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ROSMINI ANTONIO


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1. La nascita nel segno di Maria
a)
Quando Antonio Rosmini-Serbati nacque, il 24 marzo 1797, a Rovereto, erano le tre del mattino, un'ora vicina al suono dell'Angelus, e quel giorno era la vigilia dell'Annunciazione a Maria. Bisognava dunque sbrigarsi, per preparare il bambino al battesimo, che infatti avvenne il giorno dopo, nel nome di Maria. Queste coincidenze non sfuggirono al poeta Clemente Rebora, il quale, in pagine infocate, dove descrive l'ardore di Rosmini per Maria, comincia col dire che egli era nato nel segno dell'Angelus Domini nuntiavit Mariae, e rigenerato nell'Ecce ancilla Domini.
b) La coincidenza tra il proprio battesimo e la ricorrenza liturgica non sfuggì soprattutto a Rosmini, il quale, avendo deciso di vivere la sua vita in totale abbandono alla Provvidenza, e convinto che tutto avviene per cenno e volontà di Dio, lesse in quella combinazione un messaggio chiaro: Dio gli voleva dare Maria quale materna compagnia lungo il breve pellegrinaggio da questa all'altra vita. Annota infatti nel Diario personale, sotto le date 24-25 marzo 1797: «Col farmi Iddio la grazia di venire alla luce la vigilia della festività di Maria Vergine Annunziata, mostrò di volermela dare per mia madre e protettrice, quale sempre la sperimentai, benché io le sia stato sempre un cliente e figliuolo ingratissimo. Possa ora cominciare a corrispondere d'amore alla mia carissima madre, ed amarla come mi propongo in eterno. Amen. Più la bontà di Dio, qui prior me dilexit, mi beneficò col fare che il giorno 25 del medesimo mese di marzo, festa di Maria V. Annunziata dall'Angelo, rinascessi nel salutare lavacro del Santo Battesimo, amministratomi nella Chiesa Arcipretale di S. Marco di Rovereto dal R.mo Sign. Arcipr. Giuseppe de' Baroni».  Ne concluse che la nascita materiale del cristiano è in funzione di quella spirituale. Di conseguenza considerò quale giorno del suo compleanno il 25 marzo. E quando fondò l'Istituto della Carità, fissò come punto di partenza per stabilire l'ordine di precedenza tra i confratelli non la data civile di nascita, ma quella del battesimo.
c) È molto probabile, pensando al comportamento abituale di Rosmini, generoso nel rispondere ad ogni segnale inviatogli dall'Alto, che egli si sia sentito in dovere di manifestare il proprio riconoscimento al Signore con qualche atto generoso. E forse quest'atto consiste nell'aver messo sotto la protezione di Maria, fin dall'infanzia, la propria castità. Un velato riferimento alla consacrazione verginale forse si può cogliere nel discorso che Rosmini fece a Rovereto il giorno 5 ottobre 1834 (era la festa del Santo Rosario, altra ricorrenza evocatrice), nell'atto di prendere possesso della Parrocchia, in quella stessa Chiesa in cui era stato battezzato. A chiusura dell'omelia egli si rivolge a Maria, che immagina di contemplare nei cieli: «Te io rimiro gloriosa principalmente, mia consolazione ed amore, altissima di tutte le pure creature, regina degli Apostoli e dei pastori, madre dei peccatori, e madre mia tenerissima, dolce Maria». E dopo aver riconosciuto di aver sempre avuto da lei una risposta, e fin dall'infanzia la protezione da tanti pericoli e la conduzione per mano al servizio più stretto del suo divin Figliuolo, continua: «Io depongo nelle tue mani il mio gregge, siccome ho deposto in esse dagli anni più teneri la cura di me stesso, e tu non lo puoi obliare». La constatazione poi del bene ricevuto da Maria nella propria anima, lo porta a rilanciare con commozione il gioco delle promesse: «Io parlerò spesso di te a questo popolo, lo formerò alla tua divozione: e tu lo introdurrai alla cognizione del tuo Figlio, e del Padre del tuo Figlio, nel che consiste la vita eterna: riparerai tu ai miei falli, suppurai tu largamente alla deficienza delle mie forze». Promessa mantenuta durante i dodici mesi nei quali fu parroco: nell'oratorio feriale degli adulti non mancava il rosario, in quello festivo dei fanciulli si recitavano le litanie della Madonna, la figura di Maria madre e protettrice faceva parte della predicazione pubblica, della catechesi, delle private conversazioni spirituali.

