La nuova evangelizzazione è una delle espressioni tipiche dell'insegnamento di Giovanni Paolo II. All'inizio è stata usata con riferimento all'Europa, sollecitata a ritrovare le proprie radici e la propria vocazione cristiane. L'espressione e le sue varianti, « seconda evangelizzazione » o « rievangelizzazione », indicano un nuovo approccio della Chiesa riguardo al suo compito di evangelizzazione. La nuova evangelizzazione costituisce una sfida storica, dopo il 1989, quando le Chiese dell'Europa centrale, orientale ed occidentale sono state chiamate ad una stretta collaborazione perché il Continente europeo ridia vigore e creatività alla propria millenaria cultura ispirata al Vangelo. La nuova evangelizzazione indica anche, per l'America latina, una strategia pastorale che si è particolarmente affermata in occasione del quinto centenario dell'evangelizzazione di questo Continente, celebrato nel 1992.
L'espressione deve essere intesa in rapporto alle nuove condizioni dell'evangelizzazione nel mondo attuale. Il compito di evangelizzare le coscienze e le culture presenta, infatti, oggi particolari difficoltà, perché spesso gli ambienti da cristianizzare sono stati, nel tempo, segnati dal messaggio del Cristo, ma la Buona Novella è stata poi dimenticata nell'indifferenza o nell'agnosticismo pratico. La società secolarizzata ha particolarmente aggravato questo clima di fede inibita o dormiente. Per questo, alla Chiesa s'impone il compito di intraprendere una nuova evangelizzazione. Chiediamoci quale sia la differenza tra la prima e la nuova evangelizzazione.
La prima evangelizzazione è quella che rivela la novità del Cristo Redentore ai « poveri », per liberarli, convertirli, battezzarli e per impiantare la Chiesa. L'evangelizzazione si diffonde nelle coscienze e nelle strutture portanti della fede: famiglia, parrocchia, scuola, organizzazioni cristiane, comunità di vita. E già in questi ambiti c'è una vera evangelizzazione della cultura, cioè un cristianesimo delle mentalità, dei cuori, degli spiriti, delle istituzioni, delle produzioni umane. Le culture tradizionali sono state, in questo modo, cristianizzate per un lento effetto di osmosi. La conversione delle coscienze ha profondamente trasformato le istituzioni. Noi conosciamo bene i prototipi della prima evangelizzazione: san Paolo, sant'Ireneo, san Patrizio, i santi Cirillo e Metodio, san Francesco Saverio.
Molti evangelizzatori del passato hanno compiuto una notevole opera d'inculturazione, ante lettera. Giovanni Paolo II ricordava che « i santi Cirillo e Metodio seppero anticipare alcune conquiste che sono state pienamente assunte dalla Chiesa nel Concilio Vaticano II, circa l'inculturazione del messaggio evangelico nelle rispettive civiltà, assumendone la lingua, i costumi e lo spirito della stirpe in tutta la pienezza del proprio valore »: discorso a Campostella, 9 nov. 1982. La prima evangelizzazione non è terminata nel mondo e si rivela spesso molto difficile: in India, in Giappone, negli ambienti islamici, buddisti, in molti settori della società refrattaria ai valori religiosi.
La nuova evangelizzazione si presenta in condizioni molto diverse. La seconda o nuova evangelizzazione si rivolge a popolazioni che sono state cristianizzate nel passato, ma che vivono ora in un clima secolarizzato che deprezza il fatto religioso e che tollera una forma di religione privata o la combatte direttamente o ancora l'intralcia indirettamente attraverso la politica e iniziative pratiche che emarginano i credenti e le loro comunità. E una nuova situazione che non si è presentata mai con tanta acutezza nella storia della Chiesa. Essa richiede uno sforzo collettivo di riflessione per scoprire i soggetti, cioè i destinatari della nuova evangelizzazione, condizione indispensabile per rievangelizzare le culture.
