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VERGINE BELLA, CHE DI SOL VESTITA



1. La Conclusione del Canzoniere di Petrarca
È la composizione dedicata alla Vergine, che conclude il Canzoniere di Francesco Petrarca. Petrarca scrisse in una copia autografa della canzone le parole «in fine libri ponatur» [da mettere a conclusione del libro]. Incerta è la data di composizione: secondo alcuni attorno al 1353, secondo altri più tardi. Certo è che l’inserimento nell’opera avviene a partire dalla risistemazione degli anni 1367-1372. Alla Madonna, secondo tradizione, il poeta chiede di intercedere presso Dio per ottenergli il perdono. Egli infatti è consapevole di aver a lungo peccato, concentrando le proprie energie spirituali in una passione terrena sottoposta alle leggi della caducità. Dell’amore per Laura sono dunque qui rievocati i momenti e le caratteristiche, con un atteggiamento al tempo stesso distaccato e commosso, in cui la coscienza dell’errore e della colpa non esclude il persistere di una qualche forma di coinvolgimento emotivo. Non si tratta di una vera e propria conversione del mondo sentimentale e intellettuale dell’autore. Basti pensare che alla tradizione del culto mariano, ampiamente riutilizzata, si fonde qui la tradizione della lirica cortese e stilnovistica; e che alla Vergine vengono attribuiti molti dei segni caratteristici di Laura. Si tratta piuttosto del tentativo di aderire a un modello di femminilità protettivo e sacro, piuttosto materno che di amante; e perciò religioso e non terreno. In questo senso l’abbandono all’armonioso abbraccio della Vergine corona e conclude la trasfigurazione cui la seconda parte del Canzoniere ha sottoposto la stessa figura terrena e femminile di Laura.

2. Il testo della composizione
1 Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sì, che ’n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
5 ma non so ’ncominciar senza tu’ aita,
et di Colui ch’amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede:
Vergine, s’a mercede
10 miseria extrema de l’humane cose
già mai ti volse, al mio prego t’inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina.
Vergine saggia, et del bel numero una
15 de le beate vergini prudenti,
anzi la prima, et con più chiara lampa;
o saldo scudo de l’afflicte genti
contra colpi di Morte et di Fortuna,
sotto ’l qual si trïumpha, non pur scampa;
20 o refrigerio al cieco ardor ch’avampa
qui fra i mortali sciocchi:
Vergine, que’ belli occhi
che vider tristi la spietata stampa
ne’ dolci membri del tuo caro figlio,
25 volgi al mio dubio stato,
che sconsigliato a te vèn per consiglio.
Vergine pura, d’ogni parte intera,
del tuo parto gentil figliuola et madre,
ch’allumi questa vita, et l’altra adorni,
30 per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,
o fenestra del ciel lucente altera,
venne a salvarne in su li extremi giorni;
et fra tutti terreni altri soggiorni
sola tu fosti electa,
35 Vergine benedetta,
che ’l pianto d’Eva in allegrezza torni.
Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno,
senza fine o beata,
già coronata nel superno regno.
40 Vergine santa d’ogni gratia piena,
che per vera et altissima humiltate
salisti al ciel onde miei preghi ascolti,
tu partoristi il fonte di pietate,
et di giustitia il sol, che rasserena
45 il secol pien d’errori oscuri et folti;
tre dolci et cari nomi ài in te raccolti,
madre, figliuola et sposa:
Vergine glorïosa,
donna del Re che nostri lacci à sciolti
50 et fatto ’l mondo libero et felice,
ne le cui sante piaghe
prego ch’appaghe il cor, vera beatrice.
Vergine sola al mondo senza exempio,
che ’l ciel di tue bellezze innamorasti,
55 cui né prima fu simil né seconda,
santi penseri, atti pietosi et casti
al vero Dio sacrato et vivo tempio
fecero in tua verginità feconda.
Per te pò la mia vita esser ioconda,
60 s’a’ tuoi preghi, o Maria,
Vergine dolce et pia,
ove ’l fallo abondò, la gratia abonda.
Con le ginocchia de la mente inchine,
prego che sia mia scorta,
65 et la mia torta via drizzi a buon fine.
Vergine chiara et stabile in eterno,
di questo tempestoso mare stella,
d’ogni fedel nocchier fidata guida,
pon’ mente in che terribile procella
70 i’ mi ritrovo sol, senza governo,
et ò già da vicin l’ultime strida.
Ma pur in te l’anima mia si fida,
peccatrice, i’ nol nego,
Vergine; ma ti prego
75 che ’l tuo nemico del mio mal non rida:
ricorditi che fece il peccar nostro
prender Dio, per scamparne,
humana carne al tuo virginal chiostro.
Vergine, quante lagrime ò già sparte,
80 quante lusinghe et quanti preghi indarno,
pur per mia pena et per mio grave danno!
Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno,
cercando or questa et or quel’altra parte,
non è stata mia vita altro ch’affanno.
85 Mortal bellezza, atti et parole m’ànno
tutta ingombrata l’alma.
Vergine sacra et alma,
non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno.
I dì miei più correnti che saetta
90 fra miserie et peccati
sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta.
Vergine, tale è terra, et posto à in doglia
lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne
et de mille miei mali un non sapea:
95 et per saperlo, pur quel che n’avenne
fôra avenuto, ch’ogni altra sua voglia
era a me morte, et a lei fama rea.
Or tu donna del ciel, tu nostra dea
(se dir lice, et convensi),
100 Vergine d’alti sensi,
tu vedi il tutto: et quel che non potea
far altri, è nulla a la tua gran vertute,
por fine al mio dolore;
ch’a te honore, et a me fia salute.
105 Vergine, in cui ò tutta mia speranza
che possi et vogli al gran bisogno aitarme,
non mi lasciare in su l’extremo passo.
Non guardar me, ma Chi degnò crearme;
no ’l mio valor, ma l’alta Sua sembianza,
110 ch’è in me, ti mova a curar d’uom sì basso.
Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso
d’umor vano stillante:
Vergine, tu di sante
lagrime et pïe adempi ’l meo cor lasso,
115 ch’almen l’ultimo pianto sia devoto,
senza terrestro limo,
come fu ’l primo non d’insania vòto.
Vergine humana, et nemica d’orgoglio,
del comune principio amor t’induca:
120 miserere d’un cor contrito humile.
Che se poca mortal terra caduca
amar con sì mirabil fede soglio,
che devrò far di te, cosa gentile?
Se dal mio stato assai misero et vile
125 per le tue man’ resurgo,
Vergine, i’ sacro et purgo
al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile,
la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri.
Scorgimi al miglior guado,
130 et prendi in grado i cangiati desiri.
Il dì s’appressa, et non pote esser lunge,
sì corre il tempo et vola,
Vergine unica et sola,
e ’l cor or coscïentia or morte punge.
135 Raccomandami al tuo figliuol, verace
homo et verace Dio,
ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace.

3. Guida alla lettura della composizione

a) Tra lirica d’amore e tradizione liturgica
All’interno dell’impegnativa  canzone alla Vergine è possibile individuare numerosissime riprese, anche esplicite, tanto dalla tradizione della lirica erotica cortese e stilnovistica, quanto da quella della innografia mariana (cioè dai testi sacri dedicati a Maria). Ciò implica la natura ambivalente (o duplice) della canzone, che ad alcuni critici antichi pareva non impeccabile dal punto di vista religioso, in quanto troppo profondamente segnata dallo spirito profano che attraversa il resto del Canzoniere. In verità, anche in questa canzone si ritrova la commistione di slancio religioso e di vocazione profana caratteristica di Petrarca; e non si può negare che qui la finalità sacra risulti infine dominante e capace di asservire a sé gli altri aspetti della personalità e della cultura petrarchesca. Esempi della presenza di una componente cortese e stilnovistica nella canzone sono: alcuni epiteti riferiti alla Vergine, quali «stella» (v. 67), «dea» (v. 98), «cosa gentile» (v. 123; in rima con «vile»); la definizione di Maria secondo modi già usati a proposito di Laura, come «unica et sola» (v. 133); la rima «sospiri»: «desiri» (vv. 128-130), utilizzata anche da Dante per caratterizzare l’incontro con Francesca in senso appunto cortese-stilnovistico (Inf. V, 82-143). Numerosissimi sono poi i riferimenti alla letteratura religiosa, e in particolare a quella mariana. Solo due esempi: «bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina» (v. 13) e «pulvis ego sum et tu regina coeli» [io sono polvere e tu sei regina del cielo] (Antifona Regina coeli); «di questo tempestoso mare stella» (v. 67), «Vergine sacra et alma» (v. 87) e «Ave maris stella,/ Dei mater alma» [Salve o stella del mare, vitale madre di Dio] (dall’inno che così inizia).
b) Due ipotesi diverse di femminilità
In questa canzone Petrarca passa in rassegna la propria vita, riesaminando la passione per Laura e, in qualche modo, i caratteri di Laura stessa. Il passato (vita, amore, Laura) è considerato una condizione di errore e di sofferenza, cui il pentimento presente e l’adesione alla nuova dimensione religiosa vengono contrapposti ripetutamente. Tre esempi: la condizione del poeta è quella di una nave senza timone in mezzo a una tempesta, mentre la Madonna è stella di orientamento per la navigazione (vv. 66-71); alle inutili lacrime versate per Laura devono sostituirsi sante lacrime di pentimento (vv. 111-117); all’amore fedele per il corpo caduco di Laura deve tenere ora dietro una fedeltà ancora maggiore per la nobiltà eterna di Maria (vv. 121-123). Al fondo della contrapposizione tra due stili di vita è possibile individuare anche una contrapposizione tra due modelli di femminilità, uno rappresentato da Laura e qui infine negato, e l’altro rappresentato dalla Vergine cui qui si aderisce. Il distacco finale dal primo modello e l’adesione al secondo sono infine rilevati dalla dittologia sinonimica «Vergine unica et sola» (v. 133). La struttura contrappositiva raggiunge invece il suo culmine ai vv. 92-104, cioè nella stanza dedicata alla rievocazione esplicita dell’amore per Laura. Tale strofa è costruita sulla figura del chiasmo, a sottolineare il contrasto tra due situazioni: se Laura avesse appagato il poeta avrebbe procurato a lui la dannazione, a sé ignominia; mentre se lo appaga la Madonna, per lui ne consegue la salvezza e per lei onore («a me morte, et a lei fama rea», «a te honore, et a me fia salute»: vv. 97 e 104). La femminilità di Laura risulta insomma priva della possibilità di spendersi, di entrare in rapporto con il poeta e di dargli appagamento: la amata è definita «terra» (v. 92), «poca mortal terra caduca» (v. 121) e addirittura «Medusa» (v. 111) capace di pietrificare il poeta. A tale modello di femminilità si contrappone qui quello della Vergine, le cui caratteristiche rovesciano quelle di Laura; esse sono l’accoglienza, la protettività, la nutritività; cioè caratteristiche prevalentemente materne. Di questa grande canzone è dunque possibile dare anche un’interpretazione psicoanalitica, definendola una rinuncia all’amore istintuale e alla passione, un ritorno all’abbraccio tranquillizzante della donna-madre. Ciò non toglie, ovviamente, che sia doveroso il rispetto per il significato esplicito (o consapevole) del testo: una volontà di superare, grazie alla religione, la condizione spirituale (e psicologica) bloccata nella passione colpevole.

4. I temi della preghiera alla Madonna

La canzone, in esplicita lode alla Madonna (ogni stanza - non a caso - si apre con il termine “Vergine”), è strutturata come una lunga e protratta invocazione alla Vergine, con abbondanza di riferimenti a tutta la tradizione biblica e ai canti di preghiera per la madre di Cristo. In particolare, la Madonna costituisce l’altro polo rispetto alla passione terrena per Laura, che viene quindi riletta e reinterpretata in ottica del pentimento e della remissione dei propri peccati. Alla celebrazione delle lodi e delle virtù della donna, si affianca sempre (spesso in chiusura di stanza) l’umile richiesta del poeta di aver aiuto per il proprio “dubio stato” (v. 25), di esser degno del regno dei cieli (v. 37) o di godere finalmente della pace del “cor” (v. 52). Il tema della sofferenza amorosa, che attraversa tutta la struttura del Canzoniere, diventa scoglio sulla via della salvezza, tanto che il poeta definisce la propria esistenza terrena una “torta via” (v. 65) agitata dalla “terribile procella” (v. 69) della passione, in cui Petrarca si confessa “sol” e “senza governo” (v. 70). Si ripresenta, ad aggravare ulteriormente la condizione esistenziale del poeta, il memento mori (ovvero, secondo l’espressione latina, il ricordo ossessivo di dover morire un giorno o l’latro), che rende ancor più urgente e necessario l’intervento salvifico della Vergine:
Mortal bellezza, atti et parole m’ànno
tutta ingombrata l’alma.
Vergine sacra et alma,
non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno.
I dí miei piú correnti che saetta
fra miserie et peccati
sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta.
L’intercessione della Madonna presso il divino Creatore è l’unica speranza di salvezza per il “cor lasso” (v. 114) del poeta, che quasi con vergogna ammette d’essere rimasto a lungo legato a Laura, cui si allude con la lunga perifrasi di “poca mortal terra caduca” (v. 121) che precede quella che è considerata dalla critica la dedica finale del Canzoniere. Ai vv. 124-128, Petrarca affida nelle mani della Vergine i frutti della sua fatica poetica e tutta la propria esperienza esistenziale:
Se dal mio stato assai misero et vileper le tue man resurgo,
Vergine, i’ sacro et purgo
al tuo nome et penseri e ‘ngegno et stile,
la lingua e ‘l cor, le lagrime e i sospiri.
Il congedo (vv. 131-137) ribadisce il senso ultimo della preghiera e la richiesta di “pace” (v. 137) per il proprio “spirto”.

Bibliografia
PETRARCA F., Canzoniere, testo critico di G. Contini, Einaudi, Torino 1964; BANDIERA S., Petrarca, "Vergine bella, che di sol vestita": parafrasi del testo, in Oilproject; JESURUM R., "Vergine bella, che di sol vestita": analisi e commento, in Oilproject; CIONI L., Dante e Petrarca. Due mondi a confronto, in Tracce. Litterae Communionis, anno XXXI, gennaio 2004, p. 86-89; MAUTA J., La Mariologia del Petrarca, in Missio Immacolatae International, anno 7, settembre - ottobre 2011, pp. 11-12.
 






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