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CRITERI GNOSEOLOGICI


La mariologia è una parte della dottrina della fede. In quanto tale essa viene fatta oggetto di riflessione teologica e scientifica dalla dogmatica. Di conseguenza i criteri che la concernono non sono in linea di principio diversi da quelli della dogmatica in genere: la Sacra Scrittura, il magistero della Chiesa, l'interpretazione dei teologi (tra cui i Padri della Chiesa godono di una autorità particolare) il senso di fede dei credenti e la ragione teologica. Questa lista è una semplice enumerazione e non dice ancora nulla sul valore e sul rango delle singole « fonti ». Il discorso su Maria non si è più interrotto a partire dalla profezia del Magnificat: « D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata » (Lc 1, 48). Ci sono voluti però lunghi secoli prima che si potesse parlare propriamente di mariologia, cioè di una disciplina dogmatica speciale. Ciò si spiega con la particolare situazione di partenza. Base e norma indiscussa della teologia cristiana è la Sacra Scrittura. Ma mentre per esempio questa fa molte affermazioni, e affermazioni ricche di contenuto, su Cristo o sulle tre divine persone, fornisce invece una base piuttosto angusta alla mariologia. La Bibbia testimonia con chiarezza solo la maternità divina e la verginità prima del parto. E inoltre anche qui rimane naturalmente ancora da stabilire quale importanza e quale peso tali affermazioni rivestano. Tutte le altre affermazioni dottrinali del dogma cattolico sono in fondo meri sviluppi di quanto è contenuto in questi due dati. Esse vennero fatte già molto presto, almeno per una parte cospicua, però i mezzi di cui i teologi si sono serviti a tale scopo sono stati anzitutto la cosiddetta ragione teologica e, in una fase successiva, l'argomento dedotto dal senso della fede dei credenti. Queste due fonti sono così diventati i principali criteri gnoseologici mariani. 

