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  Maria, la Nuova Eva 
Patristica

Un articolo di Roberto Spataro dello Studium Theologicum Salesianum di Gerusalemme, in Maria Ausiliatrice, anno XXVIII, n. 11 - dicembre 2007, pp. 16-17.



Tutti ricordiamo la storica visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga ebraica di Roma nel 1986. Nell’anno del grande Giubileo del 2000, lo stesso Papa si recò a Gerusalemme e pregò dinanzi al simbolo della spiritualità giudaica, il Muro del Tempio. Questi due gesti hanno contribuito a rendere gli Ebrei meno severi nei confronti dei Cattolici. Nei primi secoli della vita della Chiesa, invece, la situazione era ben diversa e gli Ebrei si mostravano molto ostili nei confronti dei Cristiani. Per questo motivo, un filosofo palestinese, educato alla cultura greca, una volta diventato cristiano, scrisse un’operetta per mostrare agli Ebrei che il rifiuto che essi opponevano al Cristianesimo era immotivato. Questo filosofo è anche uno dei Padri della Chiesa, Giustino, che morì poi martire nel 165. Il titolo dell’opera è Dialogo con Trifone. Questo è il nome del rabbino giudeo a cui si rivolge. Trifone conosceva molto bene l’Antico Testamento, come Giustino aveva potuto appurare nelle conversazioni che ebbe con questo maestro dell’ebraismo antico ad Efeso, la grande città, oggi in territorio turco e dove, ai tempi di Giustino, erano presenti una fiorente comunità cristiana e un folto gruppo di Ebrei. Ricordando quelle discussioni, Giustino, qualche anno dopo, scrisse il suo Dialogo, citando molti passi dei Libri Sacri, venerati dagli Ebrei, che noi cristiani chiamiamo Antico Testamento. Voleva così dimostrare come essi annunciavano con numerose profezie ciò che si sarebbe poi realizzato in Cristo. Seguendo questo procedimento, introdusse un paragone tra la Vergine Maria con un personaggio importante del libro della Genesi, Eva. Lo scopo di Giustino è quello di dimostrare non solo l’eccellenza della Madonna ma anche il suo ruolo fondamentale nella storia della salvezza, che proprio in Cristo, il Figlio di Maria, ha trovato il suo compimento. Scrive Giustino: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per mezzo della Vergine, affinché la disobbedienza provocata dal serpente fosse annullata attraverso la stessa vita per la quale prese inizio. Come infatti Eva, che era vergine e incorrotta, dopo aver accolto la parola del serpente, partorì disobbedienza e morte, allo stesso modo Maria, la Vergine, avendo ricevuto dall’Angelo Gabriele il buon annuncio che lo Spirito Santo sarebbe disceso su di lei e che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata, concepì fede e gioia, per cui il nato da lei sarebbe stato il Figlio di Dio”. Sono solo poche righe eppure la loro importanza, nella storia della teologia mariana, è notevolissima. Giustino contrappone due scene: il peccato di origine e l’Annunciazione, Eva e Maria. Questa contrapposizione serve a far risaltare il contributo di Maria all’opera redentrice di suo Figlio. Tale contributo è consistito soprattutto in un atteggiamento spirituale, la sua obbedienza alla Parola di Dio. Questa obbedienza, impreziosita dal fatto che nasceva da un cuore verginale, ha reso possibile l’Incarnazione per opera dello Spirito Santo. Giustino lascia intendere che il “sì” di Maria all’annuncio dell’Angelo ha veramente cambiato la direzione della storia: non più morte per l’anima e per il corpo, la triste sorte degli uomini senza l’Incarnazione, ma vita, fede e gioia! Con questo raffronto tra Eva e Maria, Giustino fa capire che nella storia della salvezza, raccontata nella Bibbia, esiste una legge. Questa legge è l’analogia. Che cosa significa? Significa che i vari eventi con cui Dio chiama l’uomo alla salvezza si richiamano e si integrano a vicenda. Tutti però convergono verso Cristo, il centro e il perfetto compimento della salvezza. In questo intreccio di eventi e parole, la Madonna è presente con un suo ruolo insostituibile e indispensabile. La Tradizione cristiana, a partire da Giustino, ha incessantemente scrutato le Scritture per trovare adombrata la figura della Madonna in tanti episodi della Bibbia, proprio come l’autore del Dialogo a Trifone era riuscito a scoprire nel parallelismo tra Eva e Maria.