A chi si rivolge la nuova evangelizzazione?
A chi si rivolge la nuova evangelizzazione?
Cerchiamo di capire la mentalità delle persone destinatarie della nuova evangelizzazione.
Sono i nuovi ricchi. Queste persone psicologicamente non si considerano come i « poveri del Vangelo », ma piuttosto come dei « ricchi », dei soddisfatti concentrati sui propri beni, la propria autonomia, il proprio benessere, la propria realizzazione. E questa psicologia collettiva che occorre penetrare con simpatia per farle cogliere i limiti di fronte all'Assoluto di Dio. Potrà, così, emergere la povertà spirituale che spesso si nasconde dietro atteggiamenti di soddisfazione o d'indifferenza.
Una fede sradicata. In molte persone la prima fede non si è sviluppata per mancanza di radici e di approfondimento. Spesso la prima evangelizzazione è stata insufficiente, superficiale e si è indebolita e spenta a poco a poco, per mancanza d'interiorizzazione e di motivazioni solidamente ancorate. Vi sono delle intere popolazioni che sono state effettivamente battezzate, ma non sono state poi davvero evangelizzate, sono state cioè private di quella catechesi elementare e costante, indispensabile allo sviluppo di una fede adulta. Queste persone, poste di fronte ai valori proposti dalla secolarizzazione, passano insensibilmente da una pratica abitudinaria alla passività spirituale e all'allontanamento dalla Chiesa. L'evangelizzatore constata che la fede iniziale non è stata irrobustita da un'esperienza personale del Cristo, da una formazione dottrinale e morale fatta attraverso la condivisione della fede nell'amore e nella gioia, col sostegno di una comunità cristiana, vicina e viva.
Una fede rigettata e soffocata. Molti cristiani solo di nome, che vivono in un'indifferenza pratica, hanno rigettato una religione che è rimasta, nella loro psicologia, allo stadio infantile e appare loro moralmente oppressiva dato che la cultura popolare spesso confonde religione e moralità. Questa religione incute timore ed agisce sulle angosce incoscienti. In nome della libertà, la religione e la Chiesa sono rigettate come alienanti. E necessario chiedersi quali deficienze della prima evangelizzazione abbiano provocato questa percezione mentale del cristianesimo.
Una fede dormiente. E difficile dire, riguardo a persone di questo tipo, che la fede sia morta, ma essa è nello stato di sonno, inoperante, dimenticata, sotto la coltre di altri interessi e preoccupazioni: soldi, benessere, comodità, piacere, che spesso diventano dei veri idoli. In un contesto cristiano la pressione che esercita la religione di costume può bastare a mantenere i credenti in una pratica sacramentale regolare. Questa pressione sociale non invalida necessariamente il valore di una religione popolare o tradizionale che ha dato grandi cristiani e grandi cristiane. Ma si constata che la nuova cultura lascia la persona spiritualmente sola, di fronte a se stessa e alle proprie responsabilità spesso percepite nella confusione. La delusione e l'incertezza spirituale rendono l'individuo fragile, angosciato, esposto alla credulità. L'isolamento rende sensibili alla parola d'accoglienza e le sette lo hanno capito, talvolta meglio di noi. Dobbiamo esplorare con cura come condurre l'approccio psicologico e spirituale in questi casi.
Psicologie moralmente destrutturate. Il problema diventa particolarmente grave quando la personalità rigetta ogni norma etica e si presenta come destrutturata moralmente e spiritualmente. Diventa quasi impossibile credere quando l'individuo mette in dubbio ogni ideologia, ogni credenza, ogni grande causa che lo obblighi ad uscire da se stesso. La tendenza si aggrava se l'individuo si rinchiude di una illusoria autarchia morale. La società moderna tende ad erigere questo atteggiamento individualistico a sistema e l'evangelizzatore sa quanto sia difficile superare ostacoli di questo genere e raggiungere la coscienza di certe persone. Malgrado le difficoltà, però, ci dobbiamo convincere che in tutti i cuori c'è il bisogno della speranza e nessun individuo rifiuta per sempre la luce e la promessa della felicità.
