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CANONE PARACLETICO



1. Il genere innografico dei Canoni
La produzione liturgica innografica in lingua greca conobbe fin dall’antichità varie modalità espressive: semplici antifone, come il Sub tuum praesidium; brani più ampi, sullo stile dei nostri inni occidentali, che si intrecciavano con la salmodia; composizioni più complesse, come alcune sequenze; per giungere al genere dei kontakia (di cui in certo senso fa parte l’Akathistos), nel quale eccelle Romano il Melode nel secolo VI. Questo genere innografico che con stile quasi drammatico parafrasava o un testo biblico o un mistero celebrato, nel secolo VIII fu quasi interamente sostituito da un nuovo modo di celebrare la lode divina, più austero, più biblico. Specialmente i lunghi uffici mattutini (l’Orthros) furono oggetto di una profonda riforma innografica. L’innovazione più importante fu costituita dal «Canone» delle Odi bibliche. Nove Odi costituivano la pienezza di questo «Canone fisso», anche se non tutte venivano sempre cantate: in quaresima, ad esempio, si conserva tuttora l’uso di cantarne tre; durante l’anno, se ne cantano otto, omettendo la seconda Ode (Dt 32,1-44), perché di carattere penitenziale. Eccone l’elenco completo:
Ode I Cantico di Mosè (Es 15,1-20)
Ode II Cantico di Mosè (Dt 32,1-44) ]
Ode III Cantico di Anna (1 Sam 2,1-11)
Ode IV Cantico di Abacuc (Ab 3,2-19)
Ode V Cantico di Isaia (Is 26,9-21)
Ode VI Cantico di Giona (Gio 2,3-10)
Ode VII Cantico de tre fanciulli (Dn 3,26-57)
Ode VIII Inno de tre fanciulli (Dn 3, 57-88)
Ode IX Cantico della Vergine e di Zaccaria (Lc 1,46-55; 67-79).
Per attualizzare di volta in volta il testo biblico delle Odi secondo il mistero celebrato o la commemorazione dei Santi, furono alternate fra gli ultimi versetti e il Gloria che chiudeva l’Ode biblica delle antifone o tropari: tre, o quattro, o più. I «tropari» in genere sono brevi composizioni poetiche, fatte su uno schema metrico predefinito in ciascuna Ode da un irmo o «strofa-modello», con tono musicale e melodia propria. Come autore di questo nuovo genere innografico viene indicato Andrea di Creta; ma al suo tempo esso era già così diffuso, che Giovanni Damasceno – come si pensa – poté organizzare la struttura domenicale dell’ufficio divino proprio sul genere dei canoni. In breve tempo questi tropari divennero così numerosi e importanti, da soppiantare l’Ode biblica per la quale erano stati composti, e costituire da soli una Ode innografica, corrispondente a quella biblica di supporto e certo con riferimento ad essa. Si può ben dire che (ad eccezione del Magnificat) il tronco dei cantici biblici venne tagliato; ma ne sono rimaste le radici. Nacquero così i «canoni» innografici: un vero e proprio stile poetico e musicale, nel quale si esercitarono celebri innografi (come Cosma di Maiuma e Giuseppe di Siracusa), monaci e patriarchi (ricordo Fozio e Marco Eugenico), e addirittura laici e imperatori. La maggiore produzione innografica mariana appartiene appunto a questo genere dei «canoni», anche se non tutti furono accolti nella liturgia; molti sono ancora inediti, altri vennero riuniti in celebri raccolte antologiche, chiamate «Theotokaria». Si potrebbe già previamente dire che questa produzione innologica mariana, così varia e vasta, mantiene la sua fontale radicazione nella Parola di Dio, in modo particolare nei Cantici biblici, ma letti alla luce della piena e definitiva rivelazione di Gesù Cristo e del suo mistero salvifico, e di volta in volta attualizzati nella celebrazione liturgica, secondo la festa o la memoria celebrate.

