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MARIA E IL SUO TEMPO: VITA RELIGIOSA


1. La preghiera
Tre erano i tempi prescritti per le preghiere quotidiane: l'ora terza del mattino (circa le 9), tempo del sacrificio mattutino a Gerusalemme, l'ora sesta a metà giornata (circa mezzogiorno), e l'ora nona del pomeriggio (circa le 15), tempo del sacrificio vespertino (Atti 2, 1-15; 3, 1; 10, 9). Ogni Ebreo maschio doveva recitare mattino e sera, in qualunque lingua corrente, anche non in ebraico, lo «Shema», preghiera composta dei tre brani: Deut. 6, 4-9; 11, 13-21; Num. 15, 37-41; ne erano dispensati le donne, i fanciulli e gli schiavi. La preghiera, che doveva recitarsi tre volte al giorno, mattino, mezzogiorno e sera, era, almeno per il periodo della Mishnà, l'antichissima formula, probabilmente in uso già ai tempi di Gesù, detta «Shemoné eshré» (la preghiera delle «diciotto» benedizioni) ; vi erano obbligati anche le donne e i fanciulli. Si pregava inoltre prima e dopo i pasti. Era dovere dei genitori insegnare ai figli tutte queste formule di orazione. Al tempo di Cristo vi era una speciale veste per la preghiera: un mantello quadrangolare, ornato agli angoli di fiocchi e cordicelle azzurre o bianche, che copriva il capo e le spalle ; e i maschi dai 13 anni in su dovevano portare, almeno durante la preghiera del mattino, le «Pilatterie» (Matt. 23, 5) o «Tephillim», piccole scatole cubiche contenenti un foglio di pergamena., su cui erano scritti i brani : Es. 13, 1-4, 5-16; Deut. 6, 4-9 ; 11, 13-21 ; con cinghiette venivano assicurate alla fronte e al braccio sinistro. L'uso, originato da un'interpretazione letterale di Es. 13, 9-16 ; Deut. 6, 8 ; 11, 18, non era generale, ma i Farisei e gli Scribi sfoggiavano cinghiette larghe, per mettere in mostra la loro pietà (Matt. 23, 5). Abitualmente si pregava in piedi (Matt. 6, 5; Marc. 11, 25 ; Luc. 18, 11), ma spesso anche in ginocchio (Atti 20, 36; 21, 5 ; 9,40; Efes. 3, 14); si volgeva il viso in direzione del Tempio di Gerusalemme, e si usava pure sollevare le mani al cielo (I Tim. 2, 8) e gli occhi.

2. Usanze e modalità del digiuno
La Regge prescriveva il digiuno per il «Giorno del perdono», 1° del mese di Tishri (Sett.-Ott.), e il Sinedrio poteva bandire digiuni generali (nei giorni di lunedì e giovedì) per es. per ottenere la pioggia quando tardava, o per scongiurare sventure comuni. Ma si osservavano anche digiuni volontari, e le persone devote usavano digiunare il lunedì e il giovedì di ogni settimana (i Farisei ne menavano vanto : Luc. 18, 12). La pratica consisteva nell'astenersi da ogni cibo, bevanda, lavoro, bagni, unzioni, rapporti coniugali: ma non sempre i digiuni erano di un'intiera giornata (come per il «Giorno del perdono»), più spesso erano di sola mezza giornata, dall'aurora al tramonto. Nei giorni di festa, nei noviluni, di sabato (e di venerdì) non si digiunava.

3. Purità legale, oboli e voti
Legge religiosa particolarmente severa era quella della purità legale: toccar cadaveri o tombe, o aver contatti con chi ne avesse toccati, rendeva impuri per sette giorni, dopo di che si riotteneva la purità mediante speciali riti di purificazione, consistenti particolarmente in abluzioni. Si contraeva parimenti impurità cibandosi di certi alimenti (carne di animali « impuri ») ed essendo soggetti a certe malattie (ad es. la lebbra). I Farisei avevano moltiplicato e complicato le già numerose prescrizioni della legge al riguardo. Poiché si contraeva impurità anche al contatto di persone impure, si doveva evitare ogni contatto con pagani (Atti 11, 8 ; 10, 28; Cal. 2, 14). L'impurità escludeva dal culto religioso. Come nel Tempio, cosi nelle Sinagoghe si raccoglievano le elemosine per i poveri; le vedove e gli orfani ricevevano un sussidio dal tesoro del Tempio. Tra i voti che si emettevano, particolare importanza rivestiva quello del nazireato, che di solito durava 80 giorni; chi vi s'impegnava doveva lasciarsi crescere i capelli, astenersi da alcoolici o da contatti impuri; trascorso il tempo offriva speciali sacrifici e si tagliava i capelli.