Una speranza latente. L'uomo moderno porta in sé angosce e speranze caratteristiche. I cristiani sono veramente entrati nello spirito profondo del Concilio, che con tanta attenzione ha considerato la mentalità dei nostri contemporanei? Occorre indovinare l'angoscia nascosta dietro tanti atteggiamenti e tanti comportamenti apparentemente tranquilli. Mai, come oggi, forse c'è stata una così grande sete di significati e una così appassionata ricerca delle ragioni di vivere. Scoprire questo bisogno latente di speranza, è una prima importante tappa dell'evangelizzazione. Al di là delle angosce, bisogna soprattutto percepire le aspirazioni positive che si esprimono, spesso in maniera confusa. Queste aspirazioni alla giustizia, alla dignità, alla corresponsabilità, alla fraternità manifestano un bisogno di umanizzazione e una sete di assoluto. L'evangelizzatore saprà leggervi una prima apertura al messaggio di Cristo.
Preoccupazioni socio‑pastorali di questo genere si trovano in tutti i documenti del Concilio, come concreto problema di evangelizzazione. Bisogna rileggere il Vaticano II in questa prospettiva. Una speranza latente e una fame spirituale si nascondono in fondo ai cuori. Importante è percepirne la traccia nell'attuale cultura per apportarvi la risposta della fede. Questa è una nuova tappa dell'evangelizzazione.
Come rievangelizzare le culture?
Come rievangelizzare le culture?
La cultura non è più un'alleata. In una situazione di seconda evangelizzazione la posta in gioco è la nuova cultura. Non c'è più una « cultura di sostegno » come in passato. Oggi la Chiesa affronta una cultura di opposizione (persecuzione, oppressione) o una cultura di indifferenza o di tranquilla eliminazione, che relativizza tutte le credenze.
La cultura pluralistica, che ha l'inconveniente di mettere tutte le credenze sullo stesso piano, può, d'altra parte, offrire all'evangelizzatore una nuova possibilità, quella di far valere il suo punto di vista originale nel concerto delle opinioni. Spesso egli può anche beneficiare dei mezzi moderni di diffusione per annunciare la novità del suo messaggio. E ormai necessaria una speciale educazione per vivere e agire in una cultura pluralistica.
Scoprire gli ostacoli alla nuova evangelizzazione.
Scoprire gli ostacoli alla nuova evangelizzazione
Questi ostacoli possono variare molto da un paese o da una regione all'altra. In molti paesi di antico cristianesimo, la Chiesa è stata come sfigurata da una lenta erosione, da un processo di evacuazione o di rigetto della fede da parte di una cultura progressivamente secolarizzata. Ciò ha generato a sua volta una cultura dell'indifferenza, ostacolo dei più temibili sul piano dell'evangelizzazione, perché la religione si presenta come cosa che non interessa più, né più tocca o interpella una massa sempre più grande di individui spiritualmente « fuori campo », viventi in un universo areligioso.
La situazione d'incredulità è molto diversa secondo i paesi. In molte nazioni, infatti, la rievangelizzazione si rivolge a popolazioni la cui memoria porta la traccia di persecuzioni, di guerre di religione, di rivoluzioni, di politiche aggressivamente atee. Ci sono paesi che hanno fatto l'esperienza della colonizzazione straniera, dello sfruttamento o ancora della perdita della classe operaia nel secolo scorso. Ciò che importa, al disopra di tutto, è di percepire bene la forma di psicologia collettiva segnata dall'esperienza storica di ogni gruppo da evangelizzare.
