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DE BERCEO GONZAGO



1. Cenni biografici, opere e loro sfondo storico-culturale
a) Gonzalo de Berceo, nato attorno al 1196, con tutta probabilità uno degli scholares clerici formatisi presso i neo-istituiti (1212-14) Estudios Generales di Palencia, prende gli ordini minori (alcuni dati documentali sembrano suggerire che sia stato ordinato sacerdote) e svolge la sua attività nel monastero di S. Millán de la Cogolla, nella Rioja. La sua morte è da collocare negli anni 1260-64. Sono suoi 9 dei 12 testi duecenteschi riconducibili al mester de clerecía (più il volgarizzamento di tre inni) e la sua produzione (3.325 quart.) per più di un terzo è di argomento mariano: (1.354 quart.: Duelo de la Virgen e Loores de nuestra Señora – 1236-46 –, Milagros de nuestra Señora – 1246-52 –), per una parte consistente è di taglio agiografico (1.576 quart.: le vidas di S. Millán – 1230 ca., S. Domingo -1236 ca. –, il poema di Santa Oria – 1252-57 –, il martirio di S. Lorenzo – rimasto incompiuto alla morte dell'autore) e non mancano testi di carattere dottrinale (395 quart.: Del sacrificio de la misa, De los signos que aparecerán antes del juicio final, il volgarizzamento dei tre inni; tutti databili al 1236-46).
b) Più degli scarni dati biografici, è l’analisi attenta dell’opera a rivelare che Berceo è autore dalla solida formazione e già da tempo la critica ha ravvisato nei suoi scritti due spinte antitetiche, concretizzate nell’opposizione localismo-universalismo, che identificano altrettanti poli di interesse: l’intento di propaganda locale per attirare pellegrini (e oblazioni) ai monasteri della zona spiega la prospettiva di radicamento nel territorio delle vite di santi, mentre l’appello alla catechesi promosso dal IV Concilio Lateranense (1215) è alla base di testi dalla prospettiva più ampia, come appunto i Milagros de nuestra Señora, riflesso di una tradizione già datata all’epoca della composizione e in pratica onnipresente. Tuttavia, questa prospettiva da un lato circoscrive un nucleo, agiografico (S. Millán, S. Domingo, S. Oria e in parte S. Lorenzo), ispirato dall’interesse per la realtà locale e dall’altro lato delimita una macro-sezione dalle molteplici sfaccettature (opere mariane, dottrinali, volgarizzamenti di inni), per la quale si fa fatica a intravedere un denominatore comune, se non quello di ‘restare fuori’ dalla sfera dell’agiografia.
c) Quale altro fattore può essere utile allora per comprendere meglio gli intenti della scrittura di Berceo e coglierne le peculiarità tematiche e linguistico-espressive? Come si vedrà, forse in particolare nel caso del Riojano, è dirimente il rapporto col pubblico, che sembra improntare in maniera decisiva il trattamento di tematiche ricorrenti e naturalmente la lingua letteraria, dando origine a vere e proprie variazioni sul tema. A ciò si aggiunga che il fine ultimo del mester de clerecía, dunque di Berceo ma anche della stessa catechesi medievale, è pratico: non intende tanto discettare attorno a un sapere teologico-dottrinale, inaccessibile ai più, quanto ricercare l’efficacia didascalica. In questa prospettiva, la dimensione terrena diviene riflesso di quella soprannaturale, la storia del mondo e l’esistenza dell’uomo sono concepite come lotta tra Dio e il demonio e rese secondo i codici socio-culturali dell’epoca, cioè in termini feudali e vassallatici; da qui il racconto ‘epico’ dello scontro tra Bene e Male e la drammatizzazione che traduce questo confronto in immagini vivide, come ben testimonia anche l’opera gonzalviana.