4. Centri di culto e sacrifici

Il centro del culto era Gerusalemme, nel cui Tempio esclusivamente si poteva compiere l'atto di culto per eccellenza, il sacrificio. Si offrivano sacrifici cruenti e incruenti ; questi ultimi consistevano nella oblazione di cibi (farina, grano, focacce, sale), di bevande (vino, olio), o di incenso e profumi; facevano parte dei sacrifici incruenti i 12 pani della Proposizione che, cambiati ogni sabato, venivano deposti sulla tavola d'oro di quella parte interna dell'edificio del Tempio detta il «Santo». I sacrifici cruenti erano di tre categorie : olocausti (tutta la vittima era consumata nel fuoco), sacrifici per il peccato (parte bruciata e parte devoluta ai Sacerdoti), sacrifici pacifici (parte bruciata, parte devoluta ai Sacerdoti, e parte consumata dall'offerente in un banchetto sacro). Due volte al giorno, al mattino e al pomeriggio, veniva offerto a nome di tutto il popolo in olocausto quotidiano un agnello d'un anno, mentre nell'altare interno del «Santo» il Sacerdote incaricato offriva l'incenso (cerimonia compiuta da Zaccaria in Luc. 1, 9-22). Vi assistevano i fedeli residenti a Gerusalemme; i lontani ne seguivano il rito nelle sinagoghe. Oltre questo sacrificio, cui bisogna aggiungere quelli stabiliti per le varie solennità, i fedeli potevano offrire innumerevoli sacrifici privati, dei quali alcuni prescritti (ad es. quello dovuto dalla puerpera nel rito della Purificazione), altri volontari; potevano esser offerti persino da pagani: nel periodo evangelico ogni giorno si offrivano in sacrificio per l'imperatore un toro e due agnelli. Nei vari centri palestinesi la vita religiosa sociale, si svolgeva nelle sinagoghe, soprattutto al sabato. Questo giorno consacrato a Dio, che ricordava agli Ebrei sia la Creazione (Es. 20, 8-11) che la liberazione dall'Egitto (Deut. 5, 12-15), mentre nel Tempio al sacrificio giornaliero si aggiungeva l'olocausto di due agnelli e venivano cambiati i pani della Proposizione, per tutto il paese veniva celebrato con riunioni sacre nelle Sinagoghe, e in casa con allegri pranzi; ci si asteneva da ogni fatica e si indossavano gli abiti festivi.

