Pedagogia - DIZIONARIO SAN TOMMASO

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Pedagogia

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PEDAGOGIA
Parola di derivazione greca, significa “arte di guidare Il fanciullo” (da pais, fan­ciullo; agoghe, guida) è generalmente usata come “scienza dell’educazione”. Il problema filosofico fondamentale della pedagogia verte attorno all’interrogativo: com’è possi­bile trasmettere a un altro determinate co­noscenze e attitudini, e in particolare la scienza, nel senso stretto e rigoroso di “co­noscenza certa mediante le cause”? La scienza e la virtù sono cose strettamente per­sonali: com’è possibile allora trasmetterle ad altri?
L’educazione è sempre esistita da quan­do mondo è mondo. Si tratta in effetti di un’esigenza fondamentale dell’uomo, Il qua­le nasce con sconfinate possibilità di agire ma senza la capacità di esercitarle. Per ac­quisire l’abilità egli dev’essere coltivato, educato, istruito. Soltanto attraverso l’edu­cazione egli apprende come esplicare la pro­prie capacità: come nutrirsi, camminare, parlare, leggere, scrivere ecc.
La riflessione filosofica ha cominciato a interessarsi ai problemi dell’educazione sin dai tempi di Socrate e dei Sofisti, che avan­zarono tesi antitetiche anche per questo pro­blema come per tutti gli altri: mentre i sofisti concepivario l’educazione prevalentemente come opera del maestro e come meccanica trasmissione delle sue conoscenze Il scola­ro, Socrate vede nell’educazione un proces­so in cui il maestro svolge solo un’azione strumentale, che stimola nello scolaro la sue innate capacità. Sulla linea di Socrate si muovono anche Platone e Aristotele, nono­stante la loro visuale metafisica profonda­mente diversa. S. Agostino nella sua impor­tante opera De Magistro, pur non accettan­do la dottrina platonica (che è legata la credenza nella preesistenza delle anime), ri­duce anch’egli la funzione del maestro a quella di chi soltanto aiuta ad ascoltare la voce dell’unico Maestro interiore, che è Dio. E’ infatti impossibile, dice Agostino, che Il maestro esteriore possa comunicare la sua scienza all’allievo, perché egli deve ser­virsi di segni sensibili, quali sono la parole, che non possono venire intese se la scolaro non sa già qual è il loro significato. E come può il maestro fare apprendere all’allievo il significato delle parole se non facendo uso di altre parole? Si cade così in un processo all’infinito. Non la parola esteriore dunque, ma solo la parola interiore che Dio pronun­cia nell’anima illuminandola può permettere l’acquisizione della scienza in colui che ap­prende. Diversa era la soluzione proposta da Averroè. Questi affermava che vi è un unico intelletto per tutti gli uomini e pertan­to, a suo avviso, si dà anche un’unica scienza - numericamente unica - in tutti gli indivi­dui. La differenza tra i singoli soggetti non sta nell’intelletto, che è appunto unico, ma nelle facoltà sensibili, in particolare nella fantasia, la quali sono numericamente di­stinte nei vari soggetti. L’educazione, quin­di, consiste nello stimolare l’allievo a ordi­nare i fantasmi in modo da disporli a riflette­re la luce dell’unico intelletto e a determina­re in tal modo l’apprensione della scienza.
In S. Tommaso ci sono spunti attinenti il pro­blema dell’educazione in vari scritti; ma due sono le opere in cui l’argomento viene af­frontato direttamente ed esplicitamente: La questione XI del De Veritate, intitolata "De magistero", e la questione 117 della Prima Parte della Summa Theologiae. Due sono gli interrogativi principali che Il Dottore Ange­lico affronta in queste opere: 1) se l’uomo possa insegnare e chiamarsi maestro ovvero se ciò sia riservato esclusivamente a Dio; 2) se qualcuno possa dirsi maestro di se stesso. L’impostazione stessa del problema mostra l’atteggiamento polemico di S. Tommaso che critica sia Agostino sia Averroè in quanto minimiz­zano la funzione dell’educazione e l’affidano principalmente a un agente esterno all’uo­mo. Secondo l’Angelico l’educazione è un’attività di suprema importanza e necessi­tà, è attività specificamente umana e ha co­me agente principale Il discepolo e come agente strumentale Il maestro.
 

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