2. L'Istituto della Carità, "figliolino" di Maria
a) Qualche anno prima di accettare la parrocchia di Rovereto, cioè nel 1828, Rosmini aveva dato inizio a quella Congregazione religiosa che egli stesso chiamò Istituto della Carità. Il fondamento spirituale del religioso di quest'Istituto, e dell'Istituto nel suo insieme, è il principio di passività nei confronti della carità di Dio e del prossimo: starsene tranquilli nel proprio stato, badando a santificare se stessi, e muoversi unicamente dietro i cenni di Dio, il quale ci rivelerà il suo volere attraverso le circostanze della vita. Il modello concreto, la causa esemplare cui rifarsi, è Maria: «Dee il cristiano meditare e imitare del continuo la profondissima umiltà di Maria Vergine: la quale noi veggiamo descritta nelle divine Scritture sempre in una quiete, in una pace, in un riposo continuo: di sua elezione non la troviamo che in una vita umile, ritirata e silenziosa, della quale non viene cavata se non dalla voce stessa di Dio, o dai sensi di carità verso la sua cognata Elisabetta. Misurando a giudizio umano, chi potrebbe credere, che della più perfetta di tutte le umane creature avessimo tanto poco nelle divine Scritture raccontato? Nessun'opera da lei intrapresa; una vita che il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Iddio dichiarò essere la più sublime, la più virtuosa, la più magnanima di tutte le vite: per la quale, l'umile e sconosciuta donzella fu dall'Onnipotente innalzata alla più grande di tutte le dignità, a un seggio di gloria più elevato di quel che fosse dato a qualunque non solo degli uomini, ma degli angeli!». Maria «elesse l'umiltà e in essa rimase, e non assunse alcun ufficio, se non la stessa umiltà». E quando l'Angelo le annunziò il volere di Dio essa, come Mosè, volle prima assicurarsi di aver capito bene la missione affidatale. Eppure, commenta Rosmini, «Né ad alcuno fu più a cuore il genere umano che alla benedetta Madre di Dio Maria, né altri amava più di Mosè il suo popolo, per il quale spessissimo egli stesso si offrì al Signore in sacrificio». Scrivendo al giovane romano Luigi Gentili, che si stava preparando per entrare nell'Istituto della Carità e che in seguito sarà fervente missionario in Inghilterra e Irlanda, Rosmini mette in chiaro: «Ricordarci sempre che il nostro esemplare, e la nostra cara Maestra, dopo Gesù Cristo, è Maria Santissima, che fu la creatura che visse la più occulta, povera e quieta di tutte: e Dio la glorificò sopra tutte: e mentr'ella lasciò di sé la cura totalmente a Dio, Iddio colla sua grazia non operò in nessun'altra più maraviglie che in lei. E con ragione viene da Santa Chiesa considerata come il tipo della sapienza, perché non v'ha maggior sapienza di questa: vivere in Dio tranquillo ed esultare in lui con piena fiducia nella sua misericordia, rendendo laudi interiori e grazie continue per tutte le opere della sua Provvidenza, cioè per tutto, niente eccettuato».