2. I Canoni paracletici o di Supplica
Il Canone paracletico o di supplica alla Madre di Dio – per ottenere da lei aiuto e conforto nelle situazioni difficili o disperate del corpo e dell’anima – costituisce un aspetto di questo più vasto patrimonio innografico. Anche quando non portano il titolo diretto di Canone paracletico, spesso i canoni della Madre di Dio ne esprimono le componenti: il rivolgersi supplici alla potenza misericordiosa della Madre del Signore, per ottenerne la protezione e il soccorso. Guardando infatti da vicino la distribuzione settimanale dei canoni che la Liturgia bizantina rivolge alla Vergine Madre di Dio, notiamo che essi figurano in tre giorni della settimana del cosiddetto «tempo ordinario» o «Októichos»: la domenica, il mercoledì, il venerdì. La domenica, giorno consacrato alla risurrezione, viene celebrata la Vergine come Theotokos, nella sua funzione di verginale maternità che è fondamento perenne alla Pasqua di morte-risurrezione del Signore. Invece, il mercoledì e il venerdì – giorni dedicati nella liturgia bizantina a Cristo crocifisso e ai martiri – i «canoni» si rivolgono costantemente a Maria per ottener da lei misericordia e aiuto nelle diverse situazioni corporali e spirituali della vita, di ciascuno e di tutti i fedeli, per i bisogni materiali del tempo presente e per quelli spirituali ed eterni. Sono dunque veri e propri canoni paracletici. Come impostazione-base, il Canone celebrativo della Theotokos (quello per la domenica e le feste) è quasi sempre di tipo laudativo: un atteggiamento di profonda contemplazione del mistero della Madre-Vergine, misto a stupore, pervade la composizione e si trasmette all’orante. Invece, il Canone di supplica indugia a rilevare le situazioni umane e gli stati psicologici degli oranti, che con illimitata fiducia si aprono a chiedere aiuto alla Misericordiosa, alla potente Madre di Dio.

