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BELLINI GIOVANNI



1. La via della Bellezza
«Il bello è lo splendore del vero e del bene - veri tatis splendor - che fa accogliere con amore, e quindi in piena libertà, il vero e il bene». Il bello non solo «attraversa tutti i linguaggi - poesia, musica, pittura, architettura, forme dell'abitare, costruzione della città», ma «è la forma tipicamente umana della percezione e della dedizione alla verità del mondo e della vita. E, dunque, anche della rivelazione di Dio. La teologia cristiana sa che il Logos di Dio si dà a vedere, anzi si dona all'uomo nei mysteria carnis di Gesù. Il cui corpo non è un'occasione per l'apparizione di Dio, ma è l'immagine visibile del Dio inaccessibile» (F. G. Brambilla). «Mentre conosciamo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili» (H. U. von Balthasar). La sfida diventa allora «la conversione del logos» che il cammino storico dell'Occidente ha reso «anestetico» e «anaffettivo» riducendolo a «logos burocratico», a razionalità imprigionata negli orizzonti dello strumentale e del libidico, talmente insensibile all'umano e al divino da aver aperto la via all'abisso «razionale», secolare, moderno, della Shoah. C'è posto, nel cielo di Dio, per corpi e affetti sensibili? C'è posto per l'arte? Il cristianesimo si presenta per tanti aspetti come la religione più spirituale, ma è anche quella che ha prodotto le opere più alte, più complesse e più ardite per dire se stessa e, in senso più ampio, l'anelito dell'uomo verso Dio. La religione cristiana, che è culto "in spirito e verità", (Gv 4,24), non pensa lo spirito e la verità astrattamente, ma li riconosce in una concreta manifestazione storica, che ha le sue radici nella storia del popolo ebraico, la sua attuazione nella persona storica di Gesù Cristo, la sua continuità nella storia della comunità che prolunga nel tempo la sua presenza di Risorto, Vivente oltre la morte. Quando noi pensiamo al grande patrimonio di fede che si trova espresso nelle opere architettoniche e artistiche del mondo cristiano, non dobbiamo mai dimenticare tale radice. Quelle opere nascono a partire dalla fede nell'Incarnazione del Verbo di Dio e sono frutto di tale fede. Noi non creiamo semplicemente degli spazi sacri per azioni di culto; noi non erigiamo semplicemente monumenti a una divinità cui riserviamo venerazione ed esprimiamo sottomissione; noi non trasfiguriamo semplicemente nelle forme alte dell'arte un sentimento religioso. Noi, nel creare, nel custodire, nel proporre l'arte cristiana diciamo, comunichiamo in modo tutto specifico una fede, che può prendere forma proprio perché il Verbo ha preso forma umana e che può dirsi nelle forme umane proprio perché ha in sé un'esigenza di incarnazione continua.

2. La Vergine Madre nel mistero dell'Incarnazione: Maternità e pietà
a)
C'è una singolare e misteriosa corrispondenza - documentata fra l'altro dalla pia ma non banale tradizione che fa dell'evangelista Luca il primo ritrattista della Madre di Dio - che lega gli artisti alla Vergine Maria. I padri della Chiesa da sempre hanno visto in Maria colei che accolse nel suo grembo il Verbo di Dio e dette forma visibile al Dio invisibile, il misterioso ponte attraverso il quale viene superata definitivamente l'inacessibilità di Dio. E lo Spirito Santo ad aver plasmato in Maria la fisionomia umana del Figlio di Dio, non senza, tuttavia, la sua collaborazione di Vergine dell'ascolto e dell'obbedienza. La speciale via pulcritudinis della pittura di Giovanni Bellini ci guida alle mete dell'amore e della compassione sotto il segno della bellezza. Diceva Rostand della donna amata: «La vostra vista mi fa un'estate nell'anima». La bellezza è l'anima divenuta pienamente visibile, come un fiore alla luce dell'estate. Nulla di intimo è ormai nascosto, nulla che non si lascerebbe svelare dall'occhio dello spettatore. L'infinito dello spirito, e della tecnica che può manifestarlo, scongiurano la morte con l'infinito di una rappresentazione che è gioia dell'anima. La bellezza - e in particolare la bellezza femminile - è l'invenzione più sorprendente e più paradossale del cristianesimo: il suo miracolo nel senso forte del termine, è la conseguenza diretta di quel miracolo iniziale che è l'Incarnazione. È attraverso la donna che agisce l'incarnazione: il corpo di Maria è indispensabile per la venuta al mondo visibile del Dio invisibile. Eppure, non è il suo corpo in quanto tale che bisogna fare comparire, ma un corpo innamorato; l'amore è infatti quell'assunzione di sé e quel votarsi all'altro di cui il grado più alto è il dono della vita. Stendhal si sbaglia, quando scrive che la bellezza è «una promessa di felicità». E vero il contrario: l'amore è una promessa di bellezza.
b) Messer Zuan Bellin, Giovanni Bellini, detto il Giambellino, nato a Venezia intorno al 1435 fu, per la sua epoca, il maestro stesso della modernità, l'eccelso cantore della maternità e della pietà. Infatti influenzò e si lasciò influenzare da grandi artisti come Mantegna, suo cognato, Piero della Francesca, Antonello da Messina, Giorgione, Tiziano e lo stesso Leonardo da Vinci. Nell'immaginario popolare, il nome di Giovanni Bellini si associa a quello del più noto e amato pittore di Madonne fra tutti, dell'artista che per tutta la vita investigò, con intelligentissime variazioni, il tema dell'amore tra Madre e Figlio in modo straordinariamente spirituale: e non v'è dubbio che l'argomento sia di grande fascino.

