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GERMANO II DI COSTANTINOPOLI


1. Cenni biografici, scritti
a)
La sua nascita ad Anaplusa, località sul Bosforo, è da collocarsi nella seconda metà del XII secolo. Era diacono di Santa Sofia quando, nel 1204, i crociati espugnarono e saccheggiarono Costantinopoli. Più tardi si ritirò in un monastero dell'Asia Minore, presso Achyraus (Misia), da dove nel 1222 l'imperatore Giovanni III Ducas Vatatze lo chiamò a reggere la sede patriarcale di Nicea-Costantinopoli. In questa veste Germano si oppose decisamente ai negoziati che si aprirono nel 1234 tra la corte imperiale di Nicea e Roma per tentare una riunificazione delle due Chiese. Data la drammatica esperienza che Germano visse nel 1204, si può capire questa sua irriducibile, opposizione. La sua morte avvenne nel 12402.
b) I suoi numerosi scritti variano secondo il genere letterario; e di alcuni e difficile dire se siano dovuti alla sua penna, trattandosi di atti di cancelleria. Vi sono quelli di natura polemica nei riguardi della Chiesa romana, con la quale si trova in contrasto su note questioni dottrinali: Si ricordino l'opuscolo sulla processione dello Spirito Santo, due trattati sull'uso del pane azzimo, uno sulla dottrina del purgatorio e uno sul battesimo. Sopravvissuto è pure il testo di una professione di fede dedicata ai monaci del monastero costantinopolitano di Petra, il quartiere genovese detto anche Galata. Le sue lettere sono di notevole interesse a motivo dei loro contenuti di carattere storico, dogmatico, morale, parenetico e pastorale. In una lettera sinodale inviata ai suoi fedeli come risposta alla professione di fede del papa Gregorio IX (1227-1241), Germano fa una sintesi delle sue convinzioni dogmatiche. Come poeta, e autore di un canon sui sette concili ecumenici e di varie altre composizioni, delle quali alcune sono state inserite nella liturgia bizantina. Di tutti questi scritti, buona parte sono tuttora inediti.

2. La cornice biblica dell'Annunciazione
Come patriarca, ha dovuto ovviamente dedicarsi ad una intensa attività omiletica. Tra le sue omelie e di particolare importanza per la dottrina mariana il suo discorso sull'Annunciazione, a lui attribuito da una tradizione manoscritta. In esso offre una descrizione teologica e morale della Madre di Dio che ben corrisponde alla fede della Chiesa e alla tradizionale e intramontabile devozione dei fedeli, sovente espresse e illustrate in successioni interminabili, e nondimeno suggestive e convincenti, di metafore bibliche, di immagini poetiche e di argomenti dottrinali. Il lungo sermone si apre con un'ampia descrizione del quadro scritturistico in cui si incornicia l'evento salvifico fondamentale dell'Annunciazione. Manovrando con eleganza le metafore di Gerusalemme quale città di Dio, e del Monte Sion, l'omileta si apre la via per arrivare alla vera Sion, al vero monte di Dio che si identifica con la Vergine Madre. Su un tale monte vivente, Gabriele ha ricevuto da Dio l'ordine di salire per portare il formidabile annuncio ad una semplice fanciulla. Eppure ella, nella sua ignara. umiltà, è più importante di quanto mai avrebbe potuto immaginare, perché è lei «...la più alta di tutte le altezze, più simile a Dio che non gli angeli..., il trono di Dio, la ministra della restaurazione..., la mediatrice della pace».  Viene così dipinto lo scenario biblico ed evangelico in cui si compie l'evento inaudito e che getta luce sui suoi altrettanto straordinari personaggi. Questi si possono incontrare solo con la guida dell'angelo del Signore, ossia di colui che ha conosciuto la strada che conduce a Nazareth e sulla quale si respira quella pace divina che l'annuncio di Gabriele alla Vergine ha diffuso su tutta la terra. Lo scenario evangelico ricorda all'autore un altro scenario parallelo ben diverso, quello veterotestamentario, nel quale i nostri progenitori sono stati protagonisti di una pace tutt'altro che divina, siglata con l'adesione alla promessa del demonio. Fin d'allora il Signore ha deciso di ricuperare lo scenario perduto a causa dell'infedeltà di Adamo ed Eva, suscitando una inimicizia tra il demonio, e la donna; e se la prima vittima del demonio e stata proprio una donna, quella che «ha generato il peccato e la morte», un'altra donna doveva generare la salvezza e la vita. Il parallelo assume anche una connotazione geografica: «Dall'Eden seguirono le sconfitte, da Nazareth tutti i beni; maledetta fu Eva, piena di grazia Maria, modesta e umile». Da questa situazione nasce un processo inimmaginabile: «Maria diventa la rigeneratrice dei suoi progenitori». Anche gli interventi di Dio cambiano modalità: sul Sinai aveva consegnato a Mosè la legge in uno scenario clamoroso e terribile; a Nazareth ha donato se stesso silenziosamente, «come pioggia sul vello» (Sal 71,6).

