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PERSONA IN RELAZIONE


1. Maria, persona in relazione con la SS. Trinità
L'identità teologico-antropologica di Maria di Nazaret, si definisce in modo particolare (rispetto agli altri uomini/donne) in relazione alle Persone della Trinità Santa: la persona umana totalmente abitata dalla Sapienza di Dio, «icona perfetta di Dio… opera di Dio, prodotto di Dio e produttrice di Dio». Riconoscendo in santa Maria «il santuario e il riposo della Santissima Trinità », tutte le generazioni la chiamano “beata” proprio perché «ha creduto all’adempimento delle parole del Signore» (Luca 1,40), ella è tutta relativa all’Altro – Padre, Figlio, Spirito Santo – e quindi tutta relativa all’altro umano, la più vicina agli uomini perché la più vicina a Dio. Non soltanto considerata in relazione con la Trinità tutta intera, ma anche con il proprium delle Persone divine: alle tre Persone divine vengono rapportati gli aspetti dell’unica Vergine, Madre, Sposa. «In quanto Vergine Maria sta davanti al Padre come recettività pura, e si offre come icona di Colui che dall’eternità è puro ricevere, puro lasciarsi amare, il Generato, l’Amato, il Figlio, la Parola uscita dal silenzio. In quanto Madre del Verbo incarnato, Maria si rapporta a Lui nella gratuità del dono, quale sorgente di amore che dona la vita, ed è perciò l’icona materna di Colui che da sempre e per sempre ha iniziato ad amare, ed è sorgività pura, puro donare, il Generante, la Sorgente prima, l’eterno Amante, il Padre. In quanto arca dell’alleanza nuziale fra il cielo e la terra, Sposa in cui l’Eterno unisce a sé la storia e la ricolma della sorprendente novità del suo dono, Maria si rapporta alla comunione fra il Padre e il Figlio e fra loro e il mondo, e si offre perciò come icona dello Spirito Santo, che è nuzialità eterna, vincolo di carità infinita e apertura permanente del mistero di Dio alla storia degli uomini». Maria ha una partecipazione unica alla paternità del Padre, è madre e discepola del Figlio; tempio, icona e trasparenza dello Spirito. Tutto questo «costituisce l’esperienza trinitaria di lei, che inizia con lo sperimentare l’opera dello Spirito e insieme la concezione di Cristo. Maria le vive ambedue come opera dell’Altissimo». In questo senso i legami specifici di Maria con le Persone della Trinità Santissima si fondano sul fatto che lei ha dato la nascita umana all’unigenito Figlio di Dio. In questa prospettiva sta anche la presentazione biblica di Maria: una testimonianza che ha i caratteri dell’icona, insieme narrativa e simbolica; tale deve dunque essere la mariologia che, in obbedienza alla Parola di Dio, voglia scrutare nella donna eletta da Dio il Mistero in lei offerto, l’icona della “Madre del Signore”. Sono dunque da evidenziare i fondamenti scritturistici che permettono di scorgere in Maria, la madre di Gesù, una persona perfettamente riuscita, giusta (nel senso propriamente biblico di persona che realizza nella vita profonde relazioni con Dio e con fratelli/ sorelle), santa (in relazione e imitazione dell’Unico “tre volte santo” e nella comunione del “popolo santo”, la santità della Chiesa trova in Maria il suo prototipo: Lumen Gentium, 63).