2. Competenza mariologica di Gonzago
a) È in quest’ottica che si realizza l’avvicinamento delle figure soprannaturali alla sfera quotidiana, per cui la Vergine, gli angeli, i demoni, si fanno più prossimi, la dimensione miracolosa da straordinaria si fa abituale: a partire da S. Anselmo, infatti, si era prodotta una sorta di umanizzazione delle figure di Cristo e di Maria, tendenza sviluppatasi in seguito con S. Bernardo e culminata con S. Tommaso e S. Bonaventura; e si rammenti che, in ambito iberico, il culto mariano era stato favorito dalla liturgia ispanica (visigotica e poi mozarabica), soppiantata più tardi dalla liturgia romana diffusa dai cluniacensi. Anticipando alcune considerazioni su cui si tornerà più avanti, allora, si può affermare che i testi mariologici di Berceo si presentano come una triplice declinazione, determinata da un elemento centrale. Di fatto, il portato teologico e mariologico si traduce in modo diverso a seconda del destinatario dell’opera, che finisce per orientarne non solo la lingua letteraria, ma anche le modalità di trattamento delle medesime tematiche, strategia confermata dall’analisi della produzione gonzalviana nel suo complesso, al di là del perimetro entro il quale si attua l’esaltazione di Maria.
b) Partiamo da una considerazione banale e scontata, ma indispensabile dato il fraintendimento critico di cui Berceo è stato vittima: il filone mariano e più in generale gli scritti del Riojano vanno considerati nel complesso, se si intende coglierne la coerenza di intenti, la ricorrenza dei temi e la capacità di variazione stilistica, che a uno studio attento svelano una mappa ideologica e letteraria coesa, in cui i testi si integrano secondo una studiata strategia comunicativa. La riflessione si impone, posto che in passato – concentrando l’attenzione sui Milagros – si è parlato di gravi incoerenze e contraddizioni del sostrato dottrinale (mariologico) dell’autore, la cui teologia mancherebbe di sistematicità. Egli non solo non avrebbe mai concepito ma neppure conosciuto una sistematizzazione teologica. In seguito si è attribuito l’impianto teologicamente povero della raccolta all’inesistenza di una mariologia sistematica all’epoca (prima metà del XIII sec.); anche quest’affermazione però lascia perplessi, posto che il culto mariano e la tradizione dottrinale mariologica vengono sviluppati dai cluniacensi già dall’XI sec. (si pensi a figure come Fulberto di Chartres (†1098), Pier Damiani (†1072), Guibert de Limbourg (†1098)) e poi dai cistercensi nel sec. successivo (S. Anselmo († 1109), il monaco Eadmero (†1124), S. Bernardo (†1153), Arnaldo di Bonneval (†1156)). O piuttosto l’accusa di povertà teologica (stavolta imputata all’intera opera) è stata interpretata come volontà di andare incontro alla cultura religiosa popolare, ma anche questa precisazione, da sola, è insufficiente a intendere appieno la scrittura e gli intenti di Berceo. In effetti il sostrato teologico e mariologico dei Milagros (o al più di parte dell’agiografia) è espresso in termini elementari e persino trivializzati se lo si osserva da una prospettiva colta, sebbene non siano una novità le forme semplificate di indottrinamento, in consonanza con le manifestazioni della religiosità popolare. Tuttavia, è solo dall’analisi dell’intero trittico mariano (Loores, Duelo, Milagros), concretizzazione di un vero e proprio progetto mariologico, che declina in modo vario la stessa tematica, è solo da una prospettiva unitaria (da estendere all’intera produzione) che emergono le reali competenze teologiche e mariologiche dell’autore.