3. Le Madonne di Bellini
Tanto che l'avvio della carriera del pittore può essere ricostruito su basi squisitamente filologiche proprio da una Madonna, la più antica opera datata rimastaci:

a) La Madonna degli Alberetti, segnata 1487, quando l'artista era quasi cinquantenne. Tra gli esempi più alti, prototipi a volte per decine e decine di copie eseguite poi dalla bottega, ecco capolavori come la sublime Madonna dei cherubini rossi ove il basso orizzonte consente a Giovanni di descrivere un cielo mutevole, trascolorante nelle diverse ore del giorno. Bellini travasa nel '500, con l'assoluta qualità della sua luce, le grandi conquiste della pittura veneziana del '400. Nei suoi capolavori si può indovinare "l'ora del giorno" che l'artista fissa sulla tela: la stessa attenzione con cui l'evangelista Giovarmi nota l'ora in cui i discepoli videro per la prima volta Gesù: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39). La luce straordinaria e umanissima che l'artista cattura e immette nei suoi dipinti sacri, ma anche profani, conquista l'anima. Luce unica, velata di sentimenti di pietà cristiana e di uno sconfinato amore per la natura veneta. Luce che questo mite maestro, che continuò dopo la morte del figlio e della moglie il suo solitario percorso artistico, diffuse nei suoi quadri come la carezza stessa di Dio.

b) Luce d'aurora come nella grande pala di Pesaro, Incoronazione della Vergine, sulla cui cimasa è rappresentato il momento dell'unzione del corpo di Cristo: formidabile gioco di mani tra il Signore e una struggente Maria Maddalena dai capelli sciolti, bella e dolorosamente vera. Si tratta di un nuovo tipo di composizione che coniuga il carattere drammatico della storia con il necessario raccoglimento di un'immagine devozionale, un effetto di intimità ottenuto rappresentando le mezze figure in primo piano, vicino agli occhi e alla pietà dello spettatore rinascimentale. Bellini con la luce e il colore ottiene ricchi effetti atmosferici che diventano il segno distintivo dell'arte veneziana del Rinascimento. Oltre alle grandi pale d'altare, dipinge numerose immagini della Madonna col Bambino per uso domestico devozionale. Nonostante la loro modesta dimensione e il tema noto della maternità, questi dipinti brillano di notevole e sempre fresca inventiva.

c) La Madonna del Metropolitan Museum of Art di New York è allineata con l'asse verticale del dipinto, ma la stoffa di colore ruggine del drappo d'onore e la posizione del Bambino teneramente sorretto dalla Madre introducono un'audace asimmetria. Il bellissimo paesaggio dipinto, bagnato di luce argentea, che devia lo sguardo dall'intimità domestica segnata dalla balaustra e dalla tenda e lo spinge alle pendici delle Alpi, dona equilibrio alla composizione e sottolinea ancora il miracolo della maternità divina. La mela cotogna nella mano del bambino è il simbolo della Resurrezione. Restiamo in "esterno" mentre nella luce serena di un freddo pomeriggio d'aprile, nuvole veloci lasciano filtrare un tenue sole che illumina la Madonna con il Bambino benedicente. Alle spalle dei due, la campagna veneta s'impenna in colline, mentre sull'orizzonte limpido si disegnano le Dolomiti. Un panno di seta verde separa il primo piano dal paesaggio, che pare intriso dei sentimenti stessi della giovane madre pensosa, il cui profilo si identifica con la collina nascosta dietro il drappo.

