08.09.2017 - Francesco e Maria

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08.09.2017

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La tua nascita, Vergine Madre di Dio, è l’alba nuova che ha annunciato la gioia al mondo intero, perché da te è nato il sole di giustizia, Cristo, nostro Dio! (cfr Antifona al Benedictus). La festività della nascita di Maria proietta la sua luce su di noi, così come si irradia la dolce luce dell’alba sulla vasta pianura colombiana, bellissimo paesaggio di cui Villavicencio è la porta, come pure sulla ricca diversità dei suoi popoli indigeni.
Maria è il primo splendore che annuncia la fine della notte e, soprattutto, il giorno ormai vicino. La sua nascita ci fa intuire l’iniziativa amorosa, tenera, compassionevole dell’amore con cui Dio si china fino a noi e ci chiama a una meravigliosa alleanza con Lui, che niente e nessuno potrà rompere.
Maria ha saputo essere trasparenza della luce di Dio e ha riflesso i bagliori di questa luce nella sua casa, che condivise con Giuseppe e Gesù, e anche nel suo popolo, nella sua nazione, e in quella casa comune di tutta l’umanità che è il creato.
Nel Vangelo abbiamo ascoltato la genealogia di Gesù (cfr Mt 1,1-17), che non è una mera lista di nomi, bensì storia viva, storia di un popolo con cui Dio ha camminato e, facendosi uno di noi, ha voluto annunciarci che nel suo sangue scorre la storia di giusti e peccatori, che la nostra salvezza non è una salvezza asettica, di laboratorio, ma concreta, una salvezza di vita che cammina. Questa lunga lista ci dice che siamo piccola parte di una grande storia e ci aiuta a non pretendere protagonismi eccessivi, ci aiuta a sfuggire alla tentazione di spiritualismi evasivi, a non astrarci dalle coordinate storiche concrete che ci tocca vivere. E inoltre include, nella nostra storia di salvezza, quelle pagine più oscure o tristi, i momenti di desolazione e abbandono paragonabili all’esilio.
La menzione delle donne – nessuna di quelle evocate nella genealogia appartiene alla gerarchia delle grandi donne dell’Antico Testamento – ci permette un avvicinamento speciale: sono esse, nella genealogia, quelle che annunciano che nelle vene di Gesù scorre sangue pagano, e a ricordare storie di emarginazione e sottomissione. In comunità dove tuttora trasciniamo atteggiamenti patriarcali e maschilisti, è bene annunciare che il Vangelo comincia evidenziando donne che hanno tracciato una tendenza e hanno fatto storia.
E in mezzo a tutto ciò, Gesù, Maria e Giuseppe. Maria col suo generoso “sì” ha permesso che Dio si facesse carico di questa storia. Giuseppe, uomo giusto, non ha lasciato che l’orgoglio, le passioni e lo zelo lo gettassero fuori da quella luce. Per la modalità della narrazione, noi sappiamo prima di Giuseppe quello che è successo a Maria, e lui prende decisioni dimostrando la sua qualità umana prima ancora di essere aiutato dall’angelo e arrivare a comprendere tutto ciò che accadeva intorno a lui. La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio.
Questo popolo della Colombia è popolo di Dio; anche qui possiamo fare genealogie piene di storie, molte piene di amore e di luce; altre di scontri, di offese, anche di morte… Quanti di voi possono raccontare esperienze di esilio e di desolazione! Quante donne, in silenzio, sono andate avanti da sole, e quanti uomini per bene hanno cercato di mettere da parte astio e rancore volendo coniugare giustizia e bontà! Come faremo per lasciare che entri la luce? Quali sono le vie di riconciliazione? Come Maria, dire “sì” alla storia completa, non a una parte; come Giuseppe, mettere da parte passioni e orgoglio; come Gesù Cristo, farci carico, assumere, abbracciare questa storia, perché qui ci siete voi, tutti i colombiani, qui c’è quello che siamo… e quello che Dio può fare con noi se diciamo “sì” alla verità, alla bontà, alla riconciliazione. E questo è possibile solo se riempiamo della luce del Vangelo le nostre storie di peccato, violenza e scontro.
La riconciliazione non è una parola che dobbiamo considerare astratta; se fosse così, porterebbe solo sterilità, porterebbe maggiore distanza. Riconciliarsi è aprire una porta a tutte e ciascuna delle persone che hanno vissuto la drammatica realtà del conflitto. Quando le vittime vincono la comprensibile tentazione della vendetta, quando sconfiggono questa comprensibile tentazione della vendetta, diventano i protagonisti più credibili dei processi di costruzione della pace. Bisogna che alcuni abbiano il coraggio di fare il primo passo in questa direzione, senza aspettare che lo facciano gli altri. Basta una persona buona perché ci sia speranza! Non dimenticatelo: basta una persona buona perché ci sia speranza! E ognuno di noi può essere questa persona! Ciò non significa disconoscere o dissimulare le differenze e i conflitti. Non è legittimare le ingiustizie personali o strutturali. Il ricorso alla riconciliazione concreta non può servire per adattarsi a situazioni di ingiustizia. Piuttosto, come ha insegnato san Giovanni Paolo II, «è un incontro tra fratelli disposti a superare la tentazione dell’egoismo e a rinunciare ai tentativi di pseudo-giustizia; è frutto di sentimenti forti, nobili e generosi, che conducono a instaurare una convivenza fondata sul rispetto di ogni individuo e dei valori propri di ogni società civile» (Lettera ai Vescovi del Salvador, 6 agosto 1982). La riconciliazione, pertanto, si concretizza e si consolida con il contributo di tutti, permette di costruire il futuro e fa crescere la speranza. Ogni sforzo di pace senza un impegno sincero di riconciliazione sarà sempre un fallimento.
Il testo evangelico che abbiamo ascoltato culmina chiamando Gesù l’Emmanuele, che significa il Dio con noi. Così come comincia, ugualmente Matteo conclude il suo Vangelo: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi» (28,20). Gesù è l’Emmanuele che nasce e l’Emmanuele che ci accompagna ogni giorno, è il Dio con noi che nasce e il Dio che cammina con noi fino alla fine del mondo. Tale promessa si realizza anche in Colombia: Mons. Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, Vescovo di Arauca, e il sacerdote Pedro María Ramírez Ramos, martire di Armero, sono segni di questo, l’espressione di un popolo che vuole uscire dal pantano della violenza e del rancore.
In questo ambiente meraviglioso, tocca a noi dire “sì” alla riconciliazione concreta; che il “sì” comprenda anche la nostra natura. Non è casuale che anche su di essa abbiamo scatenato le nostre passioni possessive, la nostra ansia di dominio. Un vostro compatriota lo canta con bellezza: «Gli alberi stanno piangendo, sono testimoni di tanti anni di violenza. Il mare è marrone, mescola sangue con la terra» (Juanes, Minas piedras). La violenza che c’è nel cuore umano, ferito dal peccato, si manifesta anche nei sintomi di malattia che riscontriamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi (cfr Lett. enc.   Laudato si’, 2). Tocca a noi dire “sì” come Maria e cantare con lei le “meraviglie del Signore”, perché, come ha promesso ai nostri padri, Egli aiuta tutti i popoli e aiuta ogni popolo, e aiuta la Colombia che oggi vuole riconciliarsi e la sua discendenza per sempre.


Omelia nella Santa Messa
a Terreno Catama (Villavicencio) in Colombia

 
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