Creare un passaggio attraverso il muro dell'indifferenza. Nei paesi occidentali, la secolarizzazione ha diffuso un clima d'indifferenza religiosa, di non credibilità, di insensibilità spirituale, di disinteresse per il fatto religioso. Il dramma è che il Vangelo non è del tutto ignorato e neppure del tutto nuovo. Siamo di fronte ad una psicologia religiosa ambigua. La fede è insieme come presente e assente negli spiriti. Il sale evangelico è diventato insipido, le parole stesse hanno perduto il loro mordente. Le parole Vangelo, Chiesa, fede cristiana non sono più nuove, hanno subito l'usura, si sono banalizzate. L'identificazione della cultura con il cristianesimo è diventata superficiale: si pensi, per esempio, alla sorte riservata alle celebrazioni del Natale, della Pasqua e il loro recupero commerciale e mondano. La Buona Novella fa parte del costume, come le tradizioni, come il folklore e i tratti culturali dell'ambiente.
I cristiani devono rivalorizzare i loro tesori nell'opinione pubblica, nei media, nei comportamenti comuni. Occorre reagire contro una culturalizzazione del cristianesimo ridotto a sole parole, a fatti secolarizzati, a costumi dissacrati.
Non lasciarsi emarginare. I cristiani non possono rassegnarsi a diventare degli emarginati, degli accantonati da parte della cultura dominante. Occorre prendere coscienza che i valori cristiani sono stati progressivamente evacuati e che, per esempio, sono diventati tabù nel nostro ambiente culturale parole quali: virtù, vita interiore, rinuncia, conversione, carità, silenzio, adorazione, contemplazione, croce, risurrezione, vita nello Spirito, imitazione di Cristo. Queste parole tipiche della vita spirituale hanno ancora un senso nel linguaggio corrente? Se i nostri contemporanei non comprendono più le parole che esprimono la speranza del cristiano, come li si potrà attirare a Gesù Cristo? I giovani particolarmente risentono della mentalità del tempo che svaluta radicalmente il fatto religioso. I giovani sono i testimoni e le vittime della crisi religiosa, ma sono anche e, soprattutto, i rivelatori delle aspirazioni contemporanee. E con loro che si potrà veramente creare una nuova cultura della speranza.
Un'antropologia aperta allo Spirito
Un'antropologia aperta allo Spirito
Una delle novità più importanti della nuova evangelizzazione è ch'essa esplicitamente mira alla conversione non soltanto delle persone, ma anche delle culture. Ora, evangelizzare le culture presuppone un nuovo approccio antropologico della pastorale. Le scienze umane possono rendere un servizio prezioso per operare i discerminenti e le analisi indispensabili. Il principale vantaggio dell'antropologia moderna è di definire l'uomo attraverso la cultura e raggiungerlo, così, nel contesto psico‑sociale in cui si dispiegano la sua vita associativa, le sue produzioni, le sue speranze e le sue angosce. Giovanni Paolo II ha più volte insistito su questo approccio nell'evangelizzazione: « L'uomo diventa in modo sempre nuovo la via della Chiesa »: Dominum et vivificantem, 1986, n. 58. La percezione dell'uomo come un essere razionale e libero, si arricchisce di molto attraverso la visione culturale della realtà umana fornita dall'antropologia moderna, Giovanni Paolo II lo ha espresso in questi termini: « I recenti progressi dell'antropologia culturale e filosofica mostrano che si può ottenere una definizione non meno precisa della realtà umana riferendosi alla cultura. Questa caratterizza l'uomo e lo distingue dagli altri esseri non meno chiaramente che la intelligenza, la libertà e il linguaggio »: Discorso all'Università di Coimbra, 15 maggio 1982.