2. Maria, modello antropologico
Nel progetto creativo di Dio (cfr. Genesi 1,26) uomo e donna sono “imago Trinitatis” in quanto esseri personali, dotati di autonomia (essere-in-sé) e di relazione (essere-per), di autopossesso (introspezione) e di autodonazione (oblazione); sono icona della Trinità, lì dove ogni persona divina è con l’altra (comunione), nell’altra (pericoresi) e per l’altra (dono). Nella nuova creazione, il Verbo incarnato, archetipo del primo Adamo, svela infine l’essere personale dell’uomo: superata la distanza provocata dal peccato, l’uomo diviene capace di dialogo con Dio e chiamato a realizzarsi nel rapporto d’amore con gli altri; l’antropologia ha dunque nel mistero di Cristo la sua chiave definitiva di interpretazione e di comprensione, sicché il mistero dell’uomo è ripensato a partire dal mistero trinitario. In Colossesi 1,13-20 («Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui… e tutte in lui sussistono […]. In lui abita tutta la pienezza, per mezzo di lui e in vista di lui sono riconciliate tutte le cose») la relazione Cristo-Uomo è espressa con tre preposizioni: per mezzo indica la mediazione di Cristo nell’atto creatore (via cosmologica), il per afferma la ricapitolazione di tutto (via antropologica), l’in sottolinea l’aspetto ontologico nel quale Cristo appare come il luogo e la condizione di possibilità dell’uomo e dell’intera creazione (via ontologicometafisica). Questa incorporazione e inclusione degli uomini in Cristo è realizzata mediante lo Spirito Santo. In tale prospettiva cristico-pneumatica «non è più l’uomo che si sente a immagine di Dio, ma è l’esistenza in Dio di un’immagine archetipa che rende in primo luogo possibile l’esistenza stessa dell’immagine umana». È infatti nel mistero del Dio personale, nel quale le Persone sono “relazione pura” e “assoluta donazione”, che si svela il mistero di Cristo e dell’uomo nella sua unicità, singolarità. «Tutto il lavoro religioso – scriveva Guardini nel 1953 – si dovrebbe concentrare nel dimostrare che solo con Dio e in Dio l’uomo è uomo», il mistero della persona umana si illumina, in ultima istanza, soltanto alla luce del mistero di Cristo e del mistero trinitario di Dio, come a dire, «il mio “io” è dunque il “tu” di Dio e può essere un “io” solo perché Dio vuol farsi un “Tu” per me». In queste considerazioni di antropologia biblica, dove radice e fondamento della comprensione dell’uomo è la Trinità Santissima, dove le strutture dell’uomo in quanto creatura presuppongono già il mistero trinitario di Dio, viene messa in luce l’esemplarità di Maria, la madre di Gesù: in lei la persona umana raggiunge il vertice della realizzazione del progetto di Dio unitrino e della santità comunicata, in lei l’elemento peculiare della creaturalità – persona come grazia (dono e donazione) – raggiunge la sua massima espressione, «Ella costituisce veramente un simbolo di sintesi della proposta antropologica cristiana».

3. Maria modello di etica relazionale per le donne e gli uomini d’oggi

 Come ha ricordato il Vaticano II, «esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana» (Unitatis Redintegratio, 11), essendo dunque tutte legate allo stesso fondamento, vi è un nexus mysteriorum, una sinfonia della fede, per cui nessun verità sta a se stante, ma l’una con l’altra, nell’altra e per l’altra («la verità è sinfonica»). occorre dunque sviluppare una “teologia relazionale”, non soltanto all’interno della teologia cristiana e della ricerca ecumenica, ma anche nel dialogo interreligioso e nel contesto del pluralismo culturale, in modo che anche la teologia dia un contributo alla missione della Chiesa cattolica (universale) di evangelizzazione e inculturazione della fede (“teologia dell’inculturazione”). Per questo anche quella espressione della teologia cristiana che è la mariologia, deve essere una disciplina in relazione: la svolta storico-salvifica, indotta dal suddetto Concilio, ha superato una mariologia a sé stante, non inserita nel mistero di Cristo e della Chiesa, e ha aperto le porte appunto per una “mariologia in relazione”, in relazione innanzitutto con il fondamento che è l’evento Gesù Cristo quale rivelazione escatologica dell’amore trinitario di Dio, e con tutte le dimensioni della fede (antropologia, ecclesiologia, escatologia…). In tal modo il discorso sulla Madre del Signore svolge sempre un compito