JUNGMANN J. A., La predicazìone alla luce del Vangelo, Edizioni Paoline, Roma 1965.
Strettamente connesso al movimento di valorizzazione della Bibbia e dei Padri è il fenomeno costituito dalla «teologia kerigmatica» di cui J. A. Jungmann, insieme a H. Rahner, è la massima espressione. Secondo Jungmann, in un'atmosfera di disprezzo per la ragione e la teologia scolastica e di prevalenza per la prassi e il concreto, era necessario proporre accanto alla teologia scientifica «una seconda teologia destinata a far da ponte tra la teologia puramente intellettuale e la catechesi e la predicazione». Si sentiva, cioè, l'urgenza di colmare il vuoto tra teologia e vita, proponendo una spiritualità più dogmatica e una teologia più vitale e accessibile ai fedeli, e immediatamente idonea alla predicazione. Legge fondamentale della teologia kerigmatica, di conseguenza, non è «l'elaborazione sistematica e razionale delle verità di fede, ma l'annuncio della salvezza, secondo il significato della parola Kérigma dato dai Padri greci». Perciò essa attingerà in sostanza dalla catechesi apostolica e patristica, per «annunziare imperiosamente quelle verità che Dio nella sua composizione del disegno di salvezza nella storia del mondo ha poste in primo piano». Le verità rivelate vanno poste nell'oikonomia, ossia nella storia della salvezza programmata da Dio secondo un circolo che parte da lui e ritorna a lui: «Il Kerigma degli antichi Padri della Chiesa si articola in questo modo, come insegna ottimamente e profondamente l'Epideixis di lreneo: il Padre, principio fontale e beato fine; Cristo, il grande mediatore; la Chiesa, suo corpo, che insieme col Capo ritorna al Padre». Il contributo della teologia kerigmatica e di Jungmann alla marialogia non è stato tanto lo sviluppo mariano in ordine alla catechesi e al culto, quanto di aver richiamato l'esigenza di «incastonare il tema mariano nel quadro kerigmatico», preconizzando il ritorno ad un armonioso inquadramento del pensiero marialogico nel piano generale. Il ricorso alla storia della salvezza impedisce di sottolineare i privilegi personali di Maria, quasi fosse un'entità autonoma, e spinge invece a rispettare il cristocentrismo del Kerigma, evitando un «latente ed inconscio monofisismo» che ritiene Cristo troppo lontano e divino, e trasferisce su Maria il carattere di mediatore e di archetipo. Similmente la teologia kerigmatica mette in guardia dalla tendenza di integrare il vangelo con «Studi sui costumi sociali e domestici degli Israeliti»: sussidi utilissimi, ma rischiosi, in quanto scivolano in «una scienza di stile apocrifo» dando una «informazione biografico-episodica su Maria, che resta estranea alla storia della salvezza». L'economia salvifica invita a vedere Maria assieme alla Chiesa, come «prima creatura redenta dell'umanità affrancata», come ha fatto il Kerigma patristico, nel quale «nessun tema è ripetuto con tanta insistenza come questo: il santo battesimo è la continuazione mistica e sacramentale dell'Incarnazione del Logos dalla Santa Vergine... Dedit aquae, quod dedit Matri». Maria e la Chiesa formano «un unico mistero».
La teologia kerigmatica di Jungmann e Rahner trovò difficoltà ad imporsi, sia perché tendeva a ristabilire forme arcaiche di teologia, sia perché stentava a darsi un proprio statuto differente da quello della teologia scientifica. «Così il movimento è praticamente fallito come tale; bisogna tuttavia mettere al suo attivo ... il fatto di aver contribuito a restaurare nell'insegnamento religioso la concezione biblica e patristica della 5toria della salvezza e a porre di nuovo l'accento sui temi fondamentali della rivelazione, che era necessario rivalorizzare contro l'eccessiva invadenza delle speculazioni scolastiche».
Maria nella teologia contemporanea, pp. 57-58.
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Corollario d'immensa portata ecclesiologica è l'asserzione: «Tutta la Chiesa è mariana», nel senso che «Maria è interiorizzata nella Chiesa, cui comunica il suo spirito». Ella anzi è «forma modalizzante intrinseca... il modello, il tipo della Chiesa». Ciò implica che la Chiesa «non è mai così intensamente pura, corredentrice, vergine e madre, vincitrice del peccato e della morte» come nella Vergine. Pertanto la sua imitazione è necessaria, poiché «più la Chiesa assomiglia alla Vergine, più diviene Sposa». Proseguendo su questo filo di pensiero e attingendo al teologo ortodosso V. Lossky, Journet chiama Maria «la personificazione mistica della Chiesa» e spiega tale epiteto in relazione allo Spirito: «Lo stesso Spirito Santo, personalità increata e trascendente dall'efficienza infinita, da una parte utilizza come strumento il potere gerarchico, personalizzato nel primato di Pietro, per effondere sul mondo le grazie cristoconformanti; e d'altra parte commuove il cuore materno della Vergine in cui ha voluto personalizzare eminentemente la vita nascosta e profonda, la vita mistica della sua Chiesa». li posto privilegiato di Maria viene illustrato dalla terza tesi, dove Journet si pone il problema della appartenenza di lei al tempo della Chiesa. L'autore precisa che non si tratta di problema di cronologia, ma di storia della salvezza o del «regime storico di grazia sotto il quale sono posti i diversi gruppi di uomini». Egli esprime poi la convinzione che, a differenza dei contemporanei di Gesù schierati sul versante dell'attesa di lui o già situati nell'epoca dello Spirito, Maria è l'unica persona appartenente al tempo di Cristo: «Cronologicamente la Vergine appare prima del Cristo e sarà presente alla Pentecoste. È contemporanea ai santi del Vangelo, viventi nell'attesa del Cristo e del regno, e agli apostoli che vivono già nell'era dello Spirito Santo. Ma, qualitativamente, non dipende né dall'epoca dell'attesa del Cristo né dall'epoca dello Spirito Santo. Ella riempie da sola tutta un'era della Chiesa: l'epoca della presenza del Cristo. Ciò significa che la grazia del Cristo le è dispensata secondo una legge, un regime proprio». A differenza dell'economia sacramentale, che visibilizza le mani di Cristo lungo il tempo e lo spazio, la grazia è comunicata a Maria nel «Contatto diretto» con il Figlio. Questi esercita su di lei il massimo influsso, calamitandola nel suo campo d'attrazione più immediato: «Questo luogo di condensazione e intensificazione di tutta la santità collettiva della Chiesa, questo luogo dove la legge della conformità al Cristo è realizzato più efficacemente che in tutto l'insieme della Chiesa, questo luogo dove la Chiesa è di fronte al Cristo come una sposa perfetta per ricambiare il suo amore, è la Vergine». La lezione che promana dal pensiero di Journet è che non si può separare la marialogia dall'ecclesiologia e viceversa, a motivo del nesso esistente tra la Chiesa e Maria suo archetipo in rapporto a Cristo. Tale lezione -come abbiamo visto - stenta ad essere accolta, anche dopo l'autorevole insegnamento del Concilio Vaticano II. Essa mantiene tutto il suo valore a livello ermeneutico e spirituale. La prospettiva mariana di Journet meno assimilabile è la sottolineatura del privilegio e dell'onnicomprensione invece della comunione-partecipazione e della specificità. In questo campo Journet resta impigliato nel massimalismo marialogico pre-conciliare.