Famoso santuario di Città del Messico, legato alle cinque apparizioni della "Morenita" nel 1531.

Il racconto delle cinque apparizioni è contenuto in un documento fondamentale redatto in nahualt, la lingua azteca del tempo, composto tra il 1548 e il 1555 da Antonio Valeriano e porta il nome Nican Nopohua. Dieci anni dopo la sanguinosa conquista del Messico da parte degli Spagnoli, all’alba di un sabato del mese di dicembre del 1531, l’indio Juan Diego, si recava da Cuauhtitlán a Tlatelolco per partecipare alla Messa. Passando vicino alla collina del Tepeyac, sente un armonioso canto di uccelli e una voce che lo chiama dolcemente. Salito sulla cima, vede una bellissima Signora che, presentandosi come “la Sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio”, esprime il desiderio che in quel luogo le venga edificata una cappella, da dove potrà offrire amore, compassione, aiuto e protezione, ai messicani ed a tutti i devoti che l’avrebbero invocata con fiducia. Invita, quindi, Juan Diego, a recarsi dal Vescovo di Città del Messico per portargli questo messaggio. Il Vescovo Juan de Zumarraga, non crede al racconto dell’indio che, tornato sul Tepeyac, conferma alla Signora, l’esito negativo dell’incontro. Ma ella lo rimanda più volte dal Vescovo, il quale, alla fine, pretende un “segno” per essere certo dei fatti narrati. Fu così che un giorno, la Signora lasciò crescere sulla collina, tra i cardi di quel terreno roccioso e nel pieno del rigido inverno, delle profumate rose di Castiglia. Insieme al veggente, le raccoglie, le raggruppa a mazzetti e le depone nella sua tilma, un ruvido mantello tessuto con fibre di agave, dicendogli: “Figlio mio, questa è il segno che porterai al Vescovo”. Ritornato da Zumarraga, Juan Diego gli dice: “La Signora del cielo accettò la tua richiesta e la esaudì”. Apre quindi la tilma e, mentre le rose si spargono per terra, su di essa si va via via imprimendo l’immagine della Signora, così come appariva sulla collina.

La prodigiosa “tilma”, che si può ammirare nel Santuario del Tepeyac a Città del Messico, desta da secoli un sempre crescente interesse da parte degli scienziati, perché nasconde degli inspiegabili misteri per la scienza. L’immagine, infatti, sembra dipinta sul ruvido telo senza preparazione di fondo e senza pennellate, con una tecnica mai impiegata nella storia della pittura. Anche gli occhi del dipinto, sembrano essere vivi, perché hanno impressa nelle pupille -  rispettando la legge ottica umana codificata qualche secolo dopo dagli scienziati Giovanni Evangelista Prukynje e Luigi Giuseppe Samson - con immagini dirette e capovolte, la scena in cui Juan Diego dispiega il suo mantello davanti al Vescovo. In base a questa legge, infatti, quando guardiamo un oggetto esso si riflette in ciascun occhio con tre differenti immagini: la prima, grande e diritta nella superficie anteriore e interna della cornea; la seconda, grande e diritta nella superficie anteriore del cristallino; la terza, piccola e rovesciata nella superficie anteriore del cristallino. Così sono le immagini impresse nelle pupille della Morenita le quali, inoltre, corrispondono esattamente alle descrizioni storiche dei personaggi che rappresentano, anche se l’iride misura soltanto da 6 a 8 millimetri!

GRASSO A., Guadalupe, Gribaudi, Milano 1994, Seconda Edizione 2004.