mistagogico e introduce a una più profonda intelligenza del mistero di Dio unitrino che attraverso il Cristo e il dono dello Spirito porta a compimento – alla gloria – il progetto della creazione. Inoltre la teologia e la stessa mariologia vanno sempre approfondite anche tenendo conto del contesto culturale in cui si opera, allora trovano giusta collocazione sia la riflessione su Maria e le domande attuali dell’etica relazionale, sia quella sulla relazionalità (di Maria) nel contesto storico-culturale del nostro tempo. Queste riflessioni aprono la possibilità di sviluppare una teoria critica (filosofica e sociologica, sullo stile della Scuola di Francoforte) nei confronti dei paradigmi antropologici dell’occidente, imposti oggi, più che da correnti letterarie, da scuole filosofiche e dalla religione, soprattutto dall’invasivo potere del circolo mediatico (longa manus di grandi potentati e di lobbies che tendono a controllare, economia e finanza, politica e società, media e spettacoli), organi della disinformatia che vorrebbero imporre la figura d’uomo a una sola dimensione, quella consumistica/edonistica, che si dimena fra il mondo dei profitti e il mondo dei conflitti, fra delirio di onnipotenza e disperazione annichilente. In effetti, la parabola della modernità e della sua concezione antropologica sembra giunta al capolinea: partita dal «cogito ergo sum» di R. Descartes (in cui non compare la relazione all’altro), è sfociata nell’esacerbato individualismo borghese da un lato, e in un violento collettivismo dall’altro, entrambi chiusi in se stessi (“pieni di sé”, cioè vuoti) e privi di alterità (l’Altro e gli altri); movimenti che hanno caratterizzato il cosiddetto “secolo breve”, breve soltanto per le vittime dei genocidi che ideologie totalitarie, violente e aberranti hanno perpetrato. Infine, nella tarda modernità (detta anche postmoderno) l’uomo appare come espressione di un nichilismo soft, debole non solo nel pensiero, consumista senza un perché, secondo i grandi interessi omologato a un “io minimo” (in cui si fa credere di essere liberi pensatori, mentre si è intruppati nell’uomo a una sola dimensione), in una società “liquida” che, rinunciando al pensiero del definitivo, stravolge e svuota lo stesso concetto vitale di amore. La profezia di Nietzsche è qui realizzata e superata: con la morte di Dio si è estinto innanzitutto il suo assassino. Per questo, dopo il secolo degli ateismi, o meglio, delle idolatrie totalitarie e violente – che hanno tentato di eliminare la questione teologica dal cuore dell’uomo –, è oggi particolarmente importante e urgente affrontare la questione antropologica, in modo da liberare l’antropologia stessa da quelle aporie e ristrettezze che hanno condotto all’individualismo e al collettivismo, prima che gli uomini vengano affogati nella melma dell’in-differenza (proprio per l’inscindibile legame tra questione teologica e questione antropologica, dall’ateismo e dall’indifferenza religiosa all’a-umanesimo e all’indifferenza antropologica: il passo è assai breve). ora, proprio le presenti riflessioni hanno mostrato come sia possibile e per certi versi doveroso esprimere attraverso la teologia e la mariologia una critica sia verso l’ideologia moderna sia verso il nichilismo postmoderno. Intanto perché la stessa filosofia ha ricuperato, almeno in certe sue correnti, la struttura dell’essere umano dove il legame dialettico tra ipseità e alterità è il più fondamentale per il formarsi della persona: essendo la relazionalità costitutiva dell’essere persona (come già nelle persone divine della Santa Trinità), l’uomo si realizza come persona soltanto nel movimento di apertura e di dono di sé all’altro: «amo, ergo sum» (come dice E. Mounier), perché l’amore è il luogo della rivelazione dell’essere. Così come la filosofia ha ripensato temi antropologicamente essenziali quali il corpo e la sessualità, quali il male (I. Kant, J. Nabert, P. Ricoeur), il desiderio e la speranza (E. Bloch, J. Moltmann), l’amore (J. L. Marion) fino all’elaborazione (in diversi autori: M. Picard, R. Guardini, I. Mancini, F. Ebner), di una filosofia del volto: il volto custodisce l’ineliminabile segreto e mistero della persona e ne è insieme l’epifania e la rivelazione: «Dio è imperscrutabile per il fatto stesso di mostrarsi e anzi più si manifesta e più diventa imperscrutabile. Il volto umano è l’immagine