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AMBROGIO DI MILANO



1. Cenni biografici
Aurelio Ambrogio nacque nel 339-340 da una importante famiglia senatoria romana (la famiglia degli Aurelii, da parte materna, la famiglia dei Simmaci, da parte paterna), a Treviri (Gallia), dove il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio delle Gallie. La famiglia di Ambrogio era cristiana da alcune generazioni ed egli fu terzogenito dopo due fratelli, Marcellina (consacratasi a Dio nelle mani di papa Liberio nel 353) e Satiro, anch'essi venerati poi come santi. Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua morte prematura frequentò le migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivio e del quadrivio (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica), partecipando poi alla vita pubblica della città. Dopo cinque anni di avvocatura a Sirmio, nel 370 fu incaricato quale governatore della provincia romana dell'Emilia-Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni. Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di Milano, la delicata situazione di contrasto tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa.  Ambrogio, nonostante fosse di fede cristiana, rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di teologia. Paolino racconta che, al fine di desistere il popolo di Milano dalla sua nomina a vescovo, Ambrogio provò anche a macchiare la buona fama che lo circondava, ordinando la tortura di alcuni imputati e invitando in casa sua alcune prostitute; ma, dal momento che il popolo non recedeva nella sua scelta, egli tentò addirittura la fuga. Quando venne ritrovato, il popolo decise di risolvere la questione appellandosi all'autorità dell'imperatore Flavio Valentiniano, cui Ambrogio era alle dipendenze. Fu allora che quest'ultimo accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti, e decise di farsi battezzare secondo la fede cattolica: nel giro di sette giorni ricevette il battesimo e, il 7 dicembre 374, venne ordinato vescovo. Riferendosi alla sua elezione, egli scriverà poco prima della morte:  « Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami ». Nonostante, come scrisse più tardi, si sentisse «rapito a forza dai tribunali e dalle insegne dell'amministrazione al sacerdozio», dopo la nomina a vescovo Ambrogio prese molto sul serio il suo incarico e si dedicò ad approfonditi studi biblici e teologici. Quando divenne vescovo, adottò uno stile di vita ascetico, elargì i suoi beni ai poveri, donando i suoi possedimenti terrieri (eccetto il necessario per la sorella Marcellina). Uomo di grande carità, tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei cittadini affidati alle sue cure. Ad esempio, Sant'Ambrogio non esitò a spezzare i Vasi Sacri e ad usare il ricavo dalla vendita per il riscatto di prigionieri. Di fronte alle critiche mosse dagli ariani per il suo gesto, egli rispose che «è molto meglio per il Signore salvare delle anime che dell'oro. Egli infatti mandò gli apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese. [...] I sacramenti non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell'oro ciò che non si compra con l'oro».  La sua sapienza nella predicazione e il suo prestigio furono determinanti per la conversione nel 386 al cristianesimo di Sant'Agostino, di fede manichea, che era venuto a Milano per insegnare retorica. Ambrogio fece costruire varie basiliche, di cui quattro ai lati della città, quasi a formare un quadrato protettivo, probabilmente pensando alla forma di una croce. Esse corrispondono alle attuali basiliche di San Nazaro, di San Simpliciano, sulla parte opposta, di Sant'Ambrogio  e di San Dionigi. Il ritrovamento dei corpi dei Santi martiri Gervasio e Protasio è narrato dallo stesso Ambrogio, che attribuisce il merito del ritrovo ad un presagio, per il quale egli fece scavare la terra davanti ai cancelli della basilica (oggi distrutta) dei santi Felice e Nabore. Al ritrovamento dei corpi seguì la loro traslazione (secondo un rito importato dalla chiesa orientale) nella Basilica Martyrum; durante la traslazione, si racconta (è lo stesso Ambrogio a riportarlo) che un cieco di nome Severo riacquistò la vista. Il ritrovamento del corpo dei martiri da parte del vescovo di Milano diede grande contributo alla causa dei cattolici nei confronti degli ariani, che costituivano a Milano un gruppo nutrito e attivo e negavano la validità dell'operato di Ambrogio, di fede cattolica.