c) Non sarà inutile, a questo punto, ribadire che all’epoca la base dottrinale della poesia mariana, e dunque anche di quella del Riojano, è costituita dagli apporti di S. Bernardo. Tra i concetti basilari vanno ricordati almeno la teoria della mediazione universale di Maria e la necessità di identificare un mediatore ‘umano’ (la Vergine) per giungere al mediatore supremo (Cristo) e quindi alla fonte suprema della Grazia, cioè Dio (si pensi al sermone bernardiano De aquaeductu); la contrapposizione EVA-AVE, secondo la quale se a causa di una donna è sopraggiunta la rovina del mondo, grazie a un’altra donna ne avviene il riscatto; infine l’azione corredentrice della Vergine e il suo ruolo centrale nella storia della Salvezza. Berceo conosce questa dottrina, diffusa nella Penisola dai monaci cistercensi, come dimostra lo studio della sua produzione mariana: si ricordi che nel Duelo S. Bernardo è co-protagonista assieme a Maria e il testo si sviluppa inizialmente come dialogo tra i due e poi come monologo della Vergine che rievoca la Passione; nei Loores alcune quartine sono un libero adattamento (talvolta una traduzione) di passi bernardiani su concetti-chiave della mariologia del tempo; e l’Introduzione dei Milagros appare strettamente legata alle omelie e ai sermoni mariani di Bernardo. Dunque, l’autore possiede una competenza teologica, come dimostrano la sua formazione (nell’Introduzione dei Milagros si definisce maestro, da intendere come maestro en teología, cioè confessore, o piuttosto come riferimento agli studi compiuti presso gli Estudios Generales palentini), come dimostrano le sue opere dottrinali (Sacrificio, Signos, gli himnos) e quelle mariane. In particolare, come anticipato, il portato mariologico viene declinato secondo una triplice modalità: i Loores de nuestra Señora, di taglio dottrinale; il Duelo de la Virgen, sul tema della corredenzione mariana e ponte verso la dimensione popolare dei Milagros de nuestra Señora, i quali identificano il polo opposto ai Loores nella tensione mariologica del trittico.

3. I Loores de nuestra Señora
a) Sono un compendio della storia della Salvezza, teso a ribadire il ruolo decisivo della Vergine, secondo la prospettiva mariologica dell’XI sec. e dei successivi sviluppi bernardiani. L’opera è pensata verosimilmente per un pubblico almeno (semi-)colto, che condividesse con l’autore anche soltanto in parte certe competenze dottrinali: l’impostazione del testo, infatti, non è esplicativa ma illustrativa, quasi declaratoria; ciò induce a pensare che i destinatari, per formazione, non avessero difficoltà a cogliere l’informazione mariologica veicolata dai versi e dunque non fosse necessario glossarne in modo sistematico il contenuto, come accade invece altrove (nell’Introduzione dei Milagros), quando la ricezione testuale coinvolge degli illitterati.
b) L’opera si apre con un’invocazione alla Vergine, seguita dalla dichiarazione di intenti: narrare come Cristo sia venuto a redimere il mondo attraverso Maria, nella cui figura è riassunta tutta la storia della Salvezza (così la prima redenta diviene redentrice). Ciò è preconizzato dai vaticini veterotestamentari (il roveto ardente, Esodo 3, 2; il bastone di Aronne, Esodo 7, 8 e ss.; il vello di Gedeone, Giudici 6, 36-40; lo sposo che esce dal talamo cfr. salmo 19 (18), 6, ecc.), dai profeti (la porta chiusa di Ezechiele, Ezechiele, 44, 2 e 46, 1; il tronco/radice di Iesse, a simboleggiare la maternità virginale, Isaia 11, 1 e 10; poi Daniele, Geremia, Zaccaria, Abacuc, Malachia, Gioele, ecc.), e da vari segni dalla tradizione apocrifa, il tutto ribadito dai Padri della Chiesa (come nell’Introduzione dei Milagros). Il testo prosegue quindi con la storia di Maria (annunciazione, immacolata concezione, nascita di Gesù), soffermandosi su alcuni concetti-cardine della teologia mariana: il dogma della verginità come abbattimento della legge naturale post-edenica, il ruolo di avvocata e mediatrice della Vergine presso Cristo-Giudice, Maria come eletta in quanto madre di Cristo, per mezzo della quale attingere alla grazia concessa dal Figlio. Si passa poi alla narrazione della vita pubblica di Gesù e della sua morte sulla Croce, che offre lo spunto per introdurre il tema del ruolo di corredentrice di Maria nel riscatto dell’umanità, cui viene affidata la maternità spirituale degli uomini, che le conferisce un protagonismo attivo; si ribadisce l’opposizione EVA-AVE culminante nella Resurrezione (Eva/albero della conoscenza: rovina del genere umano - Maria/albero della Vita = Croce: riscatto del genere umano), sempre sulla scorta della dottrina bernardiana. Si rievocano l’ascensione di Cristo (compimento definitivo della Salvezza), la Pentecoste e la discesa dello Spirito Santo, per concentrarsi infine sull’attesa del giudizio finale (la speranza è in Dio, ma la fiducia è in Maria, in quanto avvocata, mediatrice, in virtù della sua pura umanità), seguono le lodi della Vergine e l’illustrazione di alcuni dei suoi nomi; il tutto sviluppato secondo l’asse temporale ‘segno-risposta suscitata dal segno’.