d) La Madonna con il Bambino benedicente è universalmente riconosciuto come capolavoro della maturità dell'artista e come una delle più maestose tra le sue numerose raffigurazioni del tema della Maternità. Il campo pittorico di dimensioni molto superiori, è ampliato per accogliere il vasto paesaggio raffigurato a entrambi i lati dei protagonisti; l'usuale parapetto in primo piano è stato rimosso sicchè la Vergine è rappresentata di tre quarti anziché a mezzo busto. L'ampliamento del campo aiuta a convogliare uri maggiore naturalismo: le figure non sono più rigidamente confinate all'interno della cornice e lo sfondo evoca mirabilmente la campagna a nord di Venezia, dove le colline ai piedi delle Dolomiti incontrano la pianura. Tuttavia, grazie al rigido convenzionalismo della composizione, la Vergine non è una madre qualsiasi con il proprio bambino, ma rimane l'inconfondibile Regina dei Cieli. il messaggio religioso è ulteriormente sottolineato da molti dei dettagli sullo sfondo, da interpretare simbolicamente. L'albero a destra, ad esempio, rappresentato come una trappola per volatili con delle strisce di stoffa e urta pastoia di richiamo, probabilmente allude al Salmo 124. «Siamo sfuggiti come un uccello dalle trappole dei cacciatori: il laccio si è spezzato e noi siamo sfuggiti» (v. 7): è l'anima cristiana che fugge dalle tentazioni terrene. Analogamente, il pastore dormiente in basso a destra ricorda la condanna di Isaia (57, 10-11) dei pastori pigri e ignoranti, che non si prendono cura delle loro greggi, mentre il leopardo sull'altare a sinistra fa riferimento all'umanità peccatrice, che porta il peso del peccato. Non è chiaro il confine tra simbolismo e puro naturalismo nei paesaggi di Bellini eppure le fattorie o le due figure sotto l'albero sulla sinistra o l'uomo a cavallo sulla destra parlano di vita quotidiana diventata storia di salvezza perchè investita dalla Grazia. Qui l'artista con la tecnica a olio conferisce tiepida pastosità ai colori e delicatezza ai passaggi tonali. Siamo ormai alle soglie del nuovo secolo: la modernità della visione di Bellini appare chiara. E lui l'artefice della luce moderna, colui che ha saputo vivificare uomo e natura, architetture e figure, terre, acque, cieli d'alba e tramonti, vestendo la varietà del visibile di una nuova vastità di tinte in sereno accordo, sempre attraverso la luce.

e) Nella Presentazione di Gesù al tempio Bellini "scatta" in luce artificiale un "ritratto di famiglia" su fondo nero, che rappresenta l'incontro tra Maria e il vecchio Simeone. Tra i presenti, rigorosamente a mezza figura e sporgenti da una balaustra-altare - espediente caro a Bellini -, riconosciamo da destra il suo autoritratto accanto al cognato Mantegna; e da sinistra la sorella Nicolosia, che sposò Mantegna, e la moglie (o la madre) del pittore. Nel vecchio san Giuseppe al centro del dipinto forse si può riconoscere Jacopo Bellini padre del pittore, pittore lui stesso. In contrasto con l'architettura e il marmoreo rigore del Mantegna che dipinge una tavola analoga, Bellini dona alla scena un ritmo ben diverso, con modifiche sostanziali: l'aggiunta di più persone ai protagonisti, l'eliminazione della cornice, o meglio la sua riduzione a un pallido ripiano in marmo, simile all'altare dell'offerta, il bambino fasciato dal sudano in vista della passione, in piedi sul cuscino scuro, la madre che pare stringere a sé il Figlio per preservarlo dal dolore, i toni caldi su sfondo nero conferiscono alla scena un senso di mistero e una profezia della croce.

