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Dal libro di Michael Heselmann, Maria di Nazareth. I luoghi, i tempi, le persone della sua vita, Edizioni Paoline, Milano 2014, pp. 363-370.



Secondo un pregiudizio molto diffuso, la venerazione di Maria sarebbe iniziata soltanto con il Concilio di Efeso del 431, quando Maria fu definita «Madre di Dio» per tutti i credenti. I dogmi, però, non sono in alcun modo delle innovazioni di teologi o di papi creativi; essi sono piuttosto la conferma, da parte del magistero, di ciò che da sempre ha Chiesa crede. Così, anche i due ultimi dogmi mariani si basano su riflessioni teologiche e su tradizioni dei primi secoli.

In realtà la devozione mariana è antica quanto la Chiesa. Anche Joseph Ratzinger, nel suo libro su Maria La figlia di Sion, ricorda che «è il vangelo stesso a profetizzare e a chiedere ha venerazione di Maria: "Ecco, d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1,48). Questo è un compito della Chiesa. Le parole scritte al riguardo da Luca presuppongono che la lode di Maria esistesse già nella Chiesa del suo tempo e che egli la ritenesse un compito della Chiesa per tutte le generazioni future». Allo stesso tempo Luca ci presenta Elisabetta come la prima a cantare le lodi di Maria. Ad Ain Karem - piena di Spirito Santo, come nota espressamente l'evangelista! - esclama: "Benedetta tu fra le donne..." e chiama la giovane vergine, sua nipote, "Madre del mio Signore" (Lc 1,42-43). Se si pensa che per una pia ebrea c'era soltanto un Signore, cioè Dio stesso, allora si vede come il primo titolo mariano, Genitrice di Dio o Madre di Dio, trova qui la sua vera origine. Anche in altri passi Luca delinea i tratti di un'antichissima venerazione mariana, come quando cita le parole di «una donna dalla folla» che grida: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato! " (11,27). La reazione di Gesù non è aspra, ma contrappone all'aspetto biologico-quotidiano qualcosa di diverso, che è ciò che ha reso Maria veramente unica: la sua obbedienza, la sua disponibilità incondizionata al Fiat: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano" (Lc 11,27-28).

Fra i primi testimoni della venerazione a Maria c'è anche Paolo che forse era presente anche alla dormizione della Madre di Dio, quando, nel 48, prese parte al Concilio degli apostoli. Poco dopo, probabilmente l'anno seguente, compose la Lettera ai Galati, che è considerata dai teologi il più antico scritto cristiano. Qui, nella sua breve presentazione della storia della salvezza, riserva a Maria un posto decisivo: « Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge... » (Gal 4,4).

É poi l'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni, a fare l'apoteosi di Maria. Ora lei non è soltanto la serva di Nazareth e la Madre del Signore, ma la personificazione del vero Israele, nella quale il popolo di Dio dell'antica e della nuova alleanza (cioè Israele e la Chiesa) sono una cosa sola. In quanto tale, lei, diventa un segno apocalittico, il «segno nel cielo»: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto» (Ap 12,1-2). Poi lei si oppone al drago che minaccia di divorare suo figlio. Infine «il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a fare guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù» (12,17).

Giovanni, che mise per iscritto le sue visioni sull'isola di Patmos, intorno all'anno 95, si collega direttamente al libro del profeta Daniele, riprendendone le immagini. Dopotutto, Gerusalemme era stata distrutta venticinque anni prima da Tito. Fu proprio in quel momento che «i santi» furono «dati in mano per un tempo, due tempi e metà di un tempo» al re che seguì i dieci re sorti «da quel regno», come si dice in Daniele. Però, poi, non fu tenuto «il giudizio», né «tolto il potere» a quel re, il quale non fu neppure «sterminato e distrutto completamente», come invece aveva predetto il settimo capitolo del libro profetico. La parusia, vale a dire il ritorno di Cristo, atteso così ardentemente dai cristiani, tardava. Daniele si era dunque sbagliato? Forse «il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo» non venivano dati «al popolo dei santi dell'Altissimo»? Giovanni riuscì a interpretare correttamente le immagini del profeta. Egli aveva ancora nelle orecchie le parole di Gesù: «il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Anche se l'antico Israele era stato duramente colpito, anche se il tempio di Erode era distrutto, il nuovo Israele, la Chiesa, nonostante tutte le tribolazioni appariva radioso e vittorioso come la donna della sua visione. La distruzione di Gerusalemme aveva ulteriormente accelerato per la Chiesa il taglio del cordone ombelicale e la sua apertura al mondo intero. Già allora il vangelo veniva annunziato dalla Spagna all'India, dalla Germania all'Etiopia, dunque in tutti i tre continenti del mondo allora conosciuto. Non c'era persecuzione, per quanto feroce, non c'era imperatore, per quanto furioso e diabolico, che potesse arrestare questo cammino. Alla fine si avverava per il nuovo Israele, la Chiesa, ciò che era stato predetto dal profeta: il suo «regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno» (Dn 7,27). Con l'Apocalisse di Giovanni, discepolo che Gesù amava e figlio affidato a Maria, la mariologia diventò definitivamente ecclesiologia, riflessione sulla natura della Chiesa. Da allora in poi i fedeli, specialmente nei tempi di persecuzione, si misero sotto la protezione del mantello della Madre di Dio, che era anche loro Madre.

