù in sé: " Io sento che egli (Gesù) è in me, in ogni istante mi guida, m'ispira ciò che devo dire o fare ". Quest'azione di Dio in lei, alla luce del Vangelo (A 83vo), è il segno autentico della santità: " ...Qual grado sublime viveva in lei e la faceva agire e parlare. Ah! Questa stessa santità mi sembra la più autentica, la più santa..., (A 78ro) e l'oggetto della sua preghiera: " Ecco la mia preghiera, io chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a sé, che egli viva ed agisca in me " (C 36ro).

Parallelamente, nel suo rapporto con il prossimo, scrutando " le misteriose profondità della carità ", ella sperimenta l'azione del Signore in lei: " Sì, io lo sento, quando sono caritatevole è Gesù solo che agisce in me; più sono unita a lui, più amo anche tutte le mie sorelle " (C 12vo).

T. cammina intensamente nella fede: " Ho più desiderato di non vedere il buon Dio e i santi e restare nella notte della fede di quanto altri desiderano vedere e comprendere " (Ultimi colloqui 1185). " Noi non abbiamo che questa vita per vivere di fede " (Conseils..., 154). Per questo motivo, la sua " prova contro la fede " (C 31ro), durante gli ultimi diciotto mesi della sua vita, la riempie di " gioia ", " perché, c'è una gioia più grande di quella di soffrire per amore tuo? " (C 7ro).

T. offre questa prova in particolare " per i suoi fratelli ", i peccatori e gli increduli (C 5vo). Sentendosi, fin dai suoi quattordici anni, " un pescatore di anime ", " divorata dalla sete delle anime " (A 45vo), è entrata al Carmelo " per salvare le anime e soprattutto per pregare per i sacerdoti " (A 69vo). Vi scoprirà, nel 1896, il suo " posto " sublime: " Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore ", per fecondare così il lavoro degli apostoli (B 3vo).

Ai cristiani di oggi T. ricorda che la fede è una luce nella notte e la fiducia in Dio un antidoto contro l'angoscia esistenziale. Ella invita a integrare la nostra debolezza e il nostro peccato nel rapporto con il Dio d'amore misericordioso. Insegna a tradurre il nostro amore di Dio e del prossimo attraverso le " piccole cose " concrete dell'esistenza quotidiana, questi " nulla " che diventano " fiori " (B 4vo) e possono dare alla nostra vita un soffio missionario ed apostolico. La povertà spirituale diventa fonte di gioia e di pienezza: " Più sarai povero, più Gesù ti amerà " (L 211). Il prodigioso irraggiamento postumo della santa dimostra come il suo messaggio sia ancora benefico.

Bibl. Opere: Teresa di Lisieux, Gli scritti, Roma 19955; Id., Opere complete, Città del Vaticano - Roma 1997. Studi: H.U. von Balthasar, Teresa di Lisieux, Milano 1978; G. von Brockhusen, s.v., in WMy, 492; C. De Meester, " A mani vuote ". Il messaggio di Teresa di Lisieux, Brescia 1975; Id, Dinamica della fiducia, Cinisello Balsamo (MI) 1996; P. Descouvement, s.v., in DSAM XV, 576-611; G. Gaucher, La passione di Teresa di Lisieux, Roma 1975; Id., Teresa Martin dopo la lettura critica dei suoi scritti, Milano 1987; C. Gennaro, s.v., in DES III, 2498-2502; R. Laurentin, Iniziazione alla vera Teresa di Lisieux, Brescia 1973; E. Renault, Teresa di Lisieux e la prova della fede, Roma 1976; A.M. Sicari, La teologia di S. Teresa di Lisieux Dottore della Chiesa, Milano-Roma 1997; A. Wollbold, Teresa di Lisieux. Interpretazione mistagogica della sua biografia, Città del Vaticano 1997.

C. De Meester

TERSTEEGEN GERHARD. (inizio)

I. Vita e opere. T. nasce il 25 gennaio 1697 a Moers, cittadina del basso Reno. Giovane apprendista del mestiere del padre commerciante, si converte a un'intensa vita di pietà. Dopo cinque anni di vita solitaria e di estrema povertà, sperimenta la sua " seconda conversione ", sigillandola, il 13 aprile 1724, la sera del giovedì santo, con il proprio sangue. Con la lettera a Gesù, suo Sposo di sangue, scritta per consegnarsi incondizionatamente alla sua divina volontà, T. si pone nella lunga tradizione monastica medievale, ma s'inserisce, sebbene protestante, nella corrente cristocentrica post-tridentina della Chiesa cattolica.

T. continua a guadagnarsi la vita come povero tessitore di nastri di seta, vivendo in fraterna compagnia con Heinrich Sommer ( 1780 ca.), fino alla morte, avvenuta il 3 aprile 1769. Nei circoli dei pietisti, guidato da Wilhelm Hoffmann ( 1746), matura in lui la vocazione ad essere pastore d'anime. E ovunque ammirato per la sua feconda predicazione. In colloqui e in numerose lettere attualizza il suo compito di consigliere ricercato. Nel 1727 fonda una comunità di fratelli che scelgono di vivere in castità, povertà e obbedienza. Riassumendo le regole monastiche compone per loro una Forma vitae, basata su pratiche ascetiche, sulla preghiera, sull'impegno di santificazione. Nell'ardente desiderio di imitare Cristo nella sua passione, T. sopporta, con esemplare pazienza e abnegazione, continue malattie e depressioni.

La sua vita va interpretata alla luce della sua opera scritta, nella quale riecheggia il suo immenso desiderio di appartenere unicamente e per sempre a Dio. I suoi scritti dovevano servire come caldi inviti agli uomini per conoscere e amare Dio e vivere in intima unione con Cristo. Con questa intenzione nascono i suoi numerosi Canti spirituali, in cui il singolo e la comunità entrano nell'intimità divina. Questi scritti sono l'eco delle letture e delle traduzioni di T. di opere mistiche, della sua raccolta Auserlesene Lebensbeschreibungen Heiliger Seelen (in 3 voll.), di biografie e scritti di santi, in cui scopre " la vera storia della Chiesa " che intende mostrare ai fratelli protestanti per invitarli alla santificazione della vita e all'imitazione dell'amore di Dio praticato dalle anime elette. Gli sembra che tale impegno sia un dovere del cristiano come segno di riconoscenza per l'opera della giustificazione compiuta da Gesù sulla croce.

II. Dottrina mistica. T. concepisce la santificazione come impegno ad unirsi a Cristo nella fede, nell'amore e nella preghiera, come risposta al triplice amore di Cristo: amore di amicizia, amore materno e sponsale, il quale spinge l'uomo alla decisione di darsi a lui. Tale dono dell'uomo si esprime nella preghiera e nella carità verso il prossimo e presuppone opere di mortificazione, di annientamento, di riconoscimento del proprio nulla.

Sembra che T., la cui spiritualità esperienziale si presenta come mistica del nulla e del tutto, si sia ispirato prevalentemente alla mistica del Carmelo, da lui studiata sull'esempio di sette figure. Nel suo Kurzer Bericht von der Mystik (=Breve relazione sulla mistica) egli identifica la mistica con l'esperienza della presenza di Dio e della Parola che ha carattere dialogale. Con una ventina di citazioni bibliche T. mostra che si tratta non di un metodo (meditativo) bensì del vero contenuto della praxis pietatis, di una vita di pietà aperta a ricevere " l'infusione del soprannaturale ", che in T. si identifica con " mistico ".

La mistica, identificata con il " cristianesimo interiore ", è il termine di un cammino verso la beatitudine, un cammino valido anche alla luce della spiritualità ecumenica come teologia sperimentale.

Bibl. Opere: G. Tersteegen, Werke, a cura di W. Zeller et Al. I, Geistliche Reden, Göttingen-Zürich 1979; VIII, Briefe in niederländischer Sprache, Göttingen-Zürich 1982 (in corso di pubblicazione) - Weg der Wahrheit, Stuttgart (ristampa) 1968; Geistliches Blumengärtlein, Stuttgart 196916. Studi: C.P. van Andel, Gerhard Tersteegen. Leben und Werk, Neukirchen 1973; Giovanna della Croce, Gerhard Tersteegen. Neubelebung der Mystik als Ansatz einer kommenden Spiritualität, Bern 1979; Id., s.v., in DES III, 2502-2504; B. Jaspert, s.v., in DSAM XV, 260-271; H.G. Ludewig, Gebet und Gotteserfahrung bei Gerhard Tersteegen, Göttingen 1986; D. Meyer, s.v., in WMy, 483; W. Nigg, Heimliche Weisheit. Mystisches Leben in der evangelischen Christenheit, Zürich-München 19872, 293-316; G. Ruhbach, Gerhard Tersteegen, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi mistici II, Bologna 1987, 169-190.

Giovanna della Croce

TESTI MISTICI. (inizio)

A. Premessa. L'oggetto della tipica scrittura prodotta dagli autori mistici è l'esperienza fatta da essi del totalmente Altro-da-essi e di quanto, direttamente o indirettamente, gli appartiene. La vincolazione a Dio, appena enunziata, non è mera relazione analogica esterna, ma è esperita dai mistici come necessaria e ineludibile.

Il totalmente Altro è indicibile nella misura in cui è anche all'origine di ogni espressione linguisticamente significativa. Sempre indicante, la scrittura dei mistici, come ogni linguaggio mistico, è superata, non per semplice destituzione delle forme, ma per trasfigurazione di esse. Ogni qualvolta è posta in essere, tale scrittura tende alla propria cancellazione, fatto salvo il senso, che si ripropone, di grado in grado, salendo ad un livello più espressivo.

Da questo punto di vista, molte scritture che vengono comunemente considerate mistiche non lo sono in effetti, ed esprimono, vagamente, solo una qualche somiglianza con la letteratura mistica a cui ci si riferisce.

Anche in ambito di religioni comparate, il discorso sul testo mistico coincide con quello dell'autentica esperienza spirituale, a cui si rifanno gli autori, e all'oggettività del totalmente Altro, a cui si riferisce il testo. La stessa parola spirito, che necessariamente bisogna adottare per designare il totalmente Altro, connota, a seconda dei contesti culturali specifici, realtà assai diverse.

I. Criterio ermeneutico del testo mistico. Risulterà, quindi, anche funzionale per un discorso più generale sul testo mistico, affermare qui che lo spirito, Dio, il totalmente Altro, è il Dio storicamente rivelatosi in Gesù di Nazaret. L'oggetto dell'esperienza dei mistici, consegnata nel testo mistico, pertanto, è il fatto coincidente con Dio Trinità; l'universo della fede, della speranza e della carità teologali; la rivelazione storica del Vangelo; la vita di Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo; la vita dello Spirito Santo nella famiglia adottiva di Dio, la Chiesa.

Un particolare dato oggettivo, intorno a cui ruota l'esperienza dei mistici - attestata nella letteratura mistica a cui qui si fa riferimento, anche per meglio comprendere, nella comparazione con altre visioni di Dio e dell'uomo, lo specifico di ciascuna di esse -, riguarda l'antropologia dei mistici cristiani, specialmente cattolici, secondo cui l'essere umano è corpo, psiche, mente e spirito formanti l'unica persona. In concreto, i primi tre elementi sono carne, contrapposta allo spirito, nel caso dell'insubordinazione ad esso; o santificata dallo spirito, a cui docilmente obbedisce, allorché lo spirito medesimo umilmente si lascia guidare dallo Spirito Santo. A questo Santificatore fa capo ogni processo santificante. Egli è il protagonista della salute piena dell'essere umano, a sua volta deuteragonisticamente voluta dal mistico.

II. Come dimostra la storia della cultura, in epoche di rivolgimenti, si manifestano svariati interessi per la mistica, moltiplicandosi le proposte di salvezza dell'uomo e del mondo. I t., a tale proposito, sono innumerevoli e difficilmente riconducibili tutti a famiglie testuali o a visioni del mondo analoghe. Tuttavia, da ogni direzione viene indicata una propria via alla salute, un metodo " per ordinare la vita ".

Regole comportamentali e linguaggi si depositano, così, nei testi come sistemi modellizzanti, secondari e primari. Il caos personale o generale incombente viene assoggettato dalle discipline formative. Di questo lavoro è testimone il testo mistico.

I t., in maniera diversa ma pur sempre analoga, a seconda degli ambiti culturali di appartenenza, sono il risultato di una ispirazione.

Lo Spirito Santo, afferma Giovanni della Croce confortato dalla dottrina paolina, abita nello spirito del credente e gli si comunica attraverso immagini e similitudini non comuni per esprimere il proprio messaggio.

In questo figurare e trasfigurare incessante, il senso del comunicato sale, di grado in grado, fino a diventare chiaramente contemplabile e intimamente amabile.

Benché i t. siano spesso, anche dal punto di vista letterario, molto apprezzabili, essi non rappresentano un prodotto propriamente espressivo, ma piuttosto sono considerati, dagli autori mistici, il meno che si riesce a dire, un balbettìo di ciò che essi hanno sperimentato. Il testo mistico, quindi, anche il più valido letterariamente, è propriamente " inespressivo " e rimanda, con ciò, alla necessità di essere praticato, perché meglio si venga a capo della luce che vuole trasmettere.

III. La pratica del testo mistico diventa costitutiva di ogni serio studio di letteratura mistica, specialmente a livello di autonoma disciplina scientifica, e fonda la vita delle comunità religiose, nelle varie tradizioni culturali.

Con il progredire delle scienze, si dovrà andare incontro alla necessità, già soddisfatta in qualche parte, di accendere autonomi insegnamenti, a livello universitario, di letteratura mistica, corrispondenti alle singole aree linguistiche. Su questa base, la comparatistica, già utilmente saggiata in tale ambito, ne trarrà i migliori vantaggi.

I t., per esempio della tradizione cattolica in Spagna, sono il fondamento di scuole di spiritualità di importanza mondiale, quali la domenicana, la gesuitica e la carmelitana. Così ogni lingua, in maniera analoga, può dimostrare la generatività dei propri t.

IV. Un particolare aspetto del testo mistico riguarda il tipico processo di simbolizzazione. Il simbolo come figura espressiva rappresenta la sintesi conoscitiva più densa ed efficace. Legata al sensibile e all'immaginario e radicata nel corporeo, come in ogni caso accade, la sintesi conoscitiva, il simbolo, quando si tratta del testo mistico, è sintesi aperta all'infinito reale. Tale apertura nella tradizione biblico-cristiana e nelle letterature mistiche ad essa collegabili, è effettuata non dall'uomo, ma dall'Infinito, dallo Spirito di Dio. Per questo motivo, mentre la sintesi conoscitiva attuata dalla più alta poesia si configura come simbolo tutt'al più aperto ad un infinito immaginario, per l'autonoma attività del poeta, nel caso del simbolo mistico, tale apertura prodotta dallo Spirito di Dio è, proprio e solo per questo, apertura all'infinito.

Il simbolo così designato è la premessa di una superiore e ulteriore sintesi, quella volitiva.

V. I testi mistici sono nati dall'esperienza e tendono a riprodurre l'esperienza da cui sono nati. Dopo il processo di simbolizzazione è importante considerare come i testi mistici promuovano il processo di motivazione. Il motivo è tutto ciò che si è detto del simbolo, con in più la caratterizzazione, in termini di attività, di un'effettiva apertura all'infinito.

In concreto, il testo mistico porta alla pratica della carità. Questo affermano autori quali Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila, Giovanni della Croce e Giovanni d'Avila.

Una più complessa unificazione si produce nel campo delle scritture mistiche, quando si guarda il collegamento di tutto ciò che è scritto nello spirito dallo Spirito. Dallo studio risulterà che la vasta realtà scrittoria, nell'esaltare le proprietà di ciascuno scritto, anche del più piccolo frammento, si manifesta come un unico macrotesto, dove i singoli elementi sono saldamente imparentati. Più che comune, tale scrittura si raccomanda quale comunione. Al diritto di autore, tanto invocato dalla letteratura profana, qui viene opposto il concetto di appartenenza ad un'unica matrice espressiva, per cui, senza perdere in originalità, " l'autore è debitore universale ".

La indiscussa unitarietà dei t., quali documenti della storia del desiderio di Assoluto e dell'innato bisogno di vedere e godere la Bellezza eterna, è garantita dalla singolarità di ciascun elemento che compone l'universo testuale mistico. Ciò rende possibili studi monografíci riguardanti singoli autori o scritti, ricerche comparatistiche e, infine, la configurazione di discipline denominate letteratura mistica italiana, francese, tedesca, ecc., da inserire negli statuti universitari, col progredire degli studi superiori.1

Tanto la ricerca quanto la didattica hanno un approccio tutto particolare all'oggetto proposto dalla letteratura mistica. Tale via si discosta dal metodo con cui si studia la letteratura diversa dalla mistica. Agli ausili forniti dall'ecdotica, dalla linguistica, dalla semiotica, vanno necessariamente aggiunti, sul versante teorico, i contributi di discipline quali, la filosofia, la teologia, la psicologia, la sociologia e la medicina.

La disciplina in oggetto manifesta, in più, l'esigenza della pratica del testo mistico il quale, per essere convenientemente conosciuto, dev'essere fatto. Ciò comporta l'esistenza di un apposito laboratorio, dove si possano svolgere le esercitazioni di pratica del testo in modo che i dati vengano controllati e i risultati valutati scientificamente.

Col progredire degli studi sui t., l'immenso universo testuale prende forma, imponendosi come letteratura della vita interiore, non più legata alla semplice scrittura del segreto iniziatico o della pratica quasi magica, ma variamente ed armonicamente confluente nel Punto Omega di ogni scrittura, nella Parola incarnata, Gesù Cristo, l'Icona del Padre che, nello Spirito Santo, autorizza ogni scrittura, ciascuna nel suo genere, a manifestare, nella visione contemplativa, la gloria del mistero di Dio, e a promuovere, nell'azione trasformante, il pieno avvento del regno di Dio. Nell'aver dato al termine mistico il significato di sperimentato interiormente, con preciso riferimento all'oggetto divino proposto dalla teologia detta scolastica, o analogamente da altre dottrine, si è voluto unificare il vasto campo dell'esperienza spirituale e della letteratura che tipicamente lo manifesta, ritenendo peraltro che alla teologia mistica spetti dire l'ultima parola salvifica sull'uomo contemporaneo.

Note: 1 La letteratura mistica spagnola, ad esempio, già a Statuto dell'Università dell'Aquila, dall'ottobre 1983, è ivi accesa dall'a.a. 199293. L'oggetto di tale materia sono oltre 3.000 testi di lingua spagnola, alcuni anonimi, che costituiscono una tradizione letteraria, particolarmente ricca nel Secolo d'oro e viva fino al presente, iscritta nell'area culturale religiosa della Spagna, dove cristianesimo, ebraismo e islam appaiono fortemente collegati.

Bibl. Aa.Vv., Atti del Congresso Internazionale di Semeiotica del Testo Mistico, L'Aquila 1995 (con ampia bibliografia); P.H. Kolvenbach, Gli Esercizi spirituali di Sant'Ignazio, in CivCat 148 (1997) 3, 377-388.

G. De Gennaro

B. I. La letteratura mistica è composta di innumerevoli t. mistici in molte lingue diverse. Forse nella maggioranza dei casi un' esperienza mistica non viene espressa mediante articolazioni culturali, cioè in un'opera che si può vedere o udire. In tal caso, l'esperienza mistica - forse pure intensamente vissuta - come tale non diventa conscia, rimanendo implicita ed inarticolata. Quando la persona, inoltre, non ha mai incontrato a livello culturale espressioni capaci di articolare l'esperienza mistica, difficilmente potrà arrivare ad una consapevolezza della sua esperienza attraverso un'autoriflessione. L'incontro con Dio sperimentato realmente, non diventerà " un'esperienza ", accessibile all'autocoscienza e da inserire nel racconto della storia personale. Di conseguenza, questa esperienza non potrà essere comunicata ad altri, mancando una struttura consciamente articolata, organizzata con l'aiuto di mediazioni culturali e socialmente accessibili.