5. Riposo sabatico e funzionamento delle Sinagoghe
Il riposo del sabato era rigorosissimo; era vietato ogni sorta di lavoro, da quello agricolo a quello domestico, comprare e vendere, trasportar pesi, raccoglier legname, infornare il pane, accendere il fuoco, cuocere gli alimenti. Essendo giorno di festa il cibo era più abbondante, e si facevano tre pasti in luogo di due : prima e dopo la funzione religiosa del mattino, e alla sera; ma i cibi dovevano esser preparati dalla sera prima. Era anche vietato fare più di 1 km. (all'incirca) di cammino (Atti 1, 12). La Mishna enumera 39 categorie di lavoro proibite, tra cui eseguir due punti di cucito, scriver due righe ecc. ; inasprendo e moltiplicando le prescrizioni al riguardo i Farisei ne rendevano quasi impossibile l'osservanza (Luc. 11,46-52). Gesù, per aver guarito dei malati, e i suoi Apostoli per aver raccolto delle spighe di grano, furono accusati di trasgredire il riposo sabatico (Giov. 5, 1 ss. ; 9, 1 ss.; Matt. 12, 9-14; 12, 1 ss.). Solo in caso di pericolo di vita vi era dispensa. Per tutta la Palestina (Matt. 4, 23), persino in centri di scarsa importanza come Nazareth (Matt. 13, 54; Marc. 6, 1 ; Luc. 4, 16), vi erano sinagoghe. Si trattava di grandi edifici quadrangolari, più o meno sontuosi a seconda delle comunità cui erano destinati, divisi in più navate da colonne. Presso la parete, nascosto da un velo, vi era l'arredo più importante, la «Tebhà», specie di armadio, in cui erano conservati i Libri Sacri; nel mezzo, in un luogo sopraelevato, vi era una specie di pulpito con cattedra e leggio per chi intonava la preghiera o leggeva i Libri Sacri: erano a disposizione della comunità file di sedili, di cui i primi posti riservati agli anziani e agli Scribi (che li ricercavano avidamente: Matt. 23, 6; 37; Marc. 13, 39; Luc. 11,43). Un capo o «Archisinagogo» (Matt. 5, 22; Luc. 8, 41) si prendeva cura dell'edificio, dell'ordine e del servizio sacro, invitando chi doveva intonare la preghiera, leggere la Scrittura o fare il sermone (Atti 13, 15). Un ministro, il «Chazzan» (specie di sacrestano) aveva l'incarico di portare e riportare la Scrittura (Luc. 4, 20), di istruire i fanciulli, e di amministrare le flagellazioni decretate dalla Sinagoga contro qualche membro della comunità; gli anziani avevano diritto di infliggere anche una specie di scomunica, escludendo dalla Sinagoga (di questa arma i nemici di Gesù si servirono: Luc. 6, 22 ; Giov. 9, 22 ; 12, 42; 16, 2). Vi erano anche delle persone incaricate di raccogliere e di amministrare l'elemosina per i poveri (Matt. 6, 2). Le riunioni sacre, che si svolgevano soprattutto al mattino del sabato e dei giorni festivi, ma anche ogni lunedì e giovedì, consistevano essenzialmente nella preghiera, nella lettura e spiegazione della Legge. Secondo la Mishna si svolgevano con questo ordine (che sostanzialmente dovette essere anche quello seguito nel periodo evangelico): si iniziava recitando tutti in coro lo «Shemà» (preghiera detta da ogni Israelita due volte al giorno), indi la persona invitata dall'Archisinagogo, davanti alla Tebhà intonava la preghiera, alla quale il popolo rispondeva coralmente; questa preghiera, forse già prima della catastrofe del 70, era costituita dalle «Shemonè eshrè» (recitata da tutti tre volte al giorno) ; durante la preghiera tutti si tenevano in piedi. Seguiva la lettura della Legge: sette persone a turno, indicate precedentemente dall'Archisinagogo, leggevano un brano in ebraico, mentre un traduttore, il «Targheman», traduceva immediatamente nella lingua volgare aramaica. Dopo, una sola persona, in piedi, leggeva un brano dei Profeti (Atti 13, 15), talora scelto liberamente (cosi Gesù a Nazareth: Luc. 4, 16 s.), che veniva parimenti tradotto. Aveva quindi luogo il sermone o spiegazione della Scrittura, che poteva esser tenuto da un membro qualunque della Comunità o anche estraneo, purché avesse compiuti i 30 anni e il Capo della Sinagoga lo invitasse; egli parlava seduto (Gesù prendeva questa occasione per annunciare il suo Vangelo: Matt. 4, 23; Marc. 1,21; 6,2; Luc. 4, 15; 6,6; 13,10; Giov. 6,60; 18,20; S. Paolo ad Antiochia di Pisidia: Atti 13,15 ecc.). Se era presente un Sacerdote, l'adunanza si scioglieva dopo che egli aveva impartito la benedizione sacerdotale. Nelle Sinagoghe moderne le donne seguono la funzione da balconate sopraelevate; pare che anche allora avessero un luogo separato dagli uomini. Al pomeriggio vi era un'altra riunione, meno solenne, in cui si continuava la lettura del mattino. Vi era anche l'abitudine di visitare di sabato le persone malate o afflitte.

