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1. Cenni biografici e opere
a) Scholarios fu il primo patriarca di Costantinopoli sotto la dominazione turca e può essere considerato il principale teologo bizantino del XV secolo. Prima di entrare in monastero il suo nome era Giorgio Kourteses, nato a Costantinopoli da famiglia benestante intorno al 1405. Ancora giovanissimo, si dedicò allo studio della filosofia e della teologia greca e latina da autodidatta e divenne in seguito discepolo di Marco Eugenico, di cui tuttavia non condivideva in tutto l'opposizione al pensiero latino. Verso il 1420 aperse una scuola per conto suo e compose una grammatica greca e dei commenti alla filosofia aristotelica e tomista ad uso dei suoi studenti. La sua apertura verso la cultura occidentale lo indirizzò allo studio del pensiero di Agostino, di Tommaso d'Aquino e di altri latini medievali quali lo scotista Francesco de Mayronis. Fu chiamato a lavorare nella corte imperiale dove svolse diverse mansioni. Fu dapprima magistrato, poi segretario dell'imperatore Giovanni VIII Paleologo. Successivamente operò come precettore e predicatore. Le sue doti naturali e la sua capacità di svolgere con competenza le proprie funzioni gli attirarono consensi ed ammirazione; per cui non sorprende che sia stato scelto dall'imperatore a far parte, insieme al metropolita di Efeso Marco Eugenico, della delegazione bizantina al concilio di Ferrara-Firenze. Diversamente dall'Eugenico, Scholarios in un primo momento assunse un atteggiamento favorevole all'unione con Roma, pur non nascondendo un certo scetticismo sulla possibilità di realizzarla concretamente. Nell'ambito della teologia trinitaria, dapprima aveva accettato il Filioque, ma successivamente cambiò idea e anch'egli contestò la formula latina. Ritornato a Costantinopoli, cercò di non entrare nel dibattito che continuava ad opporre Bisanzio a Roma; tuttavia nel 1444 promise al suo maestro morente Marco Eugefico di difendere le posizioni della Chiesa ortodossa e da allora, nei suoi scritti, si mostrò decisamente polemico nei confronti dei teologi latini. Nel 1449 non incontrò i favori del nuovo imperatore Costantino XII, per cui l'anno successivo entrò come monaco nel monastero di Charsianites prendendo il nome di Gennadio. Alla caduta dell'impero nel 1453 ad opera dei turchi, fu arrestato e condotto prigioniero ad Adrianopoli, nella Tracia; ma siccome il sultano vincitore Maometto II aveva disposto che la carica patriarcale continuasse ad esistere e ad essere operativa, nel gennaio 1454 Gennadio fu eletto patriarca suo malgrado. Rimase in funzione fino al 1456 e durante questo breve periodo ebbe tre incontri con il sultano su argomenti relativi alla dottrina cristiana. Presentate le sue dimissioni, dimorò in alcuni monasteri del Monte Athos, ma per due volte, tra il 1460 e il 1464, fu richiamato al trono patriarcale, finché non riuscì a ritirarsi definitivamente nel monastero di Monte Meneceo, dove visse fino alla morte nel 1472.
b) Scholarios fu senz'altro una bella figura di teologo, di predicatore e di scrittore bizantino, ma non solo; egli viene reputato anche un asceta convinto del valore dell'impegno cristiano, come è dimostrato dal suo costante desiderio di vivere una vita monastica. I suoi scritti si occupano prevalentemente di filosofia e di teologia e si arricchiscono di sintesi bene impostate e profonde tra il pensiero greco e quello latino che l'autore ha saputo intelligentemente assimilare. La sua dottrina mariana si ricava soprattutto dalle omelie sulle feste della Madre di Dio: l'Annunciazione, la Presentazione di Maria al tempio e la Dormizione. É una dottrina che complessivamente non esce dall'alveo della tradizione bizantina, ma che si raccomanda per la sua esposizione equilibrata, precisa ed esaustiva.