Raggiungere l'uomo storico al centro delle culture vive permette all'evangelizzatore di scoprire il dramma di tante vite che soffrono una specie di agonia spirituale, condizione crudelmente presente in molti. Se riusciremo a far penetrare il nostro sguardo in profondità, forse ci renderemo conto che quest'angoscia spirituale spesso prepara la scoperta della salvezza in Gesù Cristo. Paul Tillich così descrive questa esperienza della precarietà umana che può predisporre alla fede: « Soltanto coloro che hanno provato lo choc della precarietà della vita, l'angoscia dove si prende coscienza della propria tristezza, la minaccia del nulla, possono comprendere ciò che significa l'idea di Dio. Soltanto coloro che hanno fatto l'esperienza delle ambiguità tragiche della nostra esistenza storica e che hanno totalmente messo in causa il senso dell'esistenza possono comprendere ciò che significa il simbolo del Regno di Dio »: Systematic Theology, Chicago, 1951. Saper leggere i segni della disperazione morale, ma anche l'immenso bisogno di sperare che provoca la cultura secolarizzata, aprirà una nuova via all'evangelizzazione.
Per la redenzione delle culture
Per la redenzione delle culture
L'evangelizzazione, infine, pone le culture di fronte al mistero del Cristo morto e risorto. Una rottura radicale è inevitabile, « scandalo per i Giudei, follia per i Gentili » diceva Paolo. E richiesta una conversione continua. Il dinamismo dell'evangelizzazione si realizza unicamente nell'incontro con Gesù Cristo. Egli è l'unico mediatore per mezzo del quale si realizza il Regno di Dio. L'evangelizzazione delle culture, come quella delle persone, trova la sua sola efficacia nella forza dello Spirito, nella preghiera, nella testimonianza della fede, nella partecipazione al mistero della Croce e della Redenzione. Sarebbe una vana tentazione il voler cambiare le culture con un semplice intervento psico‑sociale o socio‑politico. L'evangelizzazione, soprattutto nella notte oscura della fede, e nella notte spirituale delle culture, richiede una conversione al mistero della Croce. Patire questa purificazione e sperare nelle vie, misteriose ma certe, dello Spirito è una disposizione indispensabile per affrontare il lavoro della rievangelizzazione. Non è cosa confortevole vivere nelle angosce di un nuovo mondo che oscuramente prende forma intorno a noi.
Rievangelizzare, in fondo, significa annunciare senza soste la salvezza radicale in Gesù Cristo, che purifica ed eleva ogni realtà umana, facendola passare dalla morte alla risurrezione. In questo senso, ogni evangelizzazione è nuova, perché annuncia il bisogno permanente della conversione. Le culture hanno un'ardente aspirazione alla speranza e alla liberazione. Evangelizzare diventa allora la forma eminente dell'elevazione delle culture e delle coscienze che aspirano alla liberazione da tutti gli egoismi che impediscano l'avvento del Regno di Dio. Evangelizzare esige questo annuncio della salvezza definitiva in Gesù Cristo e ciò vale sia per le persone che per le culture, come ricorda Giovanni Paolo II: « Poiché la salvezza è una realtà totale ed integrale, essa riguarda l'uomo e tutti gli uomini, attingendo, altresì, la stessa realtà storica e sociale, la cultura e le strutture comunitarie in cui essi vivono ». La salvezza non si riduce alle sole finalità terrene o alle sole capacità dell'uomo: « L'uomo non è il salvatore di se stesso in maniera definitiva: la salvezza trascende ciò che è umano e terreno, è un dono dall'alto. Non esiste autoredenzione, ma Dio solo salva l'uomo in Cristo »: Discorso all'Università Urbaniana, 7 ottobre 1988.
La nuova evangelizzazione si rivolge a tutte le persone e a tutte le culture. Giovanni Paolo II ne ha annunciato la necessità in tutti i Continenti. Questa evangelizzazione, ha detto, sarà « nuova nel suo ardore, nuova nei suoi metodi, nuova nelle sue espressioni »: Discorso al CELAM, 9 marzo 1983.
Vedi
Evangelizzazione della cultura
Bibl.: H. Carrier 1987, 1990a, 1991, 1997. J. Grand'Maison 1992, 1993.