6. Pellegrinaggi, Feste, calendario religioso e civile

In occasione delle tre più grandi feste religiose: Pasqua, Pentecoste, Tabernacoli, ogni Israelita doveva recarsi al Tempio di Gerusalemme in pellegrinaggio. Erano eccettuate le donne, i bimbi prima dei 13 anni compiuti, gli schiavi, gli infermi, e in genere tutti coloro che abitavano lontano, cioè fuori della Giudea. Ma le persone pie, anche le donne, e i ragazzi prima dei 13 anni, e da paesi lontani come la Galilea (Gesù dodicenne, con Maria e Giuseppe: Luc. 2, 42) non perdevano l'occasione di salire alla Casa di Dio, almeno per la Pasqua. L 'anno religioso cominciava con la primavera al l° di Nisan (Marzo-Aprile), l'anno civile invece con l'autunno, al l° di Tishri (Sett.-Ott.). I giorni della settimana si contavano a cominciare da quello che seguiva il sabato (la nostra Domenica) che veniva chiamato «il primo (giorno) della settimana» (Marc. 16,2-9; Luc. 24,1; Atti 20,7; I Cos. 16,2) ; cosi gli altri successivamente. La giornata cominciava non col mattino, ma col tramonto : perciò l'obbligo del riposo sabatico iniziava col tramonto del venerdì e terminava al tramonto del sabato. Alla moda romana la notte era divisa in quattro «veglie»; il giorno, dal sorger del sole al tramonto, in 12 ore. Le principali feste del calendario ebraico erano: La Pasqua, con cui si ricordava la liberazione del popolo dall'Egitto; durava dal 15 al 21 di Nisan (Marzo-Aprile), al primo e settimo giorno si osservava il riposo festivo; durante tutti i giorni della festa si offrivano speciali sacrifici, nelle case si mangiava esclusivamente pane azimo; il pomeriggio del 14 ogni capo-famiglia portava il proprio agnello nel Tempio per ucciderlo e offrirne il grasso in sacrificio sull'altare; tutto il resto veniva consumato la sera in casa nella Cena Pasquale, con pani azimi, erbe amare e una specie di focaccia di fichi e altri frutti, detta il «Charoseth». Si leggeva il racconto della prima Cena Pasquale fatta dagli Ebrei all'uscita dall'Egitto; il vero banchetto iniziava solo dopo il canto della prima parte dell'«Hallel » (Volg. Salm. 112-113, 1-8), e col canto della seconda parte (Volg. Salm. 113, 9-117) terminava. La Pentecoste era la festa delle primizie, e ricordava la Legge data sul Sinai; celebrata 50 giorni dopo la Pasqua, oltre gli speciali sacrifici prescritti e il riposo festivo, si offrivano al Tempio i primi pani di grano nuovo. Con la festa dei Tabernacoli si festeggiava la chiusura del raccolto: 15-21 Tishri (Sett.-Ott.); nel primo giorno e nell'ultimo si osservava il riposo festivo; durante tutta la settimana si abitava in capanne costruite con rami, nei cortili, sui tetti o per le strade, in ricordo delle disagiate peregrinazioni degli antichi Ebrei nel deserto. Ogni giorno si faceva nel Tempio una solenne libazione d'acqua, per commemorare l'acqua allora scaturita dalla pietra, e alla sera del primo giorno una grande illuminazione di faci sui cortili del Tempio e danze sacre con fiaccole iniziavano i festeggiamenti, che importavano solenni sacrifici. Il 10 di Tishri si celebrava il «Giorno del perdono»; ogni Ebreo adulto doveva osservare un assoluto digiuno per tutta la giornata, il Sommo Sacerdote offriva sacrifici per sé e per il popolo, entrava tre volte nel «Santo dei Santi» (unica occasione in tutto l'anno) per offrire l'incenso e per aspergere col sangue della vittima, e infine inviava nel deserto un capro espiatorio, sul quale erano riversati tutti i peccati d'Israele. Con il novilunio del VII mese, Tishri, iniziava l'anno civile, ed era una vera festa; non lo erano invece propriamente i noviluni di ogni mese, che però venivano celebrati con speciali sacrifici nel Tempio e con la lettura della Legge nelle Sinagoghe. Nella festa di Purim: 14-15 Adar (Febbr.-Marzo), festa puramente civile, con grandi pranzi e con la lettura nelle Sinagoghe del libro di Esther si ricordava la salvezza degli Ebrei in Persia sotto gli Achemenidi nel V secolo per mezzo di quella figlia d'Israele. Altra festa religiosa, ma istituita tardivamente, quella delle Encenie: 25 Kisléu (Novembre-Dicembre), che ricordava la riconsacrazione del Tempio per opera di Giuda Maccabeo (Dicembre del 164 a.C.) dopo la profanazione di Antioco Epifane; era anche detta la « festa dei lumi »: per otto giorni negli atri del Tempio e per le città splendevano gioiose illuminazioni.

Bibliografia

LACONI M., Usi e costumi palestinesi al tempo di Maria, in AA. VV:, Enciclopedia mariana Theotócos, Bevilacqua&Solari Edizioni - Editrice Massimo, Genova - Milano 1954, pp. 132-137;  FELTEN G., Storia dei tempi del Nuovo Testamento, vol I: La storia politica degli Ebrei dal 53 a.C. al 135 d.C., S.E.I., Torino 1932 - vol II: Le condizioni sociali e morali del popolo ebreo ai tempi del Nuovo Testamento, S.E.I., Torino 1934; KALT E., Archeologia biblica. - Torino, Marietti 1942; WILLAM F. M., Vita di Maria, la madre di Geù, Brescia, Morcelliana 1944; NÖTSCHER, Biblische Altertumskunde., Bonn 1940; RICIOTTI G., Storia d'Israele. Vol. II: Dall'Esilio al 135 d.C., S.E.I., Torino 1934; FILLION L. CL., Histoire d'Israel. T. III: De la fin de la captivité de Babylone à la ruine de l'état juif., Letuzeq, Paris 1928; BEL F. M., Histoire de la Palestine depuis la conquete d'Alexandre jusq'a l'invasion arabe. T. I: De la conquête d'Alexandre jusqu'à la guerre juive., J. Gabalda , Paris1952; SCHÜRER E., Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitaiter Jesu Christi, Leipzig, 1901-1911; DELLA LIBERA V., Maria nella sua terra, Edizioni Paoline, Milano 1986; SPILA A., La vita di Maria, Istituto Salesiamo Pio XI, Roma 1987.

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