2. Opere e attività
Ambrogio fu autore di diversi inni per la preghiera, compì fondamentali riforme nel culto e nel canto sacro, che per primo introdusse nella liturgia cristiana. L'importanza della sede occupata da Ambrogio, teatro di numerosi contrasti religiosi e politici, e la sua personale attitudine di uomo politico lo portarono a svolgere una forte attività di politica ecclesiastica. Egli scrisse infatti opere di morale e teologia in cui combatté a fondo gli errori dottrinali del suo tempo; fu inoltre sostenitore del primato del vescovo di Roma, contro altri vescovi (tra i quali Palladio) che lo ritenevano pari a loro. Si mostrò in prima linea nella lotta all'arianesimo, che aveva trovato numerosi seguaci a Milano e nella corte imperiale. Si scontrò per questo motivo con l'imperatrice Giustina, di fede ariana e probabilmente influì sulla politica religiosa dell'imperatore Graziano che, nel 380, inasprì le sanzioni per gli eretici. Il momento di massima tensione si ebbe nel 385-386 quando, dopo la morte di Graziano, gli ariani chiesero insistentemente con l'appoggio della corte imperiale una basilica per praticare il loro culto. L'opposizione di Ambrogio fu energica tanto che rimase famoso l'episodio in cui, assieme ai fedeli cattolici, "occupò" la basilica destinata agli ariani finché l'altra parte fu costretta a cedere. Fu in questa occasione, si racconta, che Ambrogio introdusse l'usanza del canto antifonale e della preghiera cantata in forma di inno, con lo scopo di non fare addormentare i fedeli che occupavano la basilica. Fu inoltre determinante per la vittoria di Ambrogio nella controversia con gli ariani il ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e Protaso, che avvenne proprio nel 386 sotto la guida del vescovo di Milano, il quale guadagnò in questo modo il consenso di gran parte dei fedeli della città. Ambrogio fu forte avversario del paganesimo "ufficiale" romano, che dimostrava in quegli anni gli ultimi segni di vitalità; per questo motivo si scontrò con il senatore Simmaco che chiedeva il ripristino dell'altare e della statua della dea Vittoria rimossi dalla Curia romana, sede del Senato, in seguito a un editto di Graziano nel 382. Il potere politico e quello religioso al tempo erano strettamente legati: in particolare l'imperatore, a cominciare da Costantino, possedeva una certa autorità all'interno della Chiesa, nella quale il primato petrino non era pienamente assodato e riconosciuto. A questo si aggiunsero la posizione di Ambrogio, vescovo della città di residenza della corte imperiale, e la sua precedente carriera come avvocato, amministratore e politico, che lo portarono intervenire più volte in primo piano nelle vicende politiche, ad avere stretti rapporti con gli ambienti della corte e dell'aristocrazia romana, e talvolta a ricoprire specifici incarichi diplomatici per conto degli imperatori. In particolare, nonostante il convinto lealismo verso l'impero Romano e l'influenza importante nella vita politica dell'impero, i suoi rapporti con le istituzioni non furono sempre pacifici, soprattutto quando si trattò di difendere la causa della Chiesa e dell'ortodossia religiosa. Gli storici bizantini gli accreditarono questo atteggiamento come parrhesia (παρρησία), schiettezza e verità di fronte ai potenti e al potere politico, che traspare a partire dal suo rapporto epistolare con l'imperatore Teodosio. Essendo Ambrogio precettore dell'imperatore Graziano, lo educò secondo i principi del Cristianesimo. Egli predicava all'imperatore di rendere grazie a Dio per le vittorie dell'esercito, e lo appoggiò nella disputa contro il senatore Simmaco, che chiedeva il ripristino dell'altare alla dea Vittoria rimossi dalla Curia romana. Chiese poi a Graziano di indire un concilio (che si tenne ad Aquileia nel settembre del 381) per condannare due vescovi eretici, secondo i dettami dei vari concili ecumenici ed anche secondo l'opinione del Papa e dei vescovi ortodossi. In questo concilio Ambrogio si pronunciò contro l'arianesimo. Ambrogio influì anche sulla politica religiosa di Teodosio I. Nel 380, con l'editto di Tessalonica, il cristianesimo fu proclamato religione di stato. Nel 390 richiamò severamente l'imperatore, che aveva ordinato un massacro tra la popolazione di Tessalonica, rea di aver linciato il capo del presidio romano della città: in tre ore di carneficina erano state  assassinate migliaia di persone, attirate nell'arena con il pretesto di una corsa di cavalli. Ambrogio, venuto a conoscenza dell'accaduto, evitò una contrapposizione aperta con il potere imperiale (con il pretesto di una malattia evitò l'incontro pubblico con Teodosio) ma, per via epistolare, chiese in modo riservato ma deciso una «penitenza pubblica» all'imperatore, che si era macchiato di un grave delitto pur dichiarandosi cristiano, pena l'esclusione dai sacri riti. Teodosio accettò di rimettersi alla volontà del vescovo e fece atto di pubblica penitenza nella notte Natale di quell'anno, momento in cui venne assolto e riammesso ai sacramenti. Dopo questo episodio la politica religiosa dell'imperatore si irrigidì notevolmente: tra il 391 e il 392 furono emanati una serie di decreti (noti come decreti teodosiani) che attuavano in pieno l'editto di Tessalonica: venne interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, compresa l'adorazione delle statue; furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si riconvertissero nuovamente al paganesimo e nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di lesa maestà, punibile con la condanna a morte.

