Una delle categorie di Aristotele come correlativo ha "passione" cioè il subire alcunché. Secondo la classificazione aristotelica l’azione rientra nel gruppo degli "accidenti" in quanto presuppone l’essere eventualmente agente, rispetto a qualcosa, è un predicato d'una sostanza. Nella terminologia scolastica, l’azione viene detta "atto secondo", per distinguerla dall’atto primo che è la forma.
Seguendo Aristotele, anche S. Tommaso annovera l’azione nel gruppo dei nove accidenti e la collega quindi necessariamente alla sostanza, da cui come ogni altro azione deriva il suo essere. Ma grazie al suo concetto intensivo dell’essere l’Aquinate sviluppa un concetto maggiormente intensivo dell'azione rispetto al concetto aristotelico. L’azione diviene per S. Tommaso la fecondità dell’essere: procede dall’essere, esprime l’essere, è specchio dell’essere. Non vi è agire senza essere, ma è vero anche il contrario: non v’è essere senza l'agire; l’essere è diffusivum sui e l'agire non è altro che il diffondersi, il propagarsi, l'espandersi dell’essere. In altre parole l'azione è la dimensione dinamica dell'essere. Perciò S. Tommaso può dichiarare: "operatio est ultima perfectio in qua res existit"(II Sent., d. 1, q. 2, a. 2, ad2). Pertanto nella metafisica tomistica non si dà nessuna concorrenza o conflittualità tra essere e accidenti come in tanta filosofia moderna che concepisce l’essere staticamente.
1. FONDAMENTO ONTOLOGICO DELL’AZIONE
1. FONDAMENTO ONTOLOGICO DELL’AZIONE
S. Tommaso non si stanca di ripetere che il fondamento ontologico dell’azione è l’ente, l’ente reale, completo, sostanziale e sussistente, cioè l‘ente concreto, particolare, individuale: "Le azioni si verificano nelle realtà partico1ari"(I, q. 29, a. 1); "le azioni sono del suppositi" (Actus sunt suppositorum)"(I, q. 40, a. 1, ad 3). Ma nelle realtà materiali, che sono composte di materia e forma, il fondamento immediato dell’azione e la forma, perché è la forma che funge da mediatrice dell’essere alla materia e che conferisce attualità alla potenza. "L’agire non compete che a una realtà sussistente in sé stessa (agere non est nisi rei per se subsistentis); perciò non agisce né la materia né la forma, ma il composto; tuttavia questo non agisce in ragione della materia ma della forma, la quale è atto ed è principio dell’agire"(IV Sent., d. 12, q. 1, a. 2, sol. 1). "La forma, non esistendo per conto proprio, non agisce né propriamente parlando patisce; ma agisce il composto grazie alla forma, mentre subisce (patisce) a causa della materia"(III Sent., d. 3, q. 2, a. 1). "L’agire deriva dall’essere perfetto (che è il composto) dato che ogni cosa agisce nella misura in cui è in atto"(ibid.). Ma "nulla è in atto se non possedendo la forma"(II Sent., d. 34, q. 1, a. 3). Perciò la radice immediata dell’azione e la forma; e la diversità dell’azione è commisurata alla diversità delle forme. "Ogni ente agisce secondo l’esigenza della propria forma, che e il principio (immediato) dell’agire e la norma (regula) dell’opera"(III Sent., d. 27, q. 1, a. 1 sol.).