4. Il Duelo de la Virgen
a) A metà strada tra i Loores e i Milagros, è incentrato sul tema della corredenzione: durante la Passione la Madre soffre con il Figlio crocifisso e assume in parte su di sé il ruolo di redentrice: è anche per la sua sofferenza che si realizza il riscatto dell’umanità, perché di fatto, a partire dall’ultima cena, Maria condivide passo dopo passo le sofferenze del Figlio. Delle tre opere questa è senza dubbio la più ‘lirica’, cioè percorsa da un pathos vibrante, sostenuto dal soggettivismo della visione della crocifissione e morte del Figlio attraverso gli occhi della Madre. Il poema va ascritto al genere del Planctus Mariae o Stabat Mater, in gran voga e in grado di mediare la diffusione di assunti teologici sfruttando la sollecitazione emotiva dell’uditorio, formato da litterati ma anche da illitterati, cioè un pubblico differenziato, che poteva recepire agevolmente il messaggio dell’arcinoto episodio della Passione, specie se supportato dalla resa della vicenda secondo un topos tipologico di sicura presa.
b) L’opera si apre con tre strofe che introducono il tema, seguite dall’invocazione-preghiera di S. Bernardo a Maria, con la quale inizia un dialogo in cui la sollecita a raccontare la Passione di Cristo così come l’ha vissuta: da un lato questo invito consente di insistere sul ruolo di Maria come correndentrice, dall’altro rende la narrazione toccante, percorsa da un’emotività viscerale, che si riverbera sul pubblico, traducendo la trattazione del nucleo teologico in un linguaggio e in un’espressività di forte impatto. Il portato mariologico di matrice bernardiana è ancora una volta ben identificabile, qui addirittura enfatizzato dalla presenza del Santo nel testo, come personaggio. Con la strofa 178, poi, inizia una breve sequenza di distici, che si protrae fino alla strofa 190, la nota cántica de Eya velar, inserita in corrispondenza della narrazione dell’episodio delle sentinelle messe a guardia del sepolcro di Cristo, con un riuscito effetto evocativo, in linea con l’incisività plastica delle scene tratteggiate, in particolare con la gestualità esasperata della Vergine, in cui alcuni hanno voluto intravedere una potenziale rappresentabilità del testo, ipotesi in seguito abbandonata.
c) Insomma, il Duelo, emotivamente intenso, cattura anche il pubblico più semplice, pur restando connotato in termini dottrinali: l’accessibilità dei concetti alti veicolati dai versi non si realizza per mezzo della glossa, dell’adattamento verbale e concettuale, ma per sollecitazione emozionale, facendo leva su risposte istintive cui lo spettatore, persino il più incolto, non poteva sfuggire. Come accennato, il Duelo costituisce una sorta di ponte: a differenza di quanto si rileva nei Loores, la trasmissione del messaggio dottrinale non è glossata (come invece nell’Introduzione dei Milagros), ma affidata alla sicura conoscenza di uno degli episodi più noti del calendario liturgico e al forte coinvolgimento che tocca nel profondo l’ascoltatore.