b) Se qualcuno avesse chiesto a Rosmini, a bruciapelo, di dire quali parole gli venivano subito in mente al nome di Maria, credo che avrebbe risposto: madre-amore-dolore. Una sintesi di questi tre concetti rimbalza, luminosa, in un dipinto di G. Graffonara, commissionato e ispirato da Rosmini, raffigurante Maria SS. Addolorata. In questa immaginetta, che dai tempi del Fondatore ogni religioso tiene nella sua cameretta assieme al Crocifisso, il volto di una donna non più fanciulla ma neppure ancora anziana, irradia un dolore grande ma composto, dignitoso: s'intuisce che sta contemplando, o almeno meditando, il mistero della Croce, ai piedi della quale ci è stata data per madre. Attorno al capo un manto blu che continua sulle spalle e lascia intendere che sarà lungo, fino ai piedi. È il manto della maternità, dell'ospitalità, della generosità, della protezione. É sotto questo manto che Rosmini vorrebbe si rifugiassero tutti i suoi religiosi e l'Istituto intero, «figliuolino» di Maria. Egli stesso, quando cominciò a montare l'incomprensione sui suoi scritti e di riflesso sul suo nascente Istituto, si mise fiducioso nelle mani di Maria: «Ho tutta la fiducia, dopo Dio, nella nostra amabilissima Madre e Capitana Maria, e, come voi giustamente mi consigliate, a lei affido anche tutto questo negozio, e me ne riposo del tutto tranquillo. Tutto l'Istituto è un suo figliuolino: lasciamo fare alla madre. intanto posso dirvi che ogni giorno ella mi fa nuove grazie, e mi dà nuove consolazioni». Sotto il manto di Maria, il rosminiano non solo trova protezione contro la tentazione, alimento nella contemplazione e riposo dalle fatiche quotidiane, ma coglie il senso ultimo della vita umana, donataci da Dio perché sia dedicata all'amore e al dolore. La maternità di Maria nasce ai piedi della Croce, dove si assiste al parto doloroso del genere umano a una vita nuova, nel momento in cui la sofferenza accettata spontaneamente per amore genera vita soprannaturale, vita eterna. Qui il cristiano impara che chi non sa soffrire non sa neppure amare, e che se vuole veramente bene al suo prossimo dovrà soffrire per esso, versare sangue vero e non virtuale. Impara anche che c'è più gioia nel dare che nel ricevere, e che in questa vita «è più nobil atto meritare che godere».
c) Rosmini aveva cominciato ad associare l'immagine dell'Addolorata a quella dell'Istituto già nelle prime avvisaglie della volontà di Dio al riguardo. Con la Marchesa Maddalena di Canossa, che per prima gli chiese di mettersi a capo di una famiglia religiosa, aveva in comune un quaderno di devozioni, cui aveva dato il titolo Jesu Christi Passio, e sul quale i nomi di Gesù Crocifisso e di Maria Addolorata venivano spesso abbinati. Allora - siamo nel gennaio 1826 - la Canossa gli aveva espresso il desiderio che il nuovo Istituto «germogliasse veramente sul Calvario tra Gesù Crocifisso e Maria Santissima Addolorata». L'anno seguente, a Milano, quando finalmente si fece chiara la volontà di Dio circa il nuovo Istituto religioso, ecco ancora la Provvidenza a dirgli che su questo punto la Canossa aveva visto giusto: il suo amico abate Luigi Polidori, pregando davanti all'antica immagine della Madonna, nella chiesa milanese di San Celso, si sentì internamente portato a suggerire il Sacro Monte Calvario di Domodossola, quale culla del nascente Istituto della Carità. La Madonna di S. Celso, alla quale Rosmini da allora attribuirà la nascita dell'istituto, prendeva Rosmini per mano e lo conduceva sul monte del dolore a contemplare con lei i misteri della Croce.
d) Nell'Istituto di Rosmini le due immagini, di Maria che riceve l'annuncio della maternità di Dio e di Maria che consuma e allarga la sua vocazione di madre davanti alla Croce, si fondono e camminano insieme, suggerendo al religioso, a seconda dei casi, il modello da seguire. La data dell'Annunciazione venne scelta da Rosmini per emettere, nel 1839, dopo l'approvazione pontificia dell'Istituto, i primi voti perpetui assieme ad alcuni compagni. Quel giorno, dall'altare della Chiesa del SS. Crocifisso, al Sacro Monte Calvario di Domodossola, egli invitava i suoi confratelli a meditare le stesse cose che dovette pensare Maria Addolorata ai piedi della Croce: «L'amor vero è amor di sangue. Amore e sacrificio sono indisgiungibili. Egli è per questo che l'intendimento della società nostra non richiede meno da noi, che una rinunzia intera a tutte le cose, un distacco dall'universo sensibile e da noi stessi, una compiuta annegazione. Noi abbiamo qui tutto il giorno sotto gli occhi il divino Maestro dell'amore, il legislatore unico della nostra società insanguinato, dilacerato, pendente da una croce. Egli vi sta su costante, trafitto il petto, le mani e i piedi, non tanto dalla lancia e da'chiodi, ma più da quell'amorose saette che sole veramente lo hanno morto. Egli è l'immenso esemplare in cui deve specchiarsi ogni cristiano, e ciascun membro dell'Istituto della Carità, di cui egli è pure il primo membro, il capo, il gran fondatore. La giustizia lo ha condotto direttamente alla carità, la carità lo ha immolato». Come dire: ecco che cosa deve aspettarsi chi, come Maria, rispose all'annuncio dell'Angelo che le recava la volontà di Dio: si dice sì alla chiamata all'Amore, e si imbocca da subito una via in salita, che ha per approdo, il Golgota.