2. L'Immacolata Concezione di Maria
a) Grazie alla sua notevole apertura mentale, Giorgio comprese ed accettò la dottrina latina della grazia e del peccato originale, che gli consentì di sintonizzarsi con quegli autori occidentali che condividevano la credenza nell'Immacolata Concezione. Egli introduce un'analogia vera e propria tra il concepimento di Gesù e quello della Madre sua, ambedue fuori dal comune e opera di particolari interventi della grazia divina: «Ciò che il concepimento verginale operò in colui che ella ha partorito, la grazia divina lo operò in lei, quantunque ella sia stata generata secondo la maniera comune. Perciò una purezza meravigliosa brilla in ambedue. Ma nel Figlio questa purezza è più gloriosa a causa della sua natura, sottratta ad ogni occasione di contaminazione; nella Madre invece essa (la purezza) non esiste se non per grazia». L'analogia mette bene in chiaro ciò che vi è di comune e di diverso nei due concepimenti. Cristo non poteva contrarre il peccato originale. Per lui quindi è stato necessario ricorrere al concepimento verginale, che ha evitato la trasmissione della colpa di Adamo. Siamo in piena concezione agostiniana, secondo la quale la trasmissione del peccato originale si verifica tramite l'influsso della concupiscenza necessariamente operante nel concepimento naturale. Maria invece, che è stata concepita secondo la via normale della natura, ha richiesto un intervento speciale della grazia, la quale, nell'atto stesso della concezione, ha bloccato l'azione della concupiscenza. Gennadio è dunque esplicito nell'affermare che la grazia ha operato in Maria lo stesso effetto che la concezione verginale ha operato in Gesù. La conclusione è la stessa nel Figlio e nella Madre, ma le vie per arrivarvi sono state diverse. In Cristo agisce l'onnipotenza divina, che concede ad una vergine di concepire; in Maria è la grazia che fa del suo seno la dimora degna di Dio.
b) É comunque sorprendente che Gennadio, convinto estimatore del pensiero tomista, sulla dottrina dell'Immacolata Concezione abbia preso le sue distanze dalla posizione dell'Aquinate, il quale è stato notoriamente contrario all'Immacolata Concezione. In questo caso il patriarca costantinopolitano ha assunto una posizione nuova rispetto alla tradizione bizantina precedente, che ha sempre ignorato il problema e che in seguito mostrerà un atteggiamento generalmente negativo sulla dottrina cattolica riguardante l'Immacolata Concezione. Gennadio si riallaccia alla tradizione occidentale anche nel giustificare questo privilegio mariano; e la motivazione principale non poteva essere se non di carattere cristologico: Maria doveva fornire al Verbo Incarnato una carne perfettamente pura, che potesse costituire una dimora degna e adatta per il Dio fatto uomo. Su questo punto non ha bisogno di fare sforzi di fantasia per descrivere l'eccellenza e la bellezza di questa creatura privilegiata che egli loda ricorrendo all'abituale terminologia usata dagli autori bizantini di tutte le età: «Tu, o beata Vergine e Madre del Figlio di Dio, sei l'onore della razza umana, l'ammirazione degli angeli, l'ornamento di tutta la creazione, la corona della verginità, l'apice dell'impassibilità, fedelissima immagine di Dio, regina piena di benevolenza».L'immagine luminosa di Maria risplende più ancora quando viene paragonata a quella rovinosa di Eva: «O Donna purissima nell'anima e nel corpo, fiore non solo di tutte le donne, bensì dell'intera natura, fiore dolcissimo fra tutti i fiori, posto quale radice e principio dei predestinati alla salvezza, come, al contrario, la prima donna è stata e rimane la radice e il principio dei reprobi. A causa di quest'ultima infatti sono entrate nell'esistenza umana l'incredulità e l'apostasia da Dio, le tenebre delle anime e le passioni della carne; da te invece sono entrate, per coloro che erano e sono gli eletti, la purificazione e l'illuminazione degli spiriti, la castità della carne e le speranze autentiche e intramontabili della vita eterna. O tempio santo nel quale avvenne in modo mirabile la riconciliazione tra Dio e gli uomini». Scholarios considera la concezione straordinaria di Maria il primo momento in cui il Signore manifesta la sua inimmaginabile generosità nei riguardi di lei in vista della sua missione di Madre di Dio: «La grazia di Dio l'ha liberata totalmente (dal peccato originale), come se ella fosse stata concepita verginalmente. Per conseguenza, dal momento che ella era stata completamente liberata dalla colpa avita (progonikès enochès) e dalla punizione - privilegio che ella sola in tutta la razza umana ha ricevuto -, la sua anima è assolutamente inaccessibile alle nubi dei pensieri (impuri). Sia nel corpo che nell'anima ella è diventata un santuario divino».