di Dio e la sua imperscrutabilità ha la sua origine in Dio». È dunque quanto mai rilevante presentare Maria di Nazaret quale paradigma antropologico, paradigma dell’essere umano in Cristo: ella è la donna nuova, la persona conforme a Cristo, colei che nella risposta responsabile al messaggero divino segna «la data di nascita della personalità cristiana». Maria è persona aperta a Dio e agli altri, consapevole che «all’inizio è la relazione», consapevole che, superando l’egocentrismo (il narcisismo, vera forma di idolatria), «la persona si manifesta entrando in relazione con altre persone» e che la cosa più importante è che il dialogo con gli altri favorisca l’incontro con Dio: «in ogni tu ci appelliamo al Tu eterno». Maestra in umanità, Maria si dà come modello per tutti gli esseri umani (donne e uomini) e per la donne in particolare. Ella diviene il prototipo della persona credente e del cristiano perfetto: «Se il cristianesimo nella sua forma più piena – scrive K. Rahner – è il puro accoglimento della salvezza di Dio eterno e trino che appare in Gesù Cristo, Maria è il perfetto cristiano, l’essere umano totalmente cristiano, perché nella fede dello spirito e nel suo seno benedetto, dunque con il suo corpo e la sua anima e tutte le forze del suo essere, ha ricevuto e accolto il Verbo del Padre». Per questo l’annuncio e la testimonianza cristiana propone Gesù il Cristo, nuovo Adamo, «ανηρ τελειος» (Efesini 4,13; «ανθρωπος τελειος εν Κριστω»: Colossesi 1, 28; cfr. Romani 8,29), la persona che, ricolma di Spirito, si realizza nelle relazionali profonde e indistruttibili: Gesù è “vero uomo” e “vero Dio”. Egli è tale perché «ha amato sino alla fine», e, morendo in croce ha trasformato la morte: la croce di Gesù, infatti, significa che nel cuore dell’irrelazionalità della morte nasce un “nuovo rapporto” di Dio con l’uomo. «Il nuovo rapporto consiste nel fatto che Dio stesso subisce l’irrelazionalità della morte che aliena da Lui gli uomini. Dio si inserisce proprio là dove si spezzano i rapporti e le relazioni vengono meno. E in questo disinteressato esporsi di Dio si rivela la sua stessa essenza: dove tutte le relazioni sono state interrotte, solo l’amore ne crea di nuove». Per questo, la conformità a Gesù, che morendo e risorgendo dona lo Spirito, conduce ogni uomo e ogni donna alla piena realizzazione di un’antropologia bella, buona, vera, ricca «delle cose che rimangono» (1 Corinzi 13,13): la fede, la speranza e – più grande di tutti – l’amore. Le persone che riconoscono e credono all’amore che Dio ha per noi, «dimorano in Dio e Dio dimora in loro» (1 Giovanni 4,16), cioè vivono nella pienezza dell’Eterno. Un tale sviluppo comporta dunque un ripensamento radicale dell’antropologia, in cui emerge la struttura dell’immagine trinitaria, che traluce in filigrana nei rap- porti fondamentali tra l’anima e il corpo, tra l’uomo e la donna e tra l’individuo e la comunità. Qui il cristianesimo propone Maria, «la faccia che a Cristo più si somiglia», colei che nobilita tanto l’umanità che il Creatore «non disdegnò di farsi sua fattura», colei che Balthasar chiama «l’archetipo antropologico-ecclesiologico». Dunque Maria si dà come persona riflessiva e “simbolica” (la «συμβαλλουσα»: Luca 2,19), libertà che diviene e centro di responsabilità, tutta relativa a Dio unitrino e agli uomini, la credente che progredisce nel cammino di perfezione, «mensa intellettuale della fede» e modello educativo (sia per il discente sia per il docente), che vive la propria vita come pro-esistenza in un contesto di relazionalità e di comunione. La donna e l’uomo sono a immagine di Dio, chiamati a donarsi con tutte le loro potenzialità in sinergia con l’ammirabile scambio d’Amore trinitario che il Cristo ci ha aperto sulla croce. Maria è l’icona perfetta e archetipa di questo mistero della persona umana. Il richiamo alla Trinità Santa e l’esempio di Maria sono di sprone affinché le donne e gli uomini non vivano l’uno accanto all’altra e l’una accanto all’altro, ma «l’uno con l’altro, per l’altro e nell’altro», a immagine di Dio che è “agape trinitaria” (dono interpersonale/donazione reciproca, accoglienza e risposta riconoscente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo) e come frutto della partecipazione alla vita e all’essere stesso di «Θεoς Αγαπη».

Bibliografia

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