3. Maria nella direzione spirituale
a) Era difficile che Rosmini pensasse alla figura di Maria madre senza lasciarsi prendere dalla commozione. Talvolta il tumulto di affetti suscitati da tale immagine era così forte, che egli non riusciva a nasconderlo. Niccolò Tommaseo racconta che a Milano aveva l'abitudine di leggere insieme a Rosmini le poesie del Manzoni. Ed ecco cosa racconta a proposito del Natale: «Mi ricordo un giorno quando in Milano, ridicendo io i versi sì nuovi d'alta semplicità: "La mira Madre in poveri /Panni il figliuol compose, E nell'umil presepio / Soavemente il pose, / E l'adorò beata", il Rosmini preso da subito commovimento, per celarlo come le anime forti fanno degli affetti modesti, mi si tolse d'innanzi e uscì in altra stanza». L'immagine materna di Maria gli evocava - ricomponendole in un mosaico gratificante e completandole sui piano soprannaturale - tutte le cose belle che andava scoprendo, lungo la vita, nella femminilità del genere umano: le premure della propria madre, la sensibile dedizione al bene ed all'amicizia della sorella Margherita, la limpida castità delle sue Suore della Provvidenza, la tenera e vigile protezione di ogni mamma per il suo bambino, il composto dolore delle donne provate, la vita unitiva delle mistiche, la fortezza delle martiri, la perseveranza delle vergini...È dunque naturale che egli parli di Maria con frequenza alle numerose anime, soprattutto femminili, di cui si sente in qualche modo padre spirituale. Invita tutti a scegliersi Maria come modello di vita cristiana e religiosa. Non ingannino le poche azioni esterne della Vergine, perché ella ebbe una vita interna intensissima: «Così fece molto più Maria Santissima, di cui tante poche azioni si conoscono, che non facesse lo stesso san Paolo con tante fatiche e predicazioni»; il suo segreto: non fare molte cose, ma fare molto la volontà di Dio.
b) La dignità e la forza con le quali Maria seppe stare ai piedi della Croce, mentre suo figlio se ne stava andando, sono esempi da imitare quando ci assale l'afflizione per la perdita di una persona cara. L'esserci stata data per madre proprio nel momento di maggior dolore per lei, indica che ella effonderà maggiormente la sua tenerezza materna su di noi proprio nelle occasioni a noi più sfavorevoli: Maria diventa conforto nelle persecuzioni, dolcezza nelle pene e nei dolori, forza nello scoraggiamento. Rosmini ripete, dosandoli con la sua acuta saggezza, secondo le circostanze, tutti gli appellativi dati a Maria. Ella è nostra «capitana», che ci prende per mano guidandoci a Gesù; ci difende, da ottimo avvocato, presso il Padre e intercede per noi, facendo in modo che tutte le nostre richieste siano esaudite se ordinate al bene spirituale; è madre clemente, sapiente e misericordiosa; è il «canale» privilegiato attraverso il quale scendono agli uomini tutte le grazie; a lei possono ricorrere con fiducia anche i peccatori. La devozione a Maria comunica la sua tenerezza, dolcezza, amabilità: «Al solo pensare a questa genitrice di Dio e nostra, l'animo si tranquilla e la mente si rasserena, a parlarne si diffonde la letizia, e a invocarla si reintegra il coraggio anche nei momenti di maggior lassezza e battaglia, e si mettono in fuga i nemici dell'anima nostra; e chi in lei confida non può perire». Lo stesso nostro amore che tributiamo a Dio per mezzo delle sue creature trova in Maria, «che è la più bella di tutte», il culmine ed il compendio.