c) La terminologia usata in questo testo sembrerebbe denunciare una contraddizione nel pensiero dello Scholarios, perché da una parte definisce la condizione di Maria equivalente a quella di Cristo, concepito verginalmente e quindi senza colpa originale, dall'altra dice che la stessa Vergine sarebbe stata liberata da una colpa che quindi dovrebbe avere anche lei ereditato. Tenendo presente che difficilmente un autore si contraddirebbe nello spazio di poche righe, si dovrà cercare se non ci sia il modo di escludere che egli sia caduto in una contraddizione. Il testo potrebbe essere correttamente interpretato nel senso che l'autore non vuole affermare la liberazione da una colpa ereditata, bensì la liberazione dal destino di tutti gli esseri umani che non possono evitare di ereditare questa colpa per il fatto che si trasmette con la trasmissione della natura. Senza un intervento preventivo dall'alto, anche Maria sarebbe incorsa in questo destino. Una seconda interpretazione sarebbe pure possibile. La Vergine sarebbe stata liberata dalla colpa originale in un modo unico, che non ha lasciato in lei nessuna conseguenza della colpa stessa, diversamente da quello che avviene per gli altri esseri umani. In tal caso ella ha potuto trasmettere al Verbo Incarnato una natura umana radicalmente purificata e perfetta.

3. Il problema dell'Assunzione
a) A proposito della fine della vita terrena della Vergine, Gennadio si mantiene nell'alveo dottrinale del suo maestro Marco Eugenico; e comunque elabora la sua posizione personale con molta cautela e precisione, come risulta dall'omelia sulla festa della Dormizione, tenuta nel 1464, quando Costantinopoli era ormai caduta in mano dei turchi e l'Impero bizantino non esisteva più. L'omileta inizia il suo dire sottolineando l'importanza liturgica della festa, messa in luce anche dalla sua collocazione nel calendario liturgico della Chiesa bizantina: «L'inizio dell'anno ci propone la celebrazione della Natività della beata Vergine, divenuta per tutti gli uomini il principio della vera nascita, quella che avviene secondo lo Spirito. Ed ecco ora che l'ultimo mese dell'anno, presentandoci la sua dipartita da questa terra, pone come una specie di magnifico sigillo alle feste del Signore e ai doni di Dio che queste feste richiamano alla nostra devozione. Così la Madre del Verbo ci mette di fronte ad un cerchio ininterrotto nel quale compare il termine non solo della vita spirituale, ma anche di quella corporea. E lei infatti che, dopo la provvidenza divina, guida la nostra vita presente grazie alla collaborazione che ella ha prestato al mistero della nostra salvezza, cooperando, quale strumento appropriato, per ottenerci da Dio la vita eterna ed essendo stata lei stessa, con la sua vicenda personale, la precorritrice e il modello esemplare di questa vita».
b) Questa omelia ci è giunta in duplice versione, attraverso due codici autografi oggi conservati nella Bibliothèque Nationale di Parigi. Nel primo si legge che il corpo della Vergine, dopo la sua deposizione nella terra, non fu più ritrovato perché fu trasportato altrove. La spiegazione che egli adduce è che quella carne che aveva fornito a Dio la carne stessa doveva ricevere un trattamento che non ricevono i corpi degli altri esseri umani. L'omileta non osa indagare su questo qualcosa di diverso e preferisce rimettersi al mistero di Dio, come era usuale nella tradizione patristica orientale. Egli si limita a segnalare due ipotesi che per secoli sono circolate tra i credenti: una riferiva che il corpo di Maria sarebbe stato trasferito nel paradiso terrestre dove rimarrebbe incorrotto in attesa della risurrezione finale. La seconda ipotesi afferma che sarebbe risorto il terzo giorno dopo la morte; sarebbe stato di nuovo rianimato dalla sua anima e salito al cielo. Sono ipotesi da secoli arcinote.
c) Qualche tempo dopo, nel secondo manoscritto, l'autore riporta il medesimo testo con qualche variante senza importanza; ma vi inserisce un'osservazione interessante per cogliere il suo pensiero personale su questa verità che egli non si preoccupa di supportare con il ricorso ad una tradizione esplicita e di origine apostolica: «È all'opinione di questi ultimi (la seconda congettura) che noi preferiamo aderire, essendo la più saggia e comunque la più plausibile». Questa osservazione induce a concludere che Giorgio Scholarios preferisce affidarsi alla tradizione apocrifa convogliata dalla fede popolare e accettata dalla liturgia della Chiesa; tradizione che egli ritiene una pia congettura e tuttavia considera il fattore più accettabile a conferma del mistero della risurrezione e dell'Assunzione corporea di Maria alla gloria eterna.

