Industrie culturali - DIZIONARIO DELLA CULTURA

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Industrie culturali

I
Il termine è usato fin dal 1947 da Adorno e Horkeimer per descrivere la produzione industriale e la commercializzazione dei beni culturali, come anche le conseguenze di questo fenomeno sull'evoluzione della cultura.

Produzione tipica
Le imprese che lavorano nel settore della cultura sono oggi molto sviluppate e i loro prodotti sono numerosissimi: pubblicazioni di ogni genere, libri, giornali, periodici, riviste, manuali scolastici, cassette, videocassette, films, fotografie, programmi radio, serie di filmati televisivi, pubblicità.
Di recente si sono aggiunti i nuovi prodotti dell'industria culturale, quali le banche dati, le biblioteche elettroniche, le comunicazioni via satellite, i servizi di cablo‑visione, l'informatica, i programmi dei computers.
Questi beni culturali sono oggetto di una industrializzazione e di una commercializzazione promossa da potenti imprese nazionali o multinazionali. A livello di creazione, alcuni di questi prodotti richiedono un lavoro personalizzato, quasi artigianale, quali il libro, la pittura, la scultura. Altri, invece, richiedono che il creatore disponga di un equipaggiamento tecnico complesso: tali, per esempio, le realizzazioni della TV o del cinema. Alcuni di questi prodotti sono acquisiti come beni duraturi, per esempio, un libro, un disco, una pubblicazione d'arte. Altri sono prodotti transitori, di fattura complessa, quali i programmi TV che comprendono gli apporti del cinema, del teatro, della musica, dell'informazione e che, in generale, sono legati ad una recezione più passiva da parte di chi li utilizza.

Creatività e rendimento
Dal punto di vista socio‑culturale, una duplice logica presiede all'attività delle industrie culturali: la logica della creazione culturale e quella della produzione economica. Tra i due obbiettivi, il rendimento economico e il servizio culturale, esiste tensione e il giusto equilibrio richiede, da parte degli imprenditori, sia una visione di carattere culturale sia una capacità di carattere industriale e commerciale. La tentazione del puro mercato può condurre a sfruttamenti abusivi come, ad esempio, la produzione di video‑cassette, di riviste o di films che esaltano il vizio, la pornografia, la violenza, la crudeltà. Molte imprese, dette culturali, si sono ritagliate una buona parte del mercato sfruttando questi istinti degradanti. D'altra parte, il solo obbiettivo culturale non basta a sostenere economicamente un'impresa. Saper produrre ed insieme commercializzare con profitto i propri prodotti è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un'industria culturale. E a questo duplice livello - culturale ed economico - che si situa una delle sfide più complesse della democratizzazione culturale. In questo campo, la società moderna ha bisogno di un nuovo tipo di imprenditore capace, in uno spirito di pubblico servizio, sia di suscitare l'indispensabile collaborazione dei creatori sia di finanziare, produrre e commercializzare prodotti culturali di qualità. Si tratta di condizioni di grande esigenza, che dimostrano come non sia affatto cosa semplice rendere più sani e di migliore qualità i grandi mezzi di comunicazione, quali la TV o il cinema. Occorre la cooperazione tra talento e capacità imprenditoriale.

Audiovisivo e industrie del sapere
Nelle nostre società moderne si sono specialmente sviluppati due tipi di industrie culturali: le industrie audiovisive e le industrie del sapere (Knowledge industries). Le prime comprendono una vasta gamma di prodotti che vanno dallo scritto, al disco, alla cassetta, alla videocassetta, al cinema, alle trasmissioni della radio e della TV. I loro prodotti hanno contenuti culturali di ineguale valore: il giornale d'informazione e la pubblicità non hanno lo stesso valore culturale delle pubblicazioni d'arte o di pellicole d'autore.
Le industrie del sapere hanno raggiunto una grande estensione. Con la generalizzazione dell'insegnamento a tutti i livelli, si è aperto un nuovo mercato per la pubblicazione di materiale didattico, di manuali scolastici, di opere scientifiche, di opere specialistiche. L'introduzione dell'insegnamento assistito mediante il computer nella scuola e nell'università, e l'utilizzazione dell'informatica nelle biblioteche, nei centri di documentazione e nelle imprese hanno creato sbocchi che gli economisti valutano in miliardi di dollari. Si creano nuove professioni: programmatori, esperti di logica insiemistica scolastica, specialisti d'informatica. Ci sono ora delle imprese che si specializzano nella raccolta di dati e nella diffusione dell'informazione. La società post‑industriale è caratterizzata dalla preminenza del sapere e dell'informazione e ci sono paesi in cui più della metà degli impieghi sono legati all'informazione sotto tutte le forme: radio, TV, educazione, giornalismo, pubblicità, informatica, consultazione specializzata. Questo sviluppo ha dato un grande impulso alle industrie culturali.
Una delle più antiche industrie culturali, sempre in espansione, è quella del libro, che è stata studiata con cura da Lewis A. Coser et al.: 1982. Se ne coglie tutta la complessità analizzando i rapporti che intervengono tra l'editore, l'autore, il pubblico, gli istituti di ricerca e d'insegnamento, la stampa delle opere, il finanziamento, i canali di distribuzione, la commercializzazione dei libri, il ruolo della critica, la recezione da parte dei mezzi di comunicazione. Tutti questi fattori riguardano contemporaneamente la cultura e l'economia di un dato ambiente e la situazione dell'industria varia di molto secondo che si tratti di libri commercializzati tra un vasto pubblico, di manuali scolastici, di opere destinate ad esperti o riservate a particolari settori o professioni.