1. La ragione teologica
Il Concilio Vaticano I ha preso posizione contro le tendente che screditavano la ragione e ha spezzato una lancia a 'favore dell'importanza della ragione per la fede e per la teologia: « Ma la ragione illuminata dalla fede, quando ricerca attentamente, piamente e sobriamente, consegue, con l'aiuto di Dio, una qualche conoscenza dei misteri, ed anche fruttuosissima, sia dall'analogia di quelle cose che conosce naturalmente, sia dalla connessione degli stessi misteri tra di loro e con il fine ultimo dell'uomo». Questa proposizione del magistero ecclesiastico potrebbe essere posta come titolo o come motto in testa a ogni mariologia. Essa infatti cerca precisamente ciò: di penetrare fin nei loro senso più intimo i misteri della fede proposti nella Sacra Scrittura. Si chiede quale sia il loro, contenuto teologico. Soprattutto si domanda anche quali rapporti ci siano con altre verità di fede, e rispettivamente quale luce ne derivi per la dottrina mariana. Tutto ciò porta a compiere un lavoro fecondo, che si sviluppa su due piani.
a) Il primo potrebbe essere denominato il piano teologico-storico. Possiamo per esempio stabilire la seguente proposizione: Maria è la Madre di Gesù di Nazaret. Con ciò abbiamo affermato un rapporto causale, che si è verificato storicamente. Una donna di nome Maria è stata la causa della umanità di un uomo che si chiamava Gesù. Con un po' più di precisione dovremmo dire: ella è stata una delle cause; non diciamo che ci siano state anche altre cause, però c'è da supporre che una donna da sola non sia mai la causa totale di una vita umana. Da questo rapporto causa-effetto, che abbiamo stabilito, seguono sul piano storico vari dati interessanti: per esempio, che Gesù assomigliava probabilmente a sua Madre, che era in stretti rapporti con lei, ch'ella era piena di preoccupazioni per il suo destino, che deve aver sofferto terribilmente quando ha assistito alla sua esecuzione capitale. Tutto ciò ha certamente la sua importanza, tuttavia non si tratta ancora di riflessioni molto feconde. La cosa però cambia, quando affermiamo che questo Gesù di Nazaret non è stato un uomo qualunque, ma era invece il Figlio di Dio, a lui identico nell'essenza. In questo momento il nostro rapporto ci viene contemporaneamente relativizzato e approfondito in maniera infinita. Se Gesù è il redentore del mondo, allora da questo stretto rapporto esistente tra la Madre e il Figlio ne deriva che la maternità di Maria possiede una dimensione personale-spirituale che va molto al di là della misura comune. La Madre di Gesù di Nazaret è la Madre del Salvatore, cioè dell'uomo che ha portato la salvezza a tutti gli uomini. Nella misura in cui essere madre significa donare la vita, si può anche dire: in un certo senso Maria, con la sua maternità, ha portato la salvezza a tutti gli uomini. Tale proposizione ha certamente un senso diverso da quella che afferma che la salvezza ci è stata portata dal suo Figlio, tuttavia ha una sua giustificazione e una sua ragion d'essere.
b) In tal modo ci siamo già portati sul secondo piano, che potremmo chiamare teo-ontologico. Su questo piano non è più possibile formulare delle esatte proposizioni, bensì possiamo solo parlare in forma di paragoni. La nostra proposizione esattamente dovrebbe essere formulata così: Come Maria sul piano storico e la Madre di Gesù di Nazaret, così, grazie alla posizione singolare di questo suo Figlio verso, tutti gli altri uomini, ella è entrata in un rapporto particolare con questi ultimi, che possiamo ragionevolmente indicare come un rapporto di maternità. Maria in qualità di Madre di Gesù è anche Madre degli uomini. Il termine greco che significa «paragonare» è symballein. Perciò potremmo anche dire: Su questo piano noi parliamo un linguaggio simbolico. Maria non è la madre biologica di tutti gli uomini, ma sta in un tale rapporto verso di loro che possiamo metaforicamente indicarlo con questo nome. Naturalmente non si tratta di un paragone cervellotico. Io posso paragonare un'altezza straordinaria con quella di un gigante o di una casa e dire: gigantesco o alto come una casa. Il punto di riferimento che scelgo ha poca importanza. Nel nostro caso però le cose non stanno esattamente così. Qui il paragone descrive una qualità ontologica. Siccome Maria è realmente Madre di Dio, occupa anche una posizione particolare nell'evento della salvezza. Ma siccome la maternità dice sempre anche una causalità personale, ella esercita una causalità salvifica nel confronto di tutti gli uomini ed è in un senso reale la loro madre. Ovviamente in questo modo di procedere bisogna stare attenti a un pericolo. L'affermazione del nostro esempio è frutto di una conclusione logica, che deriva da due premesse. La prima premessa è un'affermazione avallata direttamente dalla Sacra Scrittura: Maria è la Madre del Redentore di tutti gli uomini. La seconda premessa è una riflessione sulla natura della maternità umana: Maternità significa causalità in ordine a tutti i tratti essenziali del figlio, in quanto questi è figlio di sua madre. Se ora riflettiamo che il Concilio di Efeso ha espressamente dichiarato che Maria è Madre di Dio ed ha messo a disposizione il suo seno non soltanto come ricettacolo per l'incarnazione, possiamo con ragione questa conclusione: Quindi Maria è in un certo senso la Madre di tutti gli uomini. Tali conclusioni sono giuste solo quando vengono tratte in base alle precise regole della logica, che è una scienza molto oggettiva. Quando invece al posto della chiaroveggenza subentra l'entusiasmo, allora si fa acuto il pericolo di trarre, con questo modo di procedere, sempre nuove conclusioni che alla fine si distanziano assai dalla prima premessa decisiva. Siccome in tutti i tempi la pietà mariana è stata tentata di lasciarsi guidare più dal sentimento che dal pensiero teologico oggettivo non raramente è caduto in tale pericolo. Nei libri che trattano della Madre di Dio forse il verbo più spesso ricorrente è « deve ». Se Maria è la Madre di Dio, allora Dio deve aver fatto questo o quello per lei, allora Maria deve possedere questo o quel privilegio. In tal modo la portata delle premesse non viene più rispettata; le si sovraccarica e alla fine queste cedono decisamente, dando vita a errate affermazioni mariologiche. In questo modo si fa dell'umile e semplice ragazza di Israele una super-professoressa e un genio nato. Ma una pietà che produce frutti del genere si rende sospetta. La conclusione teologica è certamente un legittimo criterio di conoscenza. Però è anche un mezzo molto pericoloso e bisogna adoperano con rigore critico e con molta attenzione.

2. Il senso dei credenti
Anche questo criterio della teologia mariana è stato approvato da una dichiarazione conciliare. Il Concilio Vaticano II ha infatti affermato: « Il popolo santo di Dio partecipa pure dell'ufficio profetico di Cristo col diffondere ovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome di lui. L'universalità dei fedeli che tengono l'unzione dello Spirito Santo non può sbagliarsi nel credere e manifesta questa sua proprietà mediante il soprannaturale senso della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale » (Lumen Gentium 12). Il fatto che una convinzione di fede rimanga viva per lungo tempo in tutto il popolo di Dio e venga pubblicamente professata, diventa cosi un criterio che depone a favore della sua giustezza e della sua verità. La ragione di ciò sta nella promessa dello Spirito Santo che è stata fatta a tutta la Chiesa. La quale non è composta solo dal magistero e dai teologi, ma anche da tutti i fedeli. Tutti quindi partecipano allo Spirito di Dio presente nella Chiesa. E siccome tale Spirito garantisce la permanenza nella verità, i fedeli nel loro complesso non possono errare in materia di fede e di vita cristiana. Tale convinzione era presente nella Chiesa già fin dai primi tempi - le ultime parole della citazione conciliare sono desunte da Sant'Agostino -, però non si può dire che sia sempre stata molto vitale in essa.  Ad ogni modo nello sviluppo della dottrina mariana si è fatto ufficialmente ricorso due volte a tale criterio. In occasione della definizione degli ultimi due dogmi mariani - e precisamente nel 1849 e nel 1946 i papi hanno prima chiesto a tutti i vescovi di notificare quale fosse l'opinione dei fedeli delle loro diocesi di fronte alla dottrina in questione. Essi furono certamente spinti a fare questo passo da una certa perplessità. Le altre fonti di conoscenza teologica non zampillavano con molta abbondanza; sia nei confronti dell'immacolata concezione che dell'assunzione di Maria in cielo vecchi e nuovi teologi avevano sollevato una serie di controistanze di un certo peso. Cionostante il modo di procedere dei papi è stato giusto. Quando nella Chiesa si sostiene in maniera costante un'opinione su un oggetto di fede, allora si tratta di una ferma convinzione, da cui si può partire per concludere alla sua consonanza con i dati della rivelazione. Il culto mariano e la riflessione mariologica acquistano in questo modo un loro peso specifico. Tuttavia anche nell'applicazione di questo criterio bisogna procedere con prudenza. Bisogna ogni volta appurare accuratamente se si tratta di convinzioni genuine o dell'espressione di semplici punti di vista del tempo, radicati in certe situazioni passeggere. Senza dubbio il deprezzamento della sessualità umana nel medioevo ha favorito molto la dottrina della perpetua verginità di Maria. Chi considera la sessualità come qualcosa di impuro, non può immaginarsi che la Madre del Dio assolutamente santa e pura abbia avuto dei rapporti sessuali. Dove perciò la convinzione della verginità è basata sul deprezzamento generale della corporeità, essa è condizionata dal tempo e quindi anche teologicamente non ancora vincolante (anche se tutta la Chiesa di una data epoca fosse di questa opinione). Con ciò non è detto che la dottrina in questione sia radicata solo e primariamente su quella base; ma qualora lo fosse, si dovrebbe riconoscere che non può fondarsi su un tale terreno; e se si vuole continuare a mantenere quella convinzione, bisognerà motivarla diversamente. Il criterio del senso della fede dei credenti va quindi usato con circospezione e con prudenza. Inoltre deve sempre essere passato al vaglio degli altri criteri e deve dimostrare di essere conforme al complesso dell'edificio dottrinale.

Bibliografia
BEINERT W., Parlare di Maria oggi?, Edizioni Paoline, Roma 1975; ID., Bedeutung und Begründung des Glaubenssinnes (sensus fidei) als eines dogmatischen Erkenntniskriteriums, in Catholica 25 (1971) pp. 271-303; ID., Maria und die Kirche heute, Leutesdorf 1974; BARAUNA G., La SS. Vergine al servizio dell'Economia della Salvezza, in AA. VV., La Chiesa del Vaticano II, Firenze 1965; ALGERMISSEN K., Lexikon der Marienkunde, Ratisbona 1957;  WEBER J., Maria, Mutter und Gafährtin des Erlösers, Friburgo 1959; STEINMETZ F. J., Geboren aus Maria der Jungfrau, in Geist und Leben 43 (1970), pp. 455-465; ID., Jungfrauengeburt - Wunderglaube und Glaube, in Orientierung 37 (1973), pp. 31-34. NELLESSEN E., Das Kind und seine Mutter. Struktur und Verkündigung des 2 Kapitels im Mathäusenevangelium, Stoccarda 1969; MÜLLER A., La posizione e la cooperazione di Maria nell'evento di Cristo, in Mysterium salutis 6, Queriniana, Brescia 1971, pp. 495-641.






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