4. Gli scritti su Maria
a) Se passiamo dalla vita agli scritti di Rosmini, a prima vista può stupire il fatto che egli, così prolifico in tanti rami dello scibile, su Maria non abbia se non produzioni occasionali e di corto respiro. Ma se si guarda più attentamente entro il suo stile di vita, la cosa non sorprende. In realtà Rosmini, proprio perché amava tanto Maria, aveva molta voglia di scrivere teologicamente sulla sua figura. Mentre, ad esempio, componeva l'Antropologia Soprannaturale, avendo progettato di dedicare l'ultima parte del trattato alla Madre del Redentore, non vedeva l'ora di mettervi mano: «L'ultimo libro di un'opera che ora ho alle mani, tratta di Maria Santissima: oh qual consolazione sarà la mia, se mi è dato di giungere col mio lavoro a quel libro! Ne tripudio a pensarlo: ma ci sono ancor lontano. Pregate voi la nostra cara Madre, perché mi ottenga e mi dia luce da scrivere degnamente di Lei: confido nelle orazioni dei buoni». Ma egli sapeva anche che la distribuzione delle sue occupazioni non dipendeva da lui, bensì dalla volontà di Dio, che cercava di leggere attraverso le circostanze della vita. Ed il fatto che lo scrivere su Maria gli sarebbe piaciuto tanto, lo portava ad espletare prima gli impegni più gravosi, lasciando per ultimo, quasi premio a ben più aspre fatiche, questo dolce compito.
b) Bisogna anche aggiungere che nella metodologia rosminiana la teologia sarebbe seguita alla filosofia, quasi coronamento e completamento del sapere umano. Così, libro dopo libro, i trattati teologici in generale e la mariologia in particolare, venivano posposti a causa di altri impegni scientifici più impellenti, o più necessari a preparare il terreno teologico. Poi venne la morte, a 58 anni. E della teologia, e di Maria, ci sono rimasti solo alcuni scritti sporadici, pagine sgorgate da qualche circostanza occasionale, oppure intuizioni sparse qua e là nelle opere che trattano di ben altro, venature mariologiche nelle quali si può cogliere solo una flebile eco della sua acuta e profonda mente. Ci mancano i trattati di ampio respiro, dove l'autore possa muoversi a suo agio ed affrontare da par suo il tema.

5. Il Rosario

a) Il primo scritto su Maria, pubblicato nel 1843, quindi ancora vivente l'autore, è un'omelia domenicale Sulla devozione del Rosario, tenuta con tutta probabilità proprio il 5 ottobre, festa del Rosario. In essa, l'oratore inizia presentando le due madri del cristiano: Maria e la Chiesa. Maria è madre dei cristiani perché ci diede Gesù, il primo fratello «in cui siamo tutti figliuoli di Dio»; ed è madre della stessa Chiesa, «giacché la Chiesa nacque quando nacque il Signor Gesù Cristo, onde la Chiesa si specchia in Maria come figliuola alla madre somigliantissima». Come Maria, infatti, anche la Chiesa è madre e vergine: Maria generò Cristo corporalmente, la Chiesa lo genera nei cristiani spiritualmente; la prima continua in cielo ad intercedere per noi, la seconda ci orienta verso la salvezza fornendocene i mezzi; la Chiesa ci insegna le preghiere con cui rivolgerci a Dio, Maria ascolta queste preghiere e le presenta al Padre.