 3. Aspetti emergenti del Canone Paracletico
               
a)
La costante radicazione nei testi biblici
              
Tutto il Canone innografico ruota attorno alle Odi bibliche, che ne sono l’originario substrato: ad esse si ispira, cogliendo dal testo e dai suoi contesti termini, concetti e motivazioni. Così la celebrazione diventa il luogo della memoria; e la memoria storica degli eventi salvifici cantati dalle Odi bibliche provoca e promuove una immensa varietà di attualizzazioni, perché uno solo è il progetto di Dio ancora in atto, e ciò che egli ha compiuto nel passato – in determinate circostanze e modi – è parola viva per il presente di ciascuno e di tutti. Ciò acquista ancor più intenso significato dal fatto che – nella prospettiva del nostro Canone, che segue in questo le prime intuizioni cristiane – uno solo è l’agente che, come pensiero e parola del Padre, percorre dalle origini fino al definitivo compimento, non ancora venuto, tutta la storia della salvezza umana: il Verbo. Non un Dio astratto, non una divinità generica: è il Figlio dell’unico Dio che crea il cosmo e lo adorna, che forma l’uomo dal fango, imprimendogli la sua futura immagine e somiglianza, che lo visita nel paradiso e lo condanna dopo il peccato, che continuamente si fa presente con le sue manifestazioni e i suoi interventi di salvezza, nella storia dell’uomo, in particolare di Israele, preparando la sua venuta visibile in mezzo a noi, il suo definitivo intervento salvifico a nostro favore. Il presente dunque prolunga e illumina il passato, anticipa il futuro: storia, vita e profezia si intrecciano nella celebrazione liturgica. È in questo contesto storico-salvifico che è presente e agisce Maria. I canoni non sono una litania di titoli, ma una continuata memoria storico-salvifica, nella quale di volta in volta vengono richiamati i titoli e le caratteristiche che motivano la presenza della Madre di Dio nell’evento attualizzato. Dico di più: poiché i canoni sono la preponderante produzione innografica bizantina, e Maria è presente non solo nei canoni a lei dedicati, ma possiamo dire in tutti i canoni anche del Signore e dei Santi, almeno nell’ultimo tropario che chiude ogni Ode, la sua presenza nella liturgia è davvero una presenza trasversale, come la definisce il papa Giovanni Paolo II nell’encilica Tertio Millennio adveniente, n. 43; ed è una presenza storico-salvifica.
                b) La centralità della persona umana nel suo cammino spirituale
                Il Canone paracletico, usando quasi sempre la prima persona singolare – una prima persona però che tutti rappresenta e include – sembra occuparsi e preoccuparsi unicamente (o quasi) delle situazioni in cui versa il fedele: quelle corporali, come le malattie e le infermità fisiche; molto più quelle spirituali, che giorno dopo giorno si affacciano sul suo progressivo e impegnato itinerario spirituale. In questo itinerario di vita resta normativa la proposta di S. Paolo: «Deponete l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4, 21-24), fino a raggiungere la piena conformità con Cristo. L’itinerario spirituale, sempre bersagliato finché siamo quaggiù da difficoltà e insidie dei nemici interni ed esterni dell’uomo, si protende verso la mèta su due versanti: quello dell’ascesi purificatrice ed equilibratrice, e quello della contemplazione che illumina e conduce all’esperienza mistica. La situazione esistenziale di tentazioni, di passioni morbose e anche di peccato che continuamente gravano sull’uomo, gli danno il senso profondo della sua fragilità, la coscienza di essere peccatore bisognoso di incessante misericordia, e provocano il grido di aiuto a chi lo possa soccorrere e sostenere: il Salvatore, e accanto a lui, la sua Madre tuttasanta, immacolata e misericordiosa. A prima vista, sembra che la prospettiva del Canone paracletico abbia di molto ridotto e quasi avvilito la dimensione storico-salvifica universale del mistero di Cristo, circoscrivendola alle singole persone. Ma non è così; e che proprio qui noi occidentali dobbiamo cimentarci, se vogliamo comprendere la spiritualità orientale. Perché – secondo l’intuizione che dalla Scrittura attraverso i Padri giunge a noi – dobbiamo dire che fine della creazione e della redenzione è Dio nell’uomo e l’uomo in Dio, cioè la divinizzazione della creatura umana mediante la grazia e la presenza inabitante di Dio. Questo è anche il fine dell’incarnazione e del mistero salvifico di Cristo, il quale appunto è disceso dai cieli «per noi e per la nostra salvezza». Lo esprimeva chiaramente Ireneo, scrivendo: «Come potrà l’uomo diventare Dio, se Dio non si fece uomo?... O come potranno ricevere da Dio l’adozione, restando in quella natività che è propria dell’uomo in questo mondo?». Inutilmente infatti si sarebbe fatto uomo, se non ci avesse partecipato la sua natura divina. Di conseguenza la vita divina in noi – in ciascuno e in tutti, nel suo inizio e nel suo progressivo perfezionamento fino all’ultimo compimento – è l’oggetto primario tanto dell’azione di Dio quanto della sua rivelazione. Resta infatti fondamentale la lettura di S. Paolo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio... nato da donna, ... perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4-5). La generazione verginale di Cristo per opera dello Spirito è causa e modello della nostra rigenerazione dallo Spirito Santo, come afferma anche il Concilio Vaticano II (LG 65). Ciò che avvenne nel Capo si prolunga e si dilata nelle sue membra: la concezione da Spirito Santo e la nascita verginale del Verbo da Maria è il principio storico-salvifico del suo essere concepito anche in noi e nascere in noi. Questa è la permanente lettura bizantina, che partendo da Origene, trova nel monachesimo orientale una vera e propria codificazione di vita. L’uomo creato a immagine e somiglianza nella creazione, ridiventato figlio di Dio con la redenzione di Cristo, si protende con tutte le forze verso la pienezza della sua divinizzazione, il diventare cioè così perfetto, da essere in tutto simile a Cristo, in modo che Gesù – come scrive Origene – possa dire di lui a Maria dall’alto della croce: «Donna, ecco il tuo figlio». «Poiché ogni perfetto non è più lui che vive, ma è Cristo che vive in lui; e se Cristo vive in lui, di lui si dice a Maria: Ecco Cristo tuo figlio». Al sommo della tradizione bizantina è Germano di Costantinopoli, che parlando di Maria come Vergine e Genitrice di Dio scrive: «Se tu non avessi mostrato il cammino, nessuno sarebbe diventato spirituale, nessuno avrebbe adorato Dio in spirito (cf. Gv 4, 24). L’uomo allora diventò spirituale, quando tu diventasti abitazione dello Spirito Santo» (9).
                c) La globalità del mistero storico-salvifico
                Il Canone paracletico presuppone una lettura globale del mistero della salvezza – che include creazione-redenzione-eschaton, uomini e cosmo – nelle successive tappe storiche in cui Dio l’ha voluto articolare, accentrandolo nel Figlio incarnato, morto e risorto. La normalità dei passaggi tra Antico Testamento, Nuovo Testamento ed esperienza vissuta dei fedeli chiaramente lo mostra: ciò che l’Antico Testamento prefigura, il Nuovo già lo compie in noi, ma non ancora nelle modalità che avrà nel secolo futuro. Altrettanta reciprocità si nota e quasi spontaneo passaggio fra le mediazioni salvifiche: è Dio che salva, è Cristo che salva, è Maria che salva: «Santissima Madre di Dio, salvaci! », ripete costantemente il ritornello intercalato ai tropari. Oggetto di questa invocazione ripetuta è la «salvezza» nella sua più vasta accezione: per ciascuno e per tutti, per il presente e per l’eternità. Mi limito ad evidenziare alcuni fondamenti di questa universale mediazione di Maria, che emergono dal Canone paracletico, sullo sfondo di una lunga e consolidata tradizione patristica. Fondamento ultimo è la sua verginale divina maternità, che la trova degna di Dio nella sua bellezza originaria, e la trasfigura in Dio con l’inabitazione del Verbo in lei, così da diventare comunione con lui nell’essere, trasparenza di lui nell’agire. Poiché chi entra così al vivo nella causa della salvezza da esserne la perenne radice umana, fa parte della salvezza in atto e quindi diventa co-operatore di Dio, compartecipe della sua causalità e del suo agire.
In tre brevi tratti potrei così sintetizzare il tutto: nella Madre si trova per partecipazione ciò che il Figlio è, ciò che il Figlio ha, ciò che il Figlio fa.
- In Maria si trova ciò che il Figlio è. La divina maternità – misterioso scambio tra Dio e l’uomo in Maria – è considerata come una simbiosi tra Madre e Figlio: Egli assume da lei l’umano, le dona il divino. Già Efrem scriveva: «Quando eri in me, la tua maestà dimorava in me e fuori di me; e quando ti generai visibile, la tua forza invisibile non mi lasciò. Tu sei in me, tu sei fuori di me, tu che attiri a te la Madre tua, perché contempli la tua forma esterna, visibile agli occhi. Ma la tua forma invisibile è impressa nello spirito mio». E Romano il Melode, nel secondo Inno sul Natale, commentando l’accoglienza misericordiosa di Maria verso i progenitori accorsi da lei per ottenere il perdono del Figlio, affermava: «Gli occhi di Maria, su Eva e su Adamo, si empirono di lacrime. Presto però le contenne e cercò di dominare la natura, lei che al di là della natura aveva dato alla luce il Cristo. Le sue viscere furono scosse da compassione per i progenitori: perché al Misericordioso conveniva una Madre pietosa». Il Canone paracletico coglie alcune proprietà che il Figlio ha trasmesso alla madre, rendendola piena di grazia: è la Buona, che ha generato il Buono; è la Pietosa, che ha generato il Misericordioso; è la Radiosa, perché ha generato la Luce; è la Munifica, perché ha generato l’elargitore di ogni bene; è la Pacifica, che ha dato al mondo l’autore della pace...
- In Maria si trova ciò che il Figlio ha. Oltre alla grazia, il Figlio le ha concesso il suo potere. Egli tutto può, è il potente nella sua forza, è la Potenza di Dio. Questa sua potenza divina, con la quale opera guarigioni e salute, l’ha concessa alla Madre in modo singolare, al di sopra di tutti gli altri. L’affermava già Proclo di Costantinopoli al tempo di Efeso, e più ancora al tempo di Calcedonia Basilio di Seleucia: «Chi dunque non ammira la grande potenza della Madre di Dio e di quanto ella trascenda tutti i santi che noi onoriamo? Se infatti il Cristo conferì tale grazia a dei servi, da curare gli infermi non soltanto col loro contatto, ma persino con la loro ombra (cf. At 5, 15)... quale potere bisogna pensare che abbia concesso alla Madre? non forse molto di più che ai sudditi?».
- In Maria si trova ciò che il Figlio fa. La tradizione greca ha raggiunto il vertice espressivo di questa sua dottrina in Germano di Costantinopoli. Egli, in molti luoghi delle sue omelie, ripetutamente lo afferma. «Per questo a ragione ogni afflitto ricorre a te; l’infermo a te si stringe... Tu allontani da noi l’indignazione, l’ira, le tribolazioni, le tentazioni degli angeli malefici, e distorni le giuste minacce e la sentenza di meritata condanna per il grande amore che porti al popolo da dal tuo Figlio prende nome. Per questo il popolo cristiano, conoscendo il suo misero stato, con fiducia affida a te le sue preghiere perché tu le presenti a Dio». E ancora: «La tua generosità non conosce termine alcuno; il tuo soccorso non viene mai meno. I tuoi benefici sono senza numero. Nessuno infatti, se non per te, o Santissima, consegue la salvezza; nessuno, se non per te, o Immacolatissima, è liberato dai mali; nessuno, se non per te, o Castissima, riceve grazie; nessuno, se non per te, o Onoratissima, riceve misericordiosamente il dono della grazia».