Politica dei governi
I governi sono sempre più coscienti del loro ruolo nei confronti dello sviluppo delle industrie culturali. Da una parte, si tratta di industrie che occupano una parte non trascurabile nelle economie nazionali. Dall'altra, l'impatto di queste imprese sulle mentalità e sui comportamenti pone problemi che ogni politica culturale deve attentamente prendere in considerazione.
Ci sono paesi nei quali la concorrenza delle industrie culturali estere può condurre ad un'eccessiva dipendenza e costituire minaccia per l'identità nazionale. Ciò si verifica particolarmente nei paesi del terzo mondo e l'UNESCO ha preso in considerazione questo complesso problema. Si sono elaborati programmi per inventariare i mezzi audiovisivi disponibili in rapporto ai bisogni delle popolazioni e per incoraggiare la creazione di emissioni che rispondano alla mentalità del pubblico. Questi programmi cercano anche d'incoraggiare gli scambi culturali e di promuovere un'assistenza tecnica con lo scopo di favorire l'autonomia della creazione locale e la produzione di beni culturali adatti ad ogni paese.
Nell'Europa dell'Ovest, i governi sono molto attenti ai problemi dell'industria culturale, come testimonia l'azione del Consiglio d'Europa. I membri della CEE, ugualmente, cercano di definire gli orientamenti delle politiche industriali e culturali che dovranno assicurare lo sviluppo indipendente delle loro industrie della cultura: aiuto diretto o indiretto alla creazione, regolamentazione della concorrenza internazionale, politica d'importazione e di esportazione più equilibrata, collaborazione tra i paesi europei.
Nei paesi dell'Est, le industrie culturali erano state collettivizzate: esse sono riuscite a produrre beni di qualità, quali films, documentari artistici e pubblicazioni apprezzate, anche se questi prodotti venivano spesso considerati, da chi li usava, troppo segnati dall'ideologia di partito. Queste industrie resisteranno con difficoltà alla concorrenza delle produzioni occidentali e rischiano ora d'essere superate dalla diffusione internazionale delle emissioni per via satellite.
E negli Stati Uniti che le industrie culturali sono più fiorenti e più potenti. Le loro produzioni sono commercializzate in quasi tutti i paesi. Queste industrie sono meno soggette che in altri paesi alle norme di una politica culturale ufficiale - che non è istituzionalizzata nel sistema governativo americano - ed è nel quadro del libero mercato e della libera concorrenza ch'esse operano. Una forma di autoregolazione tende, tuttavia, ad instaurarsi grazie alla vigilanza dell'opinione pubblica, alla critica professionale e all'azione dei gruppi di pressione. I termini stessi di industria culturale o di politica culturale sono meno usati negli Stati Uniti che in altre parti del mondo. Ci sono, tuttavia, osservatori, sempre più numerosi, che s'interrogano sulle proprie responsabilità nazionali ed internazionali di fronte all'azione delle loro potenti industrie culturali: J. Jensen, 1990; H. Schiller, 1989.
Un'ultima considerazione a proposito dei beni culturali come oggetto di consumo. Sembra chiaro che di fronte alla pletora dei beni di tutti i generi e di ogni tipo di qualità che sono offerti, i consumatori debbano imparare a scegliere e a discernere, ciò che richiede un'educazione idonea di cui sempre più si preoccupano i centri di formazione e le scuole. Il pubblico, d'altra parte, deve essere iniziato e formato alla creazione culturale per poter eventualmente collaborare alla produzione delle industrie interessate. Questa educazione al consumo, come anche alla creazione e alla produzione dei beni culturali è efficacemente promossa dal nuovo orientamento dei programmi scolastici, dai cine‑clubs, dall'analisi critica delle emissioni TV e dai programmi di formazione permanente e di animazione culturale.

Vedi
Comunicazione sociale
Sviluppo culturale
Politica culturale

Bibl.: L. A. Coser et al. 1982. E. L. Eisenstein 1979, 1985. P. Flichy 1980. A. Girard 1982, cap. 2. M. Horkeimer e T. W. Adorno 1947, 1980. R. Merelman 1984. H. I. Shiller 1989.
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