b) Una delle preghiere più belle che la Chiesa promuove, da indirizzare a Maria, è la devozione del Rosario. «Il santo Rosario si compone principalmente dell'Orazione dominicale e dell'Aver Maria: la prima uscita di bocca divina, la seconda composta quasi a due cori dagli angeli del cielo, e dai santi della terra». Con le prime parole del Padre Nostro già il cristiano lascia la terra e la sua condizione di schiavo e si solleva in cielo, in comunione con tutti i battezzati, osando chiamare Padre il Dio onnipotente. Il fatto che tale preghiera sia stata recitata da Gesù, ci garantisce che Cristo stesso, nostro Capo, prega con noi e ci permette di presentarci al Padre «in lui quasi nascosti». Le cose che poi domandiamo a Dio nel Padre Nostro sono come una corona di rose o di gemme che noi poniamo sul capo di Maria, la quale si presenta a Dio «coronata delle nostre preghiere composte da Cristo, o dal suo spirito suggerite». A comporre l'Ave Maria concorsero «l'angelico ingegno e l'umano»: Gabriele, Elisabetta, la Chiesa. Questa preghiera assomiglia ad una rosa: nella sua umiltà e semplicità di parole, essa possiede, al tempo stesso, leggiadria, morbidezza, bellezza, altissima sapienza. Veramente Maria è piena di grazia: possiede la grazia della maternità e della verginità, la grazia di ornamento davanti agli uomini e di salvezza davanti a Dio; è gradita agli uomini per la dignità dei doni esteriori, e gradita a Dio per la squisitezza dei doni interiori. È benedetta perché porta con sé Gesù, fonte di ogni benedizione. Ciò che ad essa chiediamo lo chiediamo ricordandole che è madre di Dio, un titolo reale, coniato non dagli uomini ma da Dio stesso. L'Ave Maria viene ripetuta spesso perché la devozione del Rosario è «una devozione d'amore», ed «è costume dell'amore il ripetere le stesse voci»: se veramente siamo innamorati di Maria, ci sarà dolce e riposante ripetere spesso le stesse cose. La ripetizione inoltre ci permette di compensare le Ave Maria recitate distrattamente, di perfezionarci nell'affetto col quale dobbiamo proferirle, di ripescare sensi sempre nuovi e nascosti, di esplicitare le nostre richieste, sicché «ad ogni recitazione dei labbri, risponde nella mente e nel cuore una più intima, e più profonda, e più calda meditazione». Ambedue queste preghiere obbediscono allo stile evangelico. Sono brevi, facili e profonde allo stesso tempo. Le possono recitare i semplici e le persone colte, i ricchi e i poveri, i grandi e i piccoli, e ciascuno troverà alimento proporzionato alla sua intelligenza e generosità.
c) La divisione del Rosario in tre parti, che ripercorrono in successione la vita, la passione e la gloria di Cristo, permette a chi lo recita di vedere «quasi in ispecchio, la serie di quelle vicende delle quali è intessuta l'umana vita». Ad ogni mistero, come ad ogni tappa della nostra vita, «Gesù e Maria ci si fanno incontro quasi a ristorarci in sembianti sempre diversi; e non più come ascoltatori della preghiera, ma come maestri e confortatori della mente dalle precedenti orazioni occupata». Che il Rosario sia una preghiera efficace, oltre che sapiente, lo possiamo dedurre dal fatto che è stato suggerito da Maria stessa a san Domenico. Ora, scrive Rosmini, «vi par egli possibile, che Maria insegnasse agli uomini una orazione, senza intenzione d'esaudirla? Sarebbe un pugnar seco stessa; il che non sia mai vero che della Vergine santissima e sapientissima noi pur sospettiamo».
d) L'ultima parte dell'omelia è dedicata a quegli eventi della storia della Chiesa, come le vittorie sugli eretici e sugli infedeli, nei quali i cristiani hanno sperimentato realmente l'efficacia del Rosario. Oltre ai fatti tramandatici dalla storia, la devozione del Rosario suscita ogni giorno nel mondo dei cristiani un nugolo di grazie, conversioni, benedizioni, protezione dai pericoli. «Noi però - conclude Rosmini - non vogliamo, miei cari, aspettarci dal Rosario sol beni umani; un voto più nobile sia quello del nostro cuore: sia più alto lo scopo dei nostri pensieri». In altre parole, chiediamo nel Rosario soprattutto «di vivere in modo da piacere a Maria, da piacere a Gesù», e di poter contemplare Dio in cielo dopo aver portato dignitosamente con Cristo la nostra croce sulla terra.

6. Maria e il Corano
a) Un altro scritto, pubblicato vivente Rosmini (nel 1845) e dedicato a Maria, è il Ragionamento sulle testimonianze rese dal Corano a Maria Vergine, Si tratta anche qui di un discorso, che Rosmini preparò per l'amico cardinale Castruccio Castracane degli Antelminelli, il quale lo lesse all'Accademia di Religione Cattolica 1'8 maggio 1845. Il discorso inizia mostrando sorpresa che non solo gli eretici, ma anche alcuni cattolici si mostrino quasi infastiditi dal fatto che il culto di Maria vada crescendo e si vada diffondendo; e giustificano tale avversità col pretesto che la Chiesa dei primi secoli non conosceva questo culto. Al contrario, risponde Rosmini, l'odierno culto di Maria è un'altra conferma della sua legittimità all'interno della Chiesa; che poi le testimonianze dei primi secoli siano poche lo si comprende dal fatto che agli inizi bisognava «venisse stabilita nel mondo la divinità di Gesù Cristo, e il suo culto si radicasse negli animi». Vinta la battaglia contro chi negava la divinità di Gesù (Ario e Nestorio), «nel Concilio Efesino con gioia di tutta la Chiesa fu proclamata Maria Theotocos, cioè Madre di Dio; denominazione che è fonte inesausto, onde s'attinsero e s'attingeranno quanti elogi e quanto culto diedero e daranno alla gran Donna i secoli passati e gli avvenire».
