Scienza (e conoscenza dell'Assoluto) - DIZIONARIO DELLA CULTURA

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Scienza (e conoscenza dell'Assoluto)

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Come lo scienziato si pone di fronte ai valori assoluti ed universali? E significativo constatare che, dopo un lungo periodo dominato dal positivismo, il mondo scientifico è oggi impegnato in un riesame coraggioso dei propri atteggiamenti etici e spirituali. Cercheremo di tracciare questa evoluzione la cui portata culturale è considerevole.

La totalità del sapere
Se consideriamo l'immagine varia degli scienziati e degli eruditi nel corso dei secoli, constatiamo che i maestri intellettuali del passato avevano l'abitudine di interessarsi della totalità del sapere concernente l'universo, gli dei, il sacro, le tradizioni, le scritture, le regole e i codici di comportamento umano. Questa era la condizione delle personalità colte in Egitto, in Mesopotamia, in India, in Cina, in Grecia. Pitagora stesso si diceva rapito dall'armonia del cosmo e dalla « musica delle sfere ». Aristotele scriveva che la « scienza s'interessa del necessario e dell'eterno »: Etica a Nicomaco, VI, 3. Questa convinzione si perpetuò fino al tempo di Cartesio, il quale sosteneva che « non possiamo sapere nulla di certo se non conosciamo in primo luogo che Dio esiste »: Meditazioni metafisiche.
Ma, come si può rilevare dalla storia delle scienze, questa immagine dello scienziato che studia nello stesso tempo l'Universo e il suo Creatore è stata praticamente distrutta nel secolo dell'Illuminismo. Da quel tempo si è venuto pensando che la scienza dovesse dichiarare la propria indipendenza nei confronti della religione, della Scrittura, della teologia, della scolastica e delle tradizioni.
Voltaire, che aveva assistito ai funerali ufficiali di Newton nel 1727, scriveva che questo gigante della scienza aveva avuto « la particolare fortuna, non soltanto d'essere nato in un paese libero, ma in un'età in cui tutti gli spropositi della scolastica erano stati banditi dal mondo. La ragione sola era coltivata e l'umanità non poteva esserne che il discepolo ». Questo giudizio di Voltaire ha molto contribuito ad imporre Newton come il modello tipico dello scienziato dell'Illuminismo. In nome della ragione, le scienze empiriche progredivano ormai senza impedimenti, liberate da ogni interpretazione religiosa dell'universo.

Scientismo riduttivo
Nessuno oggi nega l'opportunità di fare netta distinzione tra il campo delle scienze induttive e quello della riflessione filosofica e teologica. Ma per molti, in nome della ragione pura, la distinzione tra i metodi significò presto opposizione dei campi della conoscenza e i rapporti tra le discipline divennero doloroso divorzio. Rigettando radicalmente la tradizione, la scienza non poté evitare la trappola del criterio riduttivo. Lo scientismo finì col dichiarare che l'unica conoscenza valida è quella che proviene dal metodo induttivo delle scienze naturali. Questo presupposto si applicava anche agli esseri umani e ai loro valori più alti, ai loro ideali, per esempio, all'amore. In tutte le discipline, ed anche nelle scienze umane, s'impose lo stesso riduzionismo come sforzo orientato a spiegare l'origine della cultura intesa come prodotto di determinismi naturali.
Oggi i rappresentanti delle culture tradizionali, coscienti dell'apporto delle scienze moderne, si stupiscono di fronte ad una mentalità tanto limitata da sfociare nella distruzione della capacità umana di conoscere l'universale e di percepire lo spirituale. Nello sfondo del pensiero antropologico occidentale, spesso c'è stato un complesso latente di superiorità ed un antropologismo ottuso. Le grandi culture dell'Oriente sono state generalmente disistimate. Thomas Macauley, uno storico britannico del secolo decimonono, sosteneva che un solo ripiano di una buona biblioteca europea valeva quanto tutta la letteratura nata in India e in Arabia.
Un'opinione corrente considerava lo scienziato come un ricercatore oggettivo che deve rifiutare tutto ciò che non entra direttamente nella sua area di studio, per diventare un osservatore freddo, concentrato sulle proprie astrazioni, insensibile ai giudizi di valore o anche alle conseguenze pratiche delle proprie scoperte. Questo atteggiamento era inculcato come rigoroso ideale per il futuro scienziato.

Lo scienziato e il senso del mistero
Oggi, si è prodotto un mutamento nell'immagine che si ha dello scienziato. La sociologia delle scienze e gli studi sulla psicologia degli scienziati tendono a dimostrare che gli atteggiamenti degli uomini di scienza sono molto più complessi di quanto si supponesse in certi ambienti. La conoscenza delle loro motivazioni e della loro condotta rivela le vere motivazioni che ispirano, in generale, il loro lavoro.
Newton, per esempio, è lungi dall'essere il tipo dell'empirista razionalista, come molti hanno preteso affermando che, in tutta la sua produzione scientifica, trenta pagine appena sono dedicate a riferimenti che riguardano questioni teologiche. Un esame più attento dei suoi manoscritti, resi pubblici dopo il 1936, ha rivelato la parte cospicua dei suoi scritti dedicata al problema di Dio, alla Sacra Scrittura, alle questioni etiche e spirituali. Grazie, infatti, a recenti ricerche su Newton e sui suoi manoscritti, si scopre un uomo molto diverso dallo stereotipo presentato in certi manuali: cf G. Holton, 1977. Si constata, per esempio, che non meno di ottomila pagine dei suoi manoscritti sono dedicati alla religione. Newton, nato nel giorno di Natale, si considerava come scelto da Dio per una particolare missione. Le scienze naturali, egli asseriva, non possono condurci direttamente alla Causa prima e al Creatore, ma esse ce ne avvicinano, per quanto è possibile in questa vita terrena. Attraverso questa filosofia naturalistica dunque, secondo quanto egli scrive, « le frontiere della filosofia morale saranno ampliate »: Optics, Q. 31. Newton ha una viva coscienza della tradizione, sa di quanto sia debitore ai suoi predecessori e questo lo esprime in una famosa frase: « Noi ci reggiamo sulle spalle di giganti e per questo possiamo guardare più lontano ».
Questa visione della scienza, che collega l'osservazione empirica con l'intuizione spirituale, non è andata perduta e molti sono gli esempi che possiamo trovare, tra i migliori rappresentanti della scienza moderna, di scienziati che hanno avuto familiarità con l'umanesimo classico: cf. E. Cantore, 1977. Einstein aveva l'abitudine di ricordare con i suoi compagni di studio l'elenco degli autori che amava leggere e, tra questi, Platone, Spinoza, Hume, Ampère, Poincaré, come i classici greci e francesi. Per Einstein, la scienza non può essere separata dall'arte, né da una esperienza della bellezza e dal mistero della realtà: « La più bella e più profonda esperienza che l'uomo possa fare è quella del senso del mistero. Questo costituisce il fondamento della religione e di ogni ricerca profonda sul piano delle arti e delle scienze. Colui che non ne ha l'esperienza è, mi sembra, se non morto, almeno cieco ».

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