Il contributo di Ireneo

Questo paragone piacque tanto ai successivi Padri della Chiesa che uno di loro, Ireneo di Lione, non molti anni dopo Giustino, lo riprese e lo approfondì. Ireneo scrisse un’opera voluminosa in cinque libri, intitolata “Contro le eresie”. Negli anni in cui egli visse, nella seconda parte del secondo secolo, gli gnostici stavano confondendo le menti di molti cristiani, facendo una specie di “minestrone religioso”. Essi, infatti, mescolavano elementi della Rivelazione cristiana con i miti pagani e con dottrine della filosofia greca. Una delle conseguenze del loro insegnamento era questo: per ottenere la salvezza, Cristo non era necessario, si poteva comprendere Dio e le sue molteplici manifestazioni e salvarsi facendo ricorso alle proprie forze, in particolar modo alla propria capacità di “conoscere”. Lo gnosticismo era una specie di new age ante litteram. Pericoloso quello, pericoloso questo. Ireneo, che era dotato di una grande capacità di contraddire i suoi avversari, riesce a mostrare come tutta la storia dell’umanità si ricapitola, si riassume in Cristo e nella sua opera di redenzione. Ed ecco che, a questo punto, anche Ireneo paragona Maria ad Eva e, a differenza di Giustino, aggiunge anche un secondo parallelismo che spiega meglio il primo, Cristo ed Adamo. “Era conveniente e giusto che Adamo fosse ricapitolato in Cristo, affinché la morte fosse assorbita nell’immortalità e che Eva fosse ricapitolata in Maria, affinché la Vergine, divenuta avvocata di un’altra vergine, potesse annullare e distruggere, con la sua verginale obbedienza, la disobbedienza verginale”. Questo passo di Ireneo, ed altri ancora simili a questo, illustrano un principio basilare della fede: Cristo ci ha procurato la salvezza e, per disegno del Padre, ha voluto la Madonna accanto a sé, come sua cooperatrice. Nei secoli successivi, la teologia cattolica ha adoperato un’espressione molto forte per spiegare questa cooperazione di Maria: corredenzione. Per i Padri della Chiesa, questo contributo della Vergine Maria all’opera del Nuovo Adamo, cioè suo Figlio il Cristo, “appariva giusto e conveniente”, come si esprime Ireneo nel passo che abbiamo citato. Non ci sfugga che in questo brano sant’Ireneo attribuisce alla Madonna un titolo che sarebbe poi diventato molto comune tra i cristiani. Chiama la Madonna “avvocata”. Non ci spiega ancora in che cosa consista questa sua prerogativa. È un compito che sarà illustrato successivamente: la Madonna intercede per i peccatori, che come Eva non obbediscono alla Parola di Dio. Uno studioso contemporaneo, commentando l’insegnamento di Ireneo sulla Madonna, osserva: “La dottrina attuale circa la collaborazione di Maria alla redenzione degli uomini e alla mediazione della grazia divina ha le sue lontane ma visibili radici nell’insegnamento del grande vescovo di Lione”. E a questo giudizio volentieri ci associamo: una meravigliosa sinfonia canta le lodi di Maria, essa è iniziata nei primi anni della storia della Chiesa con i Padri della Chiesa, e viene, lungo i secoli e senza sosta, proseguita da tutti i grandi devoti della Madonna.

Inserito Mercoledi 1 Agosto 2012, alle ore 17:43:03 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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