3. Verginità di Maria e generazione

Ambrogio dimostrandosi uno scrittore di grande finezza teologica ha suscitato interesse tra gli studiosi sia per il suo modo di studiare e interpretare le fonti per il suo metodo di ricerca e composizione nell’ambito della pneumologia e mariologia. Delle opere ambrosiane quattro riguardano il rapporto più o meno esplicito con la Vergine. Il mistero per eccellenza sulla verginità  appare sottointeso nei  suoi diversi trattati. Nella dottrina sullo Spirito Santo è inglobata sia la verginità del verbo incarnato che la verginità di Maria, concretizzando l’incarnazione del Verbo come l’incoronazione e intronizzazione del re. Lo sposalizio con la natura umana avvenuto nel grembo verginale di Maria, intende sancire definitivamente anche l’incoronazione regale del Verbo. Il concepimento verginale di Maria impose al vero re la corona della sua umanità  verginale e di conseguenza la consacrò unendola alla natura divina.  L’intronizzazione regale del Verbo nella storia, avviene nel momento dell’incarnazione per cui è qui che viene investito di quell’aura salvifica che gli permise di attuare la Storia della salvezza. Maria attraverso il suo concepimento, che è principalmente opera dello Spirito Santo che fecondò suo grembo, diede forma esteriore e corporale alla Divinità del Verbo, che nello stesso tempo trova collocazione in maniera assolutamente unica, in un contesto spaziale e temporale ben definito e circoscritto pur essendo stato concepito Ab aeterno nel nome del Padre. Il re che nasce, investito del suo potere dona alla madre l’importante ruolo di regina madre, superiore a quello di regina sposa, perché attraverso la strettissima vicinanza per avergli dato la vita, gode presso di Lui rispetto e potere per cui esercita, a favore sei sudditi, la funzione di mediazione e intercessione. Questa funzione di regina madre svolta al momento dell’incarnazione è la stessa di quella che Maria continua a svolgere, conducendo le vergini anime al Cristo glorioso. Colei che formò nel suo corpo verginale il Verbo-Re, forma lo stesso Signore nel corpo e nelle anime di coloro che sono chiamati a seguirlo sulla via della totale donazione.