2. L’AZIONE DELLE CREATURE
2. L’AZIONE DELLE CREATURE
Dio, l’esse ipsum subsistens è suprema fonte oltre che dell’essere anche dell’agire. Egli è la causa prima, fondamentale e principale di qualsiasi agire. Ma secondo S. Tommaso Dio non è l’unico agente, !a causalità non è un attributo esclusivo di Dio (come sembrava sostenere S. Agostino) ne viene riservata alle creature intelligenti (come asseriva Avicenna). S. Tommaso è deciso, tenace assertore dell’azione delle creature, di tutte le creature: angeli, corpi celesti, corpi terrestri, animali, uomini (I, qq. 106-119; C. G., III, c. 69; III Sent., d. 33, a. 1, a. 2). Tra i vari argomenti a cui egli fa appello per avvalorare questa tesi, i più importanti sono i seguenti:
a) il vincolo essenziale che lega l’agire all’essere: l’essere è sempre fonte d’agire e l’agire è sempre proporzionato all’essere per cui quanto più c’è di essere in una cosa tanto più c’e di agire (III Sent., d. 27, q. I, a. 1; III Sent., d. 3, q. 2, a. 1; C. G., II, c. 6);
b)la sapienza e potenza di Dio, il quale creando le cose ha voluto renderle partecipi oltre che del suo essere anche del suo agire, e ha proporzionato il loro livello nell’ordine dell’agire al livello dell’ordine dell’essere: "Si è dimostrato che Dio vuole comunicare agli altri il suo essere, per modo di somiglianza. Appartiene poi alla volontà essere principio dell’azione e del moto. Perciò essendo perfetta la volontà divina, non le mancherà la virtù di comunicare il suo essere ad altri, per modo di somiglianza; e così sarà ad essi causa dell’essere"(C. G., II, c. 6);
c) la dignità delle creature, la quale esige che, avendo Dio dato loro determinate forme con determinate potenzialità, esse non ne siano private dell’esercizio in modo che gli effetti prodotti non siano loro propri ma appartengano ad altri (Dio); perché se ciò accadesse non si offuscherebbe solo la dignità delle creature ma anche la sapienza di Dio: "Detrarre alla perfezione delle creature è lo stesso che detrarre alla perfezione della virtù divina. Ora, se nessuna creatura possiede alcuna azione per produrre qualche effetto, si svaluta molto la perfezione della creatura, poiché l’abbondanza della perfezione richiede di poter comunicare ad altri la perfezione posseduta. Questa sentenza dunque diminuisce la virtù di Dio"(C. G., III, c. 60).
3. NATURA DELL’AZIONE
3. NATURA DELL’AZIONE
L’ente in quanto ente, proprio perché possiede l’essere, è anche munito del potere dell’a.. Però l’azione non è uguale in tutti gli enti: ciascun ente agisce secondo il suo modo di partecipare all’essere; ossia l’agire di un ente è determinato dalla propria essenza (negli enti materiali dalla forma) che è ciò che esprime il grado di partecipazione di un ente all’essere. L’agire dell’ente finito è legato al suo essere, al suo modo di partecipare all’essere. Ora, secondo S. Tommaso, nessun ente finito ha diritto all’essere in forza della sua essenza. L’essere appartiene per essenza soltanto a Dio. Tutti gli enti finiti ricevono dell’essere dall’Essere sussistente e da lui ricevono anche la capacità di agire: ma ricevono necessariamente sia l’essere sia l’agire in modo finito. Pertanto non essendo l’essere per essenza, l’ente finito non è neppure l'agire per essenza. Quindi l’ente finito deve esplicare l’azione non mediante l’essenza, ma mediante principi d’azione distinti dall’essenza (le operazioni), principi che non sono tuttavia disgiunti da essa, ma su essa si fondano, e hanno il compito di espletarne l’attualità con la loro azione. "Tra l’azione di una cosa e la sua sostanza, scrive S. Tommaso, c’è una differenza maggiore che tra Ia sostanza e l’essere della medesima. Ora, in nessuna creatura Ia sostanza è l’essere della medesima (nullius creati suum esse est sua substantia): ciò infatti è proprio di Dio soltanto. Dunque né l’azione degli angeli, ne l’azione di qualche altra creatura è la loro sostanza. Pertanto è impossibile che l’azione dell’angelo o di un’altra creatura, ne sia la sostanza (o l’essenza). L’azione infatti è l’atto di una facoltà; come l’essere è l’atto di una sostanza o essenza. Ora, è impossibile che una realtà, la quale non è atto puro e ha qualche cosa di potenziale, sia la sua propria attualità: poiché l’attualità è il contrario della potenzialità. Ma soltanto Dio è atto puro. Quindi soltanto in Dio la sostanza è il suo essere e il suo agire"(I, q. 54, a. 1).
Tale è dunque la natura dell’agire creaturale. Non è agire in senso pieno, ma in senso diminuito e analogico: è un agire partecipato, allo stesso modo in cui partecipato e il suo essere: è un cooperare all’agire divino. L’azione creaturale suppone infatti un influsso costante dell’azione divina sull’agente finito, cui essa dona oltre che l’essere e l’essenza anche la capacità propria di agire. sotto la forma delle potenze operative. Questo influsso dell’agire divino spetta all’ente finito determinarlo in conformità con la capacità della sua essenza (forma).