5. I Milagros de nuestra Señora
a) Si collocano all’estremo opposto rispetto ai Loores: i concetti sono gli stessi, ma stavolta rivolti a un uditorio popolare, affollato di gente comune, priva della formazione e della cultura che si intuiscono dietro al pubblico dei Loores. Qui la materia mariana è espressa nel segno della totale accessibilità, che finisce per connotare in modo ancora una volta peculiare il linguaggio e l’articolazione dei contenuti. L’obiettivo dell’opera è l’annuncio del buen aveniment (quart. 1.3), la redenzione dell’umanità attraverso Cristo, dal momento della sua incarnazione in Maria, il cui ruolo si riconferma fondamentale. Nell’Introduzione ritornano le prefigurazioni mariane dell’Antico Testamento e dei Padri della Chiesa già presenti nei Loores; nel racconto dei prodigi che seguono, però, la narrazione e l’espressività sono adattate a destinatari in buona parte incolti e privi di competenze teologiche (ma anche soltanto culturali). Tuttavia, la struttura dell’opera resta fortemente unitaria: parte dalla tipologia biblica su cui è costruita l’Introduzione (nella bipartizione immagine allegorica e successiva glossa sistematica), poi travasata nella dimensione quotidiana in cui si collocano i miracoli, intesi come prova del ruolo cardine di Maria, sintesi anticipata della storia della Salvezza. In apertura, nel locus amoenus dell’Introduzione, Berceo si presenta come pellegrino, alludendo al significato allegorico della sua stessa funzione di narratore: il prato in cui riposa è il paradiso (riscattato da Maria, nella contrapposizione Eva-Ave), i fiori sugli alberi sono i miracoli della Vergine (reminiscenza dei segni veterotestamentari e patristici che prefigurano l’azione di Maria, come già nei Loores) e così di seguito, fino a esaurire la glossa della tipologia allegorica esordiale. Nei miracoli tutto ciò viene ribadito, calando ogni singolo episodio in quella vita comune popolata da personaggi con cui il pubblico può identificarsi. Il rapporto tra le forze implicate, il Bene e il Male, e poi la Vergine, Cristo, gli angeli da un lato e dall’altro il maligno, i demoni, si concretizza in una vera e propria battaglia escatologica, resa con immagini vivide e un linguaggio espressivo, sfruttando il discorso diretto, il dialogo e un registro vivace e colloquiale, che sconfina talvolta in espressioni a dir poco colorite.
b) I miracoli dunque rappresentano l’affermazione dell’onnipotenza mariana in funzione della devozione dei fedeli; sono la testimonianza del reiterato intervento della Vergine e traducono i principi mariologici dell’Introduzione secondo i codici culturali della società feudale e cortese, descrivendo il rapporto tra Maria e i devoti nei termini delle convenzioni e dei rituali vassallatici. Maria è fonte inesauribile di grazia; è questo il messaggio dell’opera, sintetizzabile in tre punti: il suo trionfo sul maligno, la sua onnipotenza supplice, la costanza con cui la Vergine esercita questa onnipotenza supplice. La ripresa del topico retorico dell’umiltà, per cui Berceo si professa ignorante, un povero chierico ingenuo, incapace di trattare degnamente la materia della sua opera, che usa il linguaggio del popolo perché non conosce abbastanza il latino, oltre a reiterare un topos universale, riconferma la precisa scelta di adattare la lingua letteraria e le modalità di trattamento dei temi al pubblico cui l’opera è destinata. È nei Milagros, allora, che i contenuti mariologici vengono trasfusi – trivializzati in alcuni punti – in una dimensione quotidiana, fatta di scene di vita vissuta, fruibili dai più, da un pubblico più vasto possibile, che comprende gli strati bassi della società, le fasce di popolazione meno istruite o totalmente incolte. È l’esigenza di trasmettere efficacemente il messaggio all’uditorio che orienta le scelte linguistiche, espressive, stilistiche e in senso lato compositive della raccolta, come del filone mariano e dell’intera produzione dell’autore.