4. Maria cooperatrice nell'opera della salvezza
a) Scholarios tocca questo tema nell'omelia per la Dormizione ed imposta le sue considerazioni in proposito alla luce delle narrazioni evangeliche ed usa un linguaggio molto semplice e concreto. Quando il Signore Gesù incominciò a dedicarsi alla sua missione pubblica e non ebbe più tempo di occuparsi della Madre, ella era tuttavia contenta perché lo vedeva dedito al bene di tutti. Pur nella lontananza, ella era a lui presente «in una maniera più eccelsa e divina»; lo seguiva e si associava a lui con la sua preghiera, fino al momento in cui poté stare accanto a lui sotto la croce. Dal vangelo passa poi agli apocrifi, ricordando che, dopo la Pentecoste, Maria ha collaborato col Figlio condividendo le fatiche e le sofferenze dei discepoli, impegnati nell'annuncio del regno di Dio, considerando tali sofferenze come un'opportunità per partecipare e conformarsi alla passione salvifica di lui. Come Gesù aveva volontariamente accettato la croce, così anche lei accettava i disagi e le sofferenze legate ai primi passi della Chiesa nella storia e lo faceva con ardore e con diligenza, per amore del Figlio.
b) Una terza considerazione assume un tono più propriamente morale ed ascetico. La via che conduce alla vita eterna è quella tracciata da Gesù, il quale l'ha percorsa lui stesso, per offrire ai credenti un esempio di vita pratica da imitare e far loro capire che si possono superare le difficoltà e le asprezze che essa non manca di presentare. L'omileta pensa che la Madre non poteva non offrire al Figlio la sua collaborazione al fine di stimolare i cristiani sulla via della croce con il proprio esempio. Lei pure diventa un modello di vita da imitare: «Come avrebbe potuto lei, soccorsa dalla bellezza della grazia, non dare il proprio contributo, non ripagare secondo le sue capacità la grazia della visita soprannaturale e non mostrare con i fatti agli altri, specialmente alle donne, la legge del suo Amatissimo, così come egli l'aveva mostrata».

5. La mediazione celeste della Vergine
a) Dagli scritti mariani si può capire che Scholarios nutriva una fiducia incrollabile nella Madre di Dio, senza però che questa gli facesse dimenticare altre verità fondamentali della fede. Era convinto che la preghiera di Maria era ben lungi dal far cambiare a Dio la sua volontà. Del resto sarebbe inconcepibile che Maria possa non condividere la volontà di Dio. Perciò Giorgio rivolge alla Vergine una preghiera che sottintende un preciso ammonimento ai fedeli: «Ci rimettiamo al giudizio di Dio e tuo, perché tu non puoi chiedere nulla se sai che non potremo ottenerlo. Ciò spiega il motivo per cui non ti sei attivata in occasione degli eventi per i quali siamo ricorsi a te ieri e oggi: non perché ti sei disinteressata di noi, ma perché non ti sei potuta curare né provvedere, essendoti rimessa al giudizio di Dio nei nostri confronti, che tu ben sapevi corrispondere ai nostri meriti... Pertanto, a proposito di queste cose, non importuneremo più né te né Dio e ci accontenteremo del suo giudizio, giacché tu non gli chiederesti mai alcunché senza sapere che egli sarebbe disposto a concedere».
b) Sicuramente Scholariòs aveva imparato la lezione dagli ultimi tragici eventi che avevano colpito la capitale dell'impero. I cittadini di Costantinopoli erano convinti di aver più volte sperimentato la protezione della Madre di Dio in altre pericolose circostanze in cui la città era stata messa sotto assedio da eserciti nemici ed era sempre stata salvata miracolosamente. Questa volta la volontà di Dio aveva previsto altro e quindi neppure la Madre sua era potuta intervenire. A questo punto la preghiera di Giorgio invoca un altro tipo di interventi da parte della Vergine: «Ti preghiamo solo di essere al più presto liberati da questa vita, perché siamo esausti... Aiutaci a lasciare questo mondo nella professione della fede dei padri e nella pratica della virtù». Non avendo potuto evitare i guai materiali, l'omileta fa capire ai fedeli che la Vergine può sempre aiutare a superare i mali spirituali che sono i più gravi.

Bibliografia
GAMBERO L.,  Fede e devozione mariana nell'impero bizantino. Dal periodo post-patristico alla caduta dell'impero (1453), San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 431-442; Oeuvres cornplètes de Georges Scholarios, 8 volumi, éd. J. Petit, X. Sidéridès, M. Jugie, Paris 1928-1936 (Edizione critica); SCHULTZE B., Der Marienkult des Georgius Scholarius, in De cultu mariano saeculis XII-XV, vol. 5, Pontificia Academia Mariana Internationalis, Romae 1981, pp. 301-330; JUGIE M., Scolarios. in DthC XIV, coli. 1521-1570: ID., In.. G. S. et l'Immaculée Conception, in Echos d’Orient 17 (1910) pp. 527 ss.






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