L'esperienza mistica non si limita necessariamente ad espressioni linguistiche. Si parla pure di espressioni culturali di carattere mistico, come ad esempio di forme architettoniche, forme pittoriche o musicali. Si può pensare ai compositori J.S. Bach o A. Bruckner, o ai pittori El Greco, G. Reni o M. Chagal. Attraverso le loro opere si trasmettono emozioni che spesso sono collocate nell'ambito della consapevolezza mistica. Qui si pone un problema d'interpretazione, se manca la testimonianza propria di un'autocoscienza che si articola nel linguaggio mistico culturale, o se mancano delle tracce degli influssi della tradizione letteraria mistica. Finora manca un metodo ermeneutico adatto ad espressioni non-linguistiche, che goda di un certo consenso, ed inoltre ci sono dubbi sulla possibilità di tale metodo. Lo stesso problema si pone, d'altronde, riguardo ad espressioni artistiche di autori mistici riconosciuti tali. Non tutte le opere prodotte da un mistico sono per loro natura mistica, come per esempio un disegno od un poema.

I t. sono, dunque, l'espressione letteraria dell'esperienza mistica che è arrivata al livello della autoconsapevolezza. La mediazione del linguaggio culturale costringe il soggetto ad esprimere, come autore, la sua contemplazione della realtà divina nella realtà umana, distaccandosi dalle espressioni culturali conosciute, non-contemplative. Da una parte, egli deve creare un distacco dal linguaggio comune della cultura circostante, che è legato al mondo dei sensi, dell'immaginazione e della ragione, e che rende possibile l'intervento attivo e " autonomo " dell'uomo in questa realtà. Dall'altra parte, l'autore mistico deve creare un distacco dall'intelligenza teologica della realtà divina, che rimane necessariamente legata al linguaggio della ragione umana. Pur essendo credente ed appartenendo ad una religione determinata, con una Scrittura rivelata ed una fede definita come per esempio nel cristianesimo, l'autore mistico non può collocarsi dentro i limiti del pensiero umano e all'interno dei sistemi del pensiero teologico; non perché essi non sarebbero veri, ma perché non possono esprimere totalmente le conseguenze profonde dell'incontro con Dio, vissuto nell'amore.

L'esperienza di Dio lo trascina in un mondo che oltrepassa la logica umana: il suo linguaggio sarà trasgressione, perché egli è costretto ad esprimere una realtà che trascende ogni ragione umana. Il suo discorso si sviluppa in tensione con ogni sistema, senza per conto suo arrivare ad una scissione.

L'autore mistico non nega né la realtà dell'umano, né la verità della fede, ma rimanendo un uomo normale ed un semplice credente come tutti, egli le esprime in modo paradossale a partire dalla contemplazione amorosa di questa verità. In contrasto con l'eretico che crea un sistema alternativo d'interpretazione razionale, l'autore mistico, parlando della " realtà della realtà ", è di per sé ecumenico; attraverso la sua percezione più acuta e la sua creatività linguistica egli trascina i suoi interlocutori verso livelli più profondi, dove soltanto la visione dell'invisibile può scoprire l'infallibile punto di riferimento che si trova oltre l'umano: Dio il Creatore, l'Amore Incondizionale. Gli " intellettuali " di ogni genere - cioè gli uomini che dichiarano la ragione come unico accesso alla realtà, ansiosi per ogni cosa che non possono controllare - si rifiutano di seguire il discorso mistico fino a questo punto. Si spaventano dinanzi al mistero dell'alterità assoluta, che ci crea ed ama.

L'autore mistico deve esprimere la trasformazione totale del suo essere e della sua autoconsapevolezza, provocata dalla relazione con l'alterità assoluta di Dio, sperimentato come Amore incondizionato. Deve descrivere in un linguaggio comprensibile le conseguenze profonde di questo processo trasformativo, che significa allo stesso tempo un de-centramento totale dell'autocoscienza umana ed una concentrazione assoluta su Dio come centro del suo essere, sia a livello dell'intelligenza, sia su quello della dinamica dell'amore. Deve descrivere in un modo intelligibile ciò che egli stesso non comprende a livello di ragione umana, ma che ciò nonostante contempla a livello di intelligenza illuminata dall'amore. Nell'incontro incomprensibile con Dio-Amore, nel vissuto quotidiano e nella lectio divina, il significato del suo proprio essere umano e creato e la presenza nascosta di Dio Creatore sono a lui rivelati; ed egli riceve allo stesso tempo un linguaggio capace di raccontare la sua storia d'amore con Dio.

II. Generi letterari mistici. 1. Biografia o autobiografia. I t. sono delle volte, ma assai raramente, un resoconto autobiografico degli eventi trasformanti che la relazione amorosa provoca nella persona umana. In genere, questi testi sono il risultato del dialogo con il padre spirituale, ed annotati per obbedienza (vedi per esempio Teresa d'Avila). In certi casi un direttore spirituale o un discepolo del mistico è l'autore della biografia mistica (Caterina da Genova). Questi testi sono sempre la ricostruzione letteraria dell'incontro d'amore con Dio, cioè un modello che articola ed elabora in " forma storica " l'autoconsapevolezza dell'esperienza vissuta e che costituisce per i possibili lettori un modello per comprendere e promuovere la propria esperienza di Dio.

2. Poesia e canto. A volte, l'autore mistico si esprime in poesie o forme poetiche, mettendo in forma lirica ed estetica la sua consapevolezza immaginata dell'incontro misterioso con Dio (Hadwijch d'Anversa o Giovanni della Croce). Simboli ed immagini creano e strutturano la percezione contemplativa del divino, che si fa intravedere nel mondo umano. Per mezzo della tensione creativa, la poesia mistica attrae e trascina il lettore verso l'orizzonte del non-Io, permettendogli di ricevere se stesso come grazia e di contemplare la realtà creata come Bellezza divina.

3. Visioni. A volte, l'autore mistico fa uso della " forma visionaria " per esprimere il risultato della sua lectio divina (Ildegarda di Bingen), della sua esperienza contemplativa della realtà divina (Giuliana di Norwich), delle sue " attese tensive " che lo trascinano in modo irrecuperabile verso l'incontro vissuto con Dio (Enrico Susone), o il risultato della sua comprensione illuminata del mistero d'amore in cui Dio si rivela concretamente a lui.

4. Dialogo e soliloquio. L'autore mistico può far uso del dialogo e del soliloquio " immaginario " (G. Peters o F. Amelry), sia in forma letteraria sia in forma teatrale nella quale l'autoriflessione del soggetto, il dialogo interpersonale della direzione spirituale, l'incontro con la Parola di Dio nella lectio divina o l'incontro con Dio sperimentato in modo diretto o in forma meditativa od orante (Guglielmo di Saint-Thierry) vengono strutturati come interscambio verbale. La parola interna dell'autore viene articolata ed espressa come parola esterna in vista del cammino mistico del lettore.

5. Omelia e discorso. L'autore mistico può utilizzare il genere letterario dell'omelia - spesso una forma mediata ed elaborata della lectio divina - per iniziare o promuovere la consapevolezza della realtà divina e del cammino della crescita spirituale. L'omelia permette di raggiungere un gruppo di discepoli ed interessati, e di strutturare una forma incisiva d'iniziazione in una nuova consapevolezza mistica (Meister Eckhart e Bernardo di Clairvaux). Questo genere letterario permette di utilizzare certe forme retoriche, atte a promuovere il processo d'iniziazione. Il testo che risulta può essere un'annotazione sul vivo della parola pronunciata o una composizione letteraria, creata come tale e mai pronunciata.

6. Testo costitutivo. Nasce quando l'autore mistico, un fondatore o una persona che ha iniziato in modo carismatico una forma comunitaria di vita spirituale, può aver scritto una Regola spirituale o un testo carismatico costitutivo, che serve oltre che alla regolazione organizzativa e giuridica ad una iniziazione spirituale di tipo mistico. Secondo questa dimensione - che si estende a tutto il testo o ad una parte - il testo può essere un modello letterario, creato in vista di un processo di trasformazione mistica. A motivo del carattere formale o storico, la funzione di questi testi come modelli per la trasformazione mistica viene raramente riconosciuta.

7. Lettera. L'accompagnamento spirituale può avvenire attraverso il genere letterario della lettera. Accanto ad aspetti pratici e contestuali, dovuti alla relazione personale storica, la lettera è spesso una iniziazione potente ad una consapevolezza della trasformazione mistica e alla dinamica processuale per il suo legame al cammino mistico concreto e dettagliato.

8. Trattato e Commentario. L'autore mistico adopera come genere letterario di base - spesso anche utilizzato come commentario per spiegare altre forme di t., più enigmatici - il trattato mistico o l'esposizione discorsiva in prosa. La forma prosaica e cognitiva permette una descrizione più estesa, un'articolazione più completa e dettagliata, un'elaborazione più grande dell'insight mistico come consapevolezza razionale, volitiva ed affettiva, come discernimento spirituale e didattica formativa. Il contesto abituale del trattato mistico è la direzione spirituale, offrendo linee dinamiche per il cammino mistico da compiere, criteri per il discernimento nel corso del processo della trasformazione mistica, concetti per un'autocomprensione antropologica e teologica.

Il commentario può riguardare un testo dello stesso autore mistico, per esempio una poesia come nel caso di Giovanni della Croce, ma anche un passo biblico o un testo - mistico o non - di un altro autore.

Il genere letterario del testo mistico spesso è una forma intermedia, integrante le caratteristiche di due o tre generi. A volte, il testo si presenta come genere letterario diverso dal genere praticato, per esempio omelia o lettera possono di fatto essere dei trattati, ecc...

III. Autore e lettore. La realtà divina, che si presenta alla consapevolezza dell'uomo nell'incontro d'amore con Dio, non può essere ridotta alla logica umana. Come discorso linguistico, il testo mistico adopera necessariamente un linguaggio ristretto all'ambito della logica umana. La logica divina s'inserisce e s'incarna nel discorso mistico, trasformandolo profondamente. Invece di ridurre la realtà divina all'umano ed intramondano, lo scopo del testo mistico è chiaramente quello di far passare l'uomo in Dio, annichilendolo per una vera mortificazione, decentrandolo per una estasi e trasformandolo irrecuperabilmente nell'amore incondizionato di Dio. Parlando ancora un linguaggio umano, l'autore mistico dirige il lettore oltre l'orizzonte del linguaggio. Egli apre, in modo contemplativo, la prospettiva della realtà divina che deraglia il discorso umano, trascinandolo nell'abisso dell'amore divino. Il risultato è che il testo mistico non ha come scopo l'informazione cognitiva del lettore - che possibilmente si tiene a distanza per non perdere il controllo di sé - ma punta sull'iniziazione dell'amante o contemplativo che, nel confronto assoluto con Dio, ormai non ha più una scelta. Senza negare la libertà dell'uomo nell'incontro con Dio, l'autore mistico descrive l'esperienza dell'uomo che si trova senza scampo implicato nella logica dell'amore divino, nudamente esposto à la merci de Dieu che lo ama follemente.

Il testo mistico non fa riferimento ad una realtà " fuori " nel mondo dei " sensi ", che come " oggetto " può essere contemplata a distanza e senza rischio. Descrive il fondo dell'Essere, che trascende le parole umane; balbuziente, viene articolato in simboli ed immagini e si realizza al limite del dicibile, parlando dell'Indicibile per mezzo della tensione bipolare dei contrasti, paradossi, negazioni, superlativi, ecc. I1 testo mistico provoca il processo dell'autotrascendenza, togliendo ogni appoggio che permette di tornare su se stessi. L'autore mistico sperimenta di essere testimone e portavoce: le sue parole non fanno altro che svelare la parola d'Amore che non gli appartiene. Pian piano l'autore scompare dal testo come autore autonomo, per non far altro che creare lo spazio vuoto per la parola d'Amore che travolge il vero ascoltatore. Il testo, disfacendosi progressivamente in una valanga di negazioni, rimane come traccia misteriosa del passaggio della presenza di Dio. La distanza inevitabile tra le parole umane e la realtà dell'Amore divino crea una spaccatura nel testo mistico che ci fa confrontare continuamente con il nulla dell'uomo (Jacopone da Todi) o come Maria Maddalena con la tomba vuota (Teresa di Lisieux), essa è una spia che permette la contemplazione amorosa del volto di Dio nella sua alterità assoluta.

I1 lettore è necessariamente implicato nella lettura, perchè il testo lo " muove " dall'interno, svelando il volto amoroso del Creatore. Il testo mistico provoca e promuove l'esperienza mistica, mettendo l'uomo in moto verso l'incontro con l'alterità assoluta di Dio. In modo misterioso, " mistico ", il testo opera nel lettore.

La lettura del testo mistico si realizza come rite de passage, sprofondando l'uomo in Dio, annichilendo l'ambito sicuro dell'umano, ristrutturando la consapevolezza spirituale intorno al centro del suo Essere. La lettura è un processo dinamico, in cui la forma logica del linguaggio umano viene " trasformata " in dinamica d'amore. I verbi delineano spesso il passaggio. Il testo mistico non espone una realtà, ma crea lo spazio in cui questa realtà divina diventa operativa. Di conseguenza, il vero lettore non può più proteggersi dal confronto, trascinato nel mondo sconosciuto, camminando là come pellegrino nel deserto.

Bibl. Aa.Vv., Atti del Congresso Internazionale di Semeiotica del Testo Mistico, L'Aquila 1995; Ch.-A. Bernard, La perception mystique visionaire, in Studies in Spirituality, 6 (1996), 168-193; H. Blommestijn - F. Maas, Kruispunten in de mystieke traditie, L'Aya 1990; M. de Certeau, Poetica e mistica. Questioni di storia religiosa, Milano 1975; Id., La Fabula mistica, Bologna 1987; J. Dan, In Quest of a Historical Definition of Mysticism, in Studies in Spirituality, 3 (1993), 58-90; Id., The Language of Mystical Prayer, in Studies in Spirituality, 5 (1995), 40-60; M. Huot de Longchamp, Saint Jean de la Croix: pour lire le Docteur mystique, Paris 1991; K. Waaijman, De mystieke ruimte van de Karmel, Gent-Kampen 1995; Id., A Hermeneutic of Spirituality, in Studies in Spirituality, 5 (1995), 5-39.

H. Blommestijn

THEOLOGIA DEUTSCH. (inizio)

I. Origine e diffusione. " Una teologia tedesca " è il titolo con cui Lutero ( 1546), nel 1518 a Wittemberg, ripubblicò, in forma ampliata e rimaneggiata, quello scritto in tedesco che aveva già fatto stampare due anni prima, sempre a Wittemberg, come " nobile e spirituale libretto ", composto secondo gli insegnamenti dell'" illuminato dottor Taulero, dell'Ordine dei Predicatori ". Per quest'opera, in quegli anni, Lutero nutrì una stima fortissima, parallela a quella che aveva appunto per Taulero, tanto da scrivere, nella Prefazione del 1518, che da essa aveva " imparato, subito dopo la Bibbia ed Agostino, più che da ogni altro libro, ciò che sono Dio, Cristo e tutte le altre cose ". Con il passare del tempo, il suo entusiasmo diminuì fino a diventare aperta ostilità, ma l'opera aveva ormai acquistato una grande notorietà, che fu mantenuta assai viva da uomini come Sebastian Franck ( 1542), Hans Denck ( 1527), Valentin Weigel ( 1588).

Nel corso del sec. XVI il libro ebbe ventisei edizioni tedesche, quattro traduzioni latine, due francesi, una fiamminga e nei secoli successivi numerose altre edizioni - tedesche, inglesi, francesi, ecc. -, tanto da diventare il testo sicuramente più noto e rappresentativo della mistica tedesca cosiddetta speculativa.

Non sappiamo dove Lutero l'abbia trovato né conosciamo i manoscritti da lui utilizzati. Le prime testimonianze in nostro possesso risalgono alla seconda metà del Quattrocento. Ignoto il nome dell'autore: i tentativi di identificare quel " prete dell'Ordine teutonico, custode del convento di Francoforte ", cui il libro è attribuito nel manoscritto di Bronnbach (1497), non sono giunti a risultati soddisfacenti, per cui dobbiamo limitarci ad indicarlo come " der Franckforter ", l'Anonimo di Francoforte.

Titolo vero dell'opera, quale si può desumere dalla tradizione manoscritta, prima che Lutero la intitolasse " Teologia tedesca " per le esigenze della sua polemica antiromana, è Büchlein vom vollkommenen Leben (Libretto della vita perfetta). La data di composizione dev'essere collocata alla fine del sec. XIV. Certo è, comunque, che essa s'inserisce nella corrente spirituale che parte da Eckhart e che prosegue con Susone e Taulero, autorità esplicitamente citata nel libro.

Le poche righe introduttive del manoscritto di Bronnbach danno, in sintesi, il contenuto del Libretto. Esso, infatti, " insegna molte preziose dottrine della verità divina ", ma soprattutto insegna a " distinguere i veri amici di Dio " dai falsi " liberi spiriti ". In effetti, il Libretto ripete, nell'essenziale, l'insegnamento eckhartiano sulla verità divina, sottolineandone però la distanza da quegli esiti ereticali che avevano destato i sospetti dell'autorità ecclesiastica. Più di tutte è viva nel Libretto la preoccupazione di distinguere l'assoluta libertà dello spirito di cui gode il cristiano in quanto " uomo spirituale " (cf 1 Cor 2,15) da quella sorta di immoralismo libertino in cui erano caduti alcuni gruppi (begardi, Fratelli del Libero Spirito, ecc.).

E possibile che l'opera sia nata come raccolta di istruzioni spirituali, tenute da un religioso in qualche convento di suore dipendente dall'Ordine teutonico a Francoforte (Sachsenhausen).

Questo spiegherebbe il tono da letteratura di edificazione tipico della " cura monialum ", proprio come era stata esercitata anche da Eckhart, Susone, Taulero. In effetti, l'Anonimo di Francoforte non possiede l'audacia spirituale di Eckhart, ma nell'essenziale ne ha compreso il pensiero e, se ne tace il nome, è solo per prudenza. Al domenicano si allude sicuramente quando, alla fine del cap. VIII, si parla di un Maestro che insegna il continuo essere dell'uomo in Dio senza sforzo. Il tono minore, il suo presentarsi modestamente come " libretto " di un anonimo religioso, non sminuiscono affatto il valore dell'opera, altamente stimata non solo dai grandi mistici, come Silesio, ma anche da personaggi come Schopenhauer ( 1860) che la definì " immortale ", paragonando addirittura il francofortese a Budda e a Platone.

II. Insegnamento spirituale. L'insegnamento essenziale che la T. ripete è la rinuncia alla volontà propria, dunque, a tutto ciò che è personale, " io " e " mio ". Così si perde l'accidentale, l'imperfetto - ciò che sta sotto il dominio del tempo e dello spazio, delle circostanze mutevoli - e si guadagna l'universale, il perfetto. L'uomo ha un solo dovere: distaccarsi dall'appropriazione, non attribuirsi più niente di buono, divenire " senza modo, senza volontà, senza amore, senza desiderio, senza conoscenza ". Così viene riempito dalla luce divina, godendo già in questa vita di una beatitudine molto vicina a quella dell'eternità.