Riassumendo: secondo S. Tommaso le condizioni generali dell’esercizio dell’azione dell’ente finito sono le seguenti: è un agire ricevuto, partecipato, che l’ente finito non può che determinare limitandolo. Viene esercitato non direttamente dalla sostanza o dall’essenza dell'ente finito, ma mediante le potenze operative, che sono radicate nella sostanza pur essendo realmente distinte da essa. Il loro compito è quello di realizzare tutta la perfezione dell’essere di cui è capace la sostanza.
Con questa penetrante analisi dell’azione dell’ente S. Tommaso arriva a riconoscere alle creature una propria causalità, senza peraltro compromettere l’influsso costante e universale di Dio su di esse. Ciò che invece non era riuscito a fare Aristotele e neppure Agostino. Infatti Aristotele riconosce alle cose un loro principio intrinseco d’azione, ma lo fa sacrificando la causalità efficiente di Dio. La situazione non era migliorata granché nella filosofia platonica di Agostino, in cui la causalità divina è salvaguardata a spese della attività delle creature. S. T.omaso invece riesce a rendere giustizia sia a Dio sia alle creature. Anche questa volta la spinta gli viene data dalla sua concezione intensiva dell’essere. Infatti da tale concezione risulta immediatamente tanto la dottrina dell’azione delle creature quanto quella della loro dipendenza costante da Dio in qualsiasi azione. La dottrina dell’agire delle creature segue dal fatto che esse partecipano all’essere, che è essenzialmente principio di energia, atto supremamente dinamico, volto costantemente all’attuazione e quindi all’azione. La dottrina della dipendenza risulta dal fatto che l’origine dell’essere degli enti come pure della loro permanenza nell’essere è dovuta all’Essere stesso. Cosi S. Tommaso spiega anche la preminenza dell’agire divino sull’azione delle creature in tutto ciò che esse operano. Primato dell’agire divino, realtà dell’agire finito, dipendenza dell’agire delle creature dall’agire divino, tutto viene mirabilmente, semplicemente e armoniosamente spiegato da S. Tommaso mediante la sua concezione intensiva dell’essere.
Ancora una parola sulla nobiltà dell’ente, quale si manifesta nella perfezione dell’azione. La nobiltà dell’ente risulta anzitutto dalla sua partecipazione all’essere e poi, in forza di questa stessa partecipazione, essa risulta anche dalla sua partecipazione all’agire, partecipazione così estesa che pur non giungendo fino alla produzione totale dell’essere di nessun ente, tuttavia è tale anche da contribuire alla produzione dell’essere degli enti. L’Aquinate spiega che si tratta di un contributo che rimane nell’ordine della causalità formale, perché nell’ordine della causalità efficiente l’unico agente dell’essere è Dio: "Esse naturale per creationem Deus facit in nobis nulla causa mediante, sed tamen mediante aliqua causa formali: forma enim naturalis principium est essendi naturalis"(De Ver., q. 27, a. 1, ad 3; cfr. De Pot., q. 3, a. 4, ad 1; De nat. mat., c. 8, n. 405).
4. DIVISIONE DELL’AZIONE
4. DIVISIONE DELL’AZIONE
S. Tommaso presenta vane divisioni dell’azione, di cui due ricorrono abbastanza spesso e rivestono grande importanza:
1) divisione tra azione immanente e transeunte: la prima perfeziona il soggetto stesso che la compie (per es. il conoscere); mentre la seconda torna a vantaggio di qualche altro, per es. la produzione di una statua, la stampa di un libro ecc. (cfr. 1 Sent., d. 40, q. 1, a. 1, ad 3;
2)divisione tra azione che procede dalla potenza naturale e azione che segue la potenza obedienziale (cfr. I Sent., d. 42, q. 2, a. 2, ad 4; I-II, q. 114, a. 2).
5. AZIONE MORALE
5. AZIONE MORALE
Nella categoria dell’azione assume speciale importanza l’azione morale. Infatti, mediante l’azione morale l’uomo realizza sé stesso in quanto uomo: è l’agire che rende l’uomo moralmente buono o cattivo. A questo tipo d’azione si dà il nome di atto umano, che S. Tommaso studia accuratamente e minuziosamente in tutti i suoi aspetti, specialmente nella I-II, qq. 112- 121. A questo riguardo si veda la voce Atto umano.