4  Verginità di Maria, filiazione e dono dello Spirito

Nelle quattro opere Ambrosiane sulla verginità, il titolo Filius riferito a Cristo ricorre spesso; infatti il termine viene utilizzato in tono apologetico, serviva inoltre per insistere sulla consustanzialità divina fra il Padre e il Figlio: Cristo è Filius del Padre perché egli lo ha generato eternamente.
1. Il termine Filius acquista in alcuni testi delle sfumature semantiche specifiche; si tratta di quei passi in cui Ambriogio affronta in parallelo la doppia nascita verginale di Cristo: quella eterna, dal Padre e quella temporale da Maria. In questi  l’uso che ne fa serve a risaltare la continuità ontologica fra Filius Patris e il Filius Mariae, ma anche la persistenza eterna del Verbo che s’incarna.  La chiave comune alle due nascite è la modalità che si mantiene verginale e struttura in due atti generativi e che definiscono pure i due soggetti che generano, il Padre e Maria. La continuità rappresentata fra la generatio verginale dal padre e il partus anche verginale di Maria conferma sia la divinità di Cristo sia la sua preesistenza come Verbo del Padre. La verginità di Maria è la garanzia e la testimonianza della divinità di Cristo che da espressione umana divenendo la continuità nel tempo e nella storia,  mantenendo il carattere verginale con cui il Padre genera il Cristo.
2. La Filietas è il dono dello Spirito Santo  che è il fondamento della filiazione divina di ogni cristiano. Ambrogio stabilisce così un parallelismo fra generatio divina naturalier e l’adoptio umana nella grazia. Il termine Filia, nel latino classico, designava quella giovane che faceva parte della discendenza più immediata, Ambrogio riconduce questo termine alla vergine cristiana appellandola come Filia e ponendola in un punto di convergenza tale da rendere chiaro l’intreccio di relazioni basate sulla divinità. Quindi la vergine cristiana si è rivestita spiritualmente dell’umanità verginale di Cristo. In virtù di questa Filiazione operata dallo Spirito, il Padre concede alla vergine la benedizione degli eredi e la fa diventare depositaria delle promesse compiute in Cristo.
3. La grazia dell’incarnazione non possiede paragoni umani, ma si avvicina teologicamente solo al dono della creazione in quanto unica e singolare. L’esempio di Maria in quanto Mater Domini non è imitabile, poiché gode di un privilegio esclusivo; con la sua immagine si può dire che Maria è magistra virginitatis per le vergini che si dicono cristiane o meglio discepole di Cristo. Tutto questo pone anche la verginità di Maria verso una chiara visione cristocentrica della verginità.

Bibliografia
WILKEN R., "The Spirit of Early Christian Thought", Yale University Press, New Haven, 2003; WALSH M., (a cura di), Butler's Lives of the Saints, HarperCollins Publishers, New York, 1991; PASINI C., I Padri della Chiesa. Il cristianesimo dalle origini e i primi sviluppi della fede a Milano, Nomos Edizioni 2010; ARAMINI M., Sant’Ambrogio padre della Chiesa di Milano e Dottore universale, Elle Di Ci, Leumann, Torino 2009; BONAIUTI E., Sant’Ambrogio, Marietti, Milano 1997; AA. VV.,  Studia ambrosiana. Annali dell’Accademia di Sant’Ambrogio, vol 2,  Editrice Bulzoni, Milano 2008, pp. 25-67; CORSATO C., La Mariologia in Ambrogio di Milano, in Theotokos 11 (2003), n. 2, pp. 291-336; POZO C., Maria en la obra de la salvayion (Historia salutis 7), BAC, Madri 1990, pp. 338-348; ALVAREZ ALONSO C., Spirito Santo e verginità di Maria nelle opere ambrosiane, in Theotokos 11 (2003), n. 2, pp.338-343; ID., Professio virginitatis. Per una pneumatologia della verginità secondo Sant’Ambrogio, in Rivista Liturgica 89 (2002) 3, pp. 451-480; AMATA B., Intuizioni ambrosiane sulla centralità mediatrice di Maria nel Mysterium Salutis, in Marianum 59 (1997), pp. 139-157.

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