L'anonimo autore afferma sì che per l'uomo libero, non più schiavo della volontà, tutte le cose sono buone e lecite (niente era vietato ad Adamo nel paradiso terrestre, se non l'appropriazione), ma ha cura di sottolineare più volte la permanente necessità della disciplina, della legge, di una vita conforme alla ragione, perché la libertà non degeneri in licenza e non si abbia a divenire peggio delle bestie. Soprattutto insiste sulla necessità di conformarsi alla vita di Cristo: questo non significa però un impossibile ripeterne i gesti, ma soltanto la " ubbidienza " - intesa, ancora una volta, come spoliazione della volontà propria conformandosi a quella di Dio. Quella libertà che non è conforme al modello di Cristo è - secondo l'autore - libertà della " falsa luce " e non della " vera luce ".

Dalla spiritualità eckhartiana il francofortese riprende anche temi caratteristici, quale la distinzione tra Divinità (Gottheit) e Dio (Gott), intendendo con la prima il Dio-Uno, ineffabile e precedente alla distinzione stessa delle Persone, e con il secondo il Dio determinato nei " modi ", dunque, anche in rapporto al mondo e all'uomo. Destino dell'uomo è quello di ritornare all'Uno, ma questo non implica affatto una concezione panteistica: se è indubitabile che una certa ispirazione neoplatonica continui ad operare nelle pagine del Libretto, altrettanto indubbio è che il suo anonimo autore si muova nell'ambito della tradizione cattolica e della Chiesa, che intende appunto difendere esplicitamente.

Bibl. La più recente edizione critica dell'opera è quella a cura di Wolfgang von Hinten: " Der Frankforter " (Theologia Deutsch) - Kritische Textausgabe, Würzburg 1976 (poi München 1982) basata sulle stampe luterane del 1516 e del 1518 e sul manoscritto più antico, che è quello di Dessau del 1477. In italiano era stata pubblicata per la prima volta a Napoli, nel 1908, a cura di G. Prezzolini come Libretto della vita perfetta (ristampata a Fossano nel 1969, con un'Appendice di G. Faggin e il titolo La teologia dei tedeschi). Basata sulla nuova edizione critica è l'edizione a cura di M. Vannini, Libretto della vita perfetta, Roma 1994. Come studio critico in italiano segnaliamo quello di E. Zambruno, La Theologia Deutsch o la via per giungere a Dio. Antropologia e simbolismo teologico, Milano 19911, che però verte in gran parte su vicende della " fortuna " del testo. Cf inoltre C. Fabro, s.v., in DES III, 2515-2518; U. Mennecke-Haustein, s.v., in DSAM XV, 459-463; J. Weismayer, s.v., in WMy, 459-463; 484-485.

M. Vannini

TIMOR DI DIO. (inizio)

I. La nozione. Il t. è un dono dello Spirito tendente a far evitare il peccato e ogni attaccamento alle cose create. E un elemento essenziale del vero culto: appartiene all'espressione della adorazione e della riverenza del Dio infinito e santo. Dio è certamente Padre, ma resta sempre il totaliter aliter, al di sopra d'ogni merito e d'ogni capacità dell'uomo di stare degnamente dinanzi a lui.

Per rivelazione, Dio è santissimo e giustissimo, è insieme misericordiosissimo, pieno di pietà: questa verità obbliga a respingere l'angoscia o il panico che i pagani nutrono per la divinità.

II. Nella Scrittura. Qual è il rapporto tra timore e amore? Uno non esclude l'altro? Ha forse esagerato s. Agostino quando ha detto: " E questa, in forma molto breve e chiara, la differenza dei due Testamenti: il timore (per l'Antico) e l'amore (per il Nuovo) "? L'AT privilegia davvero un timore così scadente da non rientrare nell'amore? La legge del Sinai è stata data da Dio solamente per ottenere sudditi obbedienti e timorosi o non piuttosto per crescere figli amorosi? I profeti arrivati prima della venuta di Cristo hanno forse annunciato il Dio della collera, insinuando un timore che portava all'angoscia? O hanno anch'essi proclamato che i " diritti " di Dio corrispondono al diritto principale che egli si riserva: quello di vedere gli uomini affezionati a lui e rassicurati dal suo amore? Se egli puniva il suo popolo, lo faceva semplicemente per vendicare il suo onore o anche per premurosamente correggere, pur con forme severe, come farebbe un padre che ama e vuol essere amato?

Sono tutte domande che portano a risposte che non permettono di svilire l'AT, anzi aiutano a vedere che l'" adempimento ", realizzato nel NT, è amore e timore ben armonizzati. Nella nuova alleanza non si abolisce neanche uno iota della predicazione fondamentale dei profeti, i quali preparano l'arrivo di Cristo e la cui predicazione sul t. è quella detta all'inizio.

Nei Vangeli Gesù insiste con sapienza nuova su Dio, presentandolo come estremamente buono, ma mai come un Padre che non sia santamente esigente tanto circa le opere da fare, quanto circa le intenzioni e i progetti, quanto ancora circa i sentimenti e gli affetti. Gesù vuole che si viva una fiducia estrema verso il Padre; ma chiede anche una vigilanza severa, sempre per onorare il Padre. Il che vuol dire che si deve avere un giusto t.

Anche Paolo e Giovanni insistono su questo tema. L'Apostolo delle genti, provando tutta la gioia e la gratitudine per l'opera di Cristo che ha rinnovato l'intera storia del mondo, sente che con la redenzione si è passati da un regime di tutela, di servitù e come di minorità a un regime di età matura e di libertà filiale. Le conseguenze più evidenti sono che si è entrati nell'era della grazia più abbondante possibile, tanto che non esiste più alcuna condanna per chi è di Cristo. Però - come l'Apostolo spiega in particolare nella Lettera ai Romani -, il cristiano non può tornare a vivere secondo la carne, perché contristerebbe lo Spirito che è in lui e ovviamente ricadrebbe nella schiavitù e nel peggior timore. Se lo Spirito significa libertà e amore autentico, il peccato, invece, ricaccia l'uomo nel tunnel del timore odioso e avvilente, se non nell'indifferenza.

S. Giovanni nella sua prima lettera vuole che il credente si confessi peccatore, perché questa è la prima e basilare forma di verità e libertà, ma non ammette che egli coltivi il peccato, poiché anzi deve vivere in Cristo. Vivere in Cristo è vivere nell'amore vero: e " l'amore scaccia il timore ", rendendo Gesù e il credente sempre più intimi tra loro. Certo, come direbbe s. Agostino, " nella misura in cui rimane in Cristo, uno non pecca "; ma nessuno può credersi al riparo da ogni debolezza, come non lo credeva lo stesso s. Paolo.

III. Lungo la storia della teologia ritorna spesso il tema del sano e realistico t. Esso è visto tanto dalla sponda della debolezza umana, quanto della scrupolosa attenzione verso quel Dio che, pur comprendendo ogni fragilità, non accetta che ci si adagi in essa.

S. Agostino parla di un timore filiale, che è quello di chi s'affatica per un progresso continuo verso la meta; e c'è un timore servile, che è quello di chi, non ancora del tutto educato all'amore, si trattiene dal male per un indistinto, ma comunque utile sentimento di paura per ciò che il male gli può procurare quaggiù e che gli potrebbe soprattutto riservare se dovesse presentarsi al tribunale di Dio. La Chiesa nel suo magistero ha sempre sostenuto che un certo t. è segno d'una decisa volontà di colui che lotta per non essere vinto dal male e che, temendo le insidie della natura, prega il Padre d'essere liberato da ogni tentazione. Il t. è, dunque, principio di sapienza (cf Sal 110,10) e, come dono dello Spirito, è quell'abito soprannaturale per cui il credente acquista una speciale docilità per sottomettersi alla divina volontà e percorrere da vero figlio di Dio l'itinerario mistico che conduce alla comunione con le divine Persone.

Bibl. E. Boularand, s.v., in DSAM II, 2463-2511; J. Moltmann, Esperienze di Dio: speranza, angoscia, mistica, Brescia 1981; M.-M. Philipon, I doni dello Spirito Santo, Milano 1965; A. Royo Marin, La teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 591-594; P. Sciadini, s.v., in DES III, 3522-3525.

R. Girardello

TOCCHI DIVINI. (inizio)

I. La nozione. Si tratta di contatti mistici di Dio con l'anima, che avvengono come per un colpo di tuono o a guisa di cometa che passa rapidamente. E come se dal fuoco dell'acceso braciere di Dio si spiccasse una scintilla e si sentisse l'ardore di quell'incendio. Tale scintilla è molto deliziosa, ma non tanto forte da consumare l'anima.1

II. Caratteristiche. Si tratta di t. particolarmente saporosi e più o meno duraturi che Dio concede a chi vuole e per il fine che vuole, che penetrando nella sostanza dell'anima rinnovano e innamorano.2 Possono essere t. di conoscenza, d'intelligenza e di amore. Sono talmente efficaci che uno solo di essi può purificare l'anima in una volta da tutte le imperfezioni e lasciarla piena di virtù e di bene divino.3 E possono pure portare ad una profondissima e saporitissima percezione di Dio.4 A volte coinvolgono anche il corpo fino a farlo vibrare; altre volte non producono turbamento alcuno e lasciano lo spirito molto quieto con un improvviso senso di diletto e di refrigerio spirituale.5 Ignazio di Loyola aveva insegnato che è proprio di Dio e dei suoi angeli nelle loro mozioni dare vera letizia e gioia spirituale, rimuovendo ogni tristezza e turbamento che il nemico insinua.6 Chi beneficia di questi t. e conoscenze non deve adoperarsi per cercarli o meno, ma restare umile e rassegnato nei loro confronti perché Dio compirà l'opera sua come e quando vorrà.7

Note 1 Teresa d'Avila, Castello interiore, VI, 2; 2 Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 26-32; 3 Ibid., 26; 4 Ibid., 32; 5 Ibid.; 6 Esercizi spirituali, n. 329; 7 Salita..., o.c., II, 26.

Bibl. P. Adnès, Toucher - touches, in DSAM XV, 1073-1098; Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et beatorum, canonizatione, Bologna 1737; I. Rodríguez, s.v., in DES III, 2525-2526; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 877-878; R. Zavalloni, Grazia e fenomeni mistici, in Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 159-186.

P. Schiavone

TOMMASO D'AQUINO (santo). (inizio)

I. Cenni biografici. Tommaso d'Aquino nasce nel 1225 nel Castello di Roccasecca (oggi provincia di Frosinone). Inizia gli studi presso i monaci di Montecassino e li prosegue all'Università di Napoli. Nel 1244 entra nell'Ordine domenicano e prosegue gli studi teologici sotto la guida di Alberto Magno. A Parigi consegue il dottorato in teologia il 15 agosto 1257, contemporaneamente a s. Bonaventura. Da quel momento in poi si dedica fino alla morte, avvenuta nel 1274, all'insegnamento della teologia.

L'origine delle sue personali esperienze mistiche va fatta risalire al periodo di circa trent'anni che T. trascorre nell'ambito della comunità domenicana, a partire dal 1244. Le parole pronunciate da T. prima di ricevere la santa Eucaristia per l'ultima volta rivelano il suo grande amore per Gesù Cristo: " Ricevo te che sei il prezzo della mia redenzione e il nutrimento per il mio ultimo viaggio. Te io ho amato, per te ho studiato, vegliato e lottato; te, o Gesù, ho predicato e insegnato ".1

Anche se concetti, come " esperienza religiosa " e " comunità ", messi in particolare evidenza dai moderni autori di mistica, non sono i concetti-chiave nelle opere di T., sia gli scritti teologici che quelli filosofici offrono una documentazione assai ricca sull'esperienza umana trascendente e sulla stretta unione del santo con Dio. L'insegnamento mistico di T., che si evince dalle sue opere, si configura secondo una triplice suddivisione: 1. la mistica dell'essere; 2. la mistica delle nozze; 3. la mistica della conoscenza.

II. Mistica dell'Essere. Secondo il teologo tedesco contemporaneo J. Pieper, un appellativo adeguato per l'Aquinate avrebbe dovuto essere " frate Tommaso della creazione ". Secondo quanto riferito dallo stesso T., tutte le sue azioni sono improntate ad un amore senza riserve per il Figlio di Dio fatto uomo. La sovrabbondante ricchezza del Cristo lo spinse sempre a trarre fuori tutte le varie implicanze teologiche delle parole di s. Paolo ai Romani, dove si dice: " Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità " (1,20). La fede cattolica insegna che l'ordine vigente nel creato costituisce una testimonianza dell'esistenza di Dio, l'Essere che oltrepassa tutto ciò che è finito e contingente (cf DV 3). Per T. l'esperienza trascendente dell'uomo si basa sulle relazioni casuali che legano la creatura al suo Creatore. Facendo ricorso alla distinzione reale, che si trova nelle creature, tra identità specifica (essentia) ed esistenza fattuale (esse), T. esclude ogni forma di panteismo o panenteismo. Descrive l'ordine che c'è tra le creature dotate d'intelletto e Dio: su tale ordine si fonda quel principio di giustizia per cui gli esseri umani, che vogliono obbedire ai dettami della religione, devono guardare con riverenza e sottomissione al Dio totalmente trascendente. Naturalmente, il riconoscere che la virtù religiosa si può acquisire non pregiudica per nulla il fatto che l'unico culto perfetto sia quello rivelato da Cristo e praticato nell'ambito della Chiesa tramite la fede e i sacramenti. A fondamento di tutta la mistica dell'Essere, T. pone la valutazione positiva del creato in quanto punto di partenza di una conoscenza per analogia dell'ordine soprannaturale. Di tale mistica, lo studioso più celebre rimane tuttora il domenicano tedesco Eckhart che nella predicazione e negli scritti spirituali riprese, ampliandolo, questo tema metafisico.

III. Mistica nuziale. A buon diritto l'Aquinate avrebbe potuto essere soprannominato anche " frate Tommaso dell'Incarnazione ", in quanto il suo discorso sulla metafisica dell'Incarnazione, commento agli scritti relativi alla divinità di Cristo, si situa tra le riflessioni cristologiche più elevate. E nell'unione ipostatica che T. colloca il momento più alto dell'alleanza tra Dio e l'uomo. La natura umana si unisce nel Logos (il Figlio) con quella divina, senza che nessuna delle due si mescoli o si frantumi. Alla stregua delle primitive nozze tra il Creatore e l'umanità, l'Incarnazione rende possibile la relazione personale tra Dio e l'essere umano. Solo nel Figlio fatto uomo ogni appartenente alla stirpe umana diviene figlio adottivo di Dio. La mistica nuziale pone l'accento su questo intimo legame con il divino, che la missione di Cristo ha reso possibile per ogni uomo. Così, se l'essere umano in generale si avvicina al Creatore in spirito di riverenza e sottomissione, soltanto i figli in Cristo possono rivolgersi a lui chiamandolo familiarmente " Abbà, Padre ". Tutte le chiarificazioni che T. fornisce riguardo alla persona e alla vita del Cristo, alla sua morte salvifica, alla verginità di Maria, alla Chiesa come Corpo mistico e ai sacramenti contribuiscono ad illustrare questa forma privilegiata di comunione con Dio, ed il suo processo di sviluppo nel credente. Come sappiamo anche dall'ultima preghiera pronunciata da T. sul letto di morte, è soprattutto nell'Eucaristia che si concretizza questa forma di misticismo basata sull'Incarnazione. Nel momento della santa Comunione, infatti, avviene l'unione effettiva del cristiano con Cristo presente nei segni sacramentali del pane e del vino. Una efficace rappresentazione di questo misticismo è fornita da Caterina da Siena, che all'atto della Comunione riceve il mistico anello, simbolo della particolare unione spirituale che la santa instaura con il Cristo. La sua difesa incrollabile del Corpo mistico di Cristo evidenzia, inoltre, l'aspetto ecclesiale della communio che T. pone alla base di tutto il misticismo cristiano.

IV. Mistica della conoscenza. Per T., la fede in quanto virtù teologale è innanzitutto, una perfezione della mente umana. Con l'intervento della grazia, Dio induce la volontà dell'uomo ad accettare verità che oltrepassano le facoltà intellettive, il cui garante e la cui fonte è solo Dio. Ma anche la fede, da un punto di vista teologico, può instaurare un'unione tra Dio e l'uomo. In una breve opera dal titolo Expositio primae decretalis ad Archidiaconum Tudertinum, si trova la citazione biblica " ti fidanzerò con me nella fedeltà " (Os 2,22), che sottolinea la dimensione mistica della fede cristiana. Per T., questa non soltanto porta l'uomo ad una percezione cognitiva della verità rivelata, ma anche all'esperienza autentica delle Persone divine che tali verità rappresentano. La trasformazione dell'intelletto che la fede opera è l'inizio della vita nuova che la carità instaura nella persona. E quest'ultima a far sì che nella bontà divina l'uomo si volga ad amare Dio raggiungendo la perfezione terrena in quella percezione affettiva del Padre che T. definisce " contemplazione ". La preghiera contemplativa forma effettivamente parte dell'ordinaria dinamica della mistica cristiana. Lo spiritualismo elitario tipico di certi mistici europei del sec. XVII, come il sacerdote spagnolo Miguel Molinos e la mistica francese M.me Guyon, non può non trovare le sue fonti nelle opere di T. Diversamente, come appare chiaro dal suo insegnamento riguardo ai doni dello Spirito Santo, la vita teologale basata su fede e carità sviluppa, al contrario, una connaturalità che diviene poi abituale; esso rende, inoltre, l'esperienza della divinità un fatto relativamente agevole e fonte di grande gioia, come illustrato impeccabilmente, appunto, nella mistica della conoscenza. Nel 1273, poco prima di morire, T. avverte un senso di vuoto nella sua pur vasta produzione letteraria e confessa al suo segretario: " Non posso più scrivere perché tutto quello che ho scritto è soltanto una pagliuzza paragonato a ciò che ho visto ".2

E forse proprio dalla biografia dell'Aquinate più che dalle opere sulla vita cristiana, che si evince chiaramente la sua personale esperienza mistica.

Note: 1 Processus Canonizationis in Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis notis historicis et criticis illustrati, ed. D. Prümmer et M.-H. Laurent, Toulouse, [s.d.], 80, 379; 2 Processus Canonizationis..., o.c., 79, 376-77.

Bibl. Fonti: Fontes vitae S. Thomae Aquinatis notis historicis et criticis illustrati, D. Prümmer - M.H. Laurent (edd.), Tolosa, [s.d.], contiene il processo di canonizzazione svoltosi a Napoli; Tommaso d'Aquino, Fede e Opere. Testi ascetici e mistici, a cura di E.M. Sonzini, Roma 1981. Studi: G. Bedouelle, Ad immagine di san Domenico, Milano 1994; M. Caprioli, s.v., in DES III, 2526-2535; R. Garrigou-Lagrange, Contemplation. École dominicaine, in DSAM II, 2067-2080; Id., Perfezione e contemplazione, Torino 1933; J. Pieper, Philosofia negativa, Zwei Versuche über Thomas von Aquin, Münich 1953; W.A. Principe, Thomas Aquinas's Spirituality, Toronto 1984; R. Roy, Lumière et sagesse. La grâce mystique dans la théologie de saint Thomas d'Aquin, Montréal 1948; E. Salman s.v., in WMy, 493-494; J.P. Torrell, Thomas d'Aquin, in DSAM XV, 718-773; Id., Initiation saint Thomas d'Aquin, Paris-Fribourg 1993; G. Turbessi, La vita contemplativa. Dottrina tomistica e sua relazione alle fonti, Roma 1944; F. Vandenbroucke, Notes sur la théologie mystique de saint Thomas d'Aquin, in Ephemerides Theologicae Lovanienses, 27 (1951), 483-492.