4. Quale immagine di Maria dal Canone Paracletico
Dal Canone paracletico non emerge quell’immagine di Maria che noi amiamo definire «evangelica», in quanto caratterizzata da quei connotati storici e spirituali presenti nei vangeli che l’accomunano a noi nel suo cammino esistenziale, e anche spirituale: la povera, la serva, l’esiliata, la sofferente... Emerge invece l’immagine teologica e spirituale di Maria, quale fu recepita nel secolo VIII e agli inizi del IX: un’immagine teologica al centro del progetto di Dio e della salvezza operata dal Figlio; un’immagine spirituale – cosa molto amata in Oriente fin dal sec. III (Origene, Atanasio) – al vertice di ogni cammino spirituale e interamente immersa e trasfigurata nella luce del Figlio e nel suo misericordioso agire verso le creature umane. Tutto si articola intorno ai due fulcri, in lei mirabilmente congiunti: Vergine e Theotokos, in quanto la realizzano nella sua pienezza umana e spirituale, e la costituiscono conseguentemente «madre» anche dei redenti. Infatti:
in quanto «Vergine» ella possiede bellezza originaria, immacolatezza, bontà acquisita, splendore di castità, ecc.;
in quanto Theotokos, vive una simbiosi permanente tra Lei e il Figlio.
Il fondamento generativo rimane come radice perenne, ma come da tronco ne fioriscono una pluralità di rami che la fanno simile al Figlio e partecipe di ciò che Egli è: sua Sposa, la Piena di grazia. Tuttavia, l’orientamento definitivo della sua maternità divina non è relativo unicamente al Verbo che ha generato nella carne umana, ma conseguentemente e totalmente anche al dilatarsi del Figlio in coloro che lo accolgono e di Lui vivono, ne esprimono passo passo sempre più nitida in sé l’immagine e la somiglianza, finché sarà perfetta nella gloria. La coscienza lucida del suo posto insostituibile in questo progressivo farsi del Figlio nei figli, del Capo nelle membra, di Dio nell’uomo, motiva il ricorso dei fedeli a Lei come a chi ha il potere – e in certo senso il dovere – di intervenire in loro aiuto, quasi prolungando in loro la sua maternità divina. Maria dunque è al centro della storia salvifica, e di ogni storia personale: nessun altro come Lei!