b) Ma è proprio vero che le testimonianze antiche sulla devozione mariana sono scarse? Rosmini pensa di no, e in questo piccolo saggio vuole raccogliere, a mo' di esempio, le tracce a favore di Maria «meno comuni e somministrateci dai nostri stessi nemici». Gli elogi che il Corano tributa a Maria sono tanto più importanti, perché sono stati raccolti da Maometto fra gente che allora era cristiana, e quindi «si vogliono considerare siccome altrettanti documenti della stessa cristiana immutabile tradizione intorno la Vergine». «Ora - continua Rosmini - se nel sesto e settimo secolo i popoli dell'Arabia e i finitimi, benché poco istruiti, credevano già che Maria Santissima fosse la più santa fra le donne, vergine e madre, senza alcun contagio di originale infezione, e d'altre doti consimili decorata; dunque queste si dovevano riputare in quel tempo verità importanti, come si reputano oggidì, e quasi elementi del cristianesimo». Dallo spoglio che Rosmini fa del Corano si trovano effettivamente, anche se a volte mescolate ad imprecisioni, punti della tradizione e della fede cattolica intorno alla Madre di Cristo: la sua consacrazione a Dio da parte di sant'Anna, l'educazione nel tempio affidata al sacerdote Zaccaria, la sua immacolata concezione (cosa mirabile, se si pensa che la prerogativa di essere concepito senza peccato non la si dà neppure a Maometto), l'annunciazione dell'Angelo, l'aver concepito Cristo (anch'egli senza peccato) ad opera della sola onnipotenza di Dio e quindi la conservazione della sua verginità anche nella maternità, la partecipazione di Maria alle grazie e alla grandezza di Gesù, la sua umiltà, la sua grandezza presso le generazioni successive, perfino la sua assunzione al cielo accanto al Figlio. Ora, ragiona Rosmini, se Maometto - a dispetto di tutte le eresie che circolavano sulle sue terre, degli eretici con cui egli ebbe relazione, dei dogmi cristiani che egli impugna nel Corano, dell'indole stessa della sua religione, per altri aspetti così diversa dalla cattolica - conserva a Maria le migliori prerogative attribuitele dalla Chiesa cattolica, significa che queste erano talmente diffuse e radicate nella gente del tempo, «che l'assalirle o sarebbe stato un danno, o avrebbe pericolato l'esito del suo vano disegno di farsi capo e signore della religione e dell'impero». Di fronte a così luminose testimonianze, continua Rosmini, dovrebbero vergognarsi non solo i protestanti che hanno parlato poco bene di Maria, ma anche quei cattolici che considerano l'Immacolata concezione una trovata del medioevo o degli scolastici.
c) Il discorso termina con la constatazione che l'impero turco si stava sfaldando, i popoli musulmani dell'India, dell'Africa e della Cina si venivano aprendo alle nazioni cattoliche, e dunque cominciava a farsi urgente la preparazione di missionari per la conversione dell'islamismo al cattolicesimo Ma per un'opera missionaria efficace bisognava conoscere bene i testi sacri dell'islamismo, e nella lingua originaria in cui erano stati scritti. E per avere un inizio di dialogo bisognava cominciare da ciò che ci unisce. «E questa appunto fu nuova ragione, perché io ho stimato convenevole di trattenervi oggi alquanto sulle luminose testimonianze che dà il Corano alla vergine Santissima, quasi offerendo un qualche esempio di quelle cose che somministrar potrebbero occasione acconcissima agli evangelici banditori di annunziare persuadere il cristianesimo».




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