R. Cessario

TOMMASO DA BERGAMO. (inizio)

I. Vita e opere. Cappuccino italiano, Tommaso Acerbis nasce a Olera, piccolo paese della provincia di Bergamo, sul finire del 1563. Pastore di pecore sin dalla fanciullezza e analfabeta, il 12 settembre 1580 è ammesso come fratello laico nella provincia cappuccina di Venezia. Completata nel 1584 la sua formazione religiosa, durante la quale impara anche a leggere e a scrivere, gli è affidato l'ufficio di questuante, che esercita assiduamente a Verona fino al 1605 e poi in altre città venete e trentine, insieme ad un intenso apostolato religioso e sociale a beneficio del popolo e delle classi nobili. Tra le persone che beneficiano dell'umile consigliere cappuccino è da ricordare la clarissa e scrittrice mistica Giovanna Maria della Croce ( 1673). La fama di santità di T. arriva nel Tirolo, il cui reggente nel 1619 lo vuole a Innsbruck. Incardinato nella nuova provincia cappuccina del Tirolo e sempre nel suo ufficio di questuante e di apostolo domestico contribuisce efficacemente alla riforma cattolica nei vari territori dell'Impero asburgico, diventando anche amico e consigliere spirituale di grandi personaggi politici ed ecclesiastici. Muore in fama di santità a Innsbruck il 3 maggio 1631. E in corso, dal 1967, la causa per la sua beatificazione.

Benché illetterato, T. scrive, per profitto proprio e per utilità delle anime, diversi trattati ed opuscoli, frutto delle sue esperienze mistiche. Cinquant'anni dopo la sua morte, questo materiale - non tutto però - assieme a diverse lettere spirituali, è raccolto, corretto ed ordinato dal cappuccino, provinciale del Tirolo, Giovenale da Nonsberg o d'Anaunia ( 1714), il quale lo pubblica con il titolo: Fuoco d'amore, mandato da Christo in terra, per esser acceso: overo Amorose Compositioni di fra Tomaso da Bergamo, laico capucino.1

Il volume, di oltre settecento pagine, è diviso in quattro parti: I. Selva di contemplatione (diciannove meditazioni sulla vita di Cristo e della Vergine Maria, tratte " dal libro delle preziose piaghe del Crocifisso "); II. Scala di perfettione (tredici trattati); III. Diversi trattati [sei] del vero, retto, puro, filiale, unitivo o trasformativo amore, con un appendice di ventitré lettere; IV. Concetti morali contra gli heretici, opera apologetica composta a Vienna nel 1620.

II. Insegnamento spirituale. Benché le prime tre parti, nell'intenzione dell'ordinatore ed editore p. Giovenale, siano destinate rispettivamente all'istruzione degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti, non costituiscono un vero e proprio manuale o un trattato di ascetica-mistica, elaborato secondo il metodo tradizionale delle tre vie. T. non è un teorico né un lettore di autori spirituali. Egli stesso scrive: " Mai ho letto una sillaba dei libri, ma bene mi fatico a leggere il passionato Cristo ". Finalità del suo scrivere è far ardere d'amore: " Questi miei scritti - auspica - feriscano il cuore a chi li leggerà: acciò io et essi (restando impiagati e feriti di questo divino amore) possiamo... lodare, adorare, benedire, amare e contemplare quel Dio, d'ogni bene degnissimo ".

Nutrito della spiritualità affettiva e cristocentrica tradizionale dell'Ordine, vive e descrive il puro amore verso Dio come tema fondamentale della sua ascetica e mistica vissuta nella quotidianità della sua vita di questuante contemplativo. A tutti insegna quella " alta sapienza dell'amore " che " s'impara alle chiare piaghe di Cristo "; esorta a reputarsi " felici nel patire " perché " l'amore si conosce nel patire " ed insiste: " Desidero che siate tutto amore, fuoco e fiamme. L'amor vero non vede premio, solo vede il premiatore che è Dio ". Precedendo di un cinquantennio s. Margherita Maria Alacoque, scrive pagine incandescenti sul Cuore di Gesù, del quale contempla dolori e amore e al cui servizio, in una vita d'amore, impegna sé ed altri.

Note: 1 Edito ad Agosta (RM) 1682; riedito a Napoli 1683; nuova edizione modernizzata a cura di Fernando da Riese Pio X, Padova 1986.

Bibl. Opere: Fra Tommaso da Bergamo, Fuoco d'amore mandato da Cristo in terra per essere acceso, a cura di Fernando da Riese Pio X, con la collaborazione di Giacomo Carminati, Padova 19862. Antologia, anche di altri testi, con introduzioni, in I Frati Cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di

Costanzo Cargnoni, III1, Perugia 1991, 1452-1558. Studi: Fernando da Riese Pio X, Un contemplativo per le strade. Tommaso Acerbis da Olera, in Santi e santità nell'Ordine cappuccino, I, a cura di Mariano d'Alatri, Roma 1980, 245-263; Id., s.v., in BS, Prima Appendice, 7-12; Gianmaria da Spirano, Fra Tommaso da Olera, laico cappuccino (1563-1631), in Miscellanea Adriano Bernareggi, a cura di L. Cortesi, Bergamo 1958, 631-760; Isidoro di Villapadierna, s.v., in DSAM XV, 865-867.

T. Jansen

TOMMASO DI GESU. (inizio)

I. Vita e opere. Tomás de Jesús al secolo Díaz Sánchez Dávila nasce a Baeza (Andalusia, in Spagna) nel 1564 da Baltasar Sánchez e da Teresa Herrera. Frequenta i corsi di filosofia e teologia all'Università di Baeza. Nel 1583 si reca a Salamanca dove, nella celebre Università, studia diritto. Qui il maestro Baltasar Céspedes, celebre umanista, gli fa conoscere gli scritti di Teresa d'Avila. Díaz legge l'autobiografia di Teresa e rimane affascinato non solo dallo stile, ma soprattutto dalle forme di orazione trattate nell'opera, perciò nell'aprile 1586, decide di entrare tra i carmelitani scalzi, assumendo il nome di Tomás de Jesús, come segno di devozione verso s. Tommaso d'Aquino. Lettore di teologia nel collegio di S. Angelo di Siviglia, verso la fine del 1591 si trasferisce ad Alcalá de Henares, dove continua ad insegnare teologia. In questi anni T. si dedica allo studio della Regola dell'Ordine e pensa sia utile fondare dei deserti, dove i religiosi possano dedicarsi almeno per un certo periodo di tempo, alla contemplazione. Egli manifesta la sua intenzione al vicario generale Nicola di Gesù Maria (Doria). Solo nel 1592 padre Doria dà il permesso di fondare un deserto. Così il primo deserto della Riforma è fondato a Bolarque ed è inaugurato il 24 giugno 1593.

Nel 1607 Paolo V ( 1621), invia un Breve che obbliga padre T., in nome dell'obbedienza, a recarsi a Roma. Ivi, padre T. progetta di fondare un istituto esclusivamente missionario che chiama Congregatio Sancti Pauli. Egli presenta le finalità della Congregazione al Papa che dà l'approvazione il 22 luglio 1608. In seguito a voci contrarie sorte all'interno dell'Ordine, il Papa decide di sopprimere la nuova Congregazione, solo cinque anni più tardi.

Nel 1610 il Papa invia padre T., insieme ad altri compagni, in Francia e in Belgio " ad erigenda aliqua monasteria pro iuvandis fidelibus ac haereticis ad fidem reducendis ". Padre T. parte insieme a sei religiosi il 14 aprile 1610 per i Paesi Bassi, ove rimane tredici anni.

Trascorre gli ultimi anni della sua vita a Roma presso il convento di Santa Maria della Scala. Muore il 24 maggio 1627.

L'opera letteraria di padre T. è notevole, sia per il grande numero di opere che per la varietà degli argomenti trattati e per l'erudizione che appare dai suoi scritti i quali si possono dividere in tre gruppi: 1. opere di carattere storico-giuridico sull'Ordine carmelitano; 2. opere missionologiche; 3. opere ascetico-mistiche, che fanno di lui uno dei più importanti autori della scuola carmelitana.

L'Opera omnia del padre T. appare a Colonia soltanto nel 1684 e, stando a quello che è scritto nella prefazione al primo volume, avrebbe dovuto essere composta di tre volumi. Il terzo volume, per cause rimaste sconosciute, non è mai stato pubblicato. L'Opera omnia comprende sei opere nel primo volume e sei nel secondo.

Tra le opere pubblicate più importanti segnaliamo: Libro de la antiguedad, y Sanctos de la Orden de nuestra Señora del Carmen: y de los especiales privilegios de su Cofradia (Salamanca 1599); Commentaria in Regulam primitivam Fratrum Beatae Mariae Virginis de Monte Carmeli (Salamanca 1599); Suma y compendio de los grados de oración (Roma 1610); Practica de la viva fe, de que el justo vive y se sustenta (Bruxelles 1613); De contemplatione divina libri sex (Anversa 1620); Divinae orationis sive a Deo infusae methodus, natura et gradus libri quatuor. (Anversa 1623); Orationis mentalis via brevis et plana (Bruxelles 1623); Trattato della presenza di Dio (Roma 1685); De contemplatione acquisita, (Opus ineditum). Edidit et annotavit P. Eugenius a S. Joseph (Milano 1922); Commentaria in qq. 171-175 II-II divi Thomae, ubi de raptu, extasi et prophetia, hoc est de visionibus, locutionibus ac rilevationibus divinis disseritur, opera omnia (Coloniae 1684); De variis erroribus spiritualium tam huius quam pristini aevi et de vera theologia mistica, pubblicato da J. Orcibal, La rencontre du Carmel thérésien avec les mystiques du Nord, Paris 1959, 174-177.1

II. Dottrina spirituale e mistica. Padre T. è uno dei più importanti autori carmelitani. Egli ha attinto, per la composizione dei suoi scritti, a numerose fonti: la Sacra Scrittura, i Padri, in particolare s. Agostino, s. Bernardo, s. Bonaventura, i Vittorini, la Devotio moderna e molti autori a lui contemporanei. Un posto eminente occupa nei suoi trattati s. Tommaso, al quale padre T. si riferisce soprattutto per la dottrina della contemplazione. E inoltre importante ricordare la sua devozione a s. Teresa con il continuo riferimento alle sue opere per quanto riguarda l'orazione e la soprannaturale e divina unione con Dio.

L'esperienza di preghiera che egli ha vissuto in modo profondo è presente nelle sue opere così da divenire il fondamento della sua dottrina. Egli afferma che il cammino dell'orazione è difficilissimo ed è concesso a pochissimi uomini di giungere in questa vita fino al possesso di Dio. Tuttavia, Dio permette, anche in questa vita, di farsi trovare dall'uomo; infatti tutti gli uomini possono dedicarsi alla contemplazione o all'orazione mentale. Vi sono tre categorie di uomini: i principianti, i proficienti e i perfetti. Lo stato dei principianti, proprio di coloro che si trovano nella via purgativa, è quello nel quale gli uomini cercano di domare le loro passioni, così da abbandonare il vizio e, per mezzo della mortificazione, abbracciare la virtù. Il secondo stato è di quelle anime che essendosi radicate nella virtù, non vengono mai, o almeno rarissimamente, vinte dalle passioni. Sono quelle che hanno già fatto grandi progressi nella virtù, per cui divenute più forti tanto più facilmente trionfano nelle lotte, quanto più sono salite ad un più alto grado di virtù e perfezione. Questo stato, il quale corrisponde alla via illuminativa, è quello dei proficienti. A questo stato segue quello dei perfetti, nel quale gli atti di virtù diventano dolci e piacevoli al cuore e si compiono con un certo gusto interiore e con alacrità. In questo stato, proprio della via unitiva, l'anima è continuamente occupata ad amare Dio e a pensare a lui.

La distinzione tra contemplazione acquisita e contemplazione infusa già insegnata da Giovanni della Croce, è fondamentale nei suoi scritti che si possono così dividere in due gruppi: alcuni riguardano la natura, i gradi, i mezzi e gli impedimenti della contemplazione acquisita, altri trattano gli stessi temi nella contemplazione infusa. La contemplazione acquisita è lenta e richiede lo sforzo dell'uomo che, aiutato dalla grazia di Dio, deve seguire alcune regole per innalzarsi alle realtà celesti. La materia della contemplazione acquisita è Dio. Il fine è l'unione con lui.

La contemplazione infusa si distingue dall'acquisita poiché è una pronta elevazione della mente che toccata dallo Spirito Santo giunge a conseguire Dio e le realtà celesti. Quest'orazione è un'ascensione della mente, cioè dell'intelletto e della volontà, e consiste in un esercizio sia del pensiero che dell'amore.

L'orazione infusa permette di amare e di godere di Dio, ma anche di conoscere le altre creature in quanto si riferiscono a lui, come loro principio. Il grado più alto della contemplazione è quello in cui la mente conosce Dio per negazione (cf De contemplatione divina, V, c. 8). E una contemplazione di Dio "in caligine", o teologia mistica propriamente detta. Essa è difficile da comprendere, più ancora da spiegare e difficilissima da sperimentare (cf Ibid., V, c. 11) Il merito di padre T. è di aver fondato teoreticamente la complessa dottrina della contemplazione. All'inizio di questo secolo si accese una polemica sulla natura della contemplazione acquisita. P. Gabriele di S. Maria Maddalena, riprendendo l'insegnamento di Giovanni della Croce pose fine alla dispusta. Egli osservò che tra la meditazione affettiva e la contemplazione infusa vi è uno stato di orazione intermedia, che è la contemplazione acquisita.

Padre T. è stato soprattutto un grande contemplativo. Questo appare sia dalla passione che pose nel fondare i deserti, sia dai numerosi trattati sulla vita contemplativa da lui composti. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò quasi esclusivamente agli studi mistici.

Note: 1 Un'importante scoperta è stata fatta da Simeón de la Sagrada Familia il quale ha trovato un manoscritto che contiene l'opera spirituale di padre Tommaso.: Primera parte del Camino espiritual de oración y contemplación (BNM ms. 6533). Questo manoscritto rappresenta una sistematizzazione di tutta la dottrina spirituale e da esso dipendono sotto diversi aspetti tutti gli altri scritti di padre Tommaso. Questi ha partecipato alla stesura di alcune opere scritte in collaborazione con alcuni autori, tra cui: Ordinario y Ceremonial de los Religiosos primitivos Descalços de la Orden de la gloriosissima Virgen María del Monte Carmelo, conforme al rezado del Breviario y Missal Romano, y costumbres antiguas de la dicha Orden (Madrid 1590). A padre Tommaso sono stati attribuiti indebitamente dei testi: J. Krynen, Le Cantique spirituel refondu au 17 siècle (Salamanca 1948) scrive che padre Tommaso è autore della 2a redazione del Cantico Spirituale di san Giovanni della Croce. Questo giudizio è rifiutato da Juan de Jesus María, El Cantico espiritual... Con ocasión de la obra de J. Krynen, in EtCarm 4 (1950), 3-70; 2 Cf De contemplatione acquisita, Parte prima, c. 3.

Bibl. M.A. Diez, s.v, in DSAM XV, 834-844; Gabriele di S. M. Maddalena, Tutto con Gesù, Firenze 1933; Id., La contemplazione acquisita, Firenze 1938; E. Gurrutxaga, La contemplazione acquisita, in La Mistica II, 169-190; P. Hoornaert, The Contemplative Aspiration: a Study of the Prayer Theology of T. de Jesús, in Ephemerides Theologicae Lovanienses, 56 (1980)4, 339-376; José de Jesús Crucificado, El P. T. de Jesús escritor místico, in EphCarm 3 (1949)2, 305349; 4 (1950)1, 149-206; Silverio de Santa Teresa, Historia del Carmen Descalzo en España, Portugal y America, vol. VIII, Burgos 1954, 569-604; Simeone della Sacra Famiglia, s.v, in DES III, 2535-2536; Siméon Tomás Fernandez, La obra fundamental del P. Tomás de Jesús, inédita y desconocida, in EphCarm 4 (1950)3, 431-518; Id., Contenido doctrinal de la "Primera parte del camino espiritual de oración y contemplación", obra inédita y fundamental del P. T. de Jesús, Roma 1952; Tommaso di Gesù (Pammolli), Il P. Tommaso di Gesù e la sua attività missionaria all'inizio del secolo XVII, Roma 1936 (con bibl. generale).

E. Zambruno

TRANCE. (inizio)

I. Con il termine t. si possono descrivere fenomeni che, per alcuni aspetti, sono molto diversi tra loro, per altri versi invece, stranamente molto simili; abbiamo perciò, t. africane, brasiliane, il devr, l'invasamento dei tarantolati (nell'Italia meridionale), il samadhi, lo zazen, e così via.1

Una t. che può sicuramente chiarire molto su tutte le altre t. è quella ipnotica.

Nel contesto cattolico, l'esperienza mistica può essere accompagnata dal cosiddetto " rapimento " o altrimenti detta t. che, dal punto di vista teologico, può avere una natura divina, umana o diabolica.2 Uno dei primi studi compiuti da un medico sulla sintomatologia della t. mistica è quello di A. Imbert-Gourbeyere su un campione di 321 casi. C'è da aggiungere che questa casistica parte da s. Francesco per finire a casi di dubbia attendibilità. Per A. Imbert-Gourbeyere la sintomatologia della t. estatica si riduce a tre elementi fondamentali: a. anestesia; b. catatonia; c. espressione gioiosa.3 Per quanto riguarda la t., la diagnosi differenziale è una delle questioni più dibattute: il rapporto tra fenomenologia della t. e natura della t. Per comparare le analogie e le diversità tra varie t. (mistica, ipnotica, medianica, farmaco-indotta e altre) cerchiamo i criteri che possano aiutare una diagnosi differenziale. A questo proposito, consideriamo due protocolli emblematici: a. il protocollo di N.W. Pahnke per definire una t. estatica; b. il protocollo di F. Granone per definire una t. ipnotica. a. Pahnke individua otto parametri fondamentali da verificare in una t. mistica: 1. unità (interna ed esterna); 2. trascendenza; 3. stato d'animo positivo; 4. sensazione di sacralità; 5. qualità noetica; 6. paradosso; 7. ineffabilità; 8. transitorietà. Ognuno di questi parametri è esplicitato complessivamente da quarantacinque items ognuno dei quali è valutato con una scala da zero a cinque per indicarne l'intensità.4 b. Per Granone la t. ipnotica è caratterizzata da: a. fenomeni di dissociazione dell'Io; b. regressione dell'Io; c. ideoplasia (ossia una buona plasticità dei processi ideativi). In particolare, la t. ipnotica si può valutare per " rapidità, intensità e durata " dei seguenti sette parametri: levitazione, catalessi, movimenti automatici rotatori, inibizione di movimenti volontari, analgesia, sanguinamento e condizionamento. Questi parametri indicano la maggiore o minore permeabilità costituzionale della ideoplasia ipnotica verso un determinato apparato.5 Da questi due protocolli e da altri6 si può vedere come sia difficile trovare dei parametri da comparare in questi due tipi di estasi. E difficilissimo, se non impossibile, differenziare fenomenologicamente la t. mistica dalla t. ipnotica autoindotta, il cui contenuto ideoplastico è di tipo mistico. Non possiamo sapere con certezza quando uno stato dissociativo viene direttamente da Dio e quando è il prodotto dell'inconscio. Di certo, Dio può intervenire direttamente e indirettamente in qualunque stato psicofisico. Non si può escludere che Dio si manifesti nell'inconscio: 7 nel sogno, nella t., nella veglia vigile, negli stati ipnagonici e così via. Un altro tentativo di comparazione e differenziazione dei parametri psicofisiologici fra t. ipnotica e t. mistica è stato quello effettuato sull'osservazione dei veggenti di Medjugorje da M. Margnelli e G. Gagliardi.8 Anche questo tentativo, se pur tra i più tecnici finora condotti, rimane sempre difficile da valutare ed ancora molto lontano da un accordo di massima tra vari psichiatri e psicologi clinici. E possibile che in alcune t. mistiche alcuni parametri siano diversi da altre t.; ciò nondimeno, quei parametri non potranno essere considerati come segni clinici obiettivi di una " autenticità " o una " proprietà " specifica della t. mistica.9 Nel contesto cattolico la t. mistica non prevede nessun mediatore chimico o meccanico né alcuna interposta persona come un medium, sciamano o ipnotizzatore. La t. mistica può dirsi naturale quando è spontanea, quindi non consciamente auto o etero-indotta e senza manipolazioni di un qualunque tipo per iniziarla, continuarla, intensificarla o per farla cessare. Resta pur vero che in modo indiretto anche una t. mistica in un contesto cattolico possa ricevere un certo influsso suggestivo (cf suggestione) dai canti, dall'incenso, dal tipo di nutrizione o dalle modalità dei digiuni e da altri elementi presenti nel sistema in cui è inserito il mistico. " Ogni qual volta una forza mistica è esaltata dalla fede, dall'aspettativa e dall'ambiente (come accade nei luoghi sacri) procura questi stati di estasi che tanti punti in comune hanno (fisiologicamente parlando) con gli stati di t. ipnotica o di sonnambulismo per quella condizione di coscienza crepuscolare e per la prevalenza in essi della parte subconscia istintivo-affettiva, con un certo grado di dissociazione della personalità ".10

II. Uno dei criteri di verifica della t. mistica nel contesto cattolico è la tipologia, naturale o artificiale, dei fenomeni che si verificano. Un altro criterio molto difficile è quello dell'originalità. In che cosa la t. mistica cattolica rivela la sua " autenticità "? Cos'ha che altre t. non hanno? Se cerchiamo la differenza tra gli epifenomeni (ossia nella fenomenologia che appare all'osservazione scientifica, quindi, dei sensi) sarà molto difficile se non impossibile cogliere delle originalità strutturali che non si verificano in altre t. di tipo medianiche, sciamaniche, ipnotiche o chimicamente indotte. Resta legittima e sempre aperta la domanda sul biochimismo cerebrale: il funzionamento del cervello durante una t. naturale e spontanea, come quella che avviene in un mistico è uguale al funzionamento biochimico in t. di altra natura, come quella ipnotica o medianica? Anche se la psicofarmacologia potrà verosimilmente trovare delle molecole che potranno riprodurre lo stato di t. mistica in maniera molto simile a quella che avviene in contesto cattolico, tuttavia questa similitudine psico-neuro-fisiologica è pur sempre un epifenomeno così come altri parametri fisiologici esterni quali la catalessi, la midriasi, la conduzione elettrica della pelle, l'EEG, l'ECG, il tono muscolare e così via.