c) I Milagros, di fatto, si collocano intenzionalmente su un piano diverso rispetto ai Loores e al Duelo, un piano più prossimo alla produzione agiografica (vidas di S. Millán, S. Domingo, poema di Santa Oria, martirio di S. Lorenzo), rivolta in ultima analisi allo stesso pubblico della raccolta di prodigi mariani, come dimostrano le tecniche espositive prese a prestito dal mester de juglaría (apostrofe all’uditorio, discorso diretto, dialogo e un’esposizione che talvolta assume i moduli formulari dell’epica); mentre i Loores, e per certe implicazioni teologiche anche il Duelo, si avvicinano più alla sfera delle opere dottrinali (gli inni, il Sacrificio de la misa, Los signos que aparecerán antes del juicio final).

6. Problemi interpretativi delle opere mariane
a) La sfasatura interpretativa in cui Berceo è rimasto impigliato si è innescata quando, fuorviati dall’apparente livellamento popolareggiante, prodotto dall’intento didascalico dell’intera produzione gonzalviana, l’impressione di omogeneità ha preso il sopravvento. È a causa di questa apparente uniformità che sono sbiaditi i contorni di una sottile capacità di variatio, concretizzatasi in modo differente a seconda del tipo di pubblico cui ogni opera era destinata, e si è persino arrivati a scambiare il topico di inadeguatezza culturale dell’Introduzione dei Milagros per l’ammissione di incompetenza di un povero chierico ingenuo e ignorante. Certo, a incoraggiare la generalizzazione di questi ‘equivoci’ ha contribuito anche il fatto che la raccolta di miracoli mariani e i poemi agiografici sono le opere di gran lunga più frequentate del Riojano, concepite e redatte secondo modalità compositive e stilistiche affini, di contro all’altro filone, di taglio dottrinale e pensato per un uditorio(-lettore) diverso, per il quale la mimesi linguistico-espressiva, nel senso della colloquialità quotidiana, era del tutto inutile. È stato questo ‘fraintendimento’ ad alimentare l’abbaglio prospettico nell’approccio all’autore e alla sua opera, che la critica da una ventina d’anni a questa parte sta progressivamente chiarendo. Così, il trittico Loores-Duelo-Milagros si fonda su una conoscenza effettiva della mariologia bernardiana.
b) La sua analisi riporta alla luce declinazioni mariologiche diversificate di uno stesso nucleo tematico, identificando un bipolarismo che si sviluppa dai Loores, con la contemplazione della figura e del ruolo cardine di Maria nella storia della Salvezza, passa a illustrarne i meriti di corredentrice nel Duelo e culmina presentandola nei Milagros in funzione attiva di onnipotenza supplice. Secondo questa prospettiva unitaria, coesa, di integrazione reciproca dei tre testi, non solo cade la denuncia di povertà dottrinale imputata all’autore ma anzi ne esce esaltata la sua capacità di produrre variazioni sullo stesso tema, adattando con maestria le modalità di trattamento del contenuto e la lingua letteraria al pubblico cui si rivolge. Il meccanismo-base della comunicazione letteraria gonzalviana sembra consistere allora nella variabile densità concettuale e/o espressiva del discorso, il cui grado è direttamente proporzionale al livello di condivisione di concetti ed espressioni ‘tecniche’ (cioè dottrinali, di matrice teologica e mariologica) tra gli interlocutori, tra emittente e destinatario. Ciò conferma il ruolo determinante del rapporto tra pubblico e lingua letteraria, di più tra pubblico e linguaggio, espressività, stile, ma anche modalità di sviluppo delle tematiche trattate, come ben dimostra il trittico di opere mariane di Gonzalo de Berceo nel panorama letterario, catechetico e socio-culturale della Spagna della prima metà del ’200.

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