Bibliografia
TONIOLO E. M., Il "Piccolo Canone Paracletico" alla SS. Madre di Dio. Analisi comparata, Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 20012; pp. 5-77; ID., La Vergine Maria icona della spiritualità dell’oriente. Lezioni introduttive alla mariolgia orientale, Centro di Cultura Mariana “Madre della Chiesa”, Roma 2004; GHARIB G., Maria madre di Dio nell’Oriente Cristiano, Marianum, Roma 2000; ZERNOV N., Il Cristianesimo Orientale, Il saggiatore, Milano 1966; BERNARDI P., L’icona. Estetica e teologia, Città Nuova, Roma 1997; KNIAZEFF A., La Madre di Dio nella Chiesa ortodossa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993; PARENTI S., La Theotokos nello sviluppo storico della liturgia Bizantina, in Rivista Liturgica: La Theotokos nel dialogo ecumenico, 85 (1988) n. 2-3marzo-giugno, pp. 209-220; AA.VV. Divinizzazione dell’uomo e redenzione dal peccato. Le teologie della salvezza nel cristianesimo di Oriente e di Occidente, Edizione della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2004; AA. VV., Ave gioia di tutto il creato. La Madre di Dio e il popolo russo ieri e oggi, Gribaudi, Milano 1987; BUX N., Maria nell’eucologia Bizantina, in Rivista Liturgica: La “Theotokos” nel dialogo ecumenico, 85 (1988) n. 2-3marzo-giugno, pp. 363-376; TENACE M. Il cristianesimo bizantino, Carocci, Urbino 2000; RAHNER H., Maria e la Chiesa, Jaca Book, Morcelliana, Brescia 1977; AUBERT R. –  FEDALTO G. –  QUAGLIONI D., Storia dei Concili, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995; ROUSSEAU D., L’icona, splendore del tuo volto, Paoline, Milano 1990; LEDIT J., Marie dans la liturgie de Byzance, Beauchesne, Paris 1976; BECK H. G., Kirche und theologische Literatur im Byzantinischen Reich, Verlag H. C. Beck; Munchen 1977; FARRUGIA F. (a cura di), Dizionario enciclopedico dell'Oriente Cristiano, Pontificio Istituto Orientale, Roma 2000; GORDILLO M., Mariologia Orientalis, Pontificium Institutum Orientalium Studiorum, Roma 1954.

VEDI ANCHE:
  - ANAFORE ORIENTALI
  - DIVINA LITURGIA BIZANTINA






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