Per ora si può solo affermare che ogni qual volta abbiamo una prevalenza delle funzioni rappresentativo-emotivo su quelle

critico-intellettive con una dissociazione (variabile con la correlazione soggetto-contesto) abbiamo quei presupposti che sono comuni a tutti i tipi di t. Questi presupposti comuni a tutte le t. possono portare a concludere che tutte le t. hanno una natura comune? Le ricerche non portano a una risposta certa e univoca, perciò l'atteggiamento più prudente e anche quello più realistico sia tra clinici (psicologi e medici) e sia tra questi e i teologi è quello di sospendere ogni giudizio definitivo sulla validità degli attuali criteri per una attendibile diagnosi differenziale sulla t. mistica. In altre parole, possiamo dire quando c'è una t. ma non possiamo affermare sempre con certezza i criteri che dovrebbero differenziare tutte le t. mistiche da quelle ipnotiche, o medianiche, o di altro tipo.

Questi criteri, infatti, sono ancora lontani sia da un consenso tra esperti che da una conoscenza adeguata per le continue scoperte che vengono fatte sugli stati di coscienza. Infine, quand'anche fossimo sicuri che una t. sia certamente di natura mistica questo non potrebbe deporre nulla a favore né a sfavore della santità del soggetto in questione.

I segni di santità non dovrebbero essere basati su una fenomenologia dissociativa più o meno strabiliante quanto piuttosto sull'aderenza della vita interiore e relazionale con il messaggio di Cristo.

III. Nella psicologia della religione la riflessione più importante è quella pertinente il significato dell'evento che resta di competenza della teologia. Il fatto che vi sia una similitudine fenomenica non può portare a un riduzionismo semplicistico per cui un fenomeno si riduce ad un altro fenomeno solo perché è simile in apparenza. La psicologia della religione potrà studiare la struttura psichica della persona che ha una t. con le psicodinamiche soggettive e culturali, tutte le correlazioni sistemiche implicate nel fenomeno, ma nessuno psicologo potrà mai tracciare una diagnosi di santità. Questo non è di competenza neanche del teologo. Lo psicologo clinico potrà rilevare eventuali patologie personali, familiari e di relazione, ma nessuna patologia potrà escludere la possibilità di santità.

A questo proposito ci può essere di aiuto l'antropologia ontologica di V.E. Frankl che affronta appunto il significato di un evento mistico in psicologia: qual è la differenza tra la visione di una mistica come Bernadette di Soubirous ( 1879) e l'allucinazione di uno psicotico? Se guardiamo alla sola fenomenologia esterna, ossia agli epifenomeni dovremmo constatare una stretta somiglianza; il significato, invece, può essere diverso. Tre persone che piangono possono manifestare nella meccanica della lacrimazione una notevole similitudine, ma è possibile che una pianga di gioia, una di dolore e una perché sbuccia la cipolla.

Frankl per spiegare ciò si rifà anche alle proiezioni ortogonali: vi possono essere una sfera, un cono e un cilindro che, se hanno lo stesso diametro, proiettano su di un piano: un cerchio, un triangolo e un rettangolo; e su un altro piano proiettano tre cerchi perfettamente identici tanto da non poter stabilire quale si riferisce alla sfera, quale al cono e quale al cilindro. Analogamente, un'allucinazione psicotica, un'allucinazione in t. ipnotica e una visione mistica sul piano psichiatrico potrebbero presentare delle sorprendenti analogie tanto da non poter differenziare la natura e la motivazione dei tre fenomeni.

Dal punto di vista psicodinamico, la regressione a stadi evolutivi precedenti differenzia l'allucinazione psicotica da quella ipnotica o quella nella t. mistica.

In certi casi, alcuni parametri possono differenziarsi tra loro, ma sono tanto sottili e tanto discutibili che non possono essere, almeno per ora, generalizzati anche perché quanto detto varrebbe solo per i parametri neuro-fisiologici, la cui misurabilità è relativamente facile rispetto alla misurabilità dei processi cognitivi consci e soprattutto poi quelli inconsci. A questi bisognerebbe aggiungere anche i parametri personologici e, a questo punto, come si potrà osservare, la complessità è tale da non poter facilmente ridurre uno stato di coscienza all'altro. Rimane pur sempre vero che molti tratti sono comuni fra t. diverse. In questi casi lo scienziato non può essere certo che un'estasi sia solo uno dei tanti stati di coscienza alterato e il teologo non può essere certo che si tratti di santità.

Note: 1 G. Lapassade, Saggio sulle trance, Milano 1980; C.T. Tart, Stati di coscienza, Roma 1975; M.S. Gazzaniga, Stati della mente e stato del cervello, Firenze 1990; 2 Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione et Beatorum canonizatione, in Opera omnia, 1747-51; 3 A. Imbert-Gourbeyre, La stigmatisation, l'extase divine et les miracles de Lourdes: résponse aux libres penseurs, Clermont F. 1873; Altri studi di questo periodo sono: F. Lefebvre, Louise Lateau de Bois-d'Haine: sa vie, ses extases, ses stigmates; étude médicale, Louvain 1873; M. Warlomont, Louise Lateau: Rapport médicale sur la stigmatisée de Bois-d'Haine, in Bul. Soc. Roy. Méd. de Belgique, 15 (1875), 144-314; 4W.N. Pahnke, Psichiatria clinica e religione, E. Mansell Pettison (ed.), Milano 1973; 5 F. Granone, Trattato di ipnosi, I, Torino 1989, 88, 136, 251; 6I.M. Lewis, Ecstatic Religion, Harmondsworth 1978, 38; I.P. Couliano, Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Bari 1984, 1-17; 7 Cf V.E. Frankl, Dio nell'inconscio, Brescia 1990; 8 M. Margnelli e G. Gagliardi, Le apparizioni della Madonna. Da Lourdes a Medjugorje, in Riza Scienze, 16 (1987) tutto il numero; 9 A. Pacciolla, Ipnosi, Cinisello Balsamo (MI) 1994, 224-239; 10 F. Granone, Trattato..., o.c., 289.

Bibl. Aa.Vv., Extase, in DSAM IV2, 2045-2189; I.P. Couliano, Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Bari 1984; M.S. Gazzaniga, Stati della mente e stato del cervello, Firenze 1990; F. Granone, Trattato di ipnosi, I, Torino 1989, 88, 136, 251; A. Imbert-Gourbeyre, La stigmatisation, l'exstase divine et les miracles de Lourdes: résponse aux libres penseurs, Clermont F. 1873; G. Lapassade, Saggio sulle trance, Milano 1980; F. Lefebvre, Louise Lateau de Bois-d'Haine: sa vie, ses extases, ses stigmates; étude médicale, Louvain 1873; I.M. Lewis, Ecstatic Religion, Harmondsworth 1978, 38; A. Pacciolla, Ipnosi, Cinisello Balsamo (MI) 1994; V. Satura, Ekstase, in WMy, 132-134; C.T. Tart, Stati di coscienza, Roma 1975; M. Warlomont, Louise Lateau: rapport médicale sur la stigmatisée de Bois-d'Haine, in Bul. Soc. Roy. Méd. de Belgique, 15 (1875), 144-314.

A. Pacciolla

TRASPORTO SPIRITUALE. (inizio)

I. Il termine. Si indicano, con t., le tappe o i gradini di ascesa dell'amore dei mistici. Non è uguale per tutti, ma si danno molte concordanze. La classificazione più seguita è quella della scuola carmelitana di s. Teresa d'Avila e di s. Giovanni della Croce. L'anima è attratta verso la pienezza di Dio per gradi che dai mistici indicati vengono così definiti: tocchi divini, impeti, ferite, piaghe d'amore, unione estatica (fidanzamento spirituale), unione trasformante o matrimonio spirituale.

I tocchi divini sono dolci inclinazioni spirituali, impressi nella volontà da una specie di contatto divino, accompagnati da viva luce intellettuale.

Gli impeti sono impulsi fortissimi e ispirati di amore di Dio.

Le ferite " sono tocchi amorosi e segreti, ma che, come frecce infuocate, feriscono e trapassano l'anima ".

Le piaghe d'amore sono ferite più profonde e durature.

L'unione estatica (fidanzamento spirituale) si ha quando nell'estasi Dio promette di portare l'anima fino all'unione trasformante o matrimonio spirituale.

La sospensione dei sensi nello stato estatico a volte è completa, altre incompleta, come nel caso di s. Caterina da Siena, che permetteva di dettare le sue rivelazioni nell'estasi.

Nell'unione trasformante o matrimonio spirituale si hanno i tre elementi essenziali del matrimonio: la trasformazione totale dell'Amato, la mutua donazione, la permanente unione, o anche: l'intimità, la serenità, l'indissolubilità.

Non tutte le anime elette sono chiamate ad una vita mistica eccezionale, né conviene desiderarla. Si può giungere all'autentica santità senza fruire di doni soprannaturali.

Bibl. C. Gennaro, s.v., in DES III, 2543; Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 32: Id., Notte oscura II, 23; Id., Cantico spirituale I, 17; Id., Fiamma viva d'amore II; P.A. Poulain, Delle grazie d'orazione, Genova 1926; I. Rodríguez, Tocchi divini, in DES III, 2525-2526; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656; Teresa d'Avila, Castello interiore VII, c.2.

V. Marcozzi

UGO DI BALMA. (inizio)

I. Vita e opere. Originario dell'est della Francia (Balmey oggi Vieu-d'Izenave, dipartimento dell'Ain), appartenente all'antica famiglia dei Balmey e Dorche, entrò nell'abbazia certosina di Meyriat in Bresse, fondata nel 1116 dall'avo Ponze de Balmey, divenendone priore negli anni 1293-1295 e 1303-1305, morendo probabilmente in quell'ultimo anno. Fu autore di un'opera intitolata Theologia mystica o De triplici via, o anche Viae Sion lugent, dal suo incipit. Essa è assegnabile al periodo 1289-1297 grazie a riferimenti interni al testo; molto verosimilmente scaturì come replica dell'abate U. alle critiche rivolte dagli scolastici alla sua predicazione, ma non è dato saperlo con certezza.

Poiché, secondo l'uso certosino, l'autore non vi pose né data né sottoscrizione ma solo la sigla " H. ", l'opera venne inclusa sin dall'edizione di Strasburgo del 1495, fra quelle di s. Bonaventura da Bagnoregio, a causa della confusione col trattato di questi dal titolo De triplici via ad Sapientiam. Tale erronea attribuzione, nata con gli incunaboli, è perdurata sino al nostro secolo, benché la tradizione manoscritta fosse concorde nell'assegnare il testo a " Hugues de Balmey, chartreux ".

L'opera tratta, in un prologo e tre capitoli, della triplice via interiore per accedere alla Sapienza e all'unione divina. Ebbe ampia diffusione nelle biblioteche certosine a partire dal sec. IV; fu citata da scrittori coevi o successivi (Dionigi il Certosino e Guigo du Pont, tra gli altri), benché ciò avvenisse senza nominarne l'autore, com'era costume. Fu uno dei punti di riferimento nella controversia sulla " dotta ignoranza " (cf Nicola Cusano), svoltasi dal 1451 al 1459.

II. Dottrina. L'opera prende avvio da un passo della Scrittura: " Le strade di Sion sono in lutto, più nessuno viene alle sue feste " (Lam 1,4). L'interpretazione fornita dall'autore è che le anime trascurano e disertano le vie tramite le quali si raggiunge Gerusalemme cioè la Sapienza perché irretite dalle inezie e dalle curiosità di una scienza vana. L'unica scienza veritiera è la teologia mistica che l'autore definisce un'aspirazione dell'anima alla percezione empirica di Dio, senza conoscenza preventiva o concomitante che le possa derivare dallo sforzo intellettuale. Scopo della teologia mistica è il consentire all'anima umana di rispondere all'invito rivoltole da Dio ad entrare in possesso di lui. Perciò, l'abate U. si colloca nella scia dell'insegnamento di Dionigi Areopagita, per il quale l'ascesa a Dio comporta - nella sua forma estrema - il non-intervento dell'intelligenza ed il primato assoluto dell'affettività, umana. Sempre secondo il nostro, l'anima umana riceve un appello da Dio, consistente in un'espressione di amore illimitato, ascende verso di lui mediante la carità e si unisce a lui in un colloquio segreto nella lingua degli affetti. L'esperienza mistica, nel pensiero di U., non è privilegio esclusivo dei contemplativi né dei religiosi; è possibile a tutti coloro che vivono in stato di grazia, quindi idonei a riconoscere in se stessi l'invito divino.

U. parla di tre fasi del cammino dell'anima che, secondo la tradizione, chiama " vie " (purgativa - illuminativa - unitiva), corrispondenti ai tre ordini della gerarchia angelica (troni, cherubini, serafini).

La via purgativa rappresenta la fase penitenziale, che dispone l'anima al vero studio attraverso il riconoscimento delle proprie colpe; tale via è interpretata validamente dallo stile di vita certosino; U. prende a simbolo di questo stadio il bacio dei piedi, segno di umiltà e di contrizione.

Seguendo la mozione interiore della carità, l'anima perviene alla via illuminativa, consistente nella diuturna e reiterata meditazione della Scrittura; essa consente un ulteriore progresso verso Dio. La conoscenza che si acquisisce in questa fase non è intellettuale, bensì affettiva, e risulta in parti uguali dall'impegno dispiegato dall'anima umana e dal dono che Dio fa di se stesso, svelandosi per gradi. Tale livello è simboleggiato dal bacio delle mani, segno di soggezione e di riconoscenza. Ultimo stadio della teologia mistica è la via unitiva; si tratta qui della fase fusionale, in cui l'anima mediante la carità e dietro l'azione divina ottiene l'unione con Dio, entrando nel novero dei beati. L'ascensione culmina nella saggezza unitiva, in virtù della quale si può attuare la metamorfosi del soggetto amante nel soggetto amato. Tale stadio estremo ha come simbolo il bacio scambievole sulla bocca. Secondo U., non solo un simile grado di conoscenza è possibile, ma è l'unico valido che si possa conseguire durante l'esistenza terrena.

Bibl. Opere: L'Editio princeps della Theologia mystica è quella di Strasburgo del 1495 (negli Opuscula parva di s. Bonaventura) alla quale si rifanno le successive edizioni latine. Tra di esse rammentiamo l'edizione romana del 1588-1596 (Opera omnia di san Bonaventura, t. VI). Una versione italiana è disponibile nell'edizione a cura di P. Sorio, Opere ascetiche di s. Bonaventura, Verona 1852; Viae sion lugent, Studien zum Hugo de Balmas Text " Viae Sion lugent " und Deutsche Ubersetzung, von H. Wiclich, Salzburg 1994; Théologie mystique de Hugues de Balma, par F. Ruello - J. Barbet, Paris 1995-1996. Studi: S. Autore, s.v., in DTC, 215-220; F. De Pablo Maroto, Amor y conocimiento en la vida mistica según Hugo de Balma, Madrid 1965; P. Dubourg, La date de la Theologia Mystica in RAM 8 (1927), 156-161; A. Giabbani, s.v., in EC, XII, 705; W. Höver, Theologia Mystica in altbairischer Ubertragung, München 1971; J. Krynen, La pratique et la théorie de l'amour sans connaissance dans les " Viae Sion lugent " d'Hugues de Balma in RAM 40 (1964), 161-183; P. Nisser - J. Weismayer, s.v., in WMy, 239-240; F. Ruello, Statut et rôle de l'Intellectus et de l'Affectus dans la Théologie Mystique de H. de B., in Kartäusermystik und Mystiker I, Salzburg 1981, 1-46; A.M. Sochay, s.v., in Catholicisme V, 1028-1030; A. Stoelén, s.v., in DSAM VII, 859-873.

M.G. Fornaci

UGO DI SAN VITTORE. (inizio)

I. Vita e opere. U. di San Vittore nasce probabilmente in Sassonia, nel 1100 ca. Certamente fa parte della comunità, recentemente fondata, dei canonici regolari di San Vittore di Parigi nel 1115 ca. Vive e insegna lì fino al 1141, anno della sua morte. E uno scrittore fecondo; molte delle sue opere sono ampiamente lette lungo tutto il Medioevo. E uno scrittore chiaro e raffinato, produce commenti biblici; importante è Il Didascalicon, una guida che prepara alla lettura della Bibbia; un commento sulla Gerarchia celeste di Dionigi Areopagita (PL 175.923A-1154C) e una importantissima summa teologica intitolata: De sacramentis, le cui due parti sono dedicate rispettivamente a due grandi opere di Dio, la creazione e la redenzione.

U. scrive anche un consistente numero di trattati spirituali.

II. Dottrina. In uno di questi trattati, il Soliloquium de arra animae, scritto alla fine della sua vita, descrive esperienze mistiche in termini che appaiono autobiografici: " Che cos'è questa dolcezza che spesso mi commuove quando penso a lui? Mi tocca così fortemente, persino soavemente, che mi sento totalmente tirato fuori da me stesso (abalienari)... Tutta la miseria dei dispiaceri del passato è dimenticata, il mio spirito esulta, le mie conoscenze crescono chiaramente, il mio cuore è illuminato, i miei desideri sono soddisfatti. Contemplo me stesso da qualche parte (non so dove); e stringo qualcosa nel mio animo in un abbraccio d'amore... Vorrei rimanere in questo stato per sempre. Che sia questo il mio amato? " (PL 176, 970 AB). Tale passo è tipico dell'uso del suo vocabolario tradizionale e dell'enfasi posta sulla presenza sia della comprensione che dell'amore nei momenti più intensi dell'esperienza mistica.

L'itinerario di tale esperienza attraversa un cammino d'amore che U. celebra in alcune brevi opere (per esempio, De laude caritatis: PL 176, 969D). La sua teologia dell'amore è fortemente influenzata da s. Agostino. L'amore è nutrito dalla lectio divina e da altri esercizi spirituali come la Meditatio et oratio. La meditazione è uno sforzo per comprendere e giungere alla contemplazione di un dato oggetto; la preghiera (oratio) è, nell'essenza, un atto di accorata devozione (devotio) (cf De virtute orandi: PL 176, 977A-988A). Nelle sue Omelie sull'Ecclesiaste, U. distingue tra cogitatio, meditatio e contemplatio. Quest'ultima è descritta come " la vigilanza della mente che trova tutto chiaro, lo afferra chiaramente con intera comprensione ". La contemplazione dei principianti si focalizza sulle creature; la maturità eleva la loro contemplazione al Creatore. Nel più alto stadio della contemplazione, " quando la verità è completamente svelata e la carità è perfetta, solo una cosa è cercata; nel puro fuoco dell'amore, nella più alta pace e beatitudine, l'anima è soavemente respinta. Poi, con tutto il cuore si volge al fuoco dell'amore, dove Dio è percepito come il tutto in tutto. E accolto con un amore così profondo che, vicino a lui, niente è lasciato al cuore umano, nulla perfino di se stesso " (PL 175, 116-118). Nel De arca Noe (PL=De arca Noe morali) e nel Libellus de formatione arche (PL=De arca Noe mystica) che è in appendice ad esso, l'arca è una specie di immagine mandala che aiuta a focalizzare la mente su Cristo, l'epicentro della salvezza. Questi trattati rendono chiaro che la via solita all'esperienza mistica include il mettere ordine nell'amore di sé coltivando le virtù e giungendo così al punto in cui si è un solo Spirito con Dio. Nel De arca Noe, U. adopera una metafora singolare per indicare questo processo di graduale purificazione e interiorizzazione. L'anima si trova spezzata e dispersa. I pezzi sono riuniti e fusi nel fuoco, finché diventano metallo fuso. L'anima è, dunque, coniata nuovamente e sigillata con l'immagine di Cristo (Libellus: PL 176. 697 AB).

Bibl. Opere: sono contenute in PL 175-177 (in 177 sono quasi tutte spurie); R. Baron (ed.), Six opuscules spirituels; V. Liccaro (cura di), Didascalicon, Milano 1987; P. Sicard (ed.), De archa Noe e il Libellus de formatione arche, (CCCM 161, Turnhout, Brepols) è il primo volume di una nuova edizione delle opere complete di Ugo. Studi: R. Baron, s.v., in DSAM VII1, 901-939; Id., Science et sagesse chez Hugues de Saint-Victor, Paris 1957; G. Dumeige, s.v., in DES III, 2567-2570; G. Evans, Hugh of Saint-Victor on History and the Meaning of Thing, in Studia Monastica, 25 (1983), 223-234; J.P. Kleinz, The Theory of Knowledge of Hugh of Saint-Victor, Washington 1944; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 240-241; E. Liccaro, Studi sulla visione del mondo di Ugo di San Vittore, Trieste 1970; L. Ott, Untersuchungen zur theologischen Briefliteratur der Frühscholastik, Münster 1937; J. Pedersen, La recherche de la sagesse d'après Hugues de Saint-Victor, in Classica et Medievalia, 16 (1955), 92-133; A. Piazzoni, Il " De unione spiritus et corporis " di Ugo di San Vittore, in Studi Medievali, 21 (1980), 861-888; H. Platelle, s.v., in BS XII, 775-777; P. Sicard, Diagrammes médievaux et exégèse visuelle. Le libellus de formatione arche de Hugues de Saint-Victor, Turnhout 1994 (contiene un'ampia bibliografia); F. Vernet, s.v., in DTC VII, 240-308; G.A. Zinn, De gradibus ascensionum. The Stages of Contemplative Ascent in Two Treatises on Noah's Ark of Hugh of St. Victor, in Studies in Medieval Culture, V, J.R. Sommerfeldt ed., Kalamazoo 1975, 61-80; Id., Mandala Symbolism and the Use in the Mysticism of Hugh of Saint-Victor, in History of Religions, 12 (1973), 317-341.

H. Feiss

UMANESIMO DEVOTO. (inizio)

I. Origine dell'espressione " Umanesimo devoto ". Perché H. Bremond ha scelto l'espressione u.? 1 La vita spirituale, in quanto carità divina trinitaria vissuta in Gesù Cristo che lo Spirito diffonde nei credenti, viene tratteggiata in forma magistrale dal monaco Guglielmo di St. Thierry; ripresa dalla beghina delle Fiandre Hadewijck d'Anversa; approfondita in modo originale da Meister Eckhart e da Giovanni Ruusbroec. E il vissuto spirituale mistico, grandemente ammirato e desiderato nel 1500-1600, per il cui acquisto si sacrifica ogni valore umano personale.

Nel 1700, questo vissuto spirituale mistico, diffuso presso la comunità cristiana, perde il suo fascino a motivo del diffondersi dell'umanesimo personalistico con l'apporto delle scienze, del razionalismo illuminista e delle esperienze spirituali quietiste e gianseniste sconfessate dalla Chiesa. Fioriscono i nuovi Istituti religiosi impegnati in attività missionaria e assistenziale con vita ascetica, devozionale. Essi vivono il Vangelo entro la riduzione della propria Regola. Esemplari sono gli Istituti religiosi fondati da Vincenzo de' Paoli con Luisa Marillac ( 1660) e da Giovanni Battista de La Salle ( 1719).

H. Bremond sconfessa il nuovo vissuto ascetico, aderendo al precedente periodo del mistico amore puro. Tale amore immette nell'intima " passione di Dio ", considerato solo come amore perfetto in se stesso e non come felicità nostra. Alla luce di questa prospettiva, H. Bremond sceglie Fénelon contro G.B. Bossuet. Critica s. Ignazio di Loyola per il superascetismo freddo, acido, appesantito da un rigido moralismo nei suoi Esercizi. Lamenta che tale ascetismo sia favorito e applicato nella Compagnia di Gesù secondo la dottrina di Alfonso Rodríguez ( 1616), trascurando l'esperienza spirituale gesuitica di L. Lallemant e J.J. Surin.

H. Bremond, per far comprendere che lo stato mistico contemplativo è la nativa perfezione della natura umana personale, lo chiama u., in contrapposizione all'umanesimo cristiano dell'ascetismo del 1700. Egli non si mette a dimostrare la sua scelta mediante motivi teorici razionali o teologici. La sua dimostrazione è sempre fatta emergere dalla narrazione di esperienze spirituali storiche. E presentata come una semplice eco dell'insegnamento e del vissuto dei santi e dei maestri spirituali, di cui narra la storia dal 1580 al 1660. I rappresentanti dell'u. appaiono raggruppati attorno alla figura di s. Francesco di Sales. Sono santi ritratti con grande capacità evocativa letteraria e penetrazione psicologica, ma non sempre con esattezza storica.

II. Descrizione dell'u. Secondo H. Bremond, l'u., vissuto dal 1580 al 1660 in forma concorde da vescovi, preti, religiosi e laici, rivela la compresenza di devozione e misticismo fra loro intrecciati intimamente in ogni vissuto umano, anche profano. Ma l'aspetto mistico non è dipendente dalla devozione. Esso emerge da se stesso, armonizzato sul contesto socio-culturale umanistico del tempo. Non è mai imposto da una forza ad esso esteriore. Al massimo, viene assecondato nella sua spontaneità da un particolare contesto.

La stessa devozione nei secc. XVI-XVII non ha generato l'u. o mistico. E stata solo un'occasione che ha reso l'umanesimo cosciente di essere naturalmente mistico nel suo profondo. La devozione in se stessa non è né santità né esperienza mistica. E solo un mezzo per purificare l'umanesimo dai suoi aspetti devianti, per asservirlo ai suoi innati fini nobili, per renderlo aperto intimamente allo stato mistico, che esso cela innato nella sua interiorità. Poiché l'afflato mistico giace innato in ogni intimo umano, lo stesso lavoro letterario e artistico si svela tendente a trascendere i sensi e il regime razionale in favore di un proprio aspetto mistico.

L'umanesimo, mediante la devozione, sollecita il credente a passare dall'animus (io superficiale in cui hanno sede sensazioni, concetti e volizioni) all'anima (io profondo dove risiede la scintilla divina e punto estremo dello spirito in cui ha sede ogni vera poesia e ogni eroismo). Questo lasciarsi impossessare da Dio è spiritualità teocentrica, che orienta alla preghiera pura e nuda, cioè alla contemplazione mistica.

L'u. fa comprendere che la natura umana, nonostante sia stata menomata dal peccato originale, rimane la meraviglia della creazione, che la grazia redentrice ci ha imposto. Essa invita a dimenticare il proprio io superficiale risalendo alla cima del nostro essere, alla sommità più alta del nostro io interiore, ove né i sensi né la pietà sensibile penetrano. Per tale slancio interiore l'u. richiede il puro amore.

III. Valutazione dell'u. Sono state avanzate varie critiche alla concezione dell'u. di H. Bremond. Innanzitutto, è stato osservato che sarebbe opportuno dare un contenuto più preciso alla parola "umanesimo": essa si presenta carica di risonanza affettiva più che di un'idea chiara e distinta. Quanto poi al valore innato dell'umanesimo, esso non rivela nella sua oggettività una qualificazione spirituale cristiana. Certamente non si potrebbe pensare che l'odierno umanesimo razionalista scientifico, lasciato evolvere secondo una propria spontaneità interiore, si costituisca come u.

I teologi spirituali gesuiti hanno sostenuto che i credenti - in contrasto con la concezione dell'u. - si sentono spiritualmente sollecitati gli uni a un vissuto ascetico, gli altri a quello mistico. Non è appropriato affermare che cristianamente l'uomo in stato di grazia si apra necessariamente solo allo stato devoto mistico. L'ascesi è uno stato spirituale appagante senza sentirsi appagata solo se tende allo stato mistico.

Infine, J. de Guibert critica aspramente H. Bremond,2 perché sostiene la bontà dell'amore puro. Vi scorge implicitamente la negazione del dovere di tendere al proprio fine ultimo di beatitudine in Dio mediante lo Spirito di Cristo. Si verrebbe assestando l'animo proprio in una impenitenza finale. Egli ritiene, poi, assurdo ed offensivo pensare che Dio si esprima in un decreto di condanna verso l'anima santa.

Di fronte alle critiche ora ricordate, sembra opportuno riprendere il discorso dell'u. in una prospettiva più ampia. La persona umana in stato di grazia viene necessariamente avviata dallo Spirito a partecipare all'esperienza pasquale di Cristo. Essa viene resa partecipe progressivamente dello spirito risorto di Cristo. Appare sempre pneumatofora, almeno in forma iniziale. Ora, una persona pneumatofora, che operasse virtuosamente, testimonia di essere in uno stato mistico. Essa vive, anche se non ne è cosciente, nella carità dello Spirito di Cristo in intimità con Dio Padre. Non è, quindi, appropriato parlare di un umanesimo virtuoso che dimori esclusivamente nello stato ascetico, anche se accade che alcune persone virtuose, non coscienti del proprio stato mistico, si comportino intenzionalmente in modo estraneo ad esso.

Inoltre, non appare appropriato asserire che vivendo nell'amore puro si neghi la tensione esistenziale al fine ultimo. Amare Dio significa tendere a lui come al Bene in se stesso unico, sommo. E Dio, sommo Bene, non può non essere nostra felicità. Allorché lo si immagina sommo Bene e non nostra felicità, è un volere solo sottolineare il suo elemento essenziale primario, che verrà vissuto in modo esclusivo solo tra i beati.

D'altronde, quando il cristiano intende vivere praticando un amore puro, non bisogna ritenere che esso sia vissuto veramente come tale. Anche se egli crede con tutta sincerità di emettere un tale atto d'amore puro, di fatto il proprio essere (bio-psichico, affettivo-razionale-spirituale), nel suo profondo (magari inconscio) rimane sempre abbarbicato a se stesso e alla propria felicità. L'amore puro è sempre e solo un'aspirazione del cristiano che pensa di poterlo vivere al presente, mentre sarà praticato esistenzialmente in forma reale solo nella vita futura. Lo stesso s. Agostino formulava solo un puro desiderio d'amor puro, allorché pregava: " Che io, o Dio, conosca te e conosca me, perché ami te e odi me! ".

Note: 1 Nel 1915, a guerra iniziata, Henri Bremond pubblica il primo volume dell'Histoire lettéraire du sentiment religieux en France depuis la fin des guerres de religion, 13 voll., Paris 1915-1936, intitolato Humanisme Dévot (1580-1660); 2 J. de Guibert, Bremond (Henri), in DSAM I, 1936.

Bibl. Aa.Vv., H. Bremond (1865-1933). Actes du colloque d'Aix, 19-20 mars 1966, Aix-en-Provence 1967; A. Autin, H. Bremond, Paris 1946; H. Bordaux, Bremond, Paris 1924; I. Colosio, Il mistero di H. Bremond, in RivAM 42 (1966), 190-206; G. De Luca - H. Bremond, De " l'Histoire littéraire du sentiment religieux en France " à l'" Archivio italiano per la storia della pietà " d'après des documents inedits, Roma 1965; L. Goichot, Henri Bremond. Historien du sentiment religieux. Génèse et stratégie d'une entreprise littéraire, Paris 1982; J. de Guibert, Bremond (Henri), in DSAM I, 1928-1938; F. Hermans, L'humanisme religieuse de l'Abbé H. Bremond. Essai d'analyse doctrinale, Paris 1965; H. Hogarth, Henry Bremond. The Life and Work of a Devout Humanist, London 1950; H.B. Maître, Théocentrisme et antropocentrisme chez H. Bremond, in RAM 40 (1964), 314-318.

T. Goffi

UMILTA. (inizio)

Premessa. L'u., spesso, è la virtù meno conosciuta e meno apprezzata. Il suo opposto, che è l'orgoglio, sembra il sovrano di questo mondo con un dominio quasi incontrastato. Contro di esso, però, sta la parola del Signore, tagliente come una spada: " Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato " (Lc 14,11). E un principio generale che presenta coordinate al rovescio. E già l'AT ne aveva avuto l'intuizione: " Quanto più sei grande, tanto più umiliati " (Sir 3,18).

I. Fondamento dell'u. Più esplicitamente: come radicare nel cuore questo atteggiamento così contrario al movimento istintivo dell'orgoglio? Da tutta la Bibbia viene una risposta convergente: si diventa umili, collocandosi davanti a Dio.

L'u. nasce dal senso di Dio, e questo lo può avere solo chi si mette in rapporto personale con lui. Bisogna aprire gli occhi sulla sua gloria. Allora accadono tre cose: 1. Anzitutto si sperimenta il proprio nulla. Non si tratta di negare il bene che c'è in noi. L'u. è verità, non ipocrisia. Si tratta di riferirlo al suo vero Autore: " Ogni dono viene dall'alto, discende dal Padre della luce " (Gc 1,17). " E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? ", aggiunge s. Paolo (1 Cor 4,7). Si scopre che Dio è la fonte unica del bene: e l'uomo è una mano vuota tesa verso di lui per essere colmata. Da noi non abbiamo nulla. Perciò, l'orgoglio è una forma pratica di ateismo. 2. In secondo luogo, davanti al Santo ci si scopre " venduti al peccato ". E così che reagisce Isaia al canto dei serafini, che proclamano il Dio tre volte Santo: " Guai a me, perché un uomo dalle labbra impure io sono, e i miei occhi hanno visto il Dio vivente " (Is 6,5). Allo stesso modo reagisce Pietro dinanzi alla potenza di Gesù, che si rivela nella pesca miracolosa: " Allontanati da me, che sono un uomo peccatore " (Lc 5,8). La gloria di Dio non rivela solo il suo volto, ma anche l'impurità dello sguardo umano che lo contempla. 3. Nasce allora un atteggiamento di fiducia totale in Dio, e in Dio solo, che diventa apertura alla grazia. A questo punto Dio mobilita per l'umile la sua potenza, non per l'orgoglioso, perché questi attribuirebbe a sé le " meraviglie " che Dio opera in lui, oscurando così la gloria del Signore.

II. Espressioni dell'u. L'umile magnifica Dio che opera nel suo cuore. L'incarnazione più luminosa di questo atteggiamento è la Vergine Maria. Ella si sente la " povera serva ": è un vuoto che attende di essere colmato. E allora Dio le è andato incontro e l'ha colmata della sua grazia. Con uno sguardo l'ha sollevata dal suo nulla, e l'ha resa così grande che " tutte le generazioni la chiameranno beata ". Il Magnificat è il poema dell'u. (cf Lc 1,46-55).

A sua volta, Maria è la punta di diamante di un filone aureo che attraversa tutta la Bibbia: quello degli " anawim ", " i poveri di JHWH ". Questi non hanno nulla e lo sanno. Non hanno nessuno su cui contare e allora si aprono a Dio diventando " clienti dell'Altissimo ". E Dio li colma dei suoi doni. " Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui " (Sal 36,7). Quest'aureo versetto salmodico ne scolpisce in poche parole l'atteggiamento fondamentale.

Come in Cristo, l'u. prima che una virtù, è un modo di essere e relazionarsi con l'Altro e con gli altri. In Cristo questo è evidente. Troviamo nell'inno cristologico dei Filippesi (2,6-8) la descrizione dell'u. abissale della Incarnazione: " Cristo pur essendo di natura divina... spogliò se stesso assumendo la condizione di servo... si umiliò facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce ". A questa parabola discendente di umiliazione, che interessa Cristo nelle radici stesse del suo essere, e tocca il fondo non potendo scendere più in basso, fa seguito la esaltazione del Padre, che " gli dà il nome che è al di sopra di ogni altro nome ": un punto così alto oltre il quale non si può salire.

E l'u. dell'essere. Non consiste nel " sentirsi piccoli " (non poteva farlo il " Signore "), ma nel " farsi piccoli ". L'Altissimo si è fatto piccolo! In un latino intraducibile, mutuato dal salmo, s. Bernardo esclama: " Magnus Dominus et laudabilis nimis, parvus Dominus et amabilis nimis ".

E s. Francesco, nelle " Lodi di Dio Altissimo ", con un colpo formidabile di genio, dice a Cristo: " Tu sei grandeTu sei l'AltissimoTu sei il Re OnnipotenteTu sei il Bene, tutto il bene...Tu sei umiltà ".1

La storia della salvezza è la storia della umiliazione di Dio. Cristo è u. Così il discepolo: se l'u. è un modo di essere, si libera dall'autosufficienza, che fa dell'io un idolo. Si affida a Dio, e fa l'" estasi ", uscendo da se stesso. Diventa capace di lode. L'ha detto stupendamente Tagore: " Nell'ebbrezza del canto dimentico me stesso e chiamo Te amico, che sei il mio Signore ".