3. Il carattere "divino" della personalità di Maria
In quanto discendente di Adamo ed Eva, Maria è una creatura umana a tutti gli effetti; anche lei è mortale e corruttibile; però, per certi aspetti, ha una personalità diversa, superiore a quella dei progenitori, «più divina» (theotera): «Si guadagnava i pegni dell'incorruttibilità e, pur vivendo tra gli uomini, si elevava all'immaterialità angelica; appariva come una scala altissima, la cui sommità toccava il cielo (cfr. Gen 28,12), meditando e contemplando le bellezze di lassù; e quantunque la sua base poggiasse sulla terra, non era trascinata in basso dal peso della sua natura». In una parola: tutto ciò che la Vergine era e che faceva l'avevano resa degna e adatta al sommo compito che il Signore la chiamava a svolgere: «Dunque tutte le cose che la concernevano convenivano a Dio ed erano degne del grande mistero». Nella sua modestia e umiltà, la Vergine non si credeva la persona adatta al ruolo sconcertante che l'angelo le prospettava, come appare dalla sua risposta: «Non conosco uomo» (Lc 1,34); ma Dio pensava diversamente: «Questo avverrà proprio perché non conosci uomo. Perciò in te, che sei un libro intatto, sarà scritto il Verbo sussistente del Padre, non essendo tu macchiata d'inchiostro dal connubio con l'uomo. All'inizio Dio plasmò Adamo con le sue mani mediante terra vergine; ma ora da te nasce colui che ha plasmato Adamo e che è egli stesso il nuovo Adamo». Germano esprime dunque, con un certo tono di suspense, una realtà consacrata dalla prassi evangelica: la verginità che Maria aveva scelto come stile di vita religiosa e di pietà personale è dal Signore considerata una condizione del tutto consona alla funzione della futura Madre del Figlio suo. Con il grazioso e significativo paragone della radice e del frutto di un albero, l'omileta illustra la situazione in cui si è trovata la Vergine nell'azione salvifica di Dio. Fa osservare che gli alberi vivono grazie alla loro testa, la quale però sta in basso, vale a dire alla loro radice, da cui succhiano quelle sostanze vitali che poi trasmettono ai rami, alle foglie e ai frutti. Quanto al secondo termine di paragone, ossia i nostri progenitori, essi sono stati seppelliti nella terra per servire da testa a quell'albero che è il genere umano, le cui radici sono diventate preda di vermi rognosi quali sono i mali morali e fisici che affliggono gli esseri umani. Ma Dio ha rovesciato l'ordine delle cose, talmente che non sono più le radici che generano il frutto, bensì il frutto che rigenera le radici. E come dire: il vecchio Adamo genera solo uomini vecchi; il nuovo Adamo, Figlio della Vergine, rigenera gli uomini nuovi chiamati alla salvezza e concede loro il dono dell'incorruttibilità. Maria è stata la prima a ricevere questo dono, essendo strettamente unita al donatore, e lo ha ricevuto in tutta pienezza: «(La Vergine infatti) superando incomparabilmente con la sua innocenza e la sua purezza quella natura dalla quale anche lei proviene, e collocata nel punto più eccelso dell'umanità, ha accolto per prima la pioggia divina che scende dal cielo. Come la pioggia sul vello (Sal 7 1,6), così (il Verbo) e disceso su Maria, la tutta pura e immacolata, onde far cessare, con misteriose irrigazioni, l'aridità che desolava la terra intera». Maria dunque è stata la prima a ricevere la pioggia della vita divina che, per opera del Cristo Redentore, tutti i credenti ricevono come pegno di salvezza: Non solo, ma ella può intervenire a loro favore; per questo a lei si rivolge la preghiera dei fedeli.

Bibliografia
GAMBERO L.,  Fede e devozione mariana nell'impero bizantino. Dal periodo post-patristico alla caduta dell'impero (1453), San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 254-260; TONIOLO E., Maria attraverso l'omiletica bizantina dal secolo XII al secolo XV, in De Cultu Mariano saeculis XII-XV, vol. IV, Roma 1980, pp. 59-60; EHRHARD A., Uberlieferung und Bestand der hagiographischen und homiletischen Literaturdergriechischen Kirche, 3 voll., Leipzig 1937-1952;  BALLERINI A., Sylloge monumentorum ad mysterium conceptionis Immaculatae Virginis Deiparae illustrandum, vol. II, Romae 1854-1856, pp. 283-382; BECK H. G., Kirche und theologische Literatur im Byzantinischen Reich, Verlag H. C. Beck; Munchen 1977; FARRUGIA F. (a cura di), Dizionario enciclopedico dell'Oriente Cristiano, Pontificio Istituto Orientale, Roma 2000; GORDILLO M., Mariologia Orientalis, Pontificium Institutum Orientalium Studiorum, Roma 1954.
 






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