f) Non si può non condividere il "vivo senso" che pervade il Cristo compianto dalla Vergine e san Giovanni dell'Accademia Carrara di Bergamo, opera giovanile ancora soggetta all'influenza di Donatello, che aveva lavorato a Padova due decenni prima, o di Mantegna e del padre di Giovanni, Jacopo Bellini, presso il quale il figlio aveva probabilmente iniziato il suo lungo cammino di pittore intorno al 1460. A Venezia nessuno al pari di Giovanni perviene, dopo la metà del Quattrocento, ad accenti di così condiviso dolore, illuminato della luce della pietas che s'innerva nella produzione specialmente scultorea d'Oltralpe. Nelle figure che fanno da quinta al meraviglioso monocroino con il Compianto su Cristo morto degli Uffizi, una delle opere più intense del Rinascimento italiano, si trovano influssi dalle stampe nordiche, e ogni volta che spicca nei quadri di Bellini, dopo il 1470, un segno scalfito, seppure temperato dalla luce, possiamo leggere in filigrana il ricordo di modelli oltrealpi.

g) Nella sublime Pietà di Brera, il tradizionale motivo trecentesco viene riproposto meno nei suoi connotati teologici e più empaticamente come rappresentazione dello strazio interiore di una madre; ma con tale solenne severità, con tale parca misura di gesti da eliminare quasi ogni elemento distraente dalla contemplazione. Eppure la resa di superfici nelle tre figure, immanenti sul primo piano, è tra le più emozionanti e sensibili che Giovanni Bellini abbia mai dato; e fu forse, qui, per le meditazioni di un raffinatissimo e colto committente privato. Dell'altissimo rango dell'opera, della consapevolezza di una superiorità della pittura nella rappresentazione di tali sentimenti di dolore, a paragone dell'arte e della poesia antica, parla il riutilizzo e la variante di un distico di Properzio per apporre la propria firma; testimonianza fra le più alte dell'umanesimo religioso del Bellini. L'uso del parapetto col "cartellino" è indice ancora di conoscenza e di affinità sentimentale coi migliori artisti fiamminghi.

h) Nella Pietà Donà delle Rose, firmata IOANNES / BELLINVS sulla roccia a sinistra, che mostra nello sfondo una veduta di Vicenza, con il Palazzo della Ragione tuttora gotico, futura Basilica palladiana, la torre dei Signori, il duomo, coeva dunque al Battesimo di Santa Corona, il pittore tratta il tema della Pietà adottando la forma iconografica del Vésperbild, non del tutto inconsueta nella pittura del Nord Italia, da Ercole de Robertis a Cosmè Tura. Il motivo è tipico della scultura germanica tardogotica, esemplari della quale, solitamente realizzati in pietra arenaria, ma anche in stucco e in alabastro (Pietà Tempio Malatestiano di Rimini), sono reperibili sia nelle Tre Venezie, sia in tutte le regioni che si affacciano sulla costa adriatica fino al Molise; sembra inutile citare in questo contesto la Pietà di Michelangelo in San Pietro, di pochissimi anni precedente a questa tavoletta di Giovanni, che non segue Buonarroti nel raffigurare giovane la Madre del Signore. Se il dipinto fu realizzato, come è probabile, a Vicenza, Giovanni, o il committente, possono esser stati influenzati, nella scelta del tema, dalla presenza, nel santuario mano di Monte Berico, presso i Servi di Maria, di tre Vesperbilder, uno scultoreo, appartenente alla serie tedesca suaccennata, e due eseguiti da Bartolomeo Montagna, uno dei quali affrescato in sacrestia, l'altro firmato e datato 1500. Ci troviamo di fronte ad una composizione molto simile a quella della Madonna del prato, pure caratterizzata dalla costruzione piramidale del gruppo, dall'interesse che l'artista dimostra per il paesaggio, dal fatto che il corpo di Maria è costituito quasi esclusivamente dalle pieghe del manto in cui è avvolta. Cristo e la Madre sono inseriti nella natura che li circonda e che appare priva di vita nella zona immediatamente a contatto con loro, come se fosse contagiata dall'evento luttuoso, mentre in lontananza il paesaggio è in grado di ospitare una vita che non è tuttavia percepibile da noi, a significare, che solo la resurrezione di Cristo sarà in grado di aprire per l'umanità una nuova era. I colori puri, dalle tonalità in contrasto fra di loro, nelle vesti di Maria, contribuiscono ad accentuare lo stacco tra il primo piano e la veduta lontana, molto più fusa a livello cromatico che, dai campi silenziosi alla città i cui edifici si stagliano contro una collina boscosa, digrada fino alle montagne e al cielo luminoso nello sfondo, che invece il crepuscolo incupisce in primo piano. L'aria è piena di un pulviscolo luminoso di ispirazione giorgionesca, ma non si tratta di semplice dato stilistico: è qualcosa di più sostanziale. La lieve densità atmosferica serve infatti ad avvolgere in una dolce mestizia questo supremo esempio di maternità. Al di là di ogni debole sentimentalismo, Bellini vuole celebrare Maria e il Figlio per la loro totale coscienza, non esclusa l'offerta suprema al Padre per amore dell'umanità.