Finché l'uomo si confronta solo con se stesso e con gli altri non comprende nulla della sua situazione. Deve porsi davanti a Dio e alla sua Parola: è lo specchio in cui scopre il suo vero volto interiore. Allora aderisce a Cristo e lo segue dove va: e diventa come lui " mite e umile di cuore " (cf Mt 11,28-30).

Allora anche nei confronti degli altri attua l'esortazione dell'Imitazione di Cristo: " Ama nesciri et pro nihilo reputari ", cioè sii contento quando gli altri ti ignorano e non ti apprezzano per nulla. Ci si libera così dall'orgoglio e dall'autosufficienza che fa dell'io un idolo e come un bozzolo che imprigiona.

L'u. è solo un atteggiamento interiore? Lo è anzitutto, ma dal cuore umile devono sgorgare atti concreti. E la linea in cui si pone s. Benedetto nella sua Regola (cap. VII) quando parla dei " gradi dell'u. ". Sembra porsi questa domanda: da quali segni si riconosce l'umile? In quali gesti incarna il suo atteggiamento interiore? Ed egli ne enumera tutta una lunga serie, che vede come gradini di una scala. E il primo gradino è " l'ubbidienza senza indugio ", perché solo l'umile è capace di rinunciare alla sua volontà, per aderire a quella del Cristo. D'altronde, pur dovendosi concretizzare, l'u. non si identifica con nessuna delle sue manifestazioni. Le postula, ma insieme le trascende perché conduce direttamente nel cuore di Dio che si è umiliato, cioè fatto carne per permettere all'uomo di pervenire alla sua stessa intimità d'amore, cioè di ritrovarsi in Dio-Trinità e riposare in lui.

Note: 1 Fonti Francescane, Padova 1977, 176-177.

Bibl. P. Adnès, s.v., in DSAM VII1, 1136-1188; B. Dolhagary, s.v., in DTC VII1, 321-329; F. Manck - S. Schulz, Praús, in GLNT XI, 63-79; Mariano da Torino, Essenza e valore dell'umiltà, Roma 1988; D. Mongillo, s.v., in NDS, 1610-1621; D.I. Mouleon, I dodici gradi dell'umiltà, Milano 1958; O. Schaffner, s.v., in DT III, 590-601; P. Sciadini, s.v., in DES III, 2578-2581; J. Vanier, Gesù il dono dell'amore. Meditazioni sul Vangelo dell'umiltà, Bologna 1995.

M. Magrassi

UNIONE CON DIO. (inizio)

I. Nozione. E difficile precisare esattamente la portata di questa espressione che, tuttavia, è classica nel vocabolario della preghiera. In realtà, essa è legata ad un tema essenziale ad ogni antropologia religiosa, fin dal momento in cui questa si trova disarmata davanti alla molteplicità, sia esteriore che interiore, di un reale che sembra opporsi al desiderio che anima ogni uomo di un compimento ultimo. Costui, infatti, non può realizzarsi se non nell'unità, e il desiderio, nella sua realtà più profonda, si esprime allora in una formula del tipo " essere uno con l'Uno ". In verità, a proposito di una tale formula, si possono porre due domande, che segnano di fatto tutta la storia della mistica pagana, ma anche di quella cristiana. Cosa si può dire di quell'" Uno ", che sembra non avere nome (e non poterne ricevere, perché la molteplicità e la diversità delle parole è in principio contraria a ciò che è evocato con questa parola " Uno ")? E come si può concepire di essere " uno " con questo " Uno " senza perdere la propria identità? In altri termini, il desiderio dell'uomo lo porta ad una specie di fusione, che sarebbe sparizione, con o in ciò che è, per definizione, al di là di ogni nome, cioè l'Uno. La lotta contro la molteplicità non si risolverebbe mediante la scomparsa di ogni identità, sia quella dell'uomo che cerca, o quella dell'Uno che è cercato?

II. Nell'esperienza mistica. Nel cristianesimo, l'Uno ha un nome: lo si chiama " Dio " e lo si riconosce mediante la contemplazione del mistero di Gesù Cristo. Dio è colui che ha risuscitato Gesù dai morti per la potenza dello Spirito; è colui che, eternamente, genera il Figlio nella comunione dello Spirito. Ma è anche il Dio che ha creato il cielo e la terra e ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza. La fede in Dio Trinità dà all'u. con Dio il carattere di una " comunione " poiché tale è anche la realtà intima di Dio. La fede in Dio Creatore, a sua volta, permette di escludere, non solo a un livello concettuale, ma anche a quello di un'esperienza spirituale, ogni idea di unità per fusione. Si potrebbe dire che la storia della mistica cristiana è, in un certo qual modo, quella della sua liberazione progressiva non del desiderio dell'u. con Dio, ma di quello di una perdita, stimata beatificante, di sé nell'Uno, mentre si tratta di una comunione trasfigurante in cui l'amore gioca tanto quanto la conoscenza.

Sarebbe interessante, per valutare le differenze tra le mistiche, portare avanti uno studio critico sull'uso comparato di enosis [termine non biblico] e di koinonia nei Padri della Chiesa. Non sarebbe impossibile che l'incontro contemporaneo con le mistiche orientali più elevate, interpretate con il tema d'unione con " l'Uno che non ha secondo ", provochi una nuova ripresa di questa storia; il compito, nel dialogo religioso, sarà allora riconoscere l'autenticità di una esperienza mistica, pur contestando l'eccesso di una pretesa unificatrice. Questo compito, che è sempre stato delicato, non lo sarà di meno oggi nella misura in cui, a testimonianza di mistici incontestabili, come s. Teresa, per esempio,1 l'impressione d'assorbimento in Dio è fortissima in certi stati mistici al punto che si ha la sensazione di mancare di strumenti concettuali per esprimere l'intensità smisurata di una comunione, senza cancellare tuttavia la distinzione tra Dio e l'uomo.

In realtà, quando, nel linguaggio corrente, si parla di unione con Dio, si indica forse qualcosa che dipende piuttosto da ciò che Lorenzo della Risurrezione chiamava: " Pratica della presenza di Dio " (la Bibbia greca ignora enosis, ma conosce, a più riprese, enopion!). Può trattarsi di uno sforzo senza violenza per " rimanere in presenza ", " essere con ", o negativamente, per non perdere un certo " sentimento " di relazione attuale: ma si può trattare anche di un dono che si potrebbe caratterizzare con una specie di " coscienza di presenza " che abita l'anima (nel senso in cui il latino parla di mens), mentre la ragione, teorica o pratica, e i sensi restano occupati nelle necessità dell'esistenza. E difficile analizzare le componenti della presenza di Dio, perché questa sfugge come definizione ad una concettualità troppo precisa. Si potrebbe soltanto insistere su due punti: perché ci sia " presenza ", cioè un esistere in relazione cosciente, occorre l'amore come liberazione di ogni chiusura su di sé o su un oggetto determinato e apertura, piacevolmente estatica, verso l'Altro: se non si ama, non c'è co-presenza, non c'è " unione " possibile; d'altra parte, occorre l'umiltà, come abbandono di sé alla misericordia di Colui che ama: nessuno può sentirsi degno di u. con Dio o capace di questa, perché il suo amore, giustamente, è troppo debole; l'umiltà colma la distanza nella misura in cui aspetta incessantemente da Dio il perdono per la debolezza di un amore e la generosità che, infine, vince ogni resistenza e ogni impotenza.

Note: 1 " L'anima è così fuori di sé da non pensare neppure alla differenza che la separa da Dio. Allora è l'amore che parla " (Vita, 34, 8). Da notare che Teresa non dice che non c'è differenza, ma che ella non la vede più.

Bibl. J. Castellano, s.v., in DES III, 2582-2588; M. Dupuy, s.v., in DSAM XVI, 40-62; M. Figura, Unio mystica, in WMy, 503-506; G. Philips, L'union personelle avec le Dieu vivant, Paris 1974; J. Trouillard, Uno (Filosofia dell'), in Aa.Vv., Enciclopedia Universalis, XVI, 461-463.

G. Lafont

UOMO SPIRITUALE. (inizio)

I. La nozione di u. rimanda ad una vita che fa del rapporto con lo Spirito del Signore Gesù il suo principio sintetico e vitale. Propriamente parlando, la categoria di u. riguarda un essere concreto e non una teoria, un credente che vive secondo lo Spirito e non una dottrina. Direttamente almeno, la riflessione non vi entra che per quel tanto per cui ogni esperienza è inseparabile da un livello minimale di ripensamento e di interpretazione. Presentata a volte anche sotto la dizione di vita religiosa, di vita interiore o di vita devota, la vita secondo lo Spirito è qui intesa sia nel senso rigoroso della rivelazione biblica dove Dio stesso è spirito (cf Gv 4,24) che opera nella intimità profonda del cuore fino a rendere coloro che ne vivono capaci di adorarlo in spirito e verità, sia nel senso specifico della fede della Chiesa dove lo Spirito è l'Amore reciproco delle Persone trinitarie che, configurandoci al Figlio, " attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio " (Rm 8,1). Questo Spirito, che nella esperienza profetica era dono provvisorio, è stabilmente presente nella vita dei battezzati: è la certezza di un effettivo accesso a Dio e la caparra di una singolare intimità con lui. Il peso dello Spirito, che lacerava l'animo dei profeti, è la condizione normale e gioiosa del cristiano.

Al centro di questa antropologia spirituale sta l'alleanza con il Dio di Gesù: il mistero pasquale, letto in termini trinitari come dono di vita e comunione con le Persone divine, si attualizza in noi proprio attraverso il dono dello Spirito. Il legame tra mistero pasquale, Spirito e sacramenti rende, poi, il battesimo la radice di una vita secondo lo Spirito non riservata ad una élite, ma aperta a tutti i cristiani. Tutti sono chiamati ad accedere ai segreti di Dio ed a sperimentare questa novità; non si tratta di compiere gesti strepitosi o cose eccezionali, ma di accogliere e di vivere la verità ultima di se stessi. Ricevendo lo Spirito, scopriamo il rapporto profondo e oggettivo che esiste tra la nostra natura di uomini e Dio, scopriamo che siamo chiamati non già a " misurarci su noi stessi " (2 Cor 10,12), ma a crescere fino " allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo " (Ef 4,13). Le tesi della teologia del Corpo mistico ed, in particolare, quelle di E. Mersch sui testi paolini circa una presenza di Cristo e della sua vita in noi 1 e circa il suo être d'union,2 sono di sicuro importanti: Mersch vede nella unio recepta et passiva della umanità individua di Gesù con il Verbo sia la radice della assoluta gratuità del dono sia il principio primo e universale della costituzione della umanità in vista della vita soprannaturale e della sua intrinseca conformazione al Signore Gesù.

Presso gli autori spirituali, il nostro tema ha, a volte, un carattere velatamente anti-intellettuale, diffidente verso le questioni e il linguaggio accademico della teologia: il significato più autentico di questo faticoso rapporto tra teologia e spiritualità andrà inteso nel senso che la verità del rapporto tra lo Spirito e la vita spirituale non si esaurisce all'interno di una razionalità analitica e discorsiva, ma esige di aprirsi a tutte le dimensioni proprie della vita secondo lo Spirito. Comprende, perciò, il pregare e il contemplare, il dimorare in Cristo e il viverecrescere in lui, il configurarsi a lui e il testimoniarlo. Comprende, addirittura, forme che solo il linguaggio simbolico e l'esperienza mistica sanno esprimere davvero: " Come la mano si muove sulla cetra e le corde parlano, così parla nelle mie membra lo Spirito del Signore ed io parlo nel suo amore ".3 Questa ampiezza, però, non rende la vita secondo lo Spirito un fatto esoterico, afferrabile solo per mezzo di una parola iniziatica; comunque sia la sua esatta determinazione, la vita secondo lo Spirito è attingibile attraverso quel mistero pasquale che si rivela e si comunica nella Parola e nel sacramento.

II. La centralità del vissuto. Il punto decisivo è che la categoria di u. coglie l'antropologia soprannaturale sotto il profilo del vissuto e non della dottrina, sotto l'aspetto, cioè, di una profondità di vita che non si capisce veramente che quando ci si abbandona ad essa. Questo vissuto è il risultato di una Presenza che ci trascende, di una sintonia che lascia intatta l'Alterità, di una comunione che ci spalanca dinamiche profondamente personali che senza questo incontro ci rimarrebbero nascoste. Il vissuto dell'u., in ogni caso, va colto sotto una doppia valenza oggettiva e soggettiva: la seconda, che investe la psicologia, ha senso solo nella misura in cui si radica e vive pienamente della prima. La valenza oggettiva, invece, dice la piena corrispondenza delle dinamiche spirituali alle obiettive norme della vita secondo lo Spirito. In questo modo l'u. si fonda sulle realtà della fede e sulle verità che la esprimono e la garantiscono senza ridursi ad esse. Il taglio esistentivo della vita spirituale, nella sua duplice valenza oggettiva e soggettiva, mantiene un suo spazio e una sua originalità; coglie l'inverarsi dell'alleanza, il suo realizzarsi in un soggetto preciso, chiarendo il come se la appropri e il come su essa costruisca la sua nuova personalità. Simeone il Nuovo Teologo insiste su questo aspetto nonostante la polemica contro i messaliani, un gruppo di eretici che ritenevano che lo Spirito manifestasse la sua presenza in modo sensibile e visibile.4 Lo fa richiamando le esperienze contrastanti del cieco e della donna incinta. Il primo conosce le cose solo per sentito dire: luce e colori sono per lui solo parole e idee. Chi accostasse così le cose divine, solo per sentito dire, senza un'esperienza diretta, non sarebbe per nulla un u. La donna incinta - immagine che forse rimanda al racconto lucano della visitazione - è invece profondamente trasformata nella sua identità da ciò che le è accaduto ed è ormai completamente tesa al suo nuovo compito: come una " donna ha chiara consapevolezza, quando è incinta, che il bambino si muove nel suo grembo né può ignorare di portarlo in se stessa, così chi ha la "forma" di Cristo in sé conosce i suoi movimenti, cioè le sue illuminazioni... ed è consapevole del suo formarsi in lui ".5 Il dono dello Spirito, insomma, ristruttura la nostra personalità attorno a questo nuovo centro vitale e vi fa convergere tutte le nostre energie. Il vissuto soggettivo corrisponde a una dinamica obiettiva tanto da diventare una originale possibilità di comprensione dell'uomo nuovo: ne legge la vita a partire da quella grazia che lo investe totalmente e lo trasforma.

Questo soggetto spirituale non ha nulla da spartire con il soggettivismo o con lo psicologismo: non nasce, infatti, dalla persona, a sua misura, ma dalla persona è accolto e ricevuto. La fede, cioè la nuda accoglienza dell'agire di Dio, è la garanzia della sua corretta appropriazione: solo se la vita è sotto il segno della fede sarà anche sotto quello della grazia di Dio; se invece la fede in qualche modo mancasse, anche l'eventuale riferimento alla grazia sarebbe inevitabilmente stravolto. Nella sua nativa adesione alla vitalità della grazia, l'u. è fondamento e radice di ogni ulteriore specificazione: non si dà spiritualità sacerdotale o laicale, benedettina o carmelitana, impegnata o contemplativa... se non come attualizzazione di questo fondamentale vivere secondo lo Spirito.

III. L'u.: la realtà. La vita spirituale non annulla l'esistenza personale ma l'assume, a partire dall'alleanza, come lo spazio che lo Spirito costituisce nella comunione con il Figlio e trasforma in storia della salvezza. Poiché l'economia salvifica corrisponde alla vita trinitaria, il Verbo e lo Spirito andranno colti, insieme e inseparabilmente, come il criterio della manifestazione del Padre invisibile, come le due " mani del Padre ": 6 lo Spirito si comunica alle persone divenendo presente in loro e segnandole con il suggello di un rapporto personale e unico con la Trinità. Si stabilisce così una singolare partecipazione alla vita divina. Gesù, infatti, " per il suo sovrabbondante amore si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è lui stesso ".7 In modo ancora più incisivo, Atanasio scriverà che " il Verbo si è fatto portatore della carne (sarcofóros) perché gli uomini potesssero divenire portatori dello Spirito (pneumatofóroi) ".8 Abbiamo qui l'affermazione della concretezza insuperabile della economia storica di salvezza; il riferimento a Gesù di Nazaret è un riferimento insopprimibile in ogni esperienza spirituale: " In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati " (At 4,12). L'u. si colloca all'interno di questa economia; rifiutando ogni atteggiamento di curiosità intellettuale o di autonomia efficientista, accoglie il Cristo e si affida al suo Spirito. Vive di essi e, in essi, incontra l'amore fedele del Padre e ne fa vitale esperienza. L'essenza dell'u. è questa radicale comunione con lo Spirito e, tramite lo Spirito, con le Persone divine: lo Spirito ci fa partecipare all'amore di Dio, anzi è lo stesso Amore divino presente in noi (cf 1 Gv 4,12-13). Abbiamo qui i temi tradizionali della unzione di Cristo e dei cristiani, della théosis e dell'inabitazione, del dono increato e della visio Dei. Queste categorie cercano di chiarire come, nello Spirito di Gesù, il Padre comunichi direttamente se stesso in un rapporto immediato con il giusto. Tocchiamo qui la profondità ultima di una vita che lo Spirito ha modellato come sequela del Signore e rinnovato con il dono della carità pasquale: pur nella sua creaturale finitezza, il giusto è introdotto ad una partecipazione reale alle processioni trinitarie di conoscenza e di amore, è reso termine esterno delle processioni divine.

Queste dottrine troveranno la loro versione spirituale nell'insegnamento sulla nascita di Cristo nelle anime: 9 già presente nel Discorso a Diogneto, che ricorda come il Verbo " si manifesti nuovo e antico, ma nasca sempre nuovo nel cuore dei santi ",10 la nostra dottrina troverà la sua piena formulazione con Origene. Questi legherà insieme la dottrina delle tre nascite di Cristo con la restaurazione battesimale della immagine divina deturpata dal peccato e con la tesi della inabitazione: la rinnovazione della persona avviene per la forza di attrazione della immagine perfetta del Logos divino inabitante in noi che diventa, così, il fondamento della nostra vita divinizzata. " A cosa ti giova che il Cristo sia venuto nella carne, se non viene poi nella tua anima? Preghiamo perché la sua venuta si realizzi in noi ogni giorno così da poter dire: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ".11 A partire da questa visione - " come una donna gravida è l'anima che ha appena concepito il Verbo di Dio "; 12 - si deve comprendere l'insistenza sui credenti christofóroi e sul portare Verbum; a immagine di Maria, concepiamo Cristo nella fede e lo facciamo crescere in noi fino alla sua piena maturità. Le immagini del cammino di Mosè e del popolo fino al Sinai,13 i commenti al Cantico dei Cantici 14 e la dottrina della visione di Dio 15 daranno alla nostra tesi tutta la sua ampiezza: la formazione, ad opera dello Spirito, dell'immagine del Verbo inabitante in noi attraverserà tutta la storia della spiritualità, dai cistercensi 16 a Echkart,17 da Bérulle 18 a Balthasar: 19 la vita nuova è Cristo che prende forma in me. L'u., insomma, non si spiega che in base a quella relazione che lo supera e lo trascende, anche se si colloca nel centro più profondo della sua esistenza: soltanto in questa comunione la persona realizza quel bisogno di relazione e di verità che le è congeniale, realizza se stessa. Da qui il suo atteggiamento fondamentale che è quello del ringraziamento, della contemplazione adorante e obbediente. Bisognerà, inoltre, mantenere una distinzione tra lo Spirito e i suoi doni: solo così si tien conto della diversità e del legame che la teologia pone tra la gratia gratis data e quella gratum faciens, tra il dono increato e quello creato, tra la presenza delle Persone divine e la grazia santificante. Il senso di questa distinzione, per la cui comprensione rimandiamo ad un'antropologia teologica,20 è quello di ricordare come la vita spirituale non si esaurisca nella sola presenza dello Spirito, ma debba aprirsi a tutto il suo agire. E compito dello Spirito introdurci a Dio svelandocene pienamente la Parola (cf Gv 16,13-15; 14,26); è compito dello Spirito condurre il mondo a riconoscere il suo nulla (cf Gv 16,8-11); l'agire dello Spirito non conduce al vanto e alla autoesaltazione ma, a immagine di Cristo che ha legato il suo essere Figlio al suo essere Servo, ci introduce al servizio di Cristo e della sua opera salvifica. Nasce così la coscienza del nostro nulla, creaturale e peccaminoso, che esige conversione e purificazione, liberazione dal male e rinuncia a sé; soprattutto nasce quell'abbandono filiale che vede la fede completarsi nella carità facendo passare la persona dall'amore di sé alla immedesimazione con l'amore di Cristo. Ne viene una esperienza dinamica che Ignazio di Antiochia motiva nella sua tensione ultima: " Il mio amore è crocifisso e non vi è più in me un fuoco terreno; ma un'acqua viva mormora in me e mi dice dentro "Vieni al Padre!" " 21 e che Tommaso riassume splendidamente nella preghiera " Tibi se cor meum totum subicit ". Lo spirituale vive perciò la meditazione della Parola e la preghiera filiale, la testimonianza della carità e l'impegno per il regno: sperimenta nel rapporto con il suo Signore e Maestro una tale densità da fare di questo evento la sorgente inesauribile della sua vita. Attorno ad essa si struttura una personalità recettiva che si avvicina al concetto biblico di gloria;22 vivendo rendiamo manifesto l'agire di quel Dio che si glorifica nei doni della sua grazia. Gloria Dei vivens homo - scriverà Ireneo - vita autem hominis visio Dei.23

IV. L'u.: il linguaggio. Si tratta di chiarire come esprimere questa esperienza e in quale linguaggio: in effetti il linguaggio di cui ci serviamo non è ricavato da una conoscenza diretta di Dio, ma dalle cose e da noi stessi. Dio, invece, è Tutt'Altro; Dio è mistero. Ora, è legittimo parlare di Dio a partire da ciò che gli è irrimediabilmente lontano? Probabilmente Dionigi Areopagita e Agostino possono essere assunti come gli autori che si pongono agli antipodi in questo problema.

Dionigi, nelle sue opere Nomi divini e Teologia mistica, richiama con forza come il linguaggio spirituale debba rispettare il mistero: " In nessun modo si deve osare, dire o pensare alcunché intorno sia alla Divinità soprasostanziale e occulta tranne ciò che è stato rivelato a noi divinamente dai detti sacri ".24 In modo ancora più netto Gregorio di Nissa osserverà che " la parola divina proibisce che Dio sia considerato dagli uomini simile ad alcuna cosa conosciuta, perché ogni pensiero formato secondo una rappresentazione comprensiva, nel tentativo di tracciare e immaginare la natura divina plasma soltanto un idolo di Dio, non annuncia Dio ".25 Questa visione condurrà ad una nitida consapevolezza del carattere analogico del discorso su Dio; ancora il Lateranense IV preciserà che inter creatorem et creaturam non potest similitudo notari quin inter eos maior sit dissimilitudo notanda.26 Il risultato più alto di questa prospettiva è una teologia apofatica radicata solo nella Parola di Dio; mira ad un silenzio contemplativo e adorante, ad una non-conoscenza che, mentre evidenzia il limite di ogni linguaggio, orienta ad un' unione mistica con Dio, frutto dei suoi stessi doni. Il rischio di questa prospettiva è quello di confondere il mistero divino con una trascendenza vuota e lontana dove anche i simboli biblici finirebbero per perdere contenuto reale. In realtà, la trascendenza è trascendenza di una Presenza, trascendenza di quel Dio che si è fatto uno di noi; la dissomiglianza, per grande che sia, non può annullare né la parola né l'ascolto della rivelazione. Abbiamo qui, in ogni caso, una lezione da non dimenticare; Dio, se conosciuto attraverso la creazione, permane al di sopra di ogni simile conoscenza. Agostino si muove, invece, in un orizzonte diverso, teso a penetrare e a illuminare il mistero. Per fare questo, lega profondamente la conoscenza di Dio alla ricerca umana della verità: ne scaturirà un dialogo profondo tra Dio e la persona, quasi un cammino che fa passare la persona dall'esteriorità delle cose alla interiorità dell'anima e dalla verità presente in essa a quel principio e fondamento di ogni verità che è Dio. Il debito platonico, indubbio, non toglie nulla alla grandezza di questo tentativo: le idee platoniche diventano i pensieri di Dio, mentre il conoscere e il ricordare sono interpretati come illuminazioni. Si apre così la via per una sintesi tra l'agire di Dio e la conoscenza umana; a fianco della sapienza della fede, la ragione stabilisce una ricerca della verità parziale ma vera, imperfetta ma reale, che può legittimamente aspirare a servire da base per la comprensione e la penetrazione del dato rivelato. Tommaso, poi, cercherà di chiarire la analogicità del pensiero sia rifiutando ogni rimando ad un tertium quid, ad un qualche ens commune sovraordinato a Dio e alla creatura, che affermando un rapporto diretto della intelligibilità del reale con la verità divina: ne viene un rapporto complesso tra Dio, l'intelletto e la realtà che ha nella conoscenza analitica e discorsiva solo un aspetto. L'analisi della dimensione non-concettuale della conoscenza ci porterebbe lontano: se Rahner, leggendola nel quadro della potentia oboedientialis, ne ricaverà la base delle dinamiche trascendentali del soggetto, pare più obiettivo riconoscervi il fondamento di un maggior realismo dei concetti stessi, combinati con una dinamica transconcettuale in loro presente.

La questione conserva la sua importanza anche nel campo della conoscenza spirituale, là dove i concetti rimandano alla esperienza spirituale: poiché Dio si rivela e si comunica senza annullare la distanza dall'umano a cui pure si apre, la differenza ontologica tra Creatore e creatura dovrà mantenere il suo significato anche nel modo con cui il credente parla di Dio. Il linguaggio spirituale dovrà mantenersi all'interno del mistero di Dio senza per questo condannarsi al silenzio, anzi ritrovandovi la radice e i criteri del suo comunicarsi.27 L'u. dovrà parlare di Dio all'interno di una complessa relazione di grazia e di ricerca umana, di fede e di intelligenza: da una parte si ispirerà ai gesti storici con cui il Dio di Gesù si è comunicato all'uomo evidenziando così il concreto agire di Dio, dall'altra si servirà della sua ragione anche se riconoscerà che l'unione con Dio è al di là della sua intelligenza. L'u. non rifiuta l'intelligenza, ma la mette al servizio di qualcosa che la sorpassa: ubi deficit intellectus, ibi proficit affectus.28 Evagrio Pontico, ad esempio, assegna all'intelletto il compito vitale di smascherare il maligno più che di produrre idee.29 Ignazio di Loyola ricondurrà ogni moto dell'intelligenza entro l'alveo del discernimento degli spiriti.30 Giovanni della Croce legherà la consapevolezza spirituale al discorso simbolico: con esso il movimento spirituale dell'anima si apre al di là di sé senza annullare la propria esperienza.31 L'intelligenza spirituale si avvale così dell'orizzonte del pensiero biblico e, mentre se ne nutre, lo interiorizza e lo fa proprio rivestendolo del temperamento di ciascuno e della cultura di ogni epoca. Purtroppo anche il linguaggio spirituale ha conosciuto l'oblio delle prospettive storico-salvifiche e, non poche volte, si è lasciato attrarre nell'orizzonte semantico tipico del pensiero greco. E sorto così un linguaggio dottrinale e oggettivistico che, nella sua parzialità, fatica a mettere a tema le condizioni non concettuali della conoscenza spirituale: ne deriva una descrizione del rapporto tra esperienza spirituale e linguaggio che si preclude la comprensione di quella radicale disponibilità a Dio che è condizione ineliminabile della fede e di quel cammino interiore che ne consegue.

V. L'u.: l'interpretazione. La prima interpretazione dell'u. è frutto, globalmente, della gnosi cristiana degli alessandrini, dei dibattiti trinitari, al cui interno giganteggia Atanasio, e della teologia dei cappadoci. Questi autori concentreranno la loro attenzione sul rapporto tra vita spirituale e dono dello Spirito sia nel senso di sottolineare la comunione con Dio, sia nel senso di rimarcarne la distanza. Il Dio trascendente e nascosto si manifesta all'uomo e suscita in lui la conoscenza della fede. Conoscere l'immagine di Dio, che è Cristo, non significa solo un impegno noetico, ma anche ascetico: solo con l'ascesi e la conversione si creano le condizioni per un vero incontro con Dio. La conoscenza di Dio si svela così una montagna rude e aspra come il Sinai; al termine vi è, però, il sentimento di una misteriosa Presenza, quasi una nube luminosa, una sobria ebbrezza, una pienezza armonica che ricolma l'anima di gioia e di pace. E la " théosis: un'assimilazione e unione con Dio, per quanto è possibile ".32

La seconda grande visione della vita spirituale è quella iniziata da Agostino con la valorizzazione dell'anima umana e della sua ricerca: 33 indicherà il vertice della vita secondo l'alleanza nella charitas. La categoria platonica della partecipazione gli permetterà di non dividere il donatore dal dono: la perfezione della carità comprende, insieme, la presenza dello Spirito e la vita rinnovata del credente. Lo Spirito, infatti, non solo non è sterile ma ci rinnova profondamente conformando a sé la nostra libertà: ci libera, quindi, dalla concupiscenza e ci introduce nella gioia dell'amor Dei. In questo modo, Agostino ottiene il risultato di superare il pelagianesimo, ribadendo la soprannaturalità della salvezza, e di mantenere l'interiorità della grazia, vista come profondamente inserita nelle dinamiche di una persona che Agostino pensa come amore e non come ragione. L'uomo è amore; per questo l'amore divino è l'unico porto in cui il suo cuore inquieto abbia davvero pace. Questo darà al pensiero di Agostino una finezza di analisi psicologiche spesso insuperabili: il cuore umano si rivolge, ha nostalgia, aspira, desidera, anela, si decide per Dio. E una visione vitale e dinamica che spiega il successo del suo pensiero; la tradizione ne ricaverà un cammino virtuoso che Guglielmo di St. Thierry 34 modellerà sulle diverse età della vita e Tommaso 35 schematizzerà attorno al linguaggio di ascendenza dionisiano degli incipienti, proficienti e perfetti. Il mondo nuovo, che già affiora con l'epoca dei Comuni, troverà espressione nel tentativo di Tommaso 36 che cercherà di legare l'anima razionale a Dio attraverso una rilettura della intelligibilità del reale come eco della verità divina. Sarà però soprattutto il francescanesimo a tentare un dialogo con i tempi nuovi parlando del creato come Bene partecipato e legittimandolo così in termini di fede: Bonaventura 37 risalirà gradualmente dal mondo corporeo a quello spirituale per ascendere, infine, alla comunione saporosa e mistica con Dio. Purtroppo questi tentativi non avranno seguito: il mondo nuovo che nascerà darà un'interpretazione della razionalità e del bene del tutto diversa da quella di questi grandi pensatori.

La terza grande sintesi prende le mosse dai rivolgimenti dell'epoca moderna che porteranno la persona in primo piano. Se la Riforma tenterà di rispondervi risuscitando l'agostinismo e accentuando la logica di interiorità ivi presente, il mondo cattolico proverà ad integrare queste nuove dimensioni entro un'antropologia soprannaturale:38 la pensa a partire dalla iustitia Dei e la costruisce in base al suo legame con l'organismo ecclesiale e sacramentario. Il frutto spirituale più alto di questa impostazione sarà lo sforzo di dar vita a un umanesimo devoto: la vita devota, cara a Francesco di Sales, attraverso la riflessione sui modelli di orazione e di perfezione, si svilupperà fino alla vita interiore. Più che i dibattiti sui rapporti tra natura e grazia, a livello spirituale mi paiono significative le già ricordate tesi ignaziane sul discernimento degli spiriti, le analisi di Francesco di Sales sulla struttura dell'anima umana 39 e le indicazioni della scuola spagnola e francese 40 sui cammini di perfezione per potersi unire a Dio nell'amore. Purtroppo questa grande fioritura spirituale non inciderà sugli orientamenti della interiorità dell'uomo moderno, incamminato verso prospettive secolarizzate: rimarrà ai margini della storia. Dopo queste grandi sintesi, non si saprebbe indicare nulla di paragonabile. Naturalmente né la teologia né la spiritualità sono rimaste ferme, ma la situazione attuale, pur ricca di spunti, ancora non ha prodotto una spiritualità che metta a frutto la massa di dati biblici, liturgici e teologici oggi disponibili e che sappia obiettivamente dialogare con l'anima problematica e pluralista dell'uomo dei nostri tempi.

Note: 1 E. Mersch, Le Corps mystique du Christ. Études de théologie historique, I, Paris-Bruxelles 1951, 125-208; 2 Id., La Théologie du Corps mystique, I, Bruges 1954, 333-353; 3 Le odi di Salomone, in M. Erbetta (cura di), Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Casale Monferrato (AL) l975, 622; 4 P. Miquel (cura di), Le vocabulaire de l'expérience spirituelle. Dans la tradition patristique grecque du IV au XIV siècle, Paris 1989, 141-170; 5 Simeone il Nuovo Teologo, Trattati etici X, 880-885; 6 Ireneo di Lione, Adversus haereses V, 6,1; 7 Ibid., praefatio; 8 Atanasio, De Incarnatione et contra Arianos, 8; 9 H. Rahner, La nascita di Dio. La dottrina dei Padri della Chiesa sulla nascita di Cristo dal cuore della Chiesa e dei credenti, in Id., L'ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma 1971, 13-143; 10 Discorso a Diogneto 11,2; 11 Origene, In Lucam 22,1; 12 Id., In Exodum 10,3; 13 Penso soprattutto al grande testo di Gregorio di Nissa, De vita Moysis; 14 Si possono solo richiamare, qui, i grandi commenti a questo libro di Origene, Gregorio di Nissa, Bernardo di Chiaravalle, Guglielmo di St. Thierry; 15 V. Lossky, La visione di Dio, in Id., La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1967, 245-400; 16 Basti pensare alla tesi di Guglielmo di St. Thierry sulla unitas spiritus cum Deo; se ne veda una sintetica presentazione nella sua opera Epistola ad fratres de Monte Dei, 257-258; 17 Tra le altre cose basterà leggere la Predica 5b: In hoc apparuit caritas Dei in nobis o la Predica 6: Iusti vivent in aeternum; 18 P. de Bérulle, Le grandezze di Gesù, Cinisello Balsamo (MI) 1998; 19 Si veda soprattutto H.U. von Balthasar, Gloria. I: La percezione della forma, Milano 1975, dove il credere è tradotto in un movimento che fa propria la forma che è Cristo fino a configurarsi a lui in una vita di obbedienza e di discepolanza; 20 G. Colzani, Antropologia teologica. L'uomo paradosso e mistero, Bologna 1988, 154-170, 239-263; 21 Ignazio, Ai Romani, 7; 22 B. Maggioni, Gloria, in NDT, 575-589; 23 Ireneo di Lione, Adversus haereses IV, 20,7; 24 Dionigi Areopagita, Nomi divini I, 1,4; 25 Gregorio di Nissa, De vita Moysis II, 165; 26 DS 806; 27 Si mediti lo splendido passo di Ugo di S. Vittore, De sacramentis I, 10,2: " La fede comprende due cose: la conoscenza e l'affectus; nell'affectus è la sua sostanza, nella conoscenza la sua materia "; 28 Bonaventura, III Sent. d. 31, a. 3, q. 1, conclusione; 29 Evagrio Pontico, Trattato pratico 6-14, nel medesimo senso si muove, sia pure in un contesto diverso, anche il libro I della Imitazione di Cristo; 30 S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, nn. 313-336; 31 " Chi potrà scrivere ciò che egli fa intendere alle anime innamorate in cui abita? E chi potrà esprimere a parole ciò che fa loro sentire? E, infine, chi potrà far intendere ciò che fa loro desiderare? Certo nessuno saprebbe dirlo, nemmeno le anime in cui ciò accade lo possono spiegare. Ed è questa la causa per cui esse esprimono piuttosto mediante immagini, paragoni o similitudini qualcosa di ciò che provano e, più che dichiararli per ragionamento, profondono i segreti mistici per il sovrabbondare dello Spirito " (Giovanni della Croce, Cantico spirituale, Prologo); 32 Dionigi Areopagita, Gerarchia ecclesiastica I, 3. Si veda anche M. Lot-Borodine, La déification de l'homme, Paris 1970; Y. Congar, La déification dans la tradition de l'Orient, in VSpS 44 (1935), 91-107; 33 Basti a questo riguardo rimandare al Libro X delle Confessiones o al Salmo 41 delle Enarrationes in Psalmos; 34 Si vedano in particolare il De natura corporis et animae e la Epistola ad fratres de Monte Dei; 35 STh II-II, q. 24, a. 9; 36 E.H. Weber, L'homme en discussion à l'Université de Paris en 1270. La controverse de 1270 à l'Université de Paris et son retentissement sur la pensée de St. Thomas d'Aquin, Paris 1970; 37 Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum; 38 E soprattutto il capitolo VII del Decreto tridentino De iustificatione a cercare di farlo: DS 1528-1531; 39 Francesco di Sales, Il Teotimo ossia Trattato dell'amore di Dio, Libro I, cc. 11.12; si veda al riguardo M. Bergamo, L'anatomia dell'anima. Da François de Sales a Fénelon, Bologna 1991; 40 Basti qui indicare L. Cognet, Storia della spiritualità cristiana VI: Spiritualità moderna; 1: La scuola spagnola (1500-1650); 2: La scuola francese (1500-1650), Bologna 1973-74.

Bibl. Aa.Vv., Homme, in DSAM VII1, 617-650; Aa.Vv., L'uomo nella vita spirituale, Roma 1976; Aa.Vv., L'esistenza cristiana. Introduzione alla vita spirituale, Roma 1990; J. Alfaro, Cristologia e antropologia, Assisi (PG) 1973, 256-423; Id., Esistenza cristiana, Roma 1979; H.U. von Balthasar, Gloria, I. La Percezione della forma, Milano 1975; Ch.-A. Bernard (cura di), L'antropologia dei maestri spirituali, Cinisello Balsamo (MI), 1991; P.L. Boracco - B. Secondin (cura di), L'uomo spirituale, Milano 1986; G. Colzani, Nella pienezza dello spirito, Casale Monferrato (AL) 1985; Id., Antropologia teologica. L'uomo paradosso e mistero, Bologna 1988; Y. Congar, Credo nello Spirito Santo, 3 voll., Brescia 1981-1983; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, Paris 1949; P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, Bologna 1968; Id., La novità dello Spirito. Studi di spiritualità, Milano 1979; A. Godin, Psicologia delle esperienze religiose, Brescia 1983; T. Goff, s.v., in NDS, 1630-1647; R. Guardini, L'esistenza del cristiano, Milano 1977; V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1977; G. Moioli, L'esperienza spirituale. Lezioni introduttive, Milano 1992; J. Mouroux, L'esperienza cristiana. Introduzione a una teologia, Brescia 1956; E. Pace, Asceti e mistici in una società secolarizzata, Venezia 1983; K. Rahner, Teologia dell'esperienza dello Spirito, Roma 1978; L. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana, Casale Monferrato (AL) 1985; M. Thurian, L'uomo moderno e la vita spirituale, Brescia 1966.

G. Colzani

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