Chiunque voglia farsi un'idea di quanto fosse profonda la venerazione per Maria dei primi cristiani non deve fare altro che andare a Roma. Li, a nord della città eterna, vicino alla via Salaria, si trova una delle catacombe più antiche. Porta il nome della sua fondatrice, Priscilla, che in una iscrizione funebre viene presentata come moglie di Manlius Acilius Verus e clarissima femina (donna illustrissima), titolo onorifico che nell'antica Roma spettava soltanto a chi faceva parte di una famiglia senatoriale. Nello storiografo romano Svetonio leggiamo che, sotto l'imperatore Domiziano, la famiglia di suo marito fu accusata di «voler introdurre nuove cose», intendendo con ciò molto probabilmente il cristianesimo. Intorno alla metà del secolo II, proprio questa Priscilla donò un terreno della sua famiglia alla Chiesa romana, che vi costruì un Coemeterium, un luogo di sepoltura sotterraneo, appunto questa catacomba. Essa fu utilizzata fino al secolo VI, sette papi e numerosi martiri dei tempi delle persecuzioni vi trovarono il luogo del loro ultimo riposo. Ma ciò che rende ancor più interessante le catacombe di Priscilla sono i loro affreschi, che fanno parte delle testimonianze più antiche dell'arte cristiana. Uno dei più belli mostra Maria che tiene in grembo Gesù Bambino; è dei primi anni del secolo III. Davanti a lei c'è Balaam, veggente e profeta dell'epoca dell'Esodo, che indica con la mano destra una stella. É la stella del Messia, la stella da lui preannunziata, la stella di Betlemme, la supernova del 5 a.C. Maria è seduta, indossa una stola, dalle maniche lunghe, e una palla, che le copre il capo, inclinato con tenerezza materna verso il bambino. E un'immagine notissima, che è stata copiata da migliaia di artisti, diventando un simbolo del cristianesimo delle origini. Tuttavia, essa non è 1'immagine mariana più antica di queste catacombe Procedendo oltre di un paio di stanze, si arriva nel luogo forse più bello di tutto l'antico cimitero, la Cappella greca, che deve il suo nome a due iscrizioni greche. Le sue ricche decorazioni riprendono i momenti più significativi della storia della salvezza, fra i quali sono rappresentati il sacrificio di Abramo, i profeti Mosè e Daniele, ma anche i cristiani raccolti insieme per la cena eucaristica. Il motivo principale, però, rappresentato nella parte centrale della volta, è la scena che ci è più familiare. Mostra ancora Maria con il bambino fra le braccia, ora però durante l'adorazione dei magi, riconoscibili dai loro berretti frigi. Anche se i colori sono un po' sbiaditi, e molti dettagli sono scomparsi, l'immagine è quanto mai significativa. L'affresco, infatti, è senza ombra di dubbio della seconda meta del secolo II, ed è così la più antica rappresentazione mariana del mondo. Il fatto che ancora oggi, dopo migliaia di anni, quasi chiunque riconosca a prima vista questo motivo, rivela molto sulla continuità dell'arte cristiana. Ma ancor più di questa rappresentazione di Maria come madre, per i primi cristiani delle catacombe è frequente la rappresentazione di Maria in preghiera, secondo l'immagine allora comune dell'orante con le mani alzate, come avviene nell'icona dell'Advocata. Già allora si confidava nella forza della sua intercessione. Non sorprende, quindi, che anche il muro dei graffiti che si trova accanto alla tomba di Pietro, sulla quale Costantino fece erigere la grande basilica romanica prima che seguisse nel rinascimento la basilica michelangiolesca, ci siano delle invocazioni alla Madre di Dio, incise su di esso dai cristiani del secolo III. Già allora ci si rivolgeva a lei con invocazione greca nika o con quella latina vince, che significano «vinci», e la si venerava insieme con Cristo.

Una testimonianza di tutt'altro genere della devozione mariana dei primi cristiani fu scoperta in Egitto nel 1917. Si tratta di una breve preghiera in lingua greca che, scritta su un papiro, fu lasciata nella tomba di un defunto. Sotto il nome di Papyrus 470, finì in una rinomata collezione britannica, la John Rylands Library, a Manchester e fu pubblicato per la prima volta nel 1938. I papirologi lo hanno datato alla prima meta del secolo III, il che ha del sensazionale. Infatti, questa preghiera è recitata ancora oggi come antifona mariana tanto nella Chiesa greco-ortodossa quanto in quella romano-cattolica. Qui è nota con il nome Sub tuum praesidium, dalle parole latine iniziali. In italiano viene recitata solitamente secondo questa versione: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Questa invece è una traduzione del testo originale del papiro: «Sotto la tua misericordia ci rifugiamo, genitrice di Dio. Non respingere la nostra supplica nel momento del bisogno, ma salvaci dal pericolo, tu che sola sei pura e benedetta». Si era sempre creduto, fino a ora, che il titolo di «Genitrice di Dio», che si trova nella dichiarazione del Concilio di Efeso, risalisse ai padri cappadoci del secolo IV o al sinodo di Antiochia del 324/5. Per questo, alcuni teologi zelanti hanno cercato di datare diversamente il papiro; si diceva che poteva essere solo della seconda metà del secolo IV o eventualmente di un'epoca successiva Ma i papirologi si sono opposti, la loro datazione è indubitabile. Così l'opinione odierna è che la preghiera risalga alla persecuzione avvenuta sotto Settimio Severo (dopo il 202) o Sotto Decio (250). Però potrebbe essere ancora più antica. Questa, che è la più antica delle preghiere a Maria, è anche la più bella. Testimonia la fiducia che i cristiani di tutti i tempi hanno sempre riposto nell'intercessione della Madre di Dio. Questa è stata la fede che li ha sostenuti nei momenti del bisogno e della persecuzione, fede nella quale sono sempre stati confermati da tante preghiere esaudite, poiché Maria, ne sono sempre stati certi, non li ha mai abbandonati. Lei è stata sempre la nostra Madre e lo sarà per l'eternità.

Inserito Sabato 22 Maggio 2021, alle ore 18:51:49 da latheotokos
 
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