i) Per la chiesa di santa Maria dei Servi di Venezia Giovanni dipinge intorno al 1465 Il compianto del Cristo morto, tra Giuseppe d'Arimatea, Maria Maddalena, Marta e san Filippo Benizi. Maria che sostiene il corpo esamine di Cristo, esprime un dolore muto ma sereno. Il volto impietrito di Giuseppe d'Arimatea e il pianto delle Marie si accompagnano al colore livido del cielo ed al grigiore della laguna. La composizione converge nell'immagine del Cristo, con il volto affilato, le labbra terree e semiaperte, dalle quali è fuggito l'ultimo soffio della vita terrena. La straziata e muta sofferenza non è gelida desolazione, ma è l'annuncio per la speranza della pietà di Dio. In un modello morbido, contemplativo e silente, i toni, caldi o freddi, tenui o penetrati di luce, si esaltano gli uni con gli altri. Il clima spirituale è quello di meditazione improntata a gravità. Una poesia profonda emana dal paesaggio che si presenta tra suggestioni simboliche e ampi slarghi di abbandono bucolico e con il quale le figure si integrano in maniera perfetta. La soffusa dolcezza della luce del tramonto si espande dal lontano orizzonte, mentre le vesti lattee dei protagonisti, i veli bianchi, il sudano, incisi a sottile tratteggio, vibrano all'ultimo raggio di sole. Accanto alla croce svetta l'albero della vita. La tenebra del venerdì santo cede alla luce radiosa del mattino di pasqua. Un grande silenzio contemplativo alita su questi luoghi, che hanno quasi la stupefazione del miracolo. Il paese, benché trattato come sfondo, ha assunto una vastità tutta giorgionesca; con una morbidezza di dettato atmosferico, data anche dall'uso vibrante dell'olio lievemente tinto sulla felpa erbosa, e una verità ottica, da far quasi rimpiangere che la storia della pittura si sia ormai volta verso una diversa direzione.
I tempi nuovi continuano dopo di lui, ma non produrranno forse più un artista che sappia, come lui, avanzare nel nuovo senza perdere una religiosa, gelosa comunione con le radici del passato, della cultura cristiana. Questa capacità di con-tenere e comporre tante sollecitazioni diverse e affascinanti, di moderarle senza respingerle, di trovare la libertà dell'artista nell'intatto 'uomo interiore', è propria di una grande anima. Non è difficile capire Giovanni Bellini, è difficile essere Giovanni Bellini, ai suoi tempi e oggi: la misteriosa serenità delle sue opere, la predilezione per i temi della maternità e della pietà, la fede nel dato rivelato sono per noi motivo di riflessione ed invito al silenzio, mistero di grazia che attinge la sua motivazione in Dio, nel desiderio di entrare in comunione con lui e di rimanere in adorazione alla sua presenza.

Bibliografia
VISENTIN M. C.,  Donna e Madonna in Giovanni Bellini (1430ca - 1516), in Santa Maria Regina Martyrum,  XII (2009), n. 1, pp.40-46; ID., Splendore di bellezza. Le più antiche immagini di Santa Maria dei Servi, MSA, Padova 2007; FABBRI D., Bellini. I Maestri del colore, 45, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1964; GHIOTTO R. - PIGNATTI T., L'opera completa di Giovanni Bellini, Classici dell'arte Rizzoli, Milano 1969; LUCCO M., Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, 11, Electa, Milano 1990, pp. 395-480; TEMPESTINI A., Giovanni Bellini, Electa, Milano 1999; KRISTEVA J., Bisogno di credere. Un punto di vista laico, Donzelli, Milano 2006; LUCCO M. - VILLA G. (a cura di), Giovanni Bellini, Silvana Editoriale, Milano 2008